CAPITOLO XV
MARCUS
I preparativi fervevano in
tutto il regno di Albis. Dai nostri nuovi appartamenti a Palazzo ci
accorgemmo in
fretta che la città era scossa da un grande fermento:
c’era un grande
andirivieni per i corridoi e i cortili, uomini in divisa correvano da
una parte
all’altra consegnando ordini e dispacci. Solo la Regina
sembrava al di sopra di
tutta quell’agitazione: maestosa e rilassata, in sua presenza
regnava la calma.
Più
osservavo Vanessa Elvere, più mi rendevo conto
del perché la sua grandezza fosse raccontata in tutto il
mondo. La sovrana era
incredibilmente bella e serena, emanava una sensazione di potere e
intelligenza
che, quelle rare volte che mi trovai al suo cospetto, mi faceva sentire
quasi
spaventato. Nessuna delle altre regnanti che avevo visto mi era mai
sembrata
così degna del trono.
Durante
il periodo che passammo ad Albis vedemmo poco
Camille. Era spesso in compagnia della regina Vanesse e, sebbene non si
facessero vedere l’una al fianco dell’altra in
pubblico, sapevo che passavano
molto tempo insieme. In un primo momento pensai che fosse per tenerla
d’occhio,
ma lentamente mi resi conto che la sovrana Elvere aveva in qualche modo
preso
sotto la sua ala Camille, insegnandole e facendole vedere come dovesse
comportarsi una Regina.
Mentre
Camille era così impegnata, io, Andreas, Mel e
Jared girammo per la città e i suoi dintorni. Non credo che
potrò mai vedere
qualcosa di così splendido come Egalia, la Regina del
Deserto. Era un prodigio
di architettura, arte e bellezza. Le case, basse e bianche, si
inerpicavano
sulle alture su cui sorgeva la città. Non c’erano
bassifondi ma ogni angolo
della città era ugualmente splendente, così
diversa da Elea e dai suoi
quartieri malfamati, spogli e cadenti a pezzi. Fontane
d’argento sorgevano
nelle piazze, dove bambini giocavano a palla e anziani parlavano seduti
su
panche di legno chiaro. Avrei passato le ore con il naso per aria,
osservando i
palazzi chiari, i fregi dorati, lo zampillare dell’acqua.
Per
la gioia di Andreas passammo anche qualche giorno
accampati in un’oasi nel deserto, poco distante dalla
città. Ci godemmo la
sensazione del sole, della sabbia e, incredibilmente, della
tranquillità. Era
la prima volta da molto tempo che ci trovavamo tutti insieme senza la
preoccupazione di dover scappare, di doverci nascondere, di fare la
guardia. Mi
sembrava di essere tornato alla Corporazione, durante gli anni
dell’addestramento.
Tutto
questo finì fin troppo presto: la data del
matrimonio reale tra Auremore e Coverano si avvicinava. Un giorno,
mentre stavo
aspettando nel corridoio insieme a Jared che Mel e Andreas uscissero
dalla loro
stanza, Camille ci si avvicinò. Vidi Jared spalancare gli
occhi mentre lei
procedeva nel corridoio e quasi feci fatica a riconoscerla.
Camille
era sempre stata bella, almeno per me, ma
ora… ora era stupenda. Aveva lavato via la tintura scura per
i capelli,
lasciando che risplendessero del rosso che ricordavo così
bene da quando
l’avevo salvata la prima volta anni prima. Gli occhi verdi
sembravano due smeraldi
sul viso chiaro, luminosi e grandissimi. La bocca era piegata in un
sorriso che
mi sembrò il più sensuale che avessi mai visto.
Il vestito verde che portava
aveva una profonda scollatura, lasciando intravedere la dolce curva del
seno. Deglutii, improvvisamente avevo la bocca secca.
–
Camille, stai benissimo – esordì il mio amico,
prendendo la mano di Camille e baciandola elegante. Avrei voluto avere
la metà
della sua prontezza.
Lei
rise, una sfumatura rosata le imporporò le
guance: – Grazie. La Regina pensava che non avessi
l’aspetto di una pretendente
al trono e il risultato è stato questo, – disse,
indicando con un ampio gesto
il vestito. – Ha funzionato? –
–
Direi di sì – rispose Jared sorridendo, mentre io
mi costringevo ad annuire.
–
Comunque, – continuò Camille tornando seria.
– L’esercito
è pronto a muoversi verso il confine e la Regina ci ha
proposto, cioè ordinato
in maniera gentile, di muoverci insieme. La partenza è
fissata per domani, non
so ancora l’orario. –
Annuii
a caso, troppo impegnato a guardarla per poter
recepire che cosa mi stesse dicendo. La osservai scambiare ancora
qualche
parola con Jared senza far parte della conversazione, prima che ci
salutasse e
si allontanasse lungo il corridoio.
–
Marcus, tutto bene? – mi domandò il mio amico, con
un ghigno divertito stampato in viso. Io stavo ancora guardando il
punto dove
Camille era scomparsa.
Mugugnai
qualcosa in risposta, mentre Jared scuoteva
la testa: – Sai, – mi disse, improvvisamente serio.
– Non rimarrà libera per
sempre. –
Mi
riscossi dalla mia estasi ritornando in me: – Ne
abbiamo già parlato, Jared. Credi che ci sia una
possibilità per me? Io sono un
Assassino, lei una Principessa. –
–
Sì, lei è una Principessa, – disse
Jared, facendo spallucce.
– E in un futuro prossimo potrebbe essere Regina oppure
morta. Con quale delle
tre pensi di avere più speranze? –
Aprii
la bocca per ribattere ma non riuscii a
proferire parola. Era strano, ma Jared aveva ragione. Non ci sarebbe
stato un
momento migliore per me e Camille perché, per quanto
inopportuno fosse il
presente, il futuro ci avrebbe solamente allontanati. Avrei potuto
continuare a
fare finta di niente e vivere il resto della mia vita con il rimpianto,
oppure
cercare di togliermi da quella impasse in quell’esatto
istante.
–
Marcus, – continuò Jared mettendomi le mani sulle
spalle, nella sua migliore imitazione di un fratello maggiore.
– Vai. Di cosa
hai paura? Che può succedere di male? Approfitta del tempo
che hai. –
Chiusi
gli occhi per un istante mentre pensavo. Jared
mi aveva convinto, aveva ragione. Annuii, mentre il mio amico mi dava
una pacca
sulla spalla. Mi misi a correre, sfrecciando davanti a un allibito
Andreas che
in quel momento apriva la porta della sua camera. Mi diressi verso il
punto
dove poco prima era sparita Camille, i miei passi affrettati
risuonavano per il
corridoio. Dopo pochi minuti intravidi finalmente la macchia verde del
suo
vestito mentre lei si girava, richiamata dal rumore che stavo facendo.
Mi
fermai a pochi passi da lei, guardandola in piedi nel corridoio bianco.
–
Marcus? – mi chiese sorridendo, piegando
leggermente la testa. – Ti serve qualcosa? –
Presi
un respiro profondo e poi smisi di pensare.
Feci tre passi veloci divorando lo spazio che ci separava, guardandola
aggrottare incuriosita le sopracciglia. Le presi il viso tra le mani e
la
baciai, assaporando il sapore dolce delle sue labbra. Mi allontanai
leggermente
riaprendo gli occhi, sentendo il cuore battere come se volesse
scapparmi dal
petto. Camille deglutì, guardandomi con gli occhi verdi
spalancati. Ero già
pronto a scusarmi e a scomparire quando lei fece una risata cristallina
e mi
baciò a sua volta, a lungo. Quando smise lei ricominciai io
e non so dire per
quanto continuammo lì, in quel corridoio.
Per me
tutto nasceva e moriva sulle labbra di Camille. All’inizio fu
dolce e lento, ma
presto sentii nascere dentro di me un’urgenza nuova, che mi
spingeva a baciare
quella bocca come se la volessi divorare. Le mie mani abbandonarono il
suo viso
per scendere tra i capelli e sulla sua vita, stringendola di
più a me. Brividi
mi percorsero la schiena quando Camille mi morse il labbro inferiore in
un modo
che mi fece inceppare il respiro. Sentii la pelle d’oca sulla
sua pelle mentre
le accarezzavo le spalle e le braccia. Il suo sapore era qualcosa che
non avevo
mai provato prima: era fresco ma con una nota dolce e già
sapevo che non avrei
più potuto farne a meno.
Mi staccai
dalla sua bocca solo per scendere a baciarle il profilo della mascella,
a morderle
la pelle tenera del collo. Mi morse il lobo dell’orecchio e
trattenni
bruscamente il fiato mentre sentivo il suo respiro farsi sempre
più affrettato.
Sapevo che avrei dovuto controllarmi, che tutto quello era eccessivo,
che era
sconveniente… ma non riuscivo a fermarmi. Ero come in preda
alla frenesia e per
me non esisteva altro che Camille, il suo corpo, il suo profumo, le sue
mani,
la sua pelle. Mi sentivo come chi beve dopo che l’acqua gli
è stata negata a
lungo: attaccato alla fonte che mi dissetava senza né il
potere né il desiderio
di allontanarmi.
Solo dei
passi che risuonarono al fondo del corridoio ebbero la
capacità di farci
separare. Non vidi nemmeno chi ci passava vicino, troppo impegnato
com’ero a
guardare Camille e il rossore che le illuminava il viso, gli occhi
grandi e
dolci, le labbra gonfie per i baci che ci eravamo dati. Aveva il
respiro
affannato, il petto che si sollevava e abbassava velocemente.
– Io… –
iniziò Camille, ma fu costretta a schiarirsi la voce prima
di poter continuare.
– Se ti serviva questo potevi dirmelo anche prima. –
Ridemmo per
qualche istante e tracciai delicatamente con il pollice la linea delle
sue
labbra, improvvisamente serio: – Avrei dovuto. Volevo farlo
da tanto. –
Lei annuì:
– Anche io. –
Mi abbassai
per baciarla di nuovo ma lei si scostò delicatamente,
prendendomi le mani.
Aggrottai le sopracciglia e stavo per chiederle perchè
quando mi indicò con un
cenno del capo un punto dietro di me. Mi girai e vidi le persone che ci
avevano
interrotto poco prima parlare nel corridoio, poco distanti da noi.
Annuii ed
ero pronto ad allontanarmi quando si avvicinò al mio viso,
mormorandomi
qualcosa all’orecchio.
– Seguimi –
mi disse, poi si voltò.
Mi sembrava
che ci fosse solo lei mentre attraversavamo il palazzo di Egalia quasi
di
corsa. Camminavo due passi dietro a lei, che ogni tanto si girava e mi
sorrideva in un modo che sapevo essere dedicato solo a me. Non avevo
idea di
dove mi stesse portando, ma tanto l’avrei seguita ovunque. I
capelli rossi
dondolavano al ritmo dei suoi passi, lasciando intravedere la linea
delicata
delle spalle. Attraversammo sale piene di gente, corridoi affollati,
disimpegni
occupati da guardie, ma ognuna di queste persone attraversava il mio
campo
visivo solo per un attimo prima di sparire nel nulla.
Camille mi condusse
su per scale e lungo passaggi di marmo fino a fermarsi davanti a una
porta di
legno scuro. La vidi aprirla ed entrare in quelle che capii essere le
sue
stanze, per poi girarsi a guardarmi. Io, invece, mi fermai sulla porta.
Avrei solo
voluto entrare lì dentro con lei, ma l’ultimo
pensiero razionale della giornata
mi colse prima di poter fare anche un passo: se poi Camille se ne fosse
pentita? Avevo già avuto altre donne nel corso della mia
vita, ma non volevo
rovinare tutto con lei. Volevo che fosse sicura di quello che stava
facendo,
che non si sentisse in nessun modo forzata. Se solo Jared avesse potuto
vedermi
si sarebbe schiantato dalle risate: sembravo l’eroe romantico
di qualche
storiella rosa.
Camille
sembrò leggermi nel pensiero. Mi si avvicinò
camminando leggera e mi prese la
mano, tirandomi piano: – Sono sicura –
mormorò, senza abbassare gli occhi.
Sembrava che le sue guance stessero andando in fiamme. Sorrisi e la
seguii, e
ricominciammo a baciarci ancora prima di sentire il rumore della porta
che si
chiudeva. Rimasi senza fiato e mi stupii di quanto fosse facile
scambiarsi
quelle effusioni, come se non avessimo mai fatto altro.
Non so bene
chi condusse chi verso il letto, chi iniziò a spogliare chi.
So solo che in un
istante tutto il mondo sparì e restammo solo io e lei,
Marcus e Camille. E non
mi sarebbe servito nient’altro per essere felice.
***
Ore più tardi, eravamo ancora
sdraiati a letto. Un’aria leggera entrava dalle finestre
aperte, facendo
muovere lievemente le tende azzurrine. Giocherellavo distrattamente con
una
ciocca di capelli di Camille, che riposava con la testa appoggiata sul
mio
petto.
–
Posso chiederti una cosa? – mi domandò piano,
mentre giochicchiava con il mio ombelico.
– Dimmi. –
Camille si
girò di colpo, appoggiando il mento sul mio sterno. Aveva
una luce maliziosa
negli occhi, un sorriso divertito che le faceva spuntare una piccola
fossetta.
Non potei trattenermi dall’accarezzarle la guancia.
– Come sono
andata? – mi chiese, arrossendo un po’ ma senza
distogliere lo sguardo.
–
Davvero me lo stai chiedendo? – chiesi, incredulo.
Per me era stato fantastico, davvero fantastico, e che lei me lo
chiedesse mi
faceva sentire stranamente in colpa.
–
Beh, sì – ridacchiò lei. –
Cioè, un’idea me la sono
fatta, però… – tornò quasi
seria mentre lo diceva.
–
Però? –
–
Però, ecco, diciamo che non è qualcosa che si
insegna a palazzo e, non so, volevo avere il parere di un esperto.
–
Risi
di cuore alle sue parole: – Mi reputi un
esperto? Sono lusingato. –
–
Beh, sì… – tentennò,
diventando sempre più rossa. –
Mi sei sembrato parecchio bravo. –
Il
mio orgoglio maschile ebbe una vampata a quella
conferma. Non riuscii a trattenere un sorrisetto compiaciuto e
un’espressione
soddisfatta.
– Non
gongolare! – mi riprese subito lei ridendo, ogni traccia di
imbarazzo sparita,
dandomi uno schiaffetto sulla pancia. Si era alzata in ginocchio sul
materasso
ed era quanto di più bello avessi mai visto in vita mia.
Mi tirai a
sedere anche io, mettendole una mano dietro la nuca e baciandola
dolcemente.
– Sei
andata benissimo – le mormorai contro le labbra, la mano che
percorreva la sua
pelle nuda.
Dopo poco
tornammo a sdraiarci con lei a pancia in giù su di me, a
guardarmi dall’alto.
Ogni tanto mi dava un piccolo bacio sul collo mentre io riposavo a
occhi
socchiusi. Mi sentivo in un mio personale piccolo paradiso, non avrei
mai
voluto dovermene andare via. Era incredibile essere lì nello
stesso letto con
Camille, ed era incredibile come chi fossimo fosse semplicemente
passato in secondo
piano. Io non ero più un Assassino e lei non era
più una Principessa. Eravamo
solo Marcus e Camille e nulla di più.
La voce di
lei mi distolse dai miei pensieri: – Stavo
pensando… –
– Ancora? –
mugugnai, senza riaprire gli occhi.
Lei ignorò
la mia ironia e continuò: – So così
poco di te e della tua vita sentimentale. –
– Devo
preoccuparmi? – domandai aprendo un occhio, guardandola
storto.
– No, direi
di no, – mi rispose sorridendo, spostandosi una ciocca di
capelli da davanti il
viso. – Sono solo curiosa. –
– Chiedimi
quello che vuoi. –
La domanda
arrivò a bruciapelo: – Con quante donne sei stato?
–
– Ah,
iniziamo proprio così? – risposi tirandomi un
po’ su. – Saranno state dodici,
tredici. Non credo quindici. –
– Ah. –
Risi della
sua faccia corrucciata: – Se pensi che siano tante non
chiedere mai una cosa
del genere a Jared. –
– Ne
prenderò nota. E la prima quando l’hai avuta?
–
– Avrò
avuto sedici, diciassette anni. Più o meno. –
– Più o
meno? – mi domandò incuriosita. Represse un
brivido quando un refolo di vento
colpì la nostra pelle sudata. Tirò su di noi il
lenzuolo che si era
attorcigliato al fondo del letto, accoccolandosi meglio contro di me.
– Non è
facile capire quanti anni hai quando non sai quando sei nato
– risposi
tranquillo. A differenza di lei stavo morendo di caldo, ma non mi sarei
allontanato nemmeno per tutto l’oro del mondo.
– Non sai
quando sei nato? – mi domandò con un sorriso
triste, accarezzandomi leggera il
petto.
– No.
Immagino di avere più o meno ventitré anni, anno
più, anno meno, – non volevo
parlare della Confraternita, non lì con lei. – E
tu? Quando sei nata? –
– Il 6
luglio 1610. –
– Sei una
giovincella – ridacchiai, tornando a chiudere gli occhi. La
mia mano salì da
sola verso i suoi capelli e iniziai ad attorcigliarli attorno a un
dito. Era da
mesi che avevo voglia di farlo e non avrei più voluto
smettere.
Camille
rise con me, appoggiando la testa al mio petto e guardando fuori dalla
finestra, rilassata.
Pensavo
avesse finito con le domande quando parlò di nuovo:
– C’è stata una donna
importante nella tua vita? –
Mi
aspettavo una domanda del genere ma, stranamente, la reticenza che di
solito mi
prendeva quando si toccava l’argomento non comparì.
– Sì, una
sola. –
Camille si
girò di nuovo verso di me, facendomi perdere nei suoi
bellissimi occhi verdi.
Mi accorsi che sopra la pupilla sinistra aveva una piccola macchietta
dorata,
quasi ipnotica.
– Chi era?
– mi domandò serena, nessuna traccia di gelosia
sul suo viso. Solo curiosità.
– Si
chiamava Amelie, – iniziai, godendomi la sensazione della
mano di Camille che
passava leggera sul mio fianco. – L’ho conosciuta
nella pausa tra una missione
e l’altra, quattro anni fa. Era sera e avevo alzato un
po’ il gomito, quindi
camminavo per le strade di Elea senza guardarmi troppo attorno. La
urtai e feci
cadere tutte le stoffe che aveva in mano, sparpagliandole per la
strada. Mi ha
urlato contro talmente forte che pensai che mi avrebbe rotto i timpani.
Mi
sentivo così in colpa che quando se n’è
andata l’ho seguita per vedere dove
abitava. Non avevo molto denaro con me in quel momento, quindi decisi
di
tornare lì il giorno dopo per risarcirla. Quando mi
aprì la porta la mattina
dopo mi accorsi che era molto, molto bella. E con un cipiglio davvero
niente
male. Per farla breve, oltre a pagare il danno, la invitai ad uscire
con me. –
Camille mi
guardava con la testa inclinata, come sempre quando era attenta:
– E lei
accettò? –
Risi al
ricordo: – Per niente, mi chiuse la porta in faccia.
C’è voluto un mese prima
di riuscire a convincerla. Stavo quasi per rinunciare quando
accettò. Alla fine
ero innamorato perso. –
– E poi?
Cos’è successo? –
Feci
spallucce mentre ricordavo: – È successo che ha
sposato un altro, un ricco
mercante di Elea. Non lo amava nemmeno, voleva solo accaparrarsi un
buon
partito. La sua famiglia era molto povera e aveva vissuto in
ristrettezze da
quando era piccola. –
Anche solo
a riparlarne mi ricordavo il dolore che avevo provato. Ero veramente
innamorato
di Amelie, avevo anche pensato di chiederle di aspettarmi per poi
sposarmi quando
avessi finito con la Confraternita. Poi, semplicemente, a un certo
punto era
scomparsa. Ero stato veramente male quando avevo scoperto che si era
accasata
con un mercante grasso e vecchio, mi ci erano voluto mesi per
riprendermi.
L’avevo odiata per tanto tempo, ora però mi
accorgevo di ripensare a lei solo
con indifferenza.
Camille mi
riscosse dai miei pensieri: – Non essere triste –
mi disse accarezzandomi la
guancia.
– Non sono
triste – risposi prendendo la sua mano e intrecciando le
nostre dita.
– Devo
essere gelosa? –
– Direi di
no, – dissi baciando le nostre mani unite. – Anche
perché c’è qualcun altro che
occupa i miei pensieri da un po’ di tempo a questa parte.
–
Camille si
tirò su, gattonando piano verso di me. Aveva un sorriso
malizioso e gli occhi
verdi brillavano nella luce del pomeriggio.
– Ah sì?
–
mormorò avvicinando il suo viso al mio. Potevo sentire il
suo fiato mescolarsi
con il mio.
– Sì –
risposi piano, prima di tirarla verso di me e ricominciare a baciarla.
Per quel
giorno le altre domande furono dimenticate.
***
Uscii dalle stanze di Camille
nel primo pomeriggio. Non avrei voluto doverlo fare, ma stavo
letteralmente
morendo di fame e lei aveva un colloquio con la Prima. In
più sapevo benissimo
che se avessimo ritardato ancora non saremmo mai usciti. Purtroppo per
noi il mondo
era ancora lì e, avendolo dimenticato per un po’,
ritornare alla realtà era
stato più difficile del normale.
Camminai
lentamente per i corridoi, perso nei ricordi
di quelle ultime ore. Dovevo avere un sorriso idiota quando aprii
finalmente la
porta della mia stanza, impegnato a masticare una mela.
–
Ben tornato, – mi sorprese la voce di Jared,
stravaccato sul suo letto. Non mi aspettavo di trovarlo lì.
–
Grazie, – risposi chiudendo la porta e
avvicinandomi a una brocca che stava sul tavolo. Mi versai un bicchiere
d’acqua
e mi sedetti, crollando quasi sulla sedia.
–
Stanco? – mi domandò il mio amico con un ghigno
per
niente rassicurante in viso.
Tracannai
l’acqua e sospirai: – Non credo che ti
risponderò. Mel e Andreas? –
–
Sono andati a fare un ultimo giro in città e a
prendere cose che ci potranno servire per il viaggio – Jared
si tirò a sedere,
stiracchiandosi.
–
E andare con loro no, eh? –
–
Nah, non avevo voglia. E poi sono curioso. –
La
curiosità di Jared mi fece venire in mente quella
di Camille, che aveva avuto un esito così piacevole. Mi
persi di nuovo in
qualche ricordo quando il mio amico mi schioccò le dita
davanti alla faccia.
Lo
guardai scocciato.
–
Avevi un’aria ebete. Allora? – mi chiese, con gli
occhi grandi come piattini.
–
Allora cosa? – tergiversai, poggiando i piedi sul
tavolo.
–
Come cosa? Com’è andata? –
Sospirai.
Jared quando ci si metteva era peggio di
una mosca: fastidioso e molesto. Si vedeva che era divorato dalla
curiosità.
–
Bene. È andata bene – risposi sorridendo.
–
Quello l’avevo già capito dalla tua faccia.
–
Alzai
gli occhi al cielo, arrendendomi alla sua
insistenza: – Jared, sei una piaga. Cosa vuoi sapere?
–
–
Beh, l’ultima volta che ti ho visto stavi correndo
per un corridoio. –
– Ho
seguito Camille e l’ho trovata poco dopo – risposi,
guardandolo negli occhi
azzurri divertiti.
– Ma dopo
siamo passati nel corridoio e non vi abbiamo visti – mi
chiese Jared con un
tono finto stupito.
– Perché ce
ne siamo andati. –
– E per
andare dove? – Jared mi guardò da sopra la punta
delle lunghe dita unite.
Scossi la
testa, in parte sconvolto e in parte divertito della
stupidità del mio amico: –
Nelle sue stanze. –
– Ah! –
sbottò Jared battendo una gran manata sul materasso.
– Lo sapevo! Non ti chiedo
altro solo perché sono un signore. –
– Sì, come
no, – borbottai cercando di trattenere le risate.
Chiacchierammo
del più e del meno per qualche momento prima di venire
interrotti dal rumore
della porta che si apriva. Dall’uscio fecero capolino Mel e
Andreas.
– Oh,
Marcus, che sorpresa – mi salutò Andreas.
Per
fortuna, gli altri miei amici erano più discreti di Jared.
Non mi fecero
domande e non mi assillarono con la loro curiosità, parlando
invece di quello
che avevano visto in città. Avevano comprato armi in
quantità per tutti noi,
avevano ritirato le spade che avevamo lasciato dall’armaiolo,
si erano
procurati dei vestiti pesanti da indossare quando saremmo tornati a
Viride.
Avevano anche conosciuto il comandante dell’esercito che si
sarebbe schierato
al confine di Albis, un uomo severo e brusco, che però aveva
la fama di essere
un ottimo stratega.
L’esercito
sarebbe partito all’alba da Egalia, marciando attraverso il
deserto. Per noi,
abituati alle manovre militari di Viride, l’idea di far
muovere la colonna di
uomini tra le sabbie roventi era qualcosa di inconcepibile. Non sapevo
nemmeno
come avremmo fatto a spostarci e devo dire che mi ero anche poco
interessato al
riguardo.
L’idea, mi
spiegò Mel, era quella di seguire l’esercito fino
al confine e, da lì,
addentrarci poi nello stato di Viride. Con noi sarebbe venuto un
drappello di
uomini con l’incarico di scortare la principessa Helena
Elvere al matrimonio
tra Auremore e Coverano. Prima di entrare a Elea ci saremmo divisi e
saremmo
andati a cercare una qualche forma di supporto. Camille aveva citato
qualche
nobile che sperava di poter convincere a supportare la sua richiesta.
Avremmo dovuto
poi in qualche modo impedire il matrimonio e riuscire a detronizzare la
Regina,
ma una cosa per volta.
– Abbiamo
solo più oggi per preparare le nostre cose, da domani
è finita la vacanza –
disse Andreas, versandosi da bere. A causa del caldo bevevamo tutti
come
cammelli.
– Peccato,
mi piaceva qui – mormorò Mel guardando malinconico
fuori dalla finestra. – È
tutto così tranquillo, sereno. Così diverso da
Viride. –
– Ci
torneremo, prima o poi, – Jared gli si avvicinò,
affiancandosi a lui. – Ci
avete mai pensato? Una volta finito tutto questo potremmo non dover
più stare
nella Confraternita. –
Le parole di
Jared caddero pesanti come sassi nella stanza. Non avevo mai pensato a
quello
che aveva detto, per me o saremmo morti cercando di portare Camille sul
trono,
oppure tutto sarebbe tornato come prima, con noi di nuovo Assassini per
la
Confraternita. Però era anche vero che eravamo disertori,
forse non saremmo più
stati accettati nonostante l’intercessione di Camille
Coverano, Regina Reggente
di Viride. Ma avrei davvero voluto tornare tra gli Assassini?
– Potremmo
andare lontano da Elea, senza più uccidere per vivere,
– stava continuando
Jared. – Anche se non so se sarei capace di fare
qualcos’altro. Però sarebbe
bello. Anni fa non avrei nemmeno immaginato che sarebbe potuto
succedere. –
– Io… –
Andreas si schiarì la voce prima di continuare. –
Non credo che tornerò alla Confraternita
quando tutto questo sarà finito. –
Tre paia di
occhi si girarono a guardarlo.
– Tu hai
già deciso? – mormorai, incredulo. Andreas era
quello che aveva sopportato con
più fatica la vita da Assassino, all’inizio, ma
ormai sembrava essersi abituato.
– Sì, anche
se ci sono giorni in cui mi dico che non potrei fare
nient’altro. Non voglio
tornare nella Confraternita, non subito almeno. Voglio poter vivere la
mia vita
come desidero, per una volta. –
Andreas
parlava con lo sguardo fermo davanti a sé, sorridendo lieve.
Non c’erano segni
di tensione in lui, era sereno mentre ci parlava del suo futuro.
Sembrava che
il pensiero di andarsene dalla Confraternita non lo turbasse ma, al
contrario,
lo tranquillizzasse.
– Ci pensi
da tanto? – chiese Mel, sedendosi sul davanzale. Dietro di
lui la luce del sole
sembrava quasi disegnargli un’aureola intorno, i capelli
biondi luccicavano.
– È tutta
la vita che mi dico che non voglio essere per sempre un Assassino. Ora,
semplicemente, mi si presenta un’occasione. Sarei stupido a
non coglierla, non
pensate? –
– Sì, è
vero, – mormorò Jared, appoggiandosi al muro.
– E tu non sei mai stato stupido,
Andreas. –
Andreas
sorrise: – Qualsiasi cosa farò, e qualsiasi cosa
farete voi, mi mancherete. –
– Ci
mancherai anche tu, – mi introdussi, cercando di spezzare
l’aria pesante che
era caduta nella stanza. – Però non ci pensiamo
ancora, c’è tempo. Adesso
dobbiamo preoccuparci di altro. –
– Direi di
sì – esclamò una voce nuova. Ci girammo
all’unisono per vedere la testa di
Camille fare capolino dalla porta.
– Sapete le
novità? – disse, entrando nella stanza. Si era
cambiata dalla mattina e il gran
sorriso che mi rivolse mi fece quasi galleggiare.
– Di che
novità parli? – rispose Jared con
un’espressione furbetta. Gli rifilai una gomitata
mentre Mel puntava gli occhi al cielo.
Camille lo
guardò allibita per un attimo e poi lo ignorò:
– Parlo della partenza. –
– Sì, –
rispose Andreas impedendo a Jared di dire altre cose sconvenienti.
– Io e Mel
abbiamo anche parlato con il comandante De Vaaz. Ci ha detto che la
partenza
sarà domani all’alba. –
Camille
annuì, sedendosi di fianco a me con tranquillità:
– Sì, esatto. Pensavo non lo
sapeste, a me l’ha appena comunicato la Prima. –
–
Prepariamoci, – aggiunsi. – Non sarà un
viaggio rapido. I ritmi degli eserciti,
a meno che non si proceda a tappe forzate, sono abbastanza lunghi. Ci
metteremo
almeno dieci giorni a raggiungere il confine. Poi da lì
dovremo continuare fino
a Elea. –
Il viaggio
in mezzo al deserto sarebbe stato massacrante, già lo
sapevo. Poco prima
Andreas ci aveva detto che avremmo marciato nell’avanguardia
dopo esplicita
richiesta di De Vaaz. Tutti noi avevamo avuto lo stesso pensiero: ci
voleva
tenere d’occhio per evitare che scappassimo sulla strada. Lo
schieramento di
forze di Albis in fondo era colpa nostra e Andreas aveva capito subito
che, se
potevamo aver convinto la Regina, il comandante non era ancora del
tutto
persuaso.
– A
proposito di Elea, – ricominciò Mel dopo qualche
secondo di silenzio. – Siamo
ancora ricercati, dobbiamo aver ben presente cosa fare quando e se
riusciremo
ad entrare in città. –
– A questo
ho già pensato, – disse Camille, soddisfatta.
– Ho parlato sia con la regina
Vanessa che con la primogenita, Helena. Invece che separarci poco prima
di
entrare nella capitale ci travestiremo e ci uniremo alla sua scorta.
Con
indosso le armature della guardia non dovreste attirare
l’attenzione e io
potrei fingermi una delle sue dame di compagnia. –
Annuimmo
tutti. I soldati alle porte della città avevano
sì il compito di controllare
chi entrava e usciva, ma non avrebbero rischiato di causare un
incidente
diplomatico per cercare cinque fuggitivi. In più, chi
sarebbe mai stato così
stupido da rientrare nella città dov’era
ricercato?
– Dopo, una
volta entrati in città, dovremo cercare Lord Enais. Vive
nella parte est di
Elea, a Villa Enais – continuò Camille.
– Sei
sicura di quest’uomo? – domandai, corrucciato. Se
avessimo riposto le nostre
speranze in Lord Enais e lui ci avesse traditi non saremmo
sopravvissuti.
– Non posso
esserne sicura, sono troppi gli anni in cui manco da Palazzo,
– iniziò Camille
e, prima che qualcun altro potesse parlare, continuò.
– Però me lo ricordo, me
lo ricordo bene. Era un amico d’infanzia di mio padre. Erano
come fratelli,
cresciuti insieme a corte. Non farà finta di niente se gli
dirò che la Regina
ha ucciso mio padre. In più la Prima verrà con
noi, parlandogli della guerra
che Albis condurrà insieme agli altri stati del sud se la
Regina non verrà
destituita. Tutto questo dovrebbe aiutarci ad ottenere ciò
che vogliamo. –
– Per
quando è fissato il matrimonio? –
domandò Mel, serio. Il ciondolo che gli
pendeva dal collo catturava la luce del sole.
– È tra
venti giorni. Non abbiamo tanto tempo – rispose Camille,
torcendosi le mani.
– No, – risposi,
accarezzandole distrattamente il braccio. – Ma ce lo faremo
bastare. –
***
Partimmo la mattina successiva
all’alba. Il sole non era ancora sorto sul deserto e, per
l’escursione termica,
faceva più freddo di quanto mi aspettassi.
L’esercito era già preparato fuori
dalle porte della città. I fuochi dei bivacchi erano ormai
praticamente spenti,
i cavalli nitrivano irrequieti e le tende stavano venendo smontate.
Insieme
a noi, pronte per il viaggio, c’erano la
Prima, seria e severa sul suo cavallo nero, e la principessa Helena,
bella come
la madre ma più solare, meno altera. Accanto cavalcavano
almeno una decina di
guardie reali, vestite leggere per la traversata del deserto. Gli elmi
erano
stati soppiantati da turbanti color sabbia, per proteggere la testa dal
calore
del sole.
Il
comandante De Vaaz ci aspettava di fianco alla sua
tenda, la più grande di tutto l’esercito. Il
cremisi del tessuto sbatteva
schioccando nel vento della notte. Era un uomo alto, imponente, con la
carnagione scura cotta dal sole. Gli occhi erano chiari, color
caramello, e
circondati da una fitta rete di rughe. La barba scura e curata gli
copriva il
mento squadrato, indurendone i lineamenti. Sembrava un uomo severo ma
capace,
sicuro di sé.
–
Vostra Altezza, Prima, – disse, inchinando
leggermente il capo davanti alla Principessa. – Partiremo il
prima possibile.
C’è una portantina preparata per voi, se volete
seguirmi… –
–
Non ce n’è bisogno, – rispose la
principessa
Helena, guardandosi attorno. – Cavalcheremo con voi fino a
Elea. –
De
Vaaz fece un rigido cenno con il capo prima di
rivolgersi a noi: – Voi starete con me. Voglio avere sempre
almeno uno di voi a
portata d’occhio, per essere sicuro che non vi perdiate.
È facile perdere
l’orientamento tra le sabbie. Al confine ci separeremo.
–
Dal
tono del comandante era più che chiaro che se non
fossimo rimasti in vista ci avrebbe lasciati a morire nel deserto.
Annuimmo
senza protestare, consci che sarebbe stato solo inutile.
Alla
partenza rimasi stupito dall’efficienza
dell’esercito di Albis. Lì non esisteva la
fanteria, ogni soldato si muoveva a
cavallo. I destrieri erano le bestie più belle che avessi
mai visto, così
diversi dai grandi corsieri da guerra che si usavano al nord. Erano
più adatti
a muoversi sulla sabbia, abituati a non patire il caldo e il sole.
Erano
meravigliosi da vedere, aggraziati e delicati, con le criniere mosse
dal vento.
I
soldati di Albis portavano con sé pochi effetti,
giusto il minimo indispensabile per poter bere e mangiare tra
un’oasi e
l’altra. Le armature erano avvolte in stoffe e trasportate,
mentre gli uomini
indossavano gli stessi vestiti larghi e freschi che portavamo noi.
Quello che
mi stupì di più fu però vedere
arruolate anche donne, che marciavano
esattamente come gli uomini, pronte ad andare in guerra e morire per
difendere
il proprio paese.
Durante il
viaggio la Principessa ci spiegò che nel suo regno non
esisteva l’arruolamento
obbligatorio, ma che ogni uomo era libero di scegliere. Chi avesse
deciso di entrare
nell’esercito avrebbe ricevuto in dono un cavallo e
l’armatura. Ogni soldato,
dopo un periodo minimo di cinque anni, poteva decidere di lasciare
l’esercito o
di continuare la carriera militare, restando arruolato. Era un sistema
così
diverso dal nostro che ci lasciò per un attimo perplessi.
Mel si
dimostrò il più interessato
nell’apprendere gli usi e i costumi di Albis,
passando ore e ore a cavalcare accanto alla Principessa, facendosi
raccontare
ogni minima cosa del suo regno. La Prima non li distanziava mai di
molto e,
anche se sembrava essere completamente indifferente, si capiva che non
si
perdeva una sola sillaba. Probabilmente aveva paura che la Principessa
si
facesse scappare qualche informazione riservata, anche se Helena
sembrava
essere incredibilmente sicura di sé e conscia della sua
posizione.
La
Principessa di Albis era regale ma amichevole e si vedeva che passava
volentieri il suo tempo con Mel. Quando non parlavano cavalcavano solo
vicini,
guardando il deserto attorno a loro e godendosi lo spettacolo. Helena,
come
anche la Prima e tutte le altre donne nell’esercito,
sopportava tranquillamente
e senza fatica il ritmo di marcia dell’esercito, dettato da
De Vaaz.
Il
comandante era in testa alla colonna, molto spesso affiancato dal suo
secondo.
Parlava poco, rispondeva a mugugni, ogni tanto borbottava a bassa voce
tra sé e
sé. Era ammantato di blu e un corno d’oro giallo
gli fissava il velo che gli
copriva la testa. Andreas era quello che più spesso gli
stava vicino visto che
De Vaaz mal sopportava l’esuberanza di Jared.
Non
incontrammo nessuna delle carovane che ci avevano fatto compagnia nel
nostro
viaggio d’andata fino ad Egalia. La regina Vanessa aveva
momentaneamente
bloccato il commercio, richiamando tutti i mercanti in patria. Solo
alle oasi
riuscivamo a incontrare qualche uomo impegnato a rifornirsi
d’acqua, ma erano
tutti taciturni, immusoniti. La manovra della Regina era azzardata e
causava
malcontento, ma almeno noi sapevamo che era per il bene del regno. Chi,
in
viaggio per il deserto, vedeva il grande serpentone
dell’esercito snodarsi tra
le sabbie rimaneva perplesso: tutti conoscevano il grande Patto di non
belligeranza, il dispiego di una tale forza non era comprensibile. La
Regina
non aveva emanato proclami di guerra, non voleva spaventare la
popolazione: la
sua era una manovra prettamente preventiva.
Per conto
mio facevo poca attenzione a tutto ciò e passavo
più tempo possibile con
Camille. Cavalcavamo vicini chiacchierando e raccontandoci ogni cosa ci
venisse
in mente, guardando il panorama e rimanendo sconvolti dalla bellezza di
quel
posto. Io le raccontai della mia infanzia alla Corporazione, della mia
prima
missione, dei posti che avevo visitato. Lei mi parlava della sua
infanzia a
palazzo, della Foresta della Luce e dell’aiuto che aveva
avuto. Mi descrisse la
sua famiglia, i suoi fratelli e sorelle, la sua domestica preferita, le
persone
che l’avevano aiutata nella sua vita. Io le raccontai dei
miei maestri alla
Corporazione, dei miei compagni e di quello che mi ricordavo dei miei
genitori.
Le notti le
passavamo insieme, a fare l’amore. La raggiungevo nella sua
tenda al calar del
sole e me ne andavo poco prima dell’alba, senza fare nemmeno
troppa attenzione
a chi ci avrebbe potuto vedere. Era un piccolo miracolo, per me, anche
solo
poter dormire con lei tra le mie braccia.
Non
parlammo mai del futuro e di quello che ci sarebbe potuto succedere a
Elea,
forse perché non dirlo ad alta voce lo rendeva
più lontano nel tempo, meno
delineato. Sapevamo entrambi che quei giorni nel deserto erano una
parentesi di
paradiso in una vita che sarebbe anche potuta finire a breve. Avrei
voluto che
quel viaggio, per quanto stancante e faticoso, non finisse mai. Non ci
dichiarammo amore eterno né ci facemmo promesse: sapevamo
che tutto quello era
destinato a finire. Non per questo quel periodo fu triste o rovinato
dalla
consapevolezza di quello che sarebbe successo, ma anzi, fu uno dei
più felici
che io abbia mai vissuto. Eravamo solo io e Camille, tutto il resto non
contava.
***
Arrivammo al confine undici
giorni dopo la nostra partenza, uno in più rispetto a quello
che avevo
predetto. Il clima era mano a mano diventato più fresco,
sembrava quasi che il
deserto fosse una bolla di calore perenne. Non si sentivano
più i rigori dell’inverno
che ormai stava per arrivare alla sua fine. Il matrimonio era fissato
per il
venti di marzo, giorno della salita al trono di re Jerome e uno dei
primi
giorni di primavera. Sul fatto che non fosse una data scelta a caso non
c’erano
dubbi: la regina Celia sapeva benissimo cosa faceva.
Le
grandi torri che segnavano il confine tra Viride e
Albis comparirono come visioni, addossate ai fianchi di uno stretto
vallo
scavato tra le montagne. Stranamente però, questa volta non
erano disabitate.
Fumo si alzava dalle loro sommità e della luce brillava alle
finestre.
Marciavamo tutti alla testa dell’esercito quando De Vaaz
ordinò l’alt,
borbottando qualche parola irata nella lingua di Albis. La principessa
Helena
si fece sfuggire una risatina, guadagnandosi un’occhiata
incuriosita da parte
di Camille.
–
È semplicemente stupito che quello che avevate
predetto si sia avverato, – spiegò Helena con un
sorriso che si spense in
fretta. – Devo dire che anche io avevo i miei dubbi, ma a
quanto pare mia madre
vede più lontano di me. Vi sono grata per essere venuti ad
avvisarci. Saremmo
stati completamente indifesi, altrimenti. –
Camille,
che iniziava a sembrare sempre di più sia
nei modi che nel portamento la Principessa che era, rispose con tono
amaro: –
Non farmi passare per eroina, non lo sono. Sono venuta soprattutto
perché avevo
bisogno di aiuto, – guardò dietro di
sé, verso la terra che sapeva espandersi
alle sue spalle. – Che poi abbia imparato ad amare il vostro
paese e desiderato
di non vederlo schiavo del mio, è un’altra
questione. –
Helena
annuì, guardando davanti a sé verso le torri
illuminate: – Allora è stata una combinazione
fortunata. Sono felice di aver
salvato il mio paese e di aver trovato un’amica, principessa
Camille. –
Camille
si girò quasi di scatto, guadagnandosi un
nitrito di protesta dal suo destriero. Era la prima volta che Helena
Elvere la
chiamava con il suo titolo, nonostante avessero passato il tempo ad
Albis
insieme e avessero fatto amicizia. Lo sapevo perché me lo
aveva detto lei:
nonostante apprezzasse immensamente la Principessa di Albis le pesava
non
essere riconosciuta come sua pari, mentre era vista quasi come una dama
di
compagnia.
Jared,
di fianco a me, guardava corrucciato le torri:
– Non hanno perso tempo. –
–
Quando mai i viridiani lo hanno fatto? – risposi,
ironico.
–
Mai, – borbottò il mio amico. – E
pensare che una
volta ne ero anche orgoglioso. –
La
Prima interruppe la nostra conversazione,
facendosi avanti con la bocca spalancata: – Ma allora avevate
ragione! –
mormorò, guardando allibita le grandi torri ocra. Poi si
rivolse a noi e
soprattutto a Camille, inchinando il capo e parlando con voce
addolorata: – Vi
devo le mie scuse per avervi trattati con sufficienza. Mi dispiace,
vedo che
avevate ragione, Principessa. –
Per
la seconda volta in pochi minuti vidi negli occhi
di Camille un lampo di qualcosa che era un misto di orgoglio e rivalsa:
– Scuse
accettate, Prima. Nessuno vuole credere alle cattive notizie,
soprattutto
quando giungono in maniera così inaspettata. Per fortuna, vi
siete mossi ancora
in tempo. –
La
Prima accettò quel rimbrotto pacato senza osare
ribattere. Camille si era davvero tolta un bel peso: era da quando
aveva avuto
il suo primo colloquio con la regina Vanessa che voleva dirne quattro
alla
consigliera.
Mel
e Andreas si erano avvicinati a De Vaaz,
sentendolo parlare concitato con Helena. Il comandante
abbaiò poi tre o quattro
ordini al suo secondo, che scattò verso il grosso
dell’esercito, appostato
dietro un rialzo del terreno.
Camille
mi si affiancò, facendo un bel sospiro
soddisfatto mentre nessuno le badava: – Ah, – mi
disse a bassa voce, per non
farsi sentire. – Tu non hai idea della soddisfazione.
–
Scossi
la testa, sorridendo. Camille sapeva essere
vendicativa come pochi, come si poteva capire da tutta quella avventura
in cui
ci aveva trascinati.
–
Ci sei ancora andata leggera. –
–
Lo so, lo so, – tornò seria per un secondo.
– Sono
troppo buona, che ci vuoi fare? – mi disse, ammiccando.
Mi
venne un’irresistibile voglia di baciarla e stavo
anche per farlo, fregandomene di essere davanti agli occhi di tutto
l’esercito,
quando Mel e Andreas vennero verso di noi al piccolo trotto. Sospirai,
mollando
le redini del cavallo di Camille che avevo già afferrato per
avvicinarmi a lei.
Camille mi guardò con un’aria di scusa mista a
felicità che mi fece venire
voglia di fregarmene anche di Mel e Andreas. Per fortuna il mio cavallo
decise
per me e si allontanò un poco, per brucare un ciuffo di
arbusti secchi.
–
Marcus, vieni, – mi chiamò Mel, avvicinandosi.
–
Dobbiamo andare a prepararci e indossare le armature. Tra poco
passeremo il
confine. –
Le
armature delle guardie della Principessa Elvere
erano più leggere di quelle di Viride, con piastre color oro
chiaro e dipinte
di rosso. Vicino a me Mel, Andreas e Jared si vestivano rapidi. Gli
elmi per
nostra fortuna coprivano il viso, con un cimiero simile alla criniera
di un
leone. Con noi c’era un’altra cinquantina di
guardie, tutte impegnate a
cambiare i vestiti del deserto con l’armatura.
Poco
distanti da noi le dame di compagnia e Camille
si stavano coprendo il viso con dei lunghi veli colorati, portati
apposta da
Egalia. Non era una tradizione di Albis ma Helena Elvere contava sul
fatto che
i soldati di Viride fossero sufficientemente ignoranti da non saperlo.
Galoppammo
rapidi lungo la china, lasciandoci alle
spalle il fermento dell’esercito che si stava preparando. La
torre si stagliava
alta davanti a noi, meno rovinata di quanto mi fossi immaginato.
Impalcature
nuove, di legno, circondavano alcuni lati della struttura. Si sentiva
il
martellare degli strumenti sulla pietra: era evidente che
c’erano delle
riparazioni in atto. Sulla cima, tra i merli, si potevano osservare
soldati
camminare, osservando la terra attorno a loro. Alla base della torre
alcune
guardie riposavano dando le spalle alla porta, stringendosi nei vestiti
per
cercare di coprirsi dal vento che soffiava dal deserto, dietro di noi.
La
principessa Helena si muoveva in mezzo alla
colonna, circondata dalle sue dame e da Camille. Io e gli altri eravamo
mischiati alla scorta, muti come pesci e cercando di essere il
più invisibile
possibile.
I
soldati di guardia della torre si alzarono e si
disposero davanti a noi, obbligando il nostro drappello a fermarsi. La
Principessa
si fermò, mentre la sua scorta lentamente si apriva.
–
Fermi, ordine del regno di Viride. Chi siete voi? –
ordinò la guardia.
La
Prima avanzò, altera sul suo cavallo scuro,
spingendosi avanti fin quasi a pestare i piedi al soldato viridiano.
Per una
volta che l’alterigia della consigliera non era rivolta verso
di noi, mi sentii
divertito e quasi orgoglioso di quel comportamento.
–
Stai parlando con la principessa Helena Elvere,
viridiano. Porta rispetto. Siamo stati invitati dalla regina Celia in
persona
per assistere al matrimonio del suo primogenito, ma se questo
è il benvenuto
torneremo ad Albis. –
Il
soldato fece subito marcia indietro: – Perdonatemi,
vostra altezza, – mormorò chinando il capo,
rivolgendosi alla Principessa. –
Non lo sapevo. Potete passare, però… –
La
Prima aveva un cipiglio minaccioso, il suo accento
più forte per la rabbia e l’indignazione:
– Però? –
La
guardia impallidì ma non cedette. In effetti era
da ammirare per il suo coraggio.
–
Dovreste farmi vedere il viso. Ci sono dei
ricercati, che cercano di entrare nel nostro regno. Dobbiamo
assicurarci che
non siano con voi. –
Sudai
freddo a quelle parole. Individuai con gli
occhi la figura di Camille poco davanti a me, rigida nei suoi vestiti
gialli.
Da come le mani stringevano le redini capii che anche lei era
spaventata. Ogni
nostra speranza era appesa ad un filo.
Mentre
il soldato parlava la Prima spalancò gli
occhi, faceva quasi paura. Stava per aprir bocca che la Principessa la
fermò:
alzò solo la mano e la consigliera chinò il capo
e tacque, spostandosi per
lasciare posto a Helena Elvere.
–
Non scopriremo il viso, nessuna di noi lo farà. Non
romperemo le nostre tradizioni per voi, – la Principessa
parlava piano nella
lingua straniera, gelida. – Sono stata invitata dal vostro
sovrano e sono qui
in rappresentanza di mia madre, la regina Vanessa Elvere. Un affronto a
me è un
affronto a lei. Ora, o ci fai passare e allora farò finta
che questa tremenda
scortesia non sia mai avventura, oppure tornerò indietro per
riferire ogni
cosa. Pensa, e ricorda bene con chi stai parlando. –
Il
soldato guardò Helena mentre parlava,
probabilmente pensando a cosa sarebbe stato meglio per lui: in fondo,
che
possibilità c’erano che i suoi ricercati fossero
al seguito dell’erede al trono
di Albis? Non osò dire nient’altro, si fece solo
da parte. Il drappello iniziò
a sfilare lentamente dietro alla Principessa, mentre lei rimase ferma a
fissare
il soldato che aveva osato contrariarla. In quel momento capii che
Helena
Elvere sarebbe stata una grande sovrana, anche migliore di sua madre.
Sembrava
priva di paura, sicura di sé, orgogliosa e regale: era ovvio
il motivo per cui
Camille l’apprezzava. Era così che doveva essere
una Regina.
Prima
di andarsene, con ancora la Prima al suo
fianco, Helena tornò a rivolgersi alla guardia: –
Il confine è sguarnito da
secoli, da quando c’è il patto. Come mai vedo i
segni di un esercito in
movimento, qui intorno? –
Il
soldato alzò il viso, guardando il velo che
oscurava il volto della Principessa. I compagni alle sue spalle si
lanciarono
occhiate preoccupate: – È
un’esercitazione, vostra altezza. Niente di che. –
Helena
Elvere fece una risata cristallina, che quasi
rimbombò nella piana: – Deve essere il periodo,
allora – disse, girando la
testa verso il confine e verso la sua terra. Sull’orizzonte
si vedevano i
bagliori del sole sul metallo di centinaia di armature, lance, armi. Le
tende
rosse dell’esercito di Albis si alzavano verso il cielo.
Helena
spronò il cavallo e superò il gruppo di
guardie, lasciandole attonite a osservare il confine. Potrei giurare
che
sorrideva divertita mentre galoppava verso l’inizio del
nostro piccolo
drappello.
Camille mi
si avvicinò mentre si tirava su il velo, scoprendosi il
viso: – Ce l’abbiamo
fatta. –
– Così
sembra, – mormorai mentre cavalcavamo verso nord. Un brutto
presentimento si
fece strada dentro di me mentre guardavo verso nord, dove bassi
nuvoloni neri
si stavano raggruppando in cielo: – Almeno per ora.
–
ANGOLO DELL’AUTRICE!
Ciao a tutti! Prima di
tutto ci tengo a scusarmi per la lunga attesa, ma ricominciare a
scrivere
questa storia dopo l’estate è stato veramente,
veramente difficile. Avevo
persino pensato di lasciarla lì e riprenderla più
in là nel tempo, ma per
fortuna mi sono costretta a continuarla. Dico per fortuna
perché sono contenta
di come sia venuto questo impossibile quindicesimo capitolo.
Comunque, incredibile
a dirsi e ancora di più a vedersi, ecco qui il nuovo
capitolo. Spero che sia
venuto bene e soprattutto che sia piaciuto. La vicenda è
quasi finita, ho previsto
ancora circa cinque capitoli… diciamo che siamo ai colpi
finali.
Grazie, come sempre, a
tutti quelli che leggono, recensiscono, hanno messo la storia tra le
seguite o
le preferite (: Fatemi sapere che ne pensate!
Baci,
LyaStark