Delfina de' Pazzi - La neve nel cuore

di Stella Dark Star
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Introduzione
 Figlia di mio padre
 
La chiesa era gelata. Potevo sentire il freddo attraverso la lana del vestito, attraverso la camicia, attraverso la mia pelle. Lo sentivo persino a contatto con le mie ossa sottili e delicate. Il mio sguardo puntava l’altare, o più precisamente la Croce di Cristo che s’innalzava da essa. Ero spaventata e mi sentivo colpevole. Spaventata per quello che sarebbe potuto accadere, colpevole per ciò che stavo per fare. Le parole pronunciate dal sacerdote riecheggiavano tra le navate, rimbalzavano contro i muri di pietra, ma al mio udito arrivavano sfuggevoli come il vento. La mia mente era altrove. Ripensai alla sera precedente, così in contrasto con quel momento. Ero di fronte al camino, nella sala da pranzo,  il calore del fuoco era delizioso e sapevo che oltre a scaldarmi aveva anche arrossato le mie gote solitamente pallide. Mio padre era di fronte a me, torreggiava su di me come un padrone e mi guardava fisso coi suoi occhi di falco. La sua voce era calma ma diretta: “Non è necessario che tu sacrifichi la tua virtù, bada. Non sei una sgualdrina. Tutto ciò che ti chiedo è di fargli credere di avere in te una confidente, una leale amica. Voglio che tu lo tenga d’occhio per me. Se lo farai avrai la mia piena gratitudine.”
Avevo distolto lo sguardo appena lui aveva chiuso le labbra. Avevo esitato. Non volevo che mi usasse per i suoi loschi affari e non volevo imbrogliare un uomo che non mi aveva mai nuociuto. Ma come potevo spiegarlo a lui, a mio padre, sapendo che mi avrebbe punita se solo ci avessi provato? Sentendo la sua impazienza, avevo risollevato in fretta lo sguardo e avevo risposto umilmente: “Come desideri, padre.”
Ed ora era quasi giunto il momento. La trappola sarebbe scattata subito dopo la funzione. Mai avevo maledetto una domenica, prima di allora. Il freddo mi fece rabbrividire. Voltai il capo verso mio padre, accanto a me. Le sue mani erano giunte, ma non in preghiera, e sul suo viso aleggiava il fantasma di un sorriso compiaciuto. Probabilmente stava pregustando la buona riuscita del suo piano. Riportai lo sguardo sull’altare, sulla Croce e chiusi gli occhi.
“Chiedo perdono per i miei peccati.” Pensai intensamente, anche se i peccati a cui alludevo dovevo ancora commetterli.
Riaprii gli occhi e diressi il mio sguardo verso l’uomo che avrei dovuto ingannare, Rinaldo degli Albizzi. Si trovava nella fila davanti a quella dove ero io. Ne ammirai l’altezza, le spalle possenti, la figura elegante, ma anche i capelli chiari e leggermente arricciolati, la barba che gli incorniciava il viso. Dalla mia postazione non potevo vedere bene il viso, però ugualmente mi parve di vedere qualcosa di diverso nel suo sguardo. Non era solo concentrato sulla funzione, era coinvolto spiritualmente. Sapevo che era un uomo devoto, ma prima di quel momento non avevo mai fatto caso a quella trasformazione durante la messa. Il mio esame venne interrotto quando suo figlio cambiò posizione, probabilmente stanco di stare in piedi, e così facendo mi coprì la visuale. Quel ragazzo era sempre al fianco del padre, come se fosse stato la sua ombra e talvolta il diavolo che sussurrava al suo orecchio. Non mi piaceva. L’unica consolazione, non era il giovane Ormanno quello che avrei dovuto conquistare. O almeno non in quel modo. Però sapevo che per arrivare a suo padre avrei dovuto raggirare anche lui. Era complicato, ma ce l’avrei fatta. Ero figlia di mio padre e, come tutti dicevano, avevo ereditato la sua capacità di riuscire ad ottenere tutto ciò che volevo. Ma in quel caso non dovevo agire per qualcosa che volevo io. Dunque? No, il tempo dei dubbi era finito.
“In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti.’’
Quelle parole segnarono la fine della funzione e l’inizio della mia missione. Feci il segno della croce, come tutti i presenti. Ero pronta. Avrei fatto il mio dovere per conquistare la stima e l’affetto di mio padre. Rinaldo non aveva speranze di sfuggire a me, Delfina de’ Pazzi.




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