Quel
bacio li condusse ad altezze vertiginose di passione, li rese
incapaci di pensare, completamente schiavi del loro desiderio. Le
loro labbra si incontravano con crescente bisogno, quasi con
disperazione. Quello che stava accadendo tra loro non aveva nulla di
razionale, nulla che appartenesse alla terra sulla quale poggiavano i
pedi. No, Arianrhod e Gareth viaggiavano librandosi in aria, talmente
lontani dal mondo che avrebbe guardato la loro relazione con
perplessità da essere quasi invisibili ai suoi occhi.
Quando
Arianrhod, ancora persa nella frenesia dei baci di Gareth sul suo
collo, cominciò a spogliarlo il cavaliere tentò
di protestare.
“No…
non possiamo. Io ho giurato di proteggerti, non potrei
mai…”,
trovò la forza di dire, tra un bacio e l'altro.
Ma
Arianrhod gli poggiò un dito affusolato sulla bocca,
zittendo ogni
sua ulteriore protesta. Anche la misera barriera che Gareth aveva
cercato di frapporre, cadde inesorabilmente
Con
un piccolo sospiro, Arianrhod si staccò dalle sue labbra,
facendo un
passo indietro. Con un movimento armonioso abbassò la veste
sulle
spalle e la lasciò scivolare ai suoi piedi. A Gareth si
mozzò il
respiro in gola, mentre carezzava con lo sguardo le curve del corpo
di lei. Era veramente troppo per la sua resistenza già
ridotta allo
stremo.
Poi
Gareth scese a baciarla sul collo e sull’attaccatura del
seno,
piegandola all’indietro sul suo braccio. C’era in
lui una fretta
di rivendicarla sua, di lasciare errare le sue labbra a piacimento
sulla bianca pelle di lei. In quel momento non esistevano differenze
di rango, non c’erano né regine né
cavalieri… c’erano solo
Gareth, l’uomo, e Arianrhod, la donna. Lui si
chinò e la sollevò
nelle braccia, e i suoi occhi grigi incontrarono quelli di Arianrhod
con un’intensità che le mozzò il
respiro. La giovane fu vagamente
consapevole del tremito che vibrava nelle salde braccia muscolose di
lui, del suo movimento in direzione del cerchio di pietre, dove
l’adagiò con delicatezza sul mantello che aveva
lasciato cadere a
terra. Erano in un mondo remoto, incuranti
dell’oscurità della
sera che aveva invaso la collina del Tor, delle grandi pietre rituali
che gettavano la loro ombra su di loro, delle stelle luminose che
vegliavano dal cielo.
E
mentre la sera calava silenziosa e il buio oscurava ogni cosa, in
cima al Tor il fuoco che era stato acceso avrebbe potuto illuminare
l'intera volta celeste.
***
“Amore
mio…”, mormorò Gareth quando la
passione fu consumata,
affondando il viso nella massa arruffata e fragrante dei capelli di
Arianrhod e aspirandone il profumo. Lei gli sorrise, felice come non
lo era mai stata in vita sua, e gli passo le dita tra i corti capelli
castani, saggiandone la morbidezza. Poi gli guidò la testa
sul suo
seno, dove lui giacque, ascoltando il battito del suo cuore.
“Come
ti sei fatto questa?”, domandò improvvisamente
Arianrhod seguendo
il contorno della cicatrice che Gareth aveva sul petto.
“Un
paio d'anni fa... fui ferito di striscio durante uno
scontro”,
spiegò lui.
“Hai
combattuto molte battaglie?”
“Non
ancora. Abbiamo combattuto più volte contro le bande di
predoni e i
sicari di Ale, ma non ho mai partecipato ad una battaglia vera e
propria.”
“E
non sei spaventato all'idea?” Arianrhod appariva quasi
stupita.
Gareth
sorrise. “Come tutti, credo. Ma siamo addestrati per questo
fin da
quando siamo bambini, e ci insegnano che è inevitabile dover
uccidere e veder morire... o morire noi stessi.”
“Forse
è questo il mio problema. Non sono stata addestrata per
questo. Sai,
quando Viviana ha scrutato nel Pozzo Sacro per me, mi ha descritto le
battaglie che saranno combattute per consentire a me di tornare sul
trono. E tremo al pensiero che qualcun altro a cui tengo possa morire
per causa mia. Quante altre persone dovranno morire a causa
mia?”
“Per
te, non a causa tua. Per te, perché ti sono devoti,
Arianrhod”
disse Gareth carezzandole una guancia.
Arianrhod
si mise a sedere di scatto. “Ho paura che possa succederti
qualcosa, capisci?”, esclamò prendendosi la testa
tra le mani.
Gareth
l'abbracciò, intenerito. La tenne stretto e le
sussurrò in un
orecchio: “Non accadrà.”
“Anche
questa è una promessa?” sussurrò lei.
“Vorrei
tanto poterti dire che lo è”, rise Gareth.
“Ma stavolta dovrai
solo fidarti della mia sensazione.”
Arianrhod
gli sorrise in risposta, poi si rabbuiò di nuovo. Si strinse
le
ginocchia al petto, tremando leggermente per la sua nudità.
Gareth
l'avvolse premurosamente nel mantello, ma lei a malapena se ne
accorse, rapita dai suoi pensieri.
“Gareth,
io non sono sicura di voler essere regina. Di voler scatenare questa
guerra...”
“Se non
vuoi farlo per te stessa, fallo per tuo padre il re, per tua madre.
Fallo per i tuoi genitori adottivi, che non siano morti invano. E
fallo per il tuo popolo. In quanto al resto... non devi dubitare che
sarai un'ottima regina. Dopotutto sei figlia di tuo padre. Il suo
sangue scorre nelle tue vene e tu lo renderai fiero di te. Sarai la
più grande regina che la Svezia conoscerà
mai.”
Arianrhod
gli sorrise, grata e gli posò un altro bacio sulle labbra.
Gareth lo
ricambiò ignorando quella voce, dentro di lui, che gli
gridava che
quello che stava facendo era una pazzia.
***
Era
quasi l'alba quando Gareth aprì la porta del suo alloggio,
cercando
di non produrre il minimo cigolio, nemmeno il più piccolo
rumore.
Con un po' di fortuna, dentro stavano ancora tutti dormendo.
Superò
gli apprendisti druidi addormentati in punta di piedi. Anche Östen,
la cui sagoma intravedeva nel buio, sembrava profondamente
addormentato. Con un sospiro di sollievo giunse al suo giaciglio,
proprio a fianco di quello dell'amico, e finalmente si
sdraiò, le
braccia dietro la testa e lo sguardo incollato al soffitto. Non aveva
sonno; l'eccitazione di quella notte lo teneva ancora sveglio e
vigile. Si sentiva felice, assolutamente sconsiderato e con il cuore
leggero. Sapeva che non avrebbe dovuto fare quello che aveva fatto,
ma il solo pensiero di Arianrhod nuda tra le sue braccia gli
accendeva il sangue. Anche se non avesse mai potuto esserci niente
tra di loro, almeno aveva avuto quel momento. Poi si passò
la mano
tra i capelli, nervosamente. Che idiota che era! Se
anche non avesse potuto esserci? Non sarebbe mai
potuto
esserci niente tra loro, ed era un povero illuso solo per aver usato
la formula dubitativa. Niente, né ora né mai.
Cercò di
imprimerselo nella mente, anche se poi la sua mente tornava
invariabilmente alla notte appena trascorsa, a loro due in cima al
Tor.
Probabilmente
lei avrebbe finito per sposare suo fratello, o il figlio di un
sovrano straniero, ed entrambi avrebbero preteso di governare in suo
nome. E così l'indipendenza che re Jörundr
aveva desiderato per sua figlia sarebbe svanita. E se avesse scelto
di non sposarsi per mantenere il suo potere esclusivamente per
sé?
Non era poi così strano, la regina Boudicca* lo aveva fatto
quando
suo marito era stato ucciso dai romani. Ed anche Viviana e tutte le
altre Somme Sacerdotesse seguivano questa consuetudine, e governavano
da sole.
“Dove
sei stato tutta la notte?”
Quella
voce familiare non era altro che un bisbiglio, ma fece ugualmente
trasalire Gareth. Il cuore gli balzò nel petto per la
sorpresa, come
solo a un uomo con la coscienza sporca come si sentiva lui poteva
capitare.
Nel
giaciglio accanto al suo, Östen
si era messo a sedere, e lo scrutava accigliato.
Gareth
si mise a sedere a sua volta, fronteggiandolo.
“Da
quanto sei sveglio?”
“Abbastanza
per vederti rientrare dopo un'intera notte passata fuori”
dichiarò
l'amico pacatamente.
“Io...
non avevo sonno. Ho passeggiato.”
“Davvero?
Tutta la notte? Deve essere stata una passeggiata davvero lunga. Hai
avuto il tempo di doppiare tutta l'isola”,
commentò Östen
divertito.
“Ti
prendi gioco di me?”
“Certo,
come tu di me.”
“Che
vuoi dire?”
“Gareth
non puoi ingannare me, ti conosco da una vita. Lo capisco se menti.
”
“Come?”
“Quando
sei nervoso ti passi la mano fra i capelli. Lo hai fatto anche
adesso.”
Gareth
appoggiò i gomiti sulle ginocchia e nascose il viso tra le
mani.
Improvvisamente si vergognò di se stesso, di quello che
aveva fatto,
di come aveva approfittato di Arianrhod, della sua ingenuità
e
innocenza.
Non
riuscì a pronunciare una parola, ma il suo silenzio fu
rivelatore
per Östen.
“Cosa
hai fatto?” disse in un sussurro. “La
regina?”
Gareth
si guardò intorno per assicurarsi che nessuno dei druidi si
fosse
svegliato, ma la stanza era ancora immersa nella penombra e tutti
dormivano.
“Non
ne sono fiero, va bene?” replicò con la
disperazione nella voce.
Östen
mantenne il silenzio per qualche minuto, elaborando i propri
pensieri. Gareth invece rimase a testa bassa. Non osava nemmeno
guardare l'amico negli occhi.
Poi
sentì un tocco gentile sul braccio, e quando alzò
lo sguardo Östen
aveva un'espressione comprensiva, con sua immensa sorpresa. Non che
Östen
non fosse comprensivo, anzi lo era fin troppo. Era l'uomo
più buono
che Gareth avesse mai conosciuto. Solo, non si sentiva degno di
essere guardato con comprensione, e comunque non se lo aspettava.
“La
ami, non è vero?”
La
domanda raggelò Gareth, ma si costrinse a rispondere.
“Che
gli dei mi aiutino... sì.”
Östen
sospirò. “Sai che non potrà mai essere
vero?”
“Lo
so, è stato uno sbaglio.”
“Vuoi
dire che avete...”
“Sì”,
Gareth ammise con riluttanza.
“Allora
non ci resta che sperare che nessuno lo scopra mai.”
***
E
così il momento era infine giunto. Fra poche ore avrebbe
lasciato
Avalon, il luogo che nelle ultime settimane aveva imparato a chiamare
casa. Ma sapeva che era inevitabile. Aveva parlato a lungo con il
duca Fjölnir.
Le aveva spiegato che la partenza non poteva più essere
rimandata.
Avrebbero dovuto approfittare della bella stagione, perché
sarebbe
stato impossibile salpare verso la Svezia se fosse sopraggiunto
l'inverno. Se avessero indugiato troppo avrebbero dovuto rimandare la
partenza fino al disgelo dell'anno successivo.
Arianrhod
aveva chiesto un ultimo favore a Viviana: che, prima della sua
partenza, potesse far realizzare per lei una cotta di maglia leggera,
che non avrebbe faticato a portare nonostante la sua corporatura.
Viviana aveva esaudito la sua richiesta, e i fabbri di Avalon avevano
lavorato intensamente per due giorni per costruirla. Ed ora la teneva
tra le mani, rimirandone l'incredibile leggerezza. Dentro di
sé era
ferma su questo punto: non si sarebbe presentata ai suoi uomini con
sontuosi abiti femminili, né si sarebbe ritirata dalla
battaglia se
ci sarebbe stato bisogno di combattere.
Ma,
per il momento, ripose la cotta di maglia nel suo baule da viaggio,
insieme al medaglione e al coltello donatole dal Piccolo Popolo, agli
abiti che il duca aveva portato con lei e a Bron, che posò
in cima a
tutto con un sospiro.
Fjölnir
si affacciò sulla soglia proprio in quel momento,
accompagnato dal
figlio Domaldr, a cui fece però cenno di aspettarlo fuori.
“Siete
pronta?”
“Sì,
credo proprio di sì...” rispose Arianrhod
gettandosi una rapida
occhiata intorno.
“Allora
ho un'ultima cosa da darvi.” E così dicendo
sfilò una spada che
portava al fianco e gliela consegnò con
solennità.
Arianrhod
la impugnò, a bocca aperta: era la spada più
bella che avesse mai
visto. Era di una finezza, di una maestria impareggiabili. Nonostante
suo padre adottivo fosse stato il fabbro più abile della
provincia
di Eburacum, quella spada non poteva essere paragonata al
più bello
dei suoi lavori. La lama era leggera, resistente e ottimamente
bilanciata. Sull’impugnatura stava avvinghiato un drago
d’oro
lavorato nei minimi dettagli, che aveva due rubini al posto degli
occhi. Altre gemme erano incastonate nell’elsa e nella parte
inferiore della spada.
“E’…
è bellissima”, mormorò Arianrhod
ammirata.
Fjölnir
sorrise. “Fu fatta costruire dal nonno di vostro nonno Yngvi,
e da
allora è sempre appartenuta alla vostra stirpe. E’
l’unico pezzo
del tesoro che mi sono permesso di portare via dal castello di
Uppsala quando lasciai la Svezia, dopo aver dato l’estremo
saluto a
vostro padre. Ora vi appartiene, è vostra di diritto.
Branditela in
battaglia e la vittoria sarà vostra. Re Jörundr
sarebbe stato molto
fiero della sua unica figlia…”
Arianrhod
non riuscì a trattenere una piccola lacrima, che le
scivolò lungo
la guancia.
“Grazie…”,
mormorò, mettendo la spada nel fodero che aveva al fianco.
“E
detto tra noi, Duca Fjölnir, anche voi dovreste essere molto
fiero
di vostro figlio Gareth.” E uscì, lasciando il
Duca a riflettere
sulle sue parole.
*Regina
degli Iceni, vissuta all'incirca tra 30 e il 60 d.C., che
guidò la
più grande rivolta britanna contro gli invasori romani.
Documentata
abbondantemente da fonti romane, nel medioevo venne
pressoché
dimenticata, forse per il suo scomodo ruolo di donna indipendente e
libera. Fu riscoperta e celebrata in epoca vittoriana come eroina
dell'indipendenza del Regno Unito.
Angolo
Autrice: Ciao
a tutti! La partenza è rinviata, anche se di pochissimo...
diciamo
solo fino all'inizio del prossimo capitolo, in cui ci saranno i
solenni addii. Il perno di questo capitolo è ovviamente la
scena hot
tra i nostri due... e niente, probabilmente ve lo aspettavate ^^
Comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio tutti
quanti! :*
Alla
prossima
Eilan
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