Autore: _ A r i a
Titolo: Fuoco
liquido nelle vene
Fandom: Inazuma
Eleven
Pacchetto: ψ
Introduzione: Fanfiction partecipante al contest
“Truth or dare? Love is in the air” indetto da
Sethmentecontorta sul forum di EFP
Reiji
osserva attentamente l’espositore, affascinato da
ciò che ne trova all’interno: sorprendentemente,
si scopre intento a fissare una miriade di farfalle, delle
più svariate specie, i corpi ormai senza vita tenuti
bloccati da dei sottili spilli metallici. Le loro ali possiedono tutti
i colori che la mente umana riesce a elaborare, mentre le
fattezze così delicate che paiono pronte a
frantumarsi al più lieve dei tocchi.
«Sono
bellissime, non trova?» mormora Kidou, incantato. Il volto
del ragazzo è incredibilmente vicino alla lastra di vetro
che protegge il ligneo espositore, tant’è che il
suo respiro si condensa in piccole nuvolette su quello strato di
rivestimento.
Sul
volto di Kageyama compare un sorriso, le labbra che si piegano in una
posizione così inusuale per lui che per un momento
l’uomo deve sfiorarle per accertarsi che non sia
un’illusione. Che strana sensazione.
«Hai
ragione» conviene Reiji, spostando lo sguardo dalle falene a
Kidou «in un certo senso sono anche una metafora della vita,
se vuoi: così fragili, eppure incredibilmente
affascinanti».
A Kyrie, perché a quanto pare ha la brutta abitudine di
salvarmi dai miei periodi peggiori.
Un
eco di passi rapidi e sicuri si propaga velocemente nella stanza, i
suoni che si rincorrono da una parte all’altra delle scure e
fredde pareti d’acciaio.
Kidou
Yuuto attraversa senza esitazioni la notevole distanza che intercorre
tra l’ingresso della presidenza e la scrivania davanti a
sé, lo sguardo alto e fiero del nobile capitano rivolto al
proprio interlocutore.
«Mi
ha fatto chiamare, Comandante?» le sue parole si perdono nel
vuoto attorno a sé, in quel silenzio austero che fa gelare
il sangue a Yuuto.
Kageyama
è proprio lì, davanti a lui, nella sua posizione
abituale: le gambe accavallate e una guancia poggiata con indolenza sul
palmo aperto della mano, il gomito puntellato su uno dei braccioli
della sedia; il tutto mentre è comodamente seduto sulla sua
poltrona in pelle nera, dalla quale sembra poter troneggiare su ogni
cosa dinanzi a sé.
«A
dire la verità sì» Reiji ruota di
scatto lo sguardo, che da dietro le lenti scure degli occhiali si posa
sul ragazzo «Prego, accomodati pure, Kidou. Ci sono alcune
questioni di cui desidererei parlarti.»
Yuuto
si siede senza aggiungere altro, chinando il capo con un cenno di
riverenza, mentre Kageyama sembra incapace di distogliere lo sguardo
dal giovane, come se quel corpo fosse in grado di catalizzare ogni sua
singola briciola d’attenzione.
«Allora»
Yuuto dondola le gambe sotto la scrivania, le mani infilate tra la
seduta della sedia e le proprie cosce «posso esserle
d’aiuto per qualcosa?»
Kageyama
ghigna di sottecchi, osservando compiaciuto il rispetto e
l’ammirazione dipingersi sul volto del suo fedele capitano.
Non avrebbe potuto desiderare un soldato migliore, ha coltivato un
germoglio ammirevole, facendolo crescere in tutta calma durante quegli
anni e che sta adesso sbocciando, rivelando un giovane meraviglioso e promettente.
In tutti i sensi, in effetti.
Se
Kidou infatti è indubbiamente un giovane dotato di un
intelletto straordinario e un talento di gioco pressoché
ineguagliabile, non può certo negare a se stesso che sia
anche un ragazzo dalla sorprendente bellezza. E Dio, neppure un cieco
sarebbe in grado di negare un’evidenza del genere.
«Sì»
Kageyama deve fare appello a tutto il proprio autocontrollo per non
perdere il filo del discorso, costringendosi ad allungare un fascicolo
contenente diversi fogli in direzione di Yuuto «avrei piacere
che fossi tu a controllare questi schemi di gioco: so che per te
è un’inezia, inoltre immagino che ci metterai poco
più di qualche minuto per farlo, perciò se vuoi
che minuto per farlo, perciò se vuoi
puoi anche rimanere qui, nel frattempo. Lo chiedo a te
perché so di potermi fidare del tuo giudizio.»
«Certamente»
Kidou accenna un lieve sorriso, dopodiché poggia gli schemi
sulla scrivania e inizia a sfogliarli, studiandoli uno a uno.
Nel
frattempo Kageyama non perde occasione per osservare attentamente
Kidou, senza lasciarsi sfuggire neppure un minimo particolare: i
capelli leggermente arruffati, la teste e le spalle chine in avanti
mentre la mente è concentrata unicamente su ciò a
cui sta lavorando, gli occhi che saettano da una parte
all’altra di quei fogli, quelle iridi cremisi che riescono a
calcolare ogni possibilità, ogni sfaccettatura in poco
più di una frazione di secondo, i muscoli che guizzano,
perennemente in azione e pronti a scattare in qualsiasi evenienza.
Sa
che quella degli schemi di gioco da controllare è la scusa
più banale che potesse venirgli in mente, tuttavia Yuuto non
sembra essersene accorto e di questo Kageyama ne è
estremamente sollevato. Quello non è che un pretesto, pur di
ottenere un’altra misera manciata di minuti in cui
beneficiare del fisico tonico e affascinante di Kidou, del quale mai e
poi mai potrebbe fare a meno.
La
verità è che – sebbene non possa dirlo
a nessuno, men che meno a Kidou, per paura di sembrare un maniaco
patetico – di quel corpo ne è invaghito e anche il
solo pensiero di poterlo perdere di vista per più tempo del
necessario lo farebbe morire.
Kageyama
non ha idea di quando sia iniziato tutto ciò; quello di cui
è certo, tuttavia, è il fatto che un giorno i
suoi occhi si sono posati sull’eterea figura del ragazzo,
osservandolo in maniera differente rispetto a come avevano fatto in
precedenza, anche solo fino al giorno precedente: come se lo vedessero
per la prima volta, con lo stesso autentico, ritrovato stupore, eppure
con la consapevolezza di avere ben impresso nella propria memoria ogni
singolo dettaglio di quel corpo.
È
strano, perché si rende conto di aver avuto tutto il tempo
per accorgersi di quanto stava accadendo, quel passaggio –
forse evitabile – che l’ha portato a mutare i suoi
sentimenti nei confronti del ragazzo, da un’ammirazione senza
limiti ad un amore perverso, alla base del quale si trovano possessione
e desiderio. Tuttavia Kageyama non ha mai cercato di mettere un freno
alla sua passione, forse preferendo vivere in quella dolce illusione
piuttosto che arrendersi ad una realtà amara come fiele.
Perché
è chiaro che Kidou non corrisponda i suoi sentimenti;
d’altronde, in che modo un giovane intelligente e
affascinante come lui potrebbe provare amore per un uomo
tanto spregevole? Kageyama non è uno stolto, al contrario
riconosce di aver commesso una lunga serie di crimini, oltre al fatto
che non oserebbe mai definire il proprio aspetto attraente –
e non tanto per modestia o chissà cos’altro,
quanto piuttosto perché di fatto non lo ritiene tale.
Eppure,
a partire dal momento in cui ha cominciato a vedere Kidou non solo come
il suo migliore allievo ma per qualcosa
di più, le cose si sono irrimediabilmente
complicate per Kageyama. D’improvviso ogni occasione
è diventata buona per cercare un contatto con lui: che si
tratti di ricercare il suo sguardo cremisi tra la folla, ogni volta che
si ritrova ad attraversare i corridoi della Teikoku Gakuen –
al cambio dell’ora, per esempio – o di convocarlo
nel proprio studio per parlargli dell’andamento della squadra
ed escogitare nuove tattiche micidiali in vista della prossima partita,
per Kageyama non importa. E Reiji sa che quel bisogno impellente di
vederlo – o anche solo di sentire il suono della sua voce,
sempre così maledettamente melodiosa – si sta
trasformando sempre di più in una pericolosa ossessione,
tuttavia non c’è modo in cui possa impedirsi di
farne a meno.
Kageyama
Reiji ha perso ormai ogni remora in quella sua malata ossessione per
Kidou Yuuto.
Ogni
notte, nel proprio letto, gli sembra di rivivere sempre la stessa,
identica tortura – spine
acuminate che s’impigliano lungo tutto il corpo.
Inutile
dimenarsi, futile persino ogni misero tentativo di sottrarsi a quel
giogo infame, giacché non esiste modo per fuggire i fantasmi
che abitano nella propria mente.
Si
ripete con una metodica sfiancante, perennemente e sorprendentemente
regolare, perpetrando nell’assillarlo senza sosta, eppure
– nonostante tutto – non riesce a farne a meno,
come se questa torbida routine sia ormai entrata a far parte
definitivamente e indissolubilmente della sua esistenza.
Per
quanto sia conscio del fatto che tutto ciò sia sbagliato e perverso,
rinunciarvi gli pare impossibile, una soluzione non contemplabile, un
vizio – perché ormai è di questo che si
tratta – per cui non v’è modo di porre
rimedio.
In
fondo, forse la verità è che tutto
ciò, in un recondito e insano angolo della sua mente, gli
piace, affascinandolo terribilmente.
Così
ecco che, quando calano le tenebre, lo spettacolo che si mette in scena
nella mente di Reiji è pressoché lo stesso: corpi
uniti attorcigliati tra loro e su se stessi, braccia che si stringono e
che si intersecano, respiri affannati, guance arrossate e sguardi
stupefatti. Il calore e il candore della pelle di Yuuto sotto di
sé, attorno, ovunque.
Nonostante
sappia che quei sogni siano sbagliati, contorti, fallaci non ha via
d’uscita da quel labirinto degli orrori – o forse
ce l’ha eccome, solo che preferisce continuare a essere
convinto del contrario.
“Dopotutto
devo pur dormire, in un modo o nell’altro” si
ripete spesso, quando le dita gelide, oscure e affusolate della notte
sono ancora una lontana prospettiva – o un ricordo fin troppo distante.
Oppure
– e di questa possibilità Kageyama preferisce non
tenerne conto – la verità è che non
vuole che quel rituale finisca, troppo bello per immaginare di poter
vivere senza di esso.
È
vero, ogni notte si lascia vincere da quel tormento crudele –
fiamme roventi che
impietose lambiscono le sue membra.
Tuttavia,
mentirebbe se dicesse che tutto ciò non gli piaccia.
Perché quel che le sue notturne e tormentate visioni hanno
da offrirgli gli piace, cielo,
eccome se gli piace ed è per questo che non ha
la benché minima intenzione di prendere in considerazione
l’idea di cercare un modo per ridurre quei pensieri indecenti.
Ecco
perché quando ogni volta, al risveglio, sente gli ultimi
stralci di piacere scivolare via dal proprio corpo, non può
fare a meno che essere estremamente dispiaciuto, un sospiro di
frustrazione che gli sale alle labbra mentre stringe voluttuosamente le
lenzuola tra le dita, cercando vanamente di trattenere i brandelli di
estasi che ancora gli restano, seppure non gli bastino.
Non
bastano mai.
Accompagnare
buona parte degli studenti della Teikoku Gakuen è davvero
l’ultimo dei desideri di Kageyama, eppure, contro ogni
ragionevole logica, l’uomo aveva deciso comunque di
sobbarcarsi ad un compito così gravoso, pur di poter
così trascorrere del tempo in più con Kidou.
Monaco
di Baviera li accoglie da giorni in un lucore fioco, nubi pesanti
sparse in ogni dove nascondono il sole agli occhi di chiunque e un
cielo perennemente invaso dalle tinte del grigio pallido. È
metà marzo, fuori le temperature sono sorprendentemente
rigide e un vento gelido e impietoso soffia da giorni sul capoluogo
bavarese.
Quel
giorno – il quarto dei sette che hanno a disposizione
– sono in visita al Deutsches Museum, un centro di
riferimento fondamentale per la scienza e la tecnica.
O
almeno questo è quanto è riportato su uno dei
volantini che Kageyama ha recuperato all’ingresso.
Sebbene
l’esterno austero e datato non faccia propriamente ben
sperare, con quell’aspetto tetro che la pietra grigia gli
conferisce, l’interno è quanto di più
moderno si potrebbe immaginare: con la bellezza di sei piani di
esposizione, si può tranquillamente dire che il museo non si
sia fatto mancare niente.
Il
sesto piano è senza dubbio il più spettacolare,
con il planetario e il soffitto di vetro che lasciano tutti i turisti
con lo sguardo rivolto all’insù, affascinati da
quell’incantevole spettacolo.
Gli
assistenti di sala abbassano le luci, tutta la stanza rimane
nell’oscurità più totale tranne che per
un gigantesco proiettore, appeso al centro del soffitto, che diffonde
in maniera soffusa le immagini delle più disparate galassie
tutt’intorno a loro, lungo le pareti, a terra, ovunque.
In
seguito alla visita all’ultimo piano, che i ragazzi
effettuano tutti insieme accompagnati da una guida del museo, Kageyama
lascia agli studenti venti minuti di tempo libero per girare da soli e
conclude dando loro appuntamento all’ingresso allo scadere
della pausa.
Mentre
Sakuma trascina Genda a visitare la parte dedicata ai pinguini, Kidou
indugia ancora per un momento, voltandosi in direzione di Kageyama.
Il
giovane porta le braccia dietro alla schiena, stringendosi lievemente
nelle spalle sotto il montgomery nero che ha indosso.
«Comandante»
incomincia il ragazzo, cercando di mantenere il tono quanto
più casuale possibile «posso chiederle di venire
con me? Non mi va di lasciarla qua da solo».
«Non
ti preoccupare, Kidou, troverò qualcosa da fare»
Kageyama alza le spalle, ostentando una nonchalance che nella
realtà non ha, affatto.
Glielo
si deve leggere in faccia che non ha la più pallida idea di
come ammazzare il tempo.
«Insisto»
replica Kidou, incrociando le braccia al petto, una determinazione
bruciante e disarmante che saetta nei suoi occhi «ci sarebbe
una cosa che vorrei farle vedere».
Kageyama
sospira lievemente, a corto di argomentazioni. In fondo,
perché dovrebbe dirgli di no? Kidou è stato
così gentile a preoccuparsi per lui… inoltre
mentirebbe a se stesso se dicesse che non gli fa piacere ricevere un
invito del genere da parte del ragazzo.
«D’accordo»
concede infine, mentre osserva di sottecchi il giovane «e
sentiamo, dove vorresti andare?»
«Oh,
questa è una sorpresa!» commenta Yuuto, allungando
una mano in direzione del suo Comandante «si fidi di
me».
Con
quelle parole, Yuuto non esita oltre nel condurre il suo allenatore
nuovamente all’interno della struttura, destreggiandosi
abilmente attraverso le varie aree della mostra. Sembra viaggiare con
sicurezza, come se sapesse esattamente dove andare.
Kidou
comincia a fermarsi solo quando sono ormai giunti nei pressi di una
sala monumentale: le pareti s’innalzano maestose verso
l’alto, rivestite da degli eleganti e pregiati marmi rosa,
mentre il soffitto vitreo permette alla poca luce naturale presente in
quei giorni di entrare nella stanza. Anche altre fonti
d’illuminazione sono sparse per la stanza, tra cui
l’imponente candelabro di cristalli trasparenti che troneggia
sulla scena.
Yuuto
si avvicina ad un espositore in particolare, trainando con
sé anche il suo Comandante: è una lunga vetrina,
appesa al muro, sottile due dita appena e alta svariati metri. Reiji
osserva attentamente l’espositore, attratto da
ciò che ne trova all’interno: sorprendentemente,
si scopre intento a fissare una miriade di farfalle, delle
più svariate specie, i corpi ormai senza vita tenuti
bloccati da dei sottili spilli metallici. Le loro ali possiedono tutti
i colori che la mente umana riesce a elaborare, mentre le
fattezze così delicate che paiono pronte a
frantumarsi al più lieve dei tocchi.
«Sono
bellissime, non trova?» mormora Kidou, incantato. Il volto
del ragazzo è incredibilmente vicino alla lastra di vetro
che protegge il ligneo espositore, tant’è che il
suo respiro si condensa in piccole nuvolette su quello strato di
rivestimento.
Sul
volto di Kageyama compare un sorriso, le labbra che si piegano in una
posizione così inusuale per lui che per un momento
l’uomo deve sfiorarle per accertarsi che non sia
un’illusione. Che
strana sensazione.
«Hai
ragione» conviene Reiji, spostando lo sguardo dalle falene a
Kidou «in un certo senso sono anche una metafora della vita,
se vuoi: così fragili, eppure incredibilmente
affascinanti».
Kidou
si volta di scatto verso Kageyama, lo sguardo celato dagli occhialini
che tradisce comunque una certa sorpresa. A quella vista Reiji
sogghigna senza indugi, a dir poco rapito dalle emozioni del ragazzo,
così calde e seducenti, che finiscono per coinvolgere anche
lui.
L’uomo
torna a fissare le farfalle davanti a sé, subito imitato dal
ragazzo. Non sa impedirsi, tuttavia, di stringere di lì a
poco lievemente la mano di Yuuto nella propria.
Kageyama
non sa bene di cosa si tratti. Uno scherzo del destino? Qualcuno
lassù che evidentemente si diverte a prendersi gioco di lui?
Non riesce proprio a darsi una spiegazione, davvero.
Eppure,
una volta arrivati in hotel, all’inizio della loro settimana
di permanenza in Germania, non aveva potuto far altro che apprendere
dell’errore di assegnazione delle stanze, per il quale adesso
si ritrovava nella stessa camera di Kidou Yuuto.
Già,
poiché nonostante ci fossero camere doppie a sufficienza per
poter ospitare tutti i ragazzi, il numero degli studenti era pur sempre
dispari, pertanto uno di loro si era dovuto comunque sacrificare,
finendo a dormire nella stessa stanza di uno degli insegnanti.
Ovviamente lo
studente in questione non poteva che essere Yuuto – mai una
volta che quel ragazzo non mettesse il proprio spirito di sacrifico a
disposizione degli altri – e in maniera altrettanto
prevedibile il professore in questione altri non era se
non Reiji, visto che la sua buona sorte si divertiva sempre
così tanto ad abbandonarlo.
Ora
Reiji è seduto sul letto che gli è toccato in
sorte, un matrimoniale fin troppo comodo, un bicchiere ricolmo di
liquore ambrato sul comodino e un libro tra le mani. Sfoglia
un’altra pagina, mentre sente l’acqua scorrere
fluidamente fuori dalle pregiate rubinetterie della toilette.
Con
ogni probabilità, Kidou si starà facendo una
doccia. Sono tornati in hotel da qualche ora, dopo aver finito le loro
attività per quel giorno: successivamente alla visita al
Deutsches Museum i ragazzi hanno avuto tutto il pomeriggio libero, per
poter girare per la città a loro piacimento. Questa volta
Kidou ha seguito senza esitazioni i suoi compagni di squadra, mentre
Kageyama è rimasto vittima per tutto il tempo dei suoi
noiosi colleghi di lavoro. Non riesce ad immaginare un pomeriggio
peggiore, sul serio.
Reiji
distoglie per un momento lo sguardo dal manoscritto di Balzac che sta
leggendo per osservare il paesaggio che scorge dalla finestra: le tende
verdi sofficemente drappeggiate lasciano un’ampia visuale
sull’esterno. Si è fatto buio in fretta, fuori
sembra quasi già notte; l’unica luce che gli
giunge dalla strada è quella dalle tinte aranciate dei
lampioni, ormai già accesi.
La
porta del bagno si apre e ne riemerge Kidou sulla soglia, avvolto in
una nuvola di vapore. Si è già cambiato per la
notte, visto che ora indossa solo i boxer sotto ad una t-shirt leggera.
«Non
hai freddo così?» s’informa Kageyama,
recuperando il bicchiere di vetro irregolare e buttando giù
lo scotch tutto d’un sorso; dentro di sé si
maledice, dannazione a
lui e a quella patetica sfumatura di apprensione che ha pervaso la sua
voce.
«Affatto»
replica Kidou, mentre avanza sicuro verso il letto, percorrendo la
moquette a piedi nudi «c’è il
riscaldamento acceso, qua dentro fa caldissimo».
Una
volta raggiunto il materasso, Yuuto non indugia oltre a sdraiarsi su di
esso, rotolando appena; Kageyama osserva senza troppe esitazioni quelle
gambe atletiche, alla sola vista delle quali la lingua
dell’uomo scorre rapida sulle labbra – e non certo
per raccogliere i residui di liquore.
«Lei,
piuttosto» commenta Kidou, infilandosi sotto le coperte
– rigorosamente dalla parte opposta a quella di Kageyama
«non dovrebbe bere così tanto alcool».
«Era
solo un piccolo sorso» ribatte Reiji, scrollando le spalle. Oh, andiamo, ragazzo, ci manca
solo che tu ti metta a fare il moralista con me, specie se si tratta di
un semplicissimo sorso di whisky. E dire che ne avresti, di cose da
riprendermi, a partire dai pensieri licenziosi che non riesco ad
astenermi dal fare su di te… ma tu di questo non sai nulla.
«Oh,
beh, meglio così allora» Yuuto si stiracchia
lievemente, coprendosi le labbra con il pugno chiuso della mano mentre
cerca invano di trattenere uno sbadiglio «buonanotte,
Comandante».
«Buonanotte,
Kidou» la replica dell’uomo non tarda ad arrivare,
mentre ne approfitta per osservare il ragazzo che si distende al meglio
tra le coperte; sembra
un cucciolo, non riesce a trattenersi dal valutare tra
sé.
Tutti
e due muovono contemporaneamente una mano verso la rispettiva
abat-jour, tant’è che nella stanza si fa buio
nello stesso istante.
Durante
la notte Kageyama non riesce a chiudere occhio, troppo angosciosi i
pensieri che lo tormentano a causa della vicinanza del corpo di Kidou a
sé. Yuuto, per contro, dorme eccome, sebbene il suo sonno
sembri essere piuttosto agitato: continua a rigirarsi tra le coperte, a
tratti scivola fuori dalle sue labbra perfino qualche gemito.
In
quegli istanti riaffiorano nella mente di Reiji quelle notti di
languide torture, in cui sentiva quasi spine e fiamme dilaniare sul
serio il proprio corpo: in fondo, adesso non si trova in una situazione
poi così diversa – tranne per il fatto che ora i
suoi occhi sono decisamente
aperti e lui non si trova in un sogno, affatto.
Alla
fine la tentazione è troppo forte per resistervi e Reiji
finisce prevedibilmente per cedere, chinandosi sul corpo del ragazzo,
che ora si trova disteso su un fianco; a forza di rigirarsi, un lembo
della maglietta di Kidou si è sollevato, lasciando scoperto
parte dell’addome pallido di Yuuto. A quella vista, Kageyama
non riesce a trattenersi dal passare avidamente la lingua sulla pelle
nuda del ragazzo. Kidou si lascia sfuggire un nuovo gemito, mentre
Kageyama sogghigna ancora: non andrà oltre, certo, questo
non toglie che possa trovare tutto ciò terribilmente
eccitante.
«Me
ne vado».
Quelle
parole nefande risuonano a lungo nella mente di Kageyama, per quanto
l’algido Comandante della Teikoku Gakuen cerchi in ogni modo
di continuare ad indossare la sua maschera
d’imperturbabilità. Eppure quelle sono parole che,
per quanto ci si possa ostinare a negarlo, tagliano, feriscono
l’anima fin nel profondo.
«No!»
replica subito, mordendosi di lì a poco le labbra come a
volersi punire per la propria impulsività «voglio
dire, n-no, tu non puoi andartene, Kidou».
Il
ragazzo è fermo in mezzo alla stanza, i pugni stretti e le
braccia distese lungo i fianchi; l’espressione sul suo volto
è dura, severa quasi.
Kageyama
coglie la palla al balzo, sa che non può farsi trovare
impreparato in una situazione del genere, visto che indugiare
equivarrebbe ad un’ammissione di colpa.
«Ah,
sì? E perché, di grazia?» gli occhi di
brace di Kidou saettano furenti da dietro le lenti dei suoi occhialini,
la rabbia che monta impetuosa nel suo animo.
Reiji
si alza, percorrendo con pochi passi la distanza che lo separa da
Yuuto; il ragazzo arretra istintivamente, senza rendersi conto che
è proprio quello che Kageyama desidera.
«Beh,
semplice» l’uomo scrolla le spalle con noncuranza,
senza dar modo al ragazzo di sospettare dei suoi gesti
«perché la tua presenza qui è
assolutamente fondamentale, Kidou. Non vedi come tutto ruoti intorno a
te? Senza contare che sei letteralmente nato per questa vita: il tuo
animo sprezzante, il tuo stile di gioco irraggiungibile. Davvero credi
che altrove potresti sentirti capito come qui?»
Per
un momento Kidou incespica nei propri stessi passi, rischiando di
cadere all’indietro. Fortunatamente alla fine il suo
proverbiale equilibrio ha la meglio, permettendogli di restare in
piedi; questo tuttavia non lo ferma dall’indietreggiare,
anzi, poco dopo ecco che di nuovo ha già ripreso a
retrocedere.
«Non
mi prenda in giro» sbotta, digrignando i denti
«crede che non mi sia accorto dei reati che arriviamo a
commettere, pur di vincere ogni singola partita? Corruzione,
estorsione… per non dire di peggio».
«E
allora?» Kageyama allarga teatralmente le braccia
«Eppure quando ti serviva eri d’accordo con i miei
metodi, ragazzo».
«Beh,
adesso ho aperto gli occhi» replica Yuuto, agitando i pugni
chiusi con foga «e se questo è il modo in cui
funzionano le cose, qui, non voglio più avere niente a che
fare con nulla di tutto ciò».
Nel
mentre, Kidou non si è minimamente accorto del gioco di
Kageyama. Niente di così difficile, dopotutto: gli
è bastato distrarre il giovane con le sue parole –
delle quali, come al solito, è completamente succube
– in modo da far sì che non si accorgesse di dove
lo stava indirizzando. Di colpo infatti Yuuto si ritrova con le spalle
al muro, il gelo della lamiera di cui le pareti della Teikoku Gakuen
sono composte che sembra volergli penetrare fin nelle ossa.
«Eh,
già» Kageyama sogghigna, sollevando con due dita
il mento di Yuuto e costringendolo a guardarlo «davvero
credevi di potermi sfuggire, Kidou? Dopotutto, sei la mia
creazione».
Yuuto
cerca di scrollare il capo, di liberarsi in qualche modo dalla morsa in
cui Kageyama lo tiene intrappolato, senza tuttavia avere successo.
Reiji
si avvicina a lui con uno scatto fulmineo, le labbra che di colpo
sfiorano suadenti l’orecchio del più giovane.
«L’amore
è una forza selvaggia. Quando tentiamo di controllarlo, ci
distrugge. Quando tentiamo di imprigionarlo, ci rende schiavi. Quando
tentiamo di capirlo, ci lascia smarriti e confusi» mormora,
come un’intima confessione, facendo attenzione a carezzare la
pelle del ragazzo ad ogni parola che pronuncia.
Il
volto di Kidou s’imporpora, in un modo in cui raramente a
Kageyama è capitato di vederlo. Solo che questa volta Reiji
non lo nota, non subito perlomeno, essendo ancora premuto nella sua
posizione protetta, così vicino all’orecchio del
ragazzo.
«Amore?»
Yuuto sbarra gli occhi, confuso «che diavolo
c’entra adesso l’amore—»
Kageyama
sposta il capo, portando il proprio volto nuovamente di fronte a quello
del giovane. Sono così vicini che le punte dei loro nasi si
sfiorano, le labbra a pochi millimetri le une dalle altre.
«Davvero
non l’hai ancora capito, ragazzo?» Kageyama ghigna
trionfante, una mano che non riesce a smettere di accarezzare la
guancia di Kidou. Reiji realizza che non sono mai stati così
vicini, nemmeno quando hanno dormito nello stesso letto, a Monaco.
Yuuto
non ha la più pallida idea di che cosa replicare; ad ogni
modo, anche se ce l’avesse, a mancargli di fatto sarebbe il
tempo materiale: l’istante successivo infatti le labbra di
Kageyama sono sulle sue, languide e possessive.
Kidou
si dimena in ogni modo, non riesce ad immaginare niente di
più disgustoso di quelle mani che adesso gli accarezzano i
fianchi, andando alla ricerca di centimetri di pelle nuda sotto strati
e strati di vestiti, o di quella lingua che adesso gli invade
letteralmente la bocca.
Yuuto
non ha la più pallida idea di come riesca a liberarsi: sa
soltanto che se un momento prima era lì, bloccato contro la
parete da Kageyama, l’istante subito successivo quella
presenza opprimente era già più distante.
Deve
avergli dato una spinta più forte delle altre, mentre si
dimenava, nel tentativo di liberarsi. Yuuto si passa il dorso della
mano sulle labbra, cercando di rimuovere ogni traccia di quel bacio non
richiesto. Si sente completamente sottosopra, però di una
cosa è certo: non vuole più avere niente a che
fare con quell’uomo.
«Mi
fai ribrezzo, Kageyama» sussurra, nauseato. Si rende
improvvisamente conto che quella è la prima volta in vita
sua in cui si rivolge a colui che ha sempre considerato come il suo
“Comandante” senza dargli del lei. Forse
perché sa già che, dopo quel che è
appena successo, non ci sarà più nessun genere di
rapporto, tra loro due.
«No,
Kidou, aspetta—» Reiji sente un terribile groppo
salirgli in gola. Non può aver rovinato tutto, non
così, per uno stupido eccesso
d’impulsività. Paradossale: lui, l’uomo
che ha fatto della sua apparente calma una virtù e che
così a lungo ha insegnato agli altri a fare altrettanto, si
è lasciato prendere così tanto dai sentimenti.
È sicuro che non riuscirà mai a perdonarsi un
affronto del genere.
Quel
che ancor di più lo inquieta, tuttavia, è vedere
come Kidou fugga via da lui, nello sguardo terrore e odio cieco. Vede
il suo mantello rosso sparire, come un petalo di rosa trasportato
via dal vento e sa che stavolta l’ha perso per sempre.
Troppo
tardi.
Angolo
autrice
“Seduzione,
forse?” oh, a wild brainwave appears.
Mh,
dunque. Andiamo con ordine.
Anzitutto,
salve. Saranno tipo due mesi che non faccio la mia comparsa con una
one-shot, qui. Cioè, ad esserci ci sono, considerando che mi
manifesto molto poco a random una volta al mese con gli aggiornamenti
di In time ma, oh, a chi diavolo interessano i nuovi capitoli della mia
long ad oc? come
se a qualcuno invece possano interessare le mie one-shot deprimenti,
certo.
Ad
ogni modo, visto che – come
tutti voi ormai ben saprete – sono una persona
estremamente autolesionista, quale miglior modo di rendersi impossibile
l’esistenza se non quello di buttarsi a capofitto in questa
storia?
Evviva
la vita.
Che
poi, parliamoci chiaro: quando ho visto un contest in cui si cercava
– testuali parole – “qualsiasi genere di
relazione non usuale”, beh… io non potevo
astenermi dal partecipare, no? *^*
E
ovviamente, chi altri avrei potuto usare come protagonisti se non
Kageyama e Kidou? Mamma mia, sto troppo in ansia. Perché ho
paura che sia venuta una storia non ai livelli dei miei soliti standard
e ahh, piango male, di
sicuro andrò uno schifo, arriverò ultimaaa--
Eee,
si vede che di recente sto diventando più complessata del
solito? .-.
Vi
devo delle spiegazioni. Parecchie.
Anzitutto,
la struttura della shot. Se i vostri occhi hanno seguito lo stesso
tragitto di quando inseguite la pallina durante una partita di tennis o
di ping-pong, sappiate che la cosa è {purtroppo
per voi} assolutamente intenzionale: ho sistemato infatti i paragrafi
dispari (1, 3 e 5) a sinistra, poiché erano quelli
più “narrativi” e non fondamentali allo
svolgimento della storia, mentre i pari (2, 4 e 6) a destra, visto che
volevo avessero maggiore risalto, essendo quelli che, ai fini della
fic, hanno più importanza. All’inizio tutti i
paragrafi dovevano essere tra le 600 e le 800 parole, tuttavia il
contatore ci ha tenuto a ricordarmi che io, essendo solo una misera
umana, non conto niente e quindi decide lui. Oh, okay.
Parlando
della trama: la storia è assolutamente una what if?,
ambientata in un filone narrativo in cui per
la gioia di molti Endou non è mai esistito e la
Raimon non si è mai riformata. Insomma, ognuno è
stato a farsi i fatti suoi, ahahah.
In tal modo il processo per mezzo del quale Kidou si rende conto che i
piani di Kageyama sono folli viene rallentato (o almeno, io la vedo
così) e il ragazzo resta a servire il suo Comandante almeno
per un altro bel po’. Ammettetelo, a chi non piacerebbe una
realtà del genere? Comunque, orientativamente qui Kidou
avrebbe sedici anni; farlo più piccolo mi sarebbe sembrato
esagerato, detta sinceramente… anche perché
ricordo che in Giappone la maggiore età si raggiunge a
vent’anni. Okay che loro rimangono la mia OTP in ogni caso,
senza se e senza ma, solo che mi sono resa conto che non riesco a
concepire di scrivere di loro due “insieme” se
Kidou è troppo piccolo, invece quando si tratta di doverlo
solamente leggere il problema non si pone.
Ah,
il titolo: il “Fuoco
liquido nelle vene” fa ovviamente riferimento
alla sensazione che Kageyama avverte ogni volta che si trova vicino a
Kidou, oppure quando pensa a lui. La trovate comunque largamente
descritta nel terzo paragrafo il
sognoH.
Ovviamente,
niente lieto fine perché
io è dal 9 giugno che non riesco più a scrivere
storie a lieto fine, più che altro
perché è difficile immaginarsi che una relazione
malsana come questa possa finire bene. Ci tengo a precisare che
Kageyama è letteralmente ossessionato dalla figura di Kidou
– e questo credo che si sia capito bene durante la lettura
– e non è innamorato di Yuuto, affatto; o meglio,
lui è convinto che sia così (ed ecco spiegato
perché rivolga al ragazzo quella frase,
nell’ultima parte della storia – “L’amore
è una forza selvaggia. Quando tentiamo di controllarlo, ci
distrugge. Quando tentiamo di imprigionarlo, ci rende schiavi. Quando
tentiamo di capirlo, ci lascia smarriti e confusi”
– della quale tengo a precisare che la paternità
è di Paulo Coelho) sebbene la verità sia ben
altra.
Il
Deutsches Museum esiste realmente e la descrizione che ne ho lasciato
è in buona parte veritiera (l’esterno, il
planetario al sesto piano) tranne per la sala delle farfalle, quella
è una mia piccola e personalissima aggiunta: scusate, solo
che ormai avevo deciso di aggiungere questa scena e quindi ho deciso di
prendermi un po’ di libertà in merito.
Voi
non immaginate quanto lavoro ci sia dietro a questa shot. Roba che
scrivevo un paragrafo e poi lo modificavo ottocento volte: metti,
togli, aggiungi, leva… a forza di limare riga su riga mi
sono sentita peggio dei neoteroi
(dei poeti latini che praticavano il “labor limae”,
ossia proprio questa tecnica di sottrarre l’eccedenza).
Questo momento nerd mi sta mettendo in imbarazzo •//•
no, il fatto di avere un limite di parole – che grazie al
cielo non ho sforato, a dir la verità mancandolo grandemente
– mi ha messo un sacco di ansia, ecco. Quindi probabilmente
questa fanfic farà schifo e io mi classificherò
in una posizione orrenda, evviva. Non è che mi dispiaccia
non arrivare tra i primi, solo che per prepararla ci ho letteralmente
buttato sangue, oltretutto finalmente sono riuscita a scrivere per la
prima volta in vita mia una storia per un contest che abbia come
protagonisti i miei due personaggi preferiti di sempre…
insomma, immagino che, qualora dovesse andare male, la cosa potrebbe
anche farmi soffrire un po’. È colpa mia, in
fondo: prendo sempre troppo sul personale certe cose, tanto che a volte
a causa del dispiacere che mi comportano può capitare anche
che io non riesca a scrivere per dei mesi interi. Speriamo che non sia
questo il caso, ahahah.
Ultima
cosa (dopodiché la smetto di rompere, lo giuro): la frase in
corsivo che vedete all’inizio della shot è una
dedica – che quindi non c’entra niente con il testo
della fic in sé per sé, lol – ad una
persona che ha fatto e che continua a fare davvero molto per me.
Sapete, quando si pensa di essere gli unici ad avere per la mente certe
idee si finisce inevitabilmente per darsi la colpa di tali pensieri.
Scoprire però di non essere da soli, che ci sarà
sempre quella voce pronta a tirarti fuori dal più buio dei
tunnel… beh, credetemi se vi dico che questo da solo basti a
scaldarvi ben più di migliaia di fuochi. Questo non
è un bel periodo per me, ormai lo sapete…
però avere la consapevolezza di poter contare su chi hai
osservato da lontano per ben due anni, così piena
d’ammirazione, è quanto di più
eccezionale avrei mai potuto desiderare. So che per questa persona non
è un bel momento e se solo potessi mi fionderei ad
abbracciarla fortissimo, sebbene si trovi in una parte
dell’Italia piuttosto lontana rispetto a quella in cui vivo
io. Vederla star male mi spezza il cuore in mille pezzi, sul serio il
che forse mi ha fatto capire quanto stesse male Ange nel vedermi
soffrire, quest’estate. Comunque, questa persona
è l’unica oltre me ad aver scritto sulla KageKi,
qui in Italia. Condividiamo una ship che nessuno si fila – e
forse anche qualcosa di più – e per me questo
è davvero tanto, specie dopo anni in cui mi sono sentita una
sorta di folle. Comunque, spero di averle risollevato almeno un
po’ l’umore.
Niente,
io la chiudo qui, non vorrei tediarvi oltre {e poi sto pensando a delle
cose brutte che mi stanno facendo deprimere più del dovuto,
perciò meglio che la smetta, altrimenti finirò
per trasformarmi in una fontana di lacrime}. Ringrazio come al solito
Seth, l’organizzatrice di questo contest, per avermi dato
l’opportunità di mettermi alla prova e per aver sopportato
il mio pessimo senso dell’orientamento al LCG, ahahah.
Inoltre ne approfitto per rivolgere un sincero e sentito in bocca al
lupo a tutte le altre partecipanti di questo contest: forza ragazze, ho
scritto una storia orrenda, avete la strada spianata verso la vittoria!
Avevo
anche preparato un banner, per questa storia, solo che anche quello lo
trovo altamente orrendo e non so ancora se lo inserirò.
Deciderò al momento della pubblicazione della storia sul
sito, credo.
Bene,
adesso ho ufficialmente detto tutto. Ci rivediamo (presumibilmente)
presto, con il nuovo capitolo di In time, che dovrebbe uscire in
maniera regolare il 27 novembre anche se non ho
ancora iniziato a scriverlo e devo preparare tutte le prove, ahh oddio
a i u t o
Okay,
basta, la smetto, giuro
A
presto
Aria
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