Labirinto

di Josgaa
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La luce della candela danzava a ritmo del respiro del soldato, mentre, come incantato, guardava la fiamma muoversi a piccoli scatti. Nella stanza si poteva percepire il lieve odore di terra umida ed erba, nonostante Levi passasse più tempo a pulirla che a dormirci.
 Aveva passato minuti a interrogarsi su se stesso e cosa stesse provando.
Da cosa stesse fuggendo.
Perché sapeva che in fondo anche lui, per quando forte e freddo fosse, fuggiva da qualcosa. Ma nonostante ciò si sentiva comunque in trappola, costretto a stare dentro ad un labirinto.
Come faccio ad uscire?
Si interrogava tutte le notti in cui non riusciva a chiudere occhio, cercando di trovare la via d'uscita, ma con scarso successo. La verità è qualcosa di credule, sopratutto quando ti mette davanti la realtà dei fatti e, per quando orribile, riconoscere di essersi persi nella stessa sofferenza. Levi aveva sempre pensato che per uscire da quel labirinto di sofferenza bisognasse solo fingere che non esistesse, andare avanti a testa alta e ignorando ogni emozione che rischiava di traboccare da un momento all'altro. Si era rinchiuso in un mondo autosufficiente.
Ma la verità gli aveva messo davanti, di nuovo, un’amara realtà ritrovandosi solo.
«In fondo non si può sfuggire al dolore.» si disse. «Nemmeno alla morte.» ma alla fine il dolore e la sofferenza erano le due cose su cui si era sempre basato e probabilmente sarebbe stato così ancora per un po'.
 

 
Nota dell’autrice
Scrivo questa piccola parte per chiarire alcuni dubbi. Sono reduce da “Cercando Alaska” di John Green e ho trovato che la teoria del labirinto sia qualcosa che si possa collegare a Levi. In pratica, Alaska, cerca la risposta per uscire da questo “labirinto di sofferenza” e Miles spiega tutto verso la fine del libro. Consiglio la lettura perché, nonostante si dice che non sia bello, a me, personalmente, è piaciuto molto. 
Buona lettura.




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