4. Il Grande Saggio
« Elien! ».
« Non urlare! » borbottai aprendo prima un occhio e poi
l’altro e trovandomi davanti l’immagine sfocata del volto di Menfys «
Ho un terribile mal di testa ».
« Per fortuna stai bene! Mi sono molto spaventato quando sei
caduta e non ti sei più alzata » Menfys si rabbuiò al pensiero.
« Dov’è il drago viola? » chiesi schiarendomi la voce.
Avevo ancora la vista annebbiata e mi portai le mani alla testa che
pulsava terribilmente. Per fortuna non c’era nemmeno un taglio.
« È andato via ».
« Dove sono Daelyshia e Ogard? » domandai preoccupata, non
vedendoli « Come mai sulla mia testa non c’è nemmeno un taglietto? ».
Menfys mi guardò, senza vedermi, concentrato sui suoi
pensieri: « Non ti preoccupare, sono qui intorno
a cercare qualcosa da mangiare ».
Non rispose alla seconda domanda.
Sapevo che non voleva ammettere di avere usato la magia su di me.
« Dove siamo? E perché è cosi buio? ».
« Siamo dentro la foresta di Elwyn, non so come faremo a
uscire da qui, ci siamo inoltrati troppo per scappare dal drago,
comunque dopo mangiato ci metteremo in cammino ».
Mi guardai intorno, ribattendo: «Sono
molti anni che vivo in questa foresta, conosco i suoi luoghi più
profondi, riusciremo a uscire ».
« Buongiorno! »
Erano Daelyshia e Ogard, che avevano in bocca un giovane cervo. I due
draghi si accoccolarono a terra e iniziarono a mangiare indisturbati.
Li osservai per un po’ mentre masticavano rumorosamente quel povero
animale, stupendomi della forza delle loro zanne affilate.
« Spero lo sia davvero! » disse Menfys, ancora di umore cupo,
mormorando fra sé.
Dopo che i due draghi ebbero finito di mangiare ci mettemmo
in viaggio verso ovest, perché, se da quella parte eravamo entrati, ne
saremmo anche usciti.
Dopo qualche ora di cammino arrivammo a un fiume.
«Questo fiume deve essere il Feralas, che poi esce dalla
foresta, la costeggia e va a finire nell’Iris» ipotizzò Menfys,
guardandomi interrogativo.
Rimasi un po’ in silenzio a pensare. Dovevo ammettere che non
ero mai stata da questa parte della foresta, ma non ne ebbi il
coraggio. Menfys, chissà per quale motivo, era
ancora di pessimo umore. Se gli avessi rivelato che forse ci eravamo persi, non avrebbe
esitato a strozzarmi.
Guardai il margine del fiume e notai che c’era un albero,
pieno di frutti arancioni. Il mio stomaco brontolò: avevo fame.
Mi avvicinai per raccoglierne uno.
« No! Elien non ti avvicinare! » sentii esclamare, però era
già tardi. Ormai mi ero troppo vicina.
Menfys corse verso di me e mi spinse via. L’albero fu scosso da un
vento inesistente e lo afferrò con uno dei suoi rami, poi
all’improvviso spalancò un’enorme bocca dentata, apparsa
misteriosamente sul suo tronco. Daelyshia si avvicino per aiutare
Menfys ma fu presa anche lei. Ogard guardava impotente la scena: non
poteva fare niente, altrimenti avrebbe potuto colpire i suoi due amici.
Che stupida che ero! Non avevo riconosciuto che quello era un Hopital,
uno albero posseduto da uno spiritello malvagio. Eppure Cadea mi aveva
istruito bene sui pericoli della foresta! Che fare?
Mi guardai intorno disperata, tendando di farmi venire un'idea su come
aiutare i miei amici che tardava ad arrivare.
D’un tratto, sentii una strana sensazione per tutto il corpo, un
brivido di pura energia lungo la schiena. Allora, automaticamente, come
se ci fosse qualcuno che me lo indicasse, alzai le mani al vento e
urlai con tutte le mie forze qualcosa di cui neanche io sapevo il
significato. Dalle mie mani si sprigiono una luce argentata, che andò a
colpire l’albero e lo circondò facendolo sparire e lasciando cadere a
terra Menfys e Daelyshia. Mi guardai le mani, stupita.
Che cosa avevo fatto?
Non riuscivo a pensare.
Mi sedetti a terra, stremata, e senza energie mi abbandonai a
un sonno agitato, senza sogni.
Confusa, mi ritrovai a guardare il cielo azzurro.
Sentivo il vento sul viso.
A quanto pare, finalmente, mi trovavo fuori della foresta!
Sentii una voce familiare mormorare e poi dei passi che si
allontanavano.
Allora realizzai: Oh no, ero di nuovo
svenuta!
Mi alzai a sedere di scatto.
Quel periodo sembrava non riuscissi a fare altro, per tutte le lune di
Danases!
Menfys era vicino a me, solo.
I passi che prima avevo sentito erano di Daelyshia e
Ogard.
« Menfys, che cos’ho fatto? » chiesi, ricordandomi
all’improvviso che cosa era successo. Mi massaggiai le tempie, cercando
di rimettere in ordine i pensieri nella mia mente: « Mi sono sentita
senza aria, come se stessi per… per… » non continuai la frase e
trattenni il respiro; avevo finalmente capito: « Ho usato la magia »
sussurrai, coprendomi la bocca con le mani.
« Non avere paura, guarda… ».
Menfys si chinò e prese la legna; mormorò qualcosa e dalla sua mano
scaturì una scintilla, che andò nella legna e un bel caloroso fuoco si
accese.
« Non avrei dovuto usare la magia! » esclamai orripilata «
Io… ».
« Adesso non ci pensare » m’interruppe Menfys, inchiodandomi
con il suo scuro sguardo.
La mia mente si svuotò da ogni pensiero. Mi stava forse incantando per
tranquillizzarmi?
« Tieni » disse, mettendomi tra le mani una grossa radice
rossa.
Imbambolata ancora dal suo sguardo, iniziai a mangiare.
Menfys attese con pazienza finché non finii, poi
distolse lo sguardo e annunciò: «
Riposati. Tra circa due giorni arriveremo a Tedrasys, in città. Appena
ti sveglierai riprenderemo a camminare ».
Il giorno successivo ci mettemmo in viaggio, abbandonando il
fiume Feralas, che curvava dolcemente verso destra per poi finire nel
lago Iris, e proseguimmo dritti verso sud per raggiungere velocemente
Tedrasys.
Passarono ancora due giorni prima di arrivare in vista della
città, che appariva come un puntino in mezzo alla pianura.
Notai lo sguardo di Menfys farsi sempre più ansioso.
« Dovrete nascondervi » Menfys avvertì i due draghi, quando
la città si fece vicina « Non dovrete farvi vedere da nessuno ».
« Cosa!? » esclamai sorpresa « Non verranno con noi? ».
« In una città piena di elfi? » la voce di Menfys era velata
da sarcasmo.
Sapevo cosa intendeva Menfys. I rapporti tra le due razze non erano
idilliaci, gli elfi non avrebbero accolto a braccia aperta i nostri due
draghi. Eppure ero così preoccupata di staccarmi da Daelyshia
« Cosa mangeremo? »
chiese la mia dragonessa.
In tre giorni era cresciuta tantissimo. Adesso mi arrivava al
ginocchio, e aveva sempre molta fame. A volte credevo sarebbe
riuscita a mangiare me e Menfys in un boccone. Ogard diceva che era un
periodo, quando la sua crescita si sarebbe fermata si sarebbe
stabilizzata anche la sua fame.
« Quello che riuscirete a trovate. Ma non cacciate qui
vicino, gli elfi potrebbe insospettirsi. Adesso… vedete quella
collinetta lontano dalla strada? ».
I due draghi annuirono.
« Nascondetevi lì. Noi prenderemo la strada principale ed
entreremo in città » continuò Menfys e ripeté, ammonendoli: « Non
cacciate qui vicino ».
« Quanto starete via? » chiese Ogard, preoccupato.
« Massimo tre giorni ».
« Stai attenta » dissi ansiosa a Daelyshia.
« Anche tu fai attenzione
» replicò la dragonessa, leccandomi il volto mentre l'abbracciavo.
Daelyshia e Ogard si girarono, cominciarono ad avviarsi verso
la collinetta e dopo un po’ scomparvero alla vista. Sentii il legame
tra la mia mente e quella di Daelyshia farsi sempre più debole, fino a
scomparire. Menfys estrasse dalla sacca due mantelli, uno marrone e uno
nero, che mi porse bruscamente.
« Indossalo e tieni giù il cappuccio. Seguimi! » detto
questo, indossò il mantello e tirò giù il cappuccio, io lo imitai.
Sulla strada principale c’era molta gente che andava e veniva
dalla città, fummo rallentati dai carri degli elfi mercanti che
trasportavano merce da vendere. Stupita, osservai gli elfi che si
trovavano per la strada. Erano tutti di alta statura e aggraziati come
dei cervi. Mi sentii goffa e diversa in mezzo a quelle voci musicali.
Un’estranea.
Eppure nessun elfo era bello quanto Menfys che, in confronto
a loro, aveva i lineamenti perfetti, anche se il volto meno affusolato,
gli occhi allungati, capaci di incantarti, pure il suo passo aveva
qualcosa di diverso da quello lento e cadenzato degli altri elfi. Già
l'avevo notato al nostro primo incontro ma più lo osservavo e più mi
rendevo conto di come la troppa vicinanza con un drago lo avesse
cambiato.
Guardandomi intorno, notai che c’erano elfi dal colorito della pelle
diverso. Alcuni avevano la pelle azzurra e altri marrone come la
corteccia di un albero: Elfi dell’Acqua e della Terra.
Poi, finalmente, entrammo in città.
Era grandissima e fortificata, a causa della guerra con i draghi,
c’erano elfi armati di spade e archi che pattugliavano sul davanti le
grandi mura. Sulla parte più alta c’era uno splendente castello. Era
così alto in confronto di tutte le case degli elfi che erano di un solo
piano con delle porte di legno e luminose finestre. Tra alcune
abitazioni c’erano delle piccole botteghe, dove lavoravano gli elfi che
non facevano parte delle guardie delle fortificazioni. Nella parte
orientale della città c’era anche un grande mercato, udii le voci e
annusai i forti odori della merce commestibile che vendevano. Mi venne
l'acquolina in bocca.
Menfys mi guidò per la via principale ma, subito dopo, girò
per una stradina laterale. A un tratto si fermò di colpo ed io,
senza rendermene conto, perché presa dalla confusione della città,
andai a sbattergli addosso.
« Attenta! » mi sgridò con un gemito di dolore.
« Scusa » borbottai.
Camminammo per alcuni passi, poi ci fermammo davanti a una
porticina. Menfys bussò tre volte, si fermò, poi ribussò tre volte e la
porta si aprì. Sulla soglia comparve un elfo con la pelle marrone scuro
e gli occhi d’argento, indossava solo una tunica color porpora che gli
arrivava alle caviglie, con ricamato il simbolo di un’aquila. L’Elfo
della Terra fece un rapido cenno di capo.
« Veniamo da lontano e dobbiamo parlare con Dun Morongh, il
Grande Saggio, ditegli… ».
L’Elfo della Terra alzò una mano per farlo tacere: «
Il Grande Saggio non è al castello ».
« Non è al castello? » gli fece eco Menfys, confuso.
« Sì! » l’elfo parve irritato dalla ripetizione « Ritornerà
tra qualche giorno ».
La porta si chiuse con un tonfo secco.
« Oh, che maleducato! » esclamai irritata, alla porta chiusa
del castello.
« Non importa. Vieni con me ».
Menfys mi prese per un braccio, per impedirmi di tirare un
calcio alla porta, e iniziò a trascinarmi. Sentire la sua stretta,
sicura e decisa, mi fece pizzicare il braccio. Mi liberai dalla sua
mano.
Andiamo Elieeen!
« Dove andiamo? ».
« Dovremmo pur alloggiare in qualche posto, no? » rispose
Menfys, lanciandomi un’occhiata ironica.
Mi condusse per le vie della città, nuovamente attraverso i
mercati e la confusione. Alla fine ci fermammo davanti a una piccola
casetta di mattoni grigi, che si trovava alla fine di una piccola
strada silenziosa. Menfys bussò più e più volte.
« Arrivo arrivo » rispose una vocetta da dietro la porta «
Quanta fretta! ».
La porta si aprì e comparve un’elfa con i lunghi capelli
bianchi e gli occhi verdi, dello stesso identico taglio di quelli di
Menfys. Era un po’ incurvata dall’età, ma il suo volto non aveva
nemmeno un segno che tradisse i suoi anni. Il suo sguardo attento
saettò sotto i nostri cappucci. All’improvviso si gettò su Menfys: «
Menfys! Sei tornato! Ma dove sei stato? Chi è lei? ».
Menfys si districò ridendo dall’abbraccio dell’elfa, che si
risistemò i tanti scialli che aveva sulle spalle.
« Ah, questi giovani d'oggi scapestrati! » borbottò l’elfa «
Ma dove sono finite le mie buone maniere… avanti, avanti, entrate!
».
La casa era calda e accogliente, anche se aveva solo tre
stanze: il bagno, dove c’era una vasca di legno, piena d’acqua calda;
la stanza per dormire, dove c’erano due letti, fatti di uno strano
legno verde; e infine il salone, dove era acceso un piccolo fuoco con
dei rametti secchi. Un buon profumo di lavanda era sparso in tutta la
casa. Menfys, continuando a ridacchiare, si sfilò il mantello di dosso
ed io lo imitai.
« Elien » ci presentò Menfys con un sorriso « Questa è mia
nonna Unia, nonna questa è Elien ».
« Nonna? » chiesi stupita.
Menfys annuì.
« Gialien, che nome singolare » borbottò la vecchietta.
« No, mi chiamo Elien » ripetei, alzando la voce e
trattenendo un risolino.
Menfys mi ammiccò con i suoi splendidi occhi verdi, che mi
faceva confusione vedere replicati sul volto di Unia.
« Non farci caso, è un po’ sorda » mi mormorò sorridendo
ancora, poi alzò la voce: « Nonna, noi vorremo farci un bagno ».
« Prego cari, fate pure! » rispose Unia, avvicinandosi al
fuocherello « Io intanto preparerò qualcosa da mangiare. Siete così
patiti! » e ci lanciò un’occhiata contrariata.
« Ti dispiace se mi lavo prima io? » chiesi a Menfys.
Finalmente un bel bagno!
Non vedevo l’ora di lavarmi, dopo tutto il cammino che avevamo fatto.
Menfys annuì.
« Quel legno non si romperà? » dissi indicando la vasca di
legno nell’altra stanza.
« No, è magico! » ribatté Menfys, senza nemmeno guardare « Ti
porterò dei nuovi vestiti, i tuoi sono rovinati ».
Entrai nella stanza e chiusi la porta, mi spogliai ed entrai
velocemente nella vasca, allora l’aria si riempì di caldo vapore e
chiusi gli occhi, rilassandomi.
Erano successe tante cose da quando avevo lasciato i
centauri. Sentii nostalgia di Cadea. Poi i miei pensieri si
soffermarono su Menfys. Perché stava facendo tutto questo per me? No,
non per me, ma per il Popolo degli Elfi che aveva bisogno di me… Aprii
gli occhi e sospirai, afflitta.
Non ero in grado di farlo.
Io... volevo solo riscattarmi per quello che avevo commesso.
Ma la magia che avevo dentro di me era potente e incontrollabile.
Rabbrividii.
Decisi che non avrei più permesso che sfuggisse al mio controllo,
ancora una volta.
« Ecco i vestiti! » disse Menfys dall’altra stanza.
Gli abiti comparirono all’improvviso, al posto dei miei
indumenti logori e consumati. Controvoglia, uscii dalla vasca, mi
asciugai con un panno, presi i miei nuovi capi e li indossai: erano una
maglietta beige a maniche lunghe che terminavano molto larghe, dei
pantaloni stretti e infine degli stivali marroni che arrivavano sotto
il ginocchio, fasciandomi il polpaccio. Saggiai il tessuto degli
stivali. Entrai nella stanza e Menfys mi guardò.
Feci un giro su me stessa e sorrisi: « Grazie
dei vestiti. Sono molto comodi ».
« Non mi devi ringraziare… comunque non c’è di che » anche
lui sorrise.
« La cena » annunciò Unia, porgendoci un piatto di frutta e
carne, dal sapore squisito.
La mattina, dopo aver fatto la colazione, che aveva preparato
Unia, mi avvicinai a Menfys, sicura.
Ormai avevo deciso.
« Insegnami la magia ».
Menfys, allarmato, guardò Unia, che apparentemente sembrava
non aver sentito e continuava a lavare i suoi scialli nella vasca del
bagno.
L’elfo si protese verso di me: « Perché? » sussurrò cercando
di non farsi sentire dall’anziana elfa.
« Perché non sfugga più al mio controllo » risposi.
« D’accordo » assentì Menfys senza esitare « Lo farò solo se
mi ascolterai e non farai sciocchezze. Prometti? ».
« Prometto » dissi portando una mano al petto, poi chiesi: «
Per le sciocchezze, intendi come quello che è successo nella foresta?
».
« No. Tu hai molta magia dentro di te e senza volerlo l’hai
evocata; per sciocchezze intendo dire che non ne devi abusare… ma
adesso ascoltami… » Menfys s’interruppe, per pensare a come iniziare,
dopo un po’ riprese: « La magia scorre nel corpo degli elfi, nel nostro
sangue, però, poiché sei mezza umana, per te, evocarla sarà più
difficile e al principio anche faticoso. Quindi comincerò a insegnarti
alcune magie insignificanti e piccoli incantesimi di guarigione». Detto
ciò mi guardò, poi continuò: « Per evocare la magia devi concentranti.
Devi pensare intensamente alla cosa che vuoi fare, ad esempio se vuoi
evocare il fuoco devi pensare intensamente al fuoco. A quel punto devi
pronunciare l’incantesimo… » si fermò, titubante « Capito? ».
« Sì ».
« Ricordarti che con la magia non puoi né cambiare o fermare
il tempo, né riportare in vita persone che non ci sono più… la pena
sarebbe diventare come loro ».
Rabbrividii, capendo quello che voleva dire Menfys.
« Adesso prova a far alzare questo stivale » si sfilò la
scarpa e me la mise tra le mani.
Lo guardai confusa.
« Prova! L’incantesimo è: Levit
Corpo ».
« Levit Corpo »
ripetei piano.
« Esatto ».
Guardai intensamente lo stivale che tenevo tra le mani e
ripetei l’incantesimo. Lo stivale non si mosse. Avevo gli occhi pieni
di lacrime, a forza di guardarlo intensamente. Sentii Menfys che
tratteneva il respiro.
Stava forse ridendo di me?
Sospirai e tornai con i pensieri sullo stivale, all’improvviso nella
mente sentii qualcosa d’intenso. Era come un sottile pensiero, ma non
il mio: era la magia. Mi
concentrai con più forza: « Levit
Corpo! ».
Lo stivale tremò e si sollevò di pochi centimetri dalla mia
mano. Sentii mancare le forze.
Menfys mi trattenne, guardandomi ansioso: « Stai bene?
».
« Sì » sussurrai, ansimando « Sto bene ».
« Sei stata brava » un sorriso comparì sul volto di Menfys,
mentre si rinfilava lo stivale.
« Non capisco… » feci un grande sospiro per ritrovare l’aria
che sentivo mancare « Come mai sono rimasta senza forze per usare così
poco potere? » chiesi, respirando rumorosamente. Menfys mi
trattenne di nuovo, mentre rischiavo di cadere in avanti.
« È per quello che ti ho spiegato prima. La tua parte umana
rende tutto più difficile, ma imparerai presto ».
« Eppure nella foresta non ho sentito niente. È venuto…
spontaneo ».
« Come tu hai detto, nella foresta è venuto spontaneo. La
magia è esplosa da sola e non sei riuscita a controllarla. A volte
succede negli elfi bambini quando scoprono il loro potere » sorrise
incoraggiante « Non preoccuparti, quando sarai abbastanza forte non
sentirai più la fatica e potrai fare anche gli incantesimi più
difficili, senza stancarti ».
Sperai che quel momento arrivasse al più presto.
Quando le forze tornarono, mi liberai dalla presa di Menfys:
« Grazie ».
« Cosa… ».
Non seppi che cosa Menfys volesse dirmi, perché Unia comparì
nella stanza, e lui s’interruppe guardando la nonna con sguardo
innocente.
Unia reclinò la testa: « Non so di che cosa
state borbottando, ma questo non mi piace ».
« Non ti preoccupare nonna. Va tutto bene » Menfys continuava
ad avere quello sguardo innocente.
Unia annuì, e poi si rivolse a me: « Da dove vieni, cara? ».
Guardai Menfys, incerta sulla domanda; però mi restituì uno sguardo
confuso.
« Sono di Danases, Unia. Perché? ».
« Perché è strano che tu sia un mezzo elfo. Sono anni che non
si vedono umani, e l’ultimo che ha messo piede a Danases è stato il re
Elvisier, circa sedici anni fa, per firmare il trattato… ».
Guardai di nuovo Menfys, in cerca di aiuto.
Lui intuì il mio sguardo e mentì prontamente, senza esitazione, tanto
che credei anch’io a quello che stava dicendo: «
La sua bisnonna era umana, e lei ha ereditato il colore della sua pelle
».
Unia aggrottò gli obliqui sopraccigli, ma non disse niente.
« Quale trattato? » domandai gentilmente a Unia, ricordandomi
delle sue parole.
« No grazie, cara » replicò Unia « Ho già fatto il bucato » e
agitò la cesta che aveva sottobraccio.
« Quale trattato firmò mio pa… il Re!? » esclamai, paziente,
alzando la voce.
Unia fece segno di aver capito: « La
mia memoria fa un po’ cilecca. Credo, però, che sia stato il trattato
per l’esilio dei draghi… ».
« Cosa? » domandai stupita.
Sapevo che i Draghi avevano causato non pochi problemi agli Elfi,
tuttavia Danases era anche la loro terra. Menfys si strinse le spalle,
al mio sguardo indagatore.
« E dove sarebbero andati i draghi? » continuai a
chiedere.
« Non lo so, mia cara... sicuramente lontano da qui, lontano
da Danases… » Unia s’interruppe, osservandomi « Mia cara! Sei
completamene bianca. Siediti sulla sedia, mentre io vado fuori » disse
tranquilla, e uscì dalla casa per stendere al sole il bucato appena
fatto.
« Non è possibile… » commentai, sedendomi su una sedia di
legno « Non è possibile! ».
« Elien… » esordì Menfys, che sembrava perplesso delle parole
di sua nonna « Forse non aveva scelta… ».
« No, Menfys. Non è possibile che mio padre abbia cercato di
esiliare i draghi. Non possono vivere in altri posti, se non a Danases…
».
« Hai ragione » assentì lui « Forse mia nonna si è
confusa. Nella biblioteca del Palazzo non ho mai visto questo trattato
».
Sollevata, balzai in piedi, rovesciando la sedia su cui ero seduta.
Corsi alla porta e l’aprii. Notai, però, che Menfys non si era
mosso.
« Andiamo! » lo esortai.
« Dove? » fece, guardandomi incerto.
« Andiamo Menfys! Andiamo alla biblioteca! ».
Menfys trasalì, corse alla porta e la chiuse di scatto.
« Anche se io ci sono stato, Elien, solo il Grande Saggio ci
può entrare. Alcuni non sanno nemmeno che esiste » aggiunse dopo poco,
mormorando.
« Ma io lo devo sapere… capisci, Menfys? ».
Guardai il suo splendido volto mestamente, cercando di
convincerlo. Menfys cercò di distogliere lo sguardo, ma io lo inchiodai
con il mio, come avevo fatto lui quando aveva cercato di ingannarmi.
Con una soddisfatta gioia, notai che stava combattendo una penosa lotta
interiore. Esattamente non so cosa stavo facendo, se incantandolo o
solo semplicemente fargli gli occhi dolci... ma qualunque cosa fosse,
funzionò.
« Oh… e va bene! » sbottò infine, furioso con se stesso. Poi abbassò la
voce: « Questa sera ».
« Grazie, Menfys » lo ringraziai, sincera.
Dovevo assolutamente sapere di quel trattato.
« Il Grande Saggio mi ucciderà… Oh, se mi ucciderà » borbottò
Menfys tra sé, pentito.
Il pomeriggio passava lentamente mentre aspettavamo la sera.
Saremmo entrati nel palazzo a notte fonda.
Scese l’oscurità e, finalmente, un ululato di un lupo lontano annunciò
la mezzanotte. Uscimmo da casa attenti a non svegliare Unia e ci
avviammo per le strade deserte della città. Entrammo nel castello
attraverso la porta posteriore, che era stranamente incustodita.
Alla faccia della sicurezza!
Menfys la spalancò con un incantesimo e mi guidò attraverso un
intricato percorso di corridoi oscuri, finché non si fermò e aprì una
porta. Sentii una zaffata di polvere sul volto: eravamo nella
biblioteca. Menfys accese con la magia una fiaccola che stava attaccata
alla parete.
« Di qua » indicò un sudicio scaffale alla nostra destra.
Notai che era pieno di pergamene polverose, che sembravano
così antiche da sbriciolarsi, da un momento all’altro.
« Cerca qui. Mi raccomando, fai attenzione » mi ammonì
Menfys.
Silenziosa, iniziai a cercare, alla flebile luce della
fiaccola, aprendo alcune pergamene. Spaventata osservai tutti quei
segni. Era da tanto che non leggevo qualcosa e non ricordavo tutte le
lezioni di Cadea.
« Menfys, che cosa significa questo segno? ».
Menfys, confuso, alzò lo sguardo su di me, sbirciò la
pergamena che avevo in mano e poi rispose: « È una T ».
Leggendo lentamente, decifrando il significato dei segni, mi
balzarono agli occhi parole come: re, regina, pace, alleanza, draghi,
Elien…
Contemplai stupita la pergamena. Cosa ci faceva il mio nome
lì? Guardai Menfys che si affaccendava con un foglio sporco e nero; poi
abbassai di nuovo lo sguardo su quello che avevo in mano e iniziai a
leggere.
Io, Raene Shamira Rugiada, regina
di Danases, detto qui di seguito le mie ultime volontà, sperando che
saranno rispettate quando il mio corpo diventerà spirito.
A mia figlia, Elien Raene
Rugiada, com’è giusto che sia, lascio in eredità il regno di Danases,
che confido, regnerà con lealtà, amore e lungimiranza.
Al Grande Saggio Dun Morongh, mio
leale amico, dono tutti i miei libri sulle scienze naturali e la magia;
gli lascio anche, in custodia, Castello Argento in modo che lo conservi
fino a quando mia figlia non diventi regina.
Al Grande Saggio della Terra
lascio il mio baule dei Regni Lontani e tutto il suo contenuto; al
Grande Saggio dell’Acqua lascio i miei fogli con le mie ricerche e il
mio magico barometro, so che ne farà buon uso. Infine, come mio ultimo
desiderio, vorrei che Menfylius Wiliam Stoker Dalinus…
Una parte della pergamena era rovinata, e alla fine riuscivo
a leggere solo la firma di mia madre e di mio padre.
Il foglio portava la data di sedici anni fa.
Allora era quello.
Era il trattato che mio padre doveva firmare, e non l’esilio
dei draghi.
Sospirai, sollevata.
« Menfylius Wiliam Stoker Dalinus » sussurrai.
Il nome mi ricordava qualcuno, ma non riuscivo a capire chi fosse.
Si senti un sordo tonfo.
« Come? » esclamò Menfys. Aveva fatto cadere alcune pergamene
e con un grugnito le rimise al loro posto. Poi su voltò verso di me,
guardandomi confuso e… imbarazzato, mi domandò: « Come fai a saperlo?
».
Gli restituii uno sguardo confuso più del suo: « Cosa? ».
« Il mio vero nome. Come fai a saperlo? ».
Lo guardai stupita. Che cosa ci faceva Menfys nel testamento
di mia madre? Gli feci vedere la pergamena.
« Conoscevi mia madre? » gli domandai, dopo che la
lesse.
Menfys non rispose, continuò a contemplare la pergamena, in
un silenzio quasi solenne.
Menfylius Wiliam Stoker Dalinus.
Mi misi una mano davanti alla bocca per resistere alla
tentazione. Menfys mi lanciò un’occhiata sospettosa, però non ce la
feci più. Scoppiai a ridere così forte da sbattere i pugni per terra.
L’eco delle mie risate echeggiava per tutta la biblioteca.
« Non è colpa mia se ho un nome così » sbottò Menfys sulla
difensiva, mentre ululavo dalle risate tenendomi la pancia dolorante.
Mi guardò risentito: « Basta! adesso andiamo via, abbiamo trovato
quello che stavi cercando».
Senza smettere di ridacchiare, aiutai Menfys a mettere a
posto tutti i documenti che avevamo preso dallo scaffale. Quando l’elfo
uscì, io esitai, poi decisi di lasciare lì, nella biblioteca, il
testamento di mia madre.
Il terzo giorno che ci trovavamo a Tedrasys, Menfys si
preoccupò che il Grande Saggio non ci avesse ancora ricevuti.
« Deve essere tornato » disse all’improvviso, mentre mangiava con
piacere la colazione di pane con la marmellata di prugne, fatta dalla
nonna, e latte.
Capii a chi si riferiva.
« Vado a trovarlo » asserì.
« Fe no ti ascolfa? » domandai, preoccupata, con la bocca
piena di pane.
« Mi ascolterà. Adesso vado. Tu aspetta qui ».
Il boccone mi andò di traverso quando udii le sue parole e
tossii.
Deglutii, agitata: « Io vengo con te! ».
« No ».
« Sì! » esclamai. Non volevo restare da sola. E poi, il
Grande Saggio voleva vedere me, no? « Vengo
anch’io ».
« No »
« Sì! »
« Va bene! » accettò, esasperato « Verrai con me ».
Menfys guardò Unia, che ci occhieggiava dall’altra camera.
« Nonna, noi andiamo dal Grande Saggio, non so se ci
rivedremo ».
Unia si avvicinò e strinse Menfys in un abbraccio, dicendo: «
Mi raccomando: state attenti » e poi abbracciò anche me, chiedendomi di
tenere d’occhio suo nipote.
Ridacchiai e Menfys alzò gli occhi al cielo.
Proprio quando stavamo per uscire dall’alloggio, venne verso
di noi un Elfo della Terra. Lo stesso che, quando eravamo appena
arrivati, ci aveva detto che il Grande Saggio non era in città.
« Il Grande Saggio vi sta aspettando nella stanza argentata ».
Ci fece cenno di seguirlo, poi iniziò a camminare.
Io e Menfys lo seguimmo per la città, fino al castello.
Questa volta, al contrario della prima, continuammo a
camminare lungo la strada più grande, senza svoltare in piccole vie, ed
entrammo dalla porta principale che l’elfo aprì con un semplice battito
di mani.
Un’esclamazione meravigliata uscì dalle mie labbra, quando ci
ritrovammo all’interno, facendo sorridere Menfys. Mi guardai intorno
accecata, tutto il palazzo risplendeva di luce propria. Le lampade
argentate appese ad ogni porta, insieme alle enormi e luminose
finestre, rischiaravano i larghi corridoi dove numerosi elfi correvano
da una stanza all’altra.
Nessuno ci rivolse uno sguardo, perché erano tutti presi dalle loro
faccende. Meglio così.
Il palazzo si ergeva su tre piani, collegati fra loro tramite
una grande scala argentata che s’innalzava a spirale; sui suoi alti
scalini risuonavano i nostri passi, mentre la salivamo. Finalmente,
dopo aver passato un’infinità di stanze, dalle porte chiuse, ci
fermammo davanti a una del terzo piano dai contorni argentati.
Quella era la stanza del Grande Saggio.
L’Elfo della Terra se ne andò, silenzioso, lasciandoci soli, e io
sentii crescere l’agitazione davanti all’ingresso chiuso.
All’improvviso la porta si aprì lentamente, e da sola, verso l’interno.
Menfys, dopo avermi lanciato un’occhiata di sottecchi, mi fece segno ed
entrammo nella stanza. Sul muro alla nostra destra c’era una
grandissima libreria, con molti volumi dai titoli dorati. Invece sulle
altre pareti c’era un’enorme finestra da cui, affacciandosi, si
riusciva a vedere una parte della città di Tedrasys. Infine al centro
della stanza era posizionato un tavolo e seduto su una sedia di legno,
dando le spalle alla bellissima veduta della città, c’era un elfo.
Il Grande Saggio aveva una lunga barba, che ricadeva sul
tavolo come sottile pioggia, era argentata come i lunghi capelli che
teneva legati in una coda. Indossava una lunga tunica scarlatta dai
ricami dorati, che rendeva ancor più esile la sua magra e bassa figura.
Gli occhi castani, profondi e sapienti, circondati da una ragnatela di
rughe, s’illuminarono insieme al suo volto quando si posarono su di me.
Tutto il suo aspetto mostrava una grande saggezza ed esperienza. Mi
chiesi come all’inizio avessi fatto a dubitare di lui, poiché
continuava a guardarmi con un’espressione dolce, come se avesse
rincontrato una figlia che non vedeva da tempo.
« Benvenuti Menfys ed Elien » disse, sorridendo e mostrando
dei piccoli denti splendenti « Io sono Dun Morongh, chiamato
semplicemente il Grande Saggio » disse rivolgendosi a me.
Menfys chinò il capo, invece io mi fermai incerta, reclinando
un po’ la testa a mo’ di saluto.
« Ho saputo che avete avuto… uhm… dei contrattempi per
arrivare qua » proferì il Grande Saggio, unendo i polpastrelli e
lanciandomi un’occhiata al di sopra delle sue mani. Si stava riferendo
ai draghi. Guardai l’anziano elfo, e mormorai piano, per non disturbare
lo strano silenzio che aleggiava tra noi: « Credo che lei sappia il
perché ».
Il Grande Saggio annuì e cominciò a raccontare: «Tua madre
Raene aveva rubato l’uovo ai draghi… no, lasciami continuare Elien… »
aggiunse, notando che volevo dire qualcosa. Chiusi la bocca di scatto e
lui continuò: « Rubando l’uovo, Raene sapeva che forse si poteva
schiudere e legare a sua figlia, così che quando fosse tornata a
Danases avesse dalla sua parte un drago che la potesse aiutare ».
« Come faceva mia madre a sapere che l’uovo si fosse schiuso
per me? ».
« Non lo sapeva, lo sperava » ammise Dun Morongh « E di
solito le sue supposizioni erano sempre vere » sospirò, osservandomi «
Vedere te è come se lei fosse ancora viva: le assomigli moltissimo ».
Il silenzio riscese tra noi.
« Che cosa vuole da me? » chiesi infine.
« Lascia che ti narri una storia, Elien » disse il Grande
Saggio, poi iniziò: « Molti secoli e secoli fa, Danases non era come
adesso è conosciuto, ma era un mondo enorme, senza confini. Un solo
sovrano non poteva occuparsi di un territorio così grande, perciò il
mondo venne diviso in due: Danases, il regno degli Elfi, ed Astrakan,
il regno degli Umani. Tuo padre era il re di Astrakan e tua madre era
la regina di Danases. Il loro fu un matrimonio di convenienza, anche se
pieno di amore. Dopo che si sposarono, per anni, regnò la pace, fino a
quando, a Danases, successe un terribile errore. Un elfo, per sbaglio,
uccise un cucciolo di drago…».
A quelle parole, sentii il cuore fermarsi.
No, no, no…
« Quell’elfo ero io! » esclamai, accucciandomi a terra e
prendendomi la testa fra le mani, continuando a urlare « Sono stata io!
Io ho ucciso quel cucciolo di drago! » chiusi gli occhi, sentendo le
lacrime rigarmi il viso « Lui era lì, davanti a me, e all’improvviso la
magia è uscita fuori senza controllo, e un momento dopo, il drago non
c’era più… ».
Anche se erano passati undici anni, rividi la scena davanti
ai miei occhi. Udii il gemito del piccolo drago, come se fosse ancora
davanti a me e mi sentii un mostro.
La mia voce s’incrinò e si affievolì. Cercai di riprendere il
controllo.
« Sono stata io! » ammetterlo, così esplicitamente, a
qualcuno mi fece sentire meglio. Lanciai un’occhiata a Menfys, appena
in tempo per vederlo guardarmi stupito e poi nascondere le sue emozioni
dietro uno sguardo indecifrabile. Alzai gli occhi e guardai il Grande
Saggio con sfida.
« Sono un mostro e voi volete che trovi una soluzione alla
guerra che ho causato io stessa? ».
« Da quel giorno in poi » finì Dun Morongh, pacato, come se
io non lo avessi mai interrotto « I draghi hanno dichiarato guerra agli
Elfi; invece Astrakan era in subbuglio, mentre s’instaurava un nuovo
governo dopo la morte di tuo padre ».
« Non è esatto » lo corressi mentre nuove lacrime iniziavano
a uscire.
L’anziano elfo sospirò nuovamente, poi affermò: « Già, tuo padre fu
ucciso da Klopius, un umano avido di potere, che voleva impossessarsi
del suo regno ».
Menfys mi porse una mano per aiutare ad alzarmi. Lo spinsi
via. Il Grande Saggio mi guardò mentre mi alzavo lentamente da terra,
asciugandomi il volto con una mano tremante.
« Elien tu non sei un mostro. Ti trovavi semplicemente nel
posto sbagliato al momento sbagliato ».
Soffocai la mia frustrazione: « Bella consolazione! ».
« Il destino è stato infausto con te, ma un modo c’è per
rimediare ».
« Che cosa possiamo fare, Grande Saggio? » domandò Menfys.
Lo guardai stupita. Possiamo?
Perché parlava al plurale?
« Domanda adeguata, mio caro Menfys! » ribatté il Grande
Saggio « Per diventare regina del mondo di Danases, bisogna possedere
la Corona Argentata con le tre Pietre Elemento » si alzò dalla sedia e
si avvicino alla grande libreria, da dove, con un agile movimento, tirò
fuori una grande pergamena arrotolata, la poggiò sul tavolo e l’aprì.
« Questa è la mappa di Danases » asserì Dun Morongh e fece un
vago gesto verso la mappa « Le Pietre Elemento sono in diversi luoghi
di Danases » mi sorrise « Le pietre elemento controllano tutti gli
elfi… Gli elfi della Terra, gli elfi dell’Acqua e gli Elfi dell’Aria…
Sono gli Elementi allo stato puro ».
« Non capisco » dissi con voce tremula.
« Devi sapere che tantissimi secoli e secoli addietro gli
elfi della Terra, dell’Aria e dell’Acqua erano un solo popolo, tutti e
tre gli elementi in mano ad un popolo. Il potere era troppo in mano
agli elfi e li avrebbe consumati tutti, così si decise di dividere il
potere. Gli elfi plasmarono le tre Pietre Elemento e visto che i tre
popoli non potevano governarsi da soli, decisero che l’unico elfo che
poteva comandarli tutti e tre, cioè diventare Re o Regina, doveva
essere abbastanza forte da controllare i tre elementi, così si
forgiarono la Corona d’Argento dove incastonarono le tre Pietre
Elemento. Da quando tua madre è morta, abbiamo deciso di nascondere le
tre pietre elemento in posti diversi, in modo che nessuno se ne potesse
impossessare, altrimenti usata da un elfo qualunque, la pietra lo
distruggerebbe ».
« Dove si trova la corona d’Argento? » domandò Menfys.
« È qui con me ».
Il palmo del Grande Saggio s’illuminò e sulla sua mano
comparve una corona opaca con tre fori, dove, pensai, andavano
collocate le tre pietre. Alzai lo sguardo sul volto di Dun Morongh e
notai che mi stava osservando, come in attesa.
« Ancora volete che io aiuti i Draghi e gli Elfi? ».
« Per riscattare l’errore che il destino ti ha voluto far
compiere ».
Sospirai: « Dove si trovano le Pietre Elemento? ».
Gli occhi del Grande Saggio ebbero un guizzo e si avvicinò: «
Metti le mani sulla corona e concentrati su di lei. Credo che non sarà
molto piacevole ».
Anche se un po’ impaurita, feci come mi era stato detto.
« È fredda » mormorai.
All’improvviso la corona s’illuminò e sentii un forte
pizzicore alle mani, dove la corona stava lentamente sprofondando.
Ci fu un bagliore e poi più nulla. La corona era scomparsa
dentro di me. Mi guardai le mani, impietrita e sbalordita.
« È stato… » non riuscivo a trovare le parole.
« Non devi dare spiegazioni » m’interruppe il Grande Saggio,
guardandomi con tenerezza. Poi chiamò qualcuno: «Mavina!».
Nella stanza apparve un’elfa dalla carnagione azzurra.
« Sì, Grande Saggio? ».
« Accompagnaresti Elien nella mia stanza? » le chiese con
gentilezza e quella annuì.
Dun Morongh si rivolse nuovamente a me: « Ora segui Mavina. Dove si
trovano le pietre lo spiegherò a Menfys. Ti rivedrò quando avrai
portato a termine il tuo compito e sarai diventata Regina ».
Mmm, era ottimista!
Mavina mi fece un segno e la seguii. Menfys rimase immobile a
guardarmi.
Mi trovavo già sulla soglia della porta, quando l’anziano elfo mi
richiamò.
« Naturalmente questa cosa deve restare tra noi ».
« Sì » feci per uscire ma poi mi ricordai di una cosa.
Esitai: « Grande Saggio? ».
« Dimmi, ragazza mia ».
« Quindi Menfys continuerà il viaggio con me? ».
Menfys mi guardò intensamente, e poi sorrise: «
Certo, Elien ».
Arrossii imbarazzata, quando mi resi conto di quanto mi
avessero resa felice le sue parole. Non sarei stata sola. Da quanto
avevo lasciato i centauri Menfys era sempre stato con me, non avrei
saputo immaginare questa avventura senza di lui. Ringraziai, salutai il
Grande Saggio e infine uscii dalla porta dove mi attendeva l’Elfa
dell’Acqua.
Tenevo la corona tra le mani, sentendo il freddo percorrermi
tutto il corpo. La guardavo, aspettando Menfys. Era già da un po’ di
tempo che si trovava dal Grande Saggio.
La corona era fredda e la sua energia si stava spegnendo,
come quella del mondo di Danases.
« Elien »
finalmente, da quando ci eravamo separate, sentivo il pensiero
familiare di Daelyshia entrare nella mia testa.
« Daelyshia, dove sei?
» nella mia mente balenarono delle immagini di una collinetta, appena
fuori di Tedrasys.
« Daelyshia ti devo
raccontare cosa è accaduto… » e iniziai a narrarle quello che mi
era successo nella stanza con il Grande Saggio. Quando terminai le
domandai: « Allora che ne pensi?
».
« Penso che sarà
un’avventura magnifica ».
« Tu lo sapevi. Vero?
» le chiesi, timorosa della sua risposta « Del cucciolo di drago… ».
Per alcuni secondi Daelyshia rimase in silenzio.
« Sì » rispose
infine « Lo sapevo fin da quando mi
sono legata a te, ma non l’avrei fatto, se non avessi creduto in te…
».
All’improvviso la porta si aprì e il mio contatto con
Daelyshia si affievolì. Menfys entrò nella stanza con una mappa in
mano. Riassorbii la corona dentro di me e gli andai vicino.
« Menfys, cosa ti ha detto il Saggio? ».
« Ti dirò tutto domani, insieme a Ogard e
Daelyshia, dovranno esserci anche loro ».
Angolo autrice:
Buonasera a tutti! Si è fatto attendere ma questo capitolo è bello
lungo :)
Finalmente Elien è arrivata a Tedrasys e ha parlato con il Grande
Saggio. Adesso avete scoperto qual è stato il crimine di Elien, ma
vedremo se saprà rimediare. Diciamo che da adesso inizia la vera grande
avventura. E non sarà per niente facile! ...Ma non fatemi spoilerare
niente :P
Alla prossima!
Chiara
|