Patto d'inchiostro.

di Gy_98
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Parte prima. «…se ti interessasse davvero, verresti qui a chiedermelo.» «No, resto qui.» «Allora smettila di ripetere che non capisci!» La voce era la stessa, da entrambe le parti. Jason l'aveva sentita la prima volta prima di tirare un calcio alla palla e continuava a sentirla adesso, anche a distanza di metri. Era una voce calda, acuta, eppure delicata. Gli sembrava che stesse recitando un copione. Si strinse la palla contro il petto e si avvicinò lentamente, cercando di non fare troppo rumore, soppesando ogni passo. Le foglie seccate dall'autunno gracchiarono sotto le sue scarpe da ginnastica, ma per fortuna lei non udì il rumore. Jason raggiunse il retro della casa appena prima di svoltare l’angolo e ci si appiattì contro, sbirciando solo da un lato. Era una bambina. Doveva avere al massimo una decina d’anni, ma era bassa, più bassa delle ragazzine di dieci anni che conosceva, perciò lui non sapeva dirlo con sicurezza. Continuava a parlare ad alta voce, alla luce del tramonto di quel giovedì di settembre, camminando avanti e indietro e guardando nel cielo, di tanto in tanto. Non si era accorta di essere osservata. Jason assottigliò lo sguardo, sorprendendosi del colore dei capelli di lei: erano neri, i più neri che avesse mai visto, raccolti in una coda arrangiata un po' alla rinfusa, a cui alcuni ciuffi ribelli sfuggivano. Indossava una camicetta bianca a righe blu, stretta in vita da un paio di jeans scoloriti, e ai polsi portava un orologio digitale. Nonostante, per lui, quelle che continuava a ripetere fossero parole all'apparenza senza alcun senso logico, non se ne andò, non si mosse dal suo nascondiglio. La staccionata di legno gli impediva la vista completa, ma Jason riusciva a sbirciare attraverso le fessure tra le assi; sembrava uno scricciolo, un essere minuto che, tuttavia, era dotato di grande forza. Il bambino poteva leggerlo nel suo sguardo determinato e avrebbe voluto più di ogni altra cosa riuscire a scorgere il colore di quegli occhi grandi, cosa che gli era impossibile, data la lontananza. «Non capisco cosa stai dicendo!» Il ragazzino trasalì per lo sconcerto percepito in quelle parole, mentre seguiva con lo sguardo la bambina girare su se stessa e indietreggiare a passi rapidi. Ebbe paura che sarebbe caduta, ma non riuscì a muoversi per sorreggerla e proteggerla dall'attacco di qualcuno che non c'era. Morire? La mia vita? La bambina si schermò gli occhi, buttandosi nel prato e rotolando su un fianco. Vattene via! Lasciami stare! Cominciò a singhiozzare, sempre più violentemente finché Jason non decise di smuovere i piedi dal terreno per correre ad aiutarla. «Jason, tesoro!» La palla gli sfuggì di mano non appena sentì la voce di sua madre chiamarlo in lontananza. Fece appena in tempo a riprenderla e a nascondersi, prima che la bambina si rialzasse, si voltasse e puntasse lo sguardo nel punto in cui era sparito. Jason non la vide, non si accorse che lei gli stava fissando la schiena mentre correva verso la voce di sua madre. La bambina rimase immobile, le braccia tese lungo i fianchi, l’espressione confusa stampata sul volto e il vento settembrino che le scompigliò la coda quando cominciò a spirare più forte. Continuò a fissare il punto ormai vuoto oltre la recinzione, con tante domande che le frullavano in testa.  Fu la prima volta che sentì quella voce, che vide quell'ombra davanti a sé, ma tutto l'episodio sparì dalla sua memoria non appena il grido di quella donna ruppe il frastuono di quel pomeriggio. Ricordò le parole che le aveva rivolto l'essere di nebbia solo molti anni dopo, quando quel ragazzino che aveva visto correre via sarebbe riapparso nella sua vita.




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