In lei erano concentrate
tutte le cose che dopo Marianna aveva cercato.
Gli era piombata addosso dal nulla, baciandosi, nascosti al fresco di
una notte estiva inaridita dall'alcool e dal vento che li aveva
graffiati tutto il giorno. Aveva visto ogni cosa nell'inconsapevole
lucidità dell'alterazione. Baciarsi, davvero, un modo di
appoggiare le labbra che non pareva giusto, rubato, parte di
ciò che un uomo non dovrebbe avere il diritto di provare. Un
furto senza senso di colpa ma senza l'adrenalina dell'avere infranto
una regola, dell'avere superato un confine. Senza rimorso, senza
superbia. Un furto stupendamente naturale, parte originaria di ogni
essere, un diritto.
Lo aveva percepito. Con lei. Prima? Forse.
E di nuovo l'abbraccio. Come si erano tenuti l'un l'altra
adagiati, sospesi tra il terrore e l'euforia, temperati dalla
stanchezza e dall'ubriachezza.
Eppure nulla pareva mediato, nulla pareva avere perso il suo volto: una
forza originaria, una potenza archetipica selvaggia ed indistruttibile,
travolgente e totalizzante che per quel breve periodo li aveva presi e
stravolti nel suo estatico vortice.
Quanto aveva divorato, quanto si era saziato, ispirando a pieni polmoni
il suo profumo, ispirandola, ispirando lei; si era riempito, forza e
vita, un fluido mesmerico che gli aveva scosso il corpo, tutto,
dall'arto all'organo: il cuore, i polmoni, le dita, la pelle, gli
occhi, le ossa, l'anima, il fiato. Uno. Ridevano delle ingenue e rozze
demarcazioni fra anima e corpo, loro, loro, loro che si concepivano
l'uno nell'altra, senza distinzione, senza parole vuote, senza
dichiarazioni, senza uno svilimento poetico di questa
realtà, senza banale idealizzazione. No. La magnificenza
della naturalità del gesto istintivo e conosciuto, non
esaltato nel suo essere incommensurabile e primordiale.
L'illusione! Questa crudele! Preso e di nuovo vivo, o vivo in modo
nuovo, in modo vero, in modo antico.
In modo bello.
Bello ed innocente, mischiato al suo passato ed ai suoi segreti. Alle
confessioni, le parole che si erano scambiati, quando le labbra si
staccavano con una dolcezza che non ricordava più, che
sognava, che aveva sognato e che aveva cercato nei modi più
ignobili e sporchi. Quelle parole, leggere non nella
quantità ma nella sostanza, sufficienti.
Apparentemente rassicuranti.
Le parole dell'illusione, della disperata convinzione di poter estrarre
quel momento e conservarlo come quotidianità, non come
ricordo.
Quando tutto crollò capì allora di essere un
vivente nel suo tempo, nella sua contingenza e complessità
allontanate per poche ore, e di avere sperato -che ingenuo!- di potere
vivere il suo tempo,
che poi sarebbe diventato il
loro tempo.
L'idealizzazione prese piede, e con essa lo sterile ricordo, fotogrammi
sparsi, impulsi del cervello da tentare di tradurre con le parole. Non
lo fece subito. Visse nel limbo. Attese, ascoltando, ascoltandosi per
la prima volta dopo molto tempo, troppo tempo. Forse era stato quello
lo scopo, quella notte, quel viaggio. Ascoltarsi, ricominciare a farlo.
Scoprì un sé stesso dimenticato. No. Non
dimenticato. Accantonato. Scorse da lontano la sua
originalità, le crepe gliela mostrarono.
Lei aveva in sé tutto quello che, dopo Marianna, aveva
cercato ed ingenuamente aspettato. E come gli era piombata addosso la
notte prima, gli era sgusciata via il giorno dopo, ad inseguire i suoi
dolori ed i suoi amori, costruiti in un mondo di cui lui non avrebbe
mai
fatto parte.
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