Brillante

di talpy
(/viewuser.php?uid=6608)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Brillante.

Aggettivo che spesso mi sono sentita accordare da diverse parti: genitori, professori, conoscenti, amici. Di recente anche un potenziale datore di lavoro mi ha definita tale, soffermandosi su tutta una serie  di potenzialità inespresse a suo parere uniche nel mio caso e degne di nota e che comunque non hanno condotto all’assunzione.
Trasparenza, senso del dovere, onestà, velocità di pensiero, curiosità.

Bene, benissimo.
Tali caratteristiche mi hanno portato ad applicarmi , sempre, in ciò che faccio: scuola, università, corsi di formazione vari ed eventuali, stage su stage su stage, colloqui su colloqui su colloqui.

Il risultato sono: due 110 e lode in una disciplina a cui nessuno frega nulla, tante belle referenze e complimenti dai miei superiori, gentili  parole da imprenditori altolocati, il  condividere la casa  con mia madre quando è dai 15 anni che sogno di andarmene, la mancanza di un lavoro, la disperazione all’idea dell’ennesimo stage, la  rassegnazione a fare qualcosa che non c’entra nulla con i 5 anni che ho passato sui libri, la melanconia  dell’accettazione, la delusione verso me stessa, l’invidia verso i  compagni che  in qualche modo ce la stanno facendo, l’amarezza del sentirsi rimasti  indietro, l’ansia del  dover trovare qualcosa, il senso di  profonda solitudine, la rabbia feroce.

Sono brillante, dicono.
Io mi sento una merda  e non mi rasserena il non condividere  valori di questa società o il compatire coloro i quali inseguono un successo fatto di  soldi e di stile di vita. Mi sento comunque una merda, perché  ho disatteso le mie speranze e le mie illusioni; arrivo alla sera troppo  stanca o demoralizzata per aprire un libro e se devo  scegliere tra vedere l’amica  trascurata causa stage sottopagato o approfondire un tema di attualità, scelgo  l’amica.

Scelgo l’evasione e il contatto umano per ridare vita alla mia anima, più che al mio pensiero. Considerando che speravo di dedicare a quest’ultimo la mia vita, direi che  sono  un bel fallimento amplificato dal fatto  che,  troppo pigra o timorosa, sto cercando di  trovare un posticino che faccia al caso mio  in questa giungla urbana appiattendomi ai suoi schemi.
Mi sento schiacciata, patetica e a tratti disgustosa nel mio farmi piacere ogni situazione, perché così è.

Quando è che ho perso la fiducia in ciò che può essere, arrendendomi all’incontrovertibile essere?
Sto seguendo il flusso, temo, e non conta più il come mi pongo rispetto agli accadimenti; essi comunque accadono in modo imperscrutabile e disinteressato e mi travolgono e non posseggo più alcuna bussola. Accetto e  mi rialzo  in  continuazione e quello che più sento è la stanchezza. Una stanchezza che  si fa ogni giorno più pesante; da mentale che era ora si tramuta in fisica.

Mi sento spossata come se fossi in continua lotta con la realtà:  una realtà brutale, come è sempre stata, non più controbilanciata dalla dimensione onirica.

Ma si può ancora ridere, perché mi dicono che, nonostante tutto, sono pur sempre un brillante.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3591079