Titolo:I due fratelli
Nickname:Blacky98
Genere:Introspettivo, Mistero, Triste
Rating:Verde
Abitazione
scelta:immagine
5
Partecipa
al concorso “Scegli un’ abitazione e crea la
storia” indetto sul forum di EFP da M.Namie
I
due
fratelli
La
brughiera scozzese si estendeva a perdita d’occhio andando a
cingere in un
abbraccio senza tempo il mare scuro e tempestoso del Nord. Il cielo
variava in
continuazione e le alte scogliere erano incessantemente battute dai
violenti
venti che alzavano gigantesche onde. Lì, incuneata tra le
rientranze, era
sospesa una casa bianchissima che mal si armonizzava con
l’ambiente circostante.
Il livello inferiore era lambito dai cavalloni più alti; ma,
immobile ed
eterea, la costruzione non mostrava segni del selvaggio tocco.
In
quell’abitazione vivevano due fratelli, che apparentemente
non mostravano di
aver più di dodici anni, eppure i loro comportamenti
denotavano una sicurezza
caratteristica delle persone adulte. I due erano soli, senza genitori e
nessun
segno indicava la loro eventuale presenza. Infatti, le foto appese alle
pareti
ritraevano solamente i due bambini. In una di esse, esposta
nell’ampio
soggiorno, illuminato a tratti dai fulmini della tempesta che stava
infuriando
fuori, si poteva osservare una bambina di circa sette anni dai lunghi
capelli
castano-rossi, in mano una medaglia; su di essa, incisa una data: 19
aprile
1998. Il significato era oscuro a tutte le persone che transitavano per
l’edificio, in verità non molte e non si fermavano
neppure; alcuni di loro
erano semplici conoscenti, altri invece, familiari o insegnanti. Anche
in
questo momento a far visita ai due ragazzini c’era uno zio.
L’uomo in questione
era alto, con i capelli castani simili in tutto e per tutto a quelli
del
nipote. Lo sguardo invece, cambiava; se quello del nipote era vacuo,
come se
non avesse consistenza, quello dell’adulto era pieno
d’affetto.
I
due stavano camminando a fianco a fianco senza sfiorarsi, come se
fossero stati
due estranei, quando le pareti, bianchissime, a dispetto
dell’apparente
normalità sembrarono restringersi man mano che essi
avanzavano verso il cuore
della casa. La luce delle fibre ottiche incastonate nel soffitto non
illuminava
molto, anzi si accendevano e spegnavano a intermittenza, facendo
precipitare il
corridoio nell’oscurità, dove solo il ticchettio
delle scarpe denotava una qualche
presenza.
Da
un’altra parte della casa, la stessa bambina ritratta nelle
foto stava giocando
con dei Lego; infatti, era impegnata a ricostruire su scala ridotta
l’edificio
stesso; ma ogni volta che provava, veniva a mancare inspiegabilmente un
pezzo:
la prima volta toccò alla finestra, la seconda a un camino
mentre al terzo
turno crollò persino tutto quello che aveva creato fino
allora.
Allora
prese i vari mattoncini colorati e si lasciò ispirare dalla
sua fantasia.
Quello che ne uscì stupì persino lo zio e il
fratello, che nel frattempo erano
giunti in quell’ala. La costruzione era pericolante, ma allo
stesso tempo
affascinante, aveva una sensazione vagamente familiare.
All’improvviso la
bambina sollevò la testa e i suoi grandi occhi azzurri si
misero a fissare
prima i due, che erano ancora in piedi sulla porta, e poi il tempo
fuori. Le
gocce di pioggia scivolavano freneticamente sul vetro della grande
finestra che
dava direttamente sull’oceano, non mostrando chiaramente il
paesaggio in
tempesta.
L’urlo
raggelò tutti i presenti, le fondamenta tremarono, crepe
apparvero sui muri. Lo
stesso volto del bambino ne era cosparso, come cicatrici di colpe
inconfessabili, di paure nascoste nei meandri della mente, di
esperienze
traumatiche. Il rullio che saliva dalle cantine, si aggiunse
all’ululare del
vento all’esterno spaventando la più piccola che
nascose la testa tra le mani.
Il ragazzino spalancò la bocca, in una muta richiesta
d’aiuto, mentre dal
soffitto iniziarono a cadere calcinacci e la bufera, tutto di un tratto
non era
solo più all’esterno, ma anche
all’interno.
E
si fece notte.
Il
suono di una sveglia, di quelle antiche con meccanismi arrugginiti
risuonò
nelle stanze vuote. I mobili bianchi e neri, lisci, con qualche tocco
di verde
qua e là: su una maniglia, un’anta o una manopola
iniziarono a illuminarsi man
mano che la luce entrava dalle ampie vetrate. Il pallido sole
penetrò anche
nella grande stanza matrimoniale, dove, nel letto stavano dormendo
tranquillamente i due bambini, stretti l’uno
all’altro. I raggi irradiavano i
loro volti donandogli un aspetto angelico; ma sapevano, in cuor loro,
che la tempesta
non sarebbe tardata a piombare di nuovo nelle loro vite. A guardarli
sembravano
semplicemente due fratelli, abbandonati a se stessi da un destino
crudele,
eppure quello che stupiva di più era che entrambi erano
felici.
La
chiamavano “Casa sull’Oceano”, con grandi
vetrate e ampi spazi per giocare. Era
pure adatta a due bambini, infatti, aveva pochi sopramobili e poteva
vantare un
giardino pensile, situato sulla terrazza all’ultimo piano.
Lì, varie piante
fungevano da nascondigli perfetti.
In
realtà, la più piccola, si fermava a osservare
l’orizzonte davanti a lei e
tutti gli oggetti che prendeva in mano o costruiva, le ricordavano
qualcosa,
neanche lei sapeva bene cosa, però aveva la sensazione di
non appartenere a
quel posto.
Il
trillo di un campanello destò i due ragazzini che veloci
corsero attraverso il
salone per giungere infine alla porta. Quando la aprirono, si trovarono
davanti
ad un biglietto, poggiato per terra, con scritto sopra due nomi
“ John &
Mary”. Il foglio cadde e i loro occhi si aprirono di
meraviglia.
Fu
così che iniziarono a ricordare.
Rammentarono
di chiamarsi Charlotte e James, di avere dei genitori: anzi capirono il
significato della parola osservando le foto appese alle pareti
riempirsi di
volti fino allora sconosciuti. Andando in giro per la casa, notarono
che il
mobilio stava acquistando i colori dell’arcobaleno, le piante
rinverdivano e le
luci, poco funzionanti, smisero di avere problemi. La gioia di poter
nominare
ogni singolo oggetto o qualità secondo la loro fantasia era
indescrivibile.
Ogni gioco assumeva una nuova sfumatura e loro stessi cambiarono: i
capelli più
lucenti e gli occhi più luminosi. Persino le pareti che
prima opprimevano le
persone, sembravano ora tendere all’infinito, allargare gli
spazi.
E
venne il giorno.
Charlotte
e James erano comodamente seduti sul grande divano poiché
stavano compilando un
libretto per annotarsi tutte le nuove parole, quando la tempesta
ritornò, più
violenta di prima. I vetri furono scossi dalla furia del vento, gli
alberi
piantati nelle aiuole piegate in due e la luce saltò.
L’oscurità calò di nuovo,
fuori e dentro della casa. I due si presero per mano e iniziarono a
correre. Le
vetrate si ruppero e l’intero edificio tremò
facendo cadere a terra tutte le
fotografie. Una in particolare attirò l’attenzione
del bambino: in essa erano
ripresi tutti e quattro mentre sorridevano, sullo sfondo una casa
colorata
dalle forme bizzarre. Si fermò per raccoglierla e per poco
non finì schiacciato
da un pezzo di soffitto che stava cadendo.
Dai
sotterranei, intanto, proruppe un grido che fece oscillare il pavimento
rendendo
difficoltoso anche semplicemente camminare. La bambina, che era
più avanti,
strattonò il fratello per condurlo verso la porta, ormai
scardinata dall’impeto
della bufera.
Appena
furono usciti, un boato risuonò fragoroso alle loro spalle.
La casa si stava
accartocciando su stessa. Videro i mobili precipitare in mare aperto, i
muri
spaccarsi e sbriciolarsi con estrema facilità. Il vento
entrava nella struttura
e flagellava senza pietà le poche pareti rimaste intere. Le
onde, si alzarono
sempre di più, arrivando a toccare quello che era stato il
salone principale e
inesorabile aiutava l’altro elemento a completare la
distruzione.
I
due bambini, con le lacrime agli occhi stettero a guardare
l’edificio crollare
e lasciare nessuna traccia di sé. Davanti a loro solo
l’immensità del mare e
dall’altra parte quella della brughiera scozzese. La pioggia
lavò via tutte le
polveri che si erano alzate e anche le loro emozioni che fluivano
selvagge, non
controllate; solo un grande vuoto nel loro cuore.
Si
accucciarono e rimasero abbracciati fino a che non li colse il sonno,
tra i
loro corpi, la foto che James aveva salvato dalla devastazione.
Un
ticchettio risuonava per la stanza,
molto probabilmente provocato da una macchina da scrivere in uso. A
battere i
vecchi e consunti tasti era un giovane con i capelli castani e
l’aria assorta.
All’improvviso entrò un non-specificato uragano
che si rivelò presto essere
Olivia, un’allegra bambina di sei anni.
≤
Zio, su dai vieni a giocare con me, ti
prego…≥ chiese con tono supplicante la piccola.
≤
Va bene, adesso arrivo, intanto vai a
preparare tutto ≥ rispose dolcemente l’uomo.
Non
appena uscì la nipote, il giovane si
stiracchiò, si stropicciò gli occhi e tolse i
fogli dalla macchina da scrivere
per riporli nella cartellina all’interno del cassetto della
scrivania. Sorrise,
rileggendo il titolo “La Casa
sull’Oceano”, la tempesta poteva dirsi
definitivamente conclusa.
Appeso
ad una parte un disegno
decisamente infantile di una casa sospesa nel tempo e nello spazio,
sotto di
lei una massa scura e pericolosa. La data riportata era il 19 aprile
1998.
NdA:Ciao
a tutti. Premetto che questa storia è un esperimento e
ammetto non di facile comprensione. La casa in cui è
ambientata, non è un luogo
fisico, ma rappresenta il chiudersi in se stessi dopo un evento
traumatico: in
questo caso la morte dei genitori, per questo non figurano nella
storia. La
tempesta che infuria rappresenta il susseguirsi di emozioni violente
come la
rabbia, la delusione, ma anche la paura e la tristezza. Il ricordarsi i
propri
nomi segna il passaggio di svolta verso una nuova vita. Il crollo della
casa
invece simboleggia il tentativo dell’oscurità di
riaffermare il proprio dominio
e la conseguente sconfitta a favore di una pioggia che lava via gli
ultimi
dolori per far posto a nuove emozioni. Alla fine tutto il racconto non
è che un
pezzo di un libro scritto dal protagonista, James, che sotto forma di
metafore
vuole condividere la sua storia.
Blacky98
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