La nuova vita del professor Quasi

di The3rdLaw
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“Questo non è ciò che eri. È ciò che pensavi di essere”
 
Corre in bagno: forse una sciacquata di faccia gli rinfrescherà le idee.
Però, guardandosi allo specchio, nota qualcos’altro d’insolito: quello non è il suo aspetto, o almeno non quello che ha al giorno d’oggi. Sta guardando il se stesso di quando aveva ancora ventidue anni, quando stava quasi per pubblicare la sua serie di romanzi ed era pieno di speranze.
Rimane a fissare il suo riflesso per un tempo indefinito, finché anche sullo specchio appare un QUASI scritto in rosso.
Indietreggia. In quel momento si accorge che i suoi passi non fanno rumore.
Corre fuori. I suoi piedi neanche toccano terra. Non si chiede come sia possibile.
Lì trova un'altra sorpresa. Fuori di casa sua, infatti, non c’è la solita città, ma una distesa di terra grigia e arida, interrotta ogni tanto da qualche albero rinsecchito. Anche il cielo è grigio, come se fosse coperto da un’unica, enorme nube.
Quella vista lo mette a suo agio: sempre meglio quello della solita, caotica città.
Si guarda indietro. Non si era reso conto di essere andato tanto distante dall’uscio di casa. Poco importa, tanto non ha nessun’intenzione di tornarvi.
 
Cammina senza meta per la valle. Quell’assoluto silenzio avrebbe fatto impazzire chiunque, ma non lui.
Gli alberi si fanno sempre meno radi. Senza accorgersene, si ritrova in una foresta di alberi bruciati e di cespugli di rovi. Si graffia più di una volta, ma non sente dolore.
 
Cade in una buca. Lì c’è una scalinata che va verso il basso. La prende, anche se non riesce a vederne la fine. Di nuovo, i suoi piedi non toccano terra e va velocissimo. Si chiede se ci sia davvero qualcosa oltre le scale.
Arriva a quel qualcosa. È un lungo corridoio, illuminato da una singola lampadina quasi fulminata appesa al soffitto.
Prosegue. Anche se adesso tocca terra, non fa rumore. Niente fa rumore lì, così come non lo faceva fuori.
Qualcosa gli dice di guardarsi solo avanti. Ad un certo punto, però, non riesce più a resistere alla tentazione e si guarda a sinistra.
Un centinaio di bulbi oculari lo stanno fissando. Si guarda a destra. Stessa cosa.
Corre. Ancora una volta, non tocca più terra.
Sbatte contro una porta. Nessun tonfo, nessun dolore. Già ci ha fatto l’abitudine.
I bulbi oculari si avvicinano a lui, lo circondano. Cerca di aprire la porta: si aggrappa alla maniglia, spinge con tutte le sue forze, ma non si apre. I bulbi oculari sono a pochi millimetri da lui.
Chiude gli occhi, restando aggrappato alla maniglia. Neanche sa cosa aspettarsi.
 
Non sente più la maniglia. La porta è sparita. Quasi cade, ma riesce a recuperare l’equilibrio ed entra nel varco creato dalla mancanza della porta. Per qualche motivo, i bulbi oculari non possono entrare, ma gli bloccano l’uscita.
Deve proseguire, non ha altra scelta. Davanti a lui c’è un altro corridoio, stavolta senza nessun tipo d’illuminazione.
Il buio e il silenzio sono totali, tanto che si chiede se stia proseguendo per davvero.
Si accende una luce azzurrina. Si rende conto di trovarsi davanti a uno specchio. Il suo riflesso è ancora quello di quando aveva ventidue anni ma, forse per l’illuminazione, sembra più pallido.
Resta fermo dove stava, mentre il suo riflesso si avvicina alla cornice dello specchio. Gli fa cenno di avvicinarsi a sua volta. Lui esita. Il riflesso gli sorride.
Avanza di un passo. È vicinissimo dal toccare lo specchio, ma al riflesso non basta.
Avanza di un altro passo e poggia una mano sul vetro. Ma non c’è nessun vetro.
Entra nello specchio. Il riflesso gli fa cenno di seguirlo.
Arrivano in un ripostiglio pieno di secchi di vernice bianca.
Il riflesso ne prende uno e glielo dà insieme a un pennello. Il ripostiglio svanisce, e si ritrovano di nuovo davanti all’uscio di casa. Ora anche sulle pareti esterne ci sono i QUASI scritti in rosso.
Il riflesso indica prima una di quelle scritte, poi il paesaggio davanti a lui.
«Questo non è ciò che eri. È ciò che pensavi di essere», dice, poi sparisce.
 
Cosa vuol dire “eri”? Per quanto lo riguarda, lui è ancora. Non che il resto della frase avesse molto senso.
Ma poco importa. Ora ha della vernice bianca e un pennello, quindi coprirà quelle fastidiose scritte.
Dà un’ultima occhiata al liquido. Era diventato denso e di color rosso scuro. Com’è possibile?
Appoggia il secchio per terra, sperando che, per qualche strana legge di quel mondo, la vernice torni bianca.
Così facendo, nota che il manico da dove lo stava reggendo era anche macchiato di rosso.
Confuso, si guarda le mani. Sono interamente sporche di quello che molto probabilmente è sangue. Cerca di alzarsi le maniche, ma si rende conto che erano incollate alle sue braccia. Ritenta, e a fatica ci riesce.
Capisce cosa stesse incollando le maniche. Dei lunghi tagli sanguinanti percorrono la zona tra il gomito e il polso di entrambe le braccia.




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