mmmm
I. Allegro moderato
Un sospiro sfuggì alle sue labbra.
Da più di un'ora si rigirava tra le coperte del letto,
cercando
di dormire, o almeno trovare la calma e la tranquillità
necessarie per farlo.
Tuttavia, una parte della sua mente continuava a ripensare a tutto
quello che era successo e lo metteva in agitazione, nonostante la
stanchezza.
Voleva disperatamente
dormire.
Sbuffò, improvvisamente accaldato; rigirò il
cuscino,
calciò le lenzuola coi piedi. Poi però
sentì
nuovamente freddo e si allungò verso le coperte per coprirsi.
Continuava a ripensare alla chiamata che aveva ricevuto, qualche giorno
prima, dal suo migliore amico, Pichit Chulanont. Persino ricordare il
tono euforico con cui l'aveva salutato dall'altro capo del telefono era
capace di agitarlo.
Avevano parlato per un'ora buona del più e del meno,
dopotutto
erano già passati due anni dall'ultima volta che si erano
visti,
e poi dal nulla era venuta fuori la fatidica domanda.
"Suoni ancora, vero?"
No, avrebbe
dovuto rispondergli, il
concerto dell'anno scorso è stato un tale disastro che ho
deciso
di abbandonare definitivamente la mia carriera da pianista, e
invece aveva asserito, dicendogli che sì, suonava ancora,
quando
in realtà non toccava da mesi il suo pianoforte.
Il padre di Pichit, che era il proprietario di un'importante catena di
ristoranti in Thailandia, era stato infatti contattato da un suo
collega francese, imprenditore, e che aveva organizzato una serata di
beneficenza, per cui aveva ingaggiato diversi musicisti.
Ovviamente il ragazzo non aveva minimamente esitato a chiedere al padre
se l'imprenditore stesse cercando anche un pianista, ed era stato
proprio così che il suo nome era venuto fuori. E Yuuri aveva
accettato: forse lo aveva convinto la paga, forse voleva tornare sotto
i riflettori di nuovo.
Ma in realtà gli mancava terribilmente suonare il piano.
Quale
occasione migliore di riprendere un po' di confidenza con quello
strumento?
Il pianoforte era la sua vita.
Aveva all'incirca dieci anni quando per la
prima volta mise le mani su una tastiera,
dodici quando partecipò al suo primo concerto - nulla di
particolare, semplicemente lo spettacolo di fine anno organizzato dalla
sua scuola -.
A diciotto anni si trasferì a Detroit, in America, sperando
di acquistare un po' di fama.
Fu in quell'occasione che i due si conobbero: Pichit cercava un
coinquilino per dividere l'affitto dell'appartamento che abitava,
mentre Yuuri cercava un alloggio.
Nacque da subito una bellissima amicizia tra di loro, il ragazzo
divenne uno degli amici più cari che il giapponese avesse.
Ed
era anche l'unico a sapere che Yuuri fosse gay.
Ricordò con un sorriso la sera in cui aveva fatto la
fatidica confessione. Pichit si era limitato a rispondergli "Uhm, okay"
e a sorridergli in modo complice, lasciandolo basito; notando la sua
perplessità, l'altro era scoppiato in una risata e aveva
aggiunto "Ma dai,
Yuuri, ti ho
presentato due ragazze e ti sei praticamente rifiutato di parlare con
entrambe, e poi ho trovato alcuni dei tuoi poster di Viktor..."
Viktor Nikiforov.
Semplicemente il più grande, strepitoso, talentuoso,
spettacolare
violinista degli ultimi cinquant'anni. La sua grande cotta
adolescenziale - non che le cose fossero tanto cambiate, lo adorava
ancora -.
L'aveva sentito suonare per la prima volta in tv, in occasione di un
evento sportivo: la cerimonia d'apertura era stata infatti affidata a
un'orchestra di ragazzini, e infine era stata lasciata una parte da
solista proprio a Viktor, che all'epoca aveva quattordici anni.
Era cominciato tutto con della semplice ammirazione, ma col passare
degli anni Viktor era cresciuto e anche molto bene. Raggiunti i
diciotto anni, il bel violinista russo era diventato un vero e
proprio sex symbol.
Aveva preso a seguire ogni suo concerto in streaming, qualora fosse
possibile, acquistato ogni suo cd, ascoltato ogni suo album.
E, nonostante lo imbarazzasse ammetterlo, la sua camera era tappezzata
di poster di Viktor.
Si rigirò di nuovo nel letto, sbuffò ancora.
Basta pensare, lui doveva dormire.
L'indomani lo attendeva una serata importante ed era più che
deciso ad esibirsi al meglio.
La chiamata di Pichit era stata così improvvisa che non
aveva
provato o composto nulla di particolare, per cui aveva portato con
sé una serie di spartiti. Per non parlare del fatto che
erano mesi
che non suonava.
Si arrese all'idea di assopirsi e abbandonò il letto.
Se prima aveva pensato che i brani che aveva scelto potessero andar
bene ora non ne era più
tanto sicuro, complice la mancata pratica in tutto quel tempo.
Avesse avuto una tastiera, anche piccina, con sé, avrebbe
potuto impiegare la serata a fare qualche prova.
Doveva sicuramente esserci un pianoforte, però, nel
ristorante
dell'albergo probabilmente, ma dubitava che la sala fosse ancora aperta
a quell'ora.
Magari poteva trovare un compromesso col portiere e... Ma chi voleva
prendere in giro? Non avrebbero mai aperto per lui il salone.
Fare un tentativo però non costava nulla, no?
Si spogliò del suo pigiama, e una volta rimasto in boxer
aprì il suo unico bagaglio per tirarne fuori qualche vestito
decente.
Non ci pensò neanche due volte a prendere gli spartiti e
lasciare la camera. Impiegò solo pochi minuti per percorrere
il
corridoio del piano,
scendere le scale e infine ritrovarsi nella hall.
Dietro il bancone, sembrava attenderlo un portiere dall'espressione
scocciata, apparentemente intento a guardare qualcosa sul suo cellulare.
Quando Yuuri gli si avvicinò, distolse lo sguardo dallo
schermo e rivolse a lui tutta la sua attenzione.
«Posso aiutarla?» gli domandò in
francese, ma
formulò nuovamente la domanda in inglese quando vide lo
sguardo
perplesso di Yuuri.
«Uh, in verità sì. Vede, sono uno dei
musicisti
chiamati per suonare domani e mi chiedevo
se fosse possibile... uhm... vedere il pianoforte.» gli
rispose.
Scrutò
il volto
dell'ometto per quella che gli sembrò un'infinità
di
tempo, cercando un qualche cenno che potesse aiutarlo a comprendere la
risposta che gli avrebbe dato.
«Temo di non poter fare nulla per aiutarla, sono spiacente.
È tardi, il ristorante è chiuso e non possiamo
assolutamente svegliare gli ospiti.»
Sospirò, rassegnato.
L'evento di domani sarebbe stato un disastro, o quantomeno la sua
esibizione.
«Capisco, grazie comunqu-»
«Il ragazzo sta con me, ho l'autorizzazione del proprietario
per utilizzare la sala per provare.»
Un inglese con un forte accento russo risuonò nella hall.
Yuuri si voltò istantaneamente verso il proprietario di
quella
voce. Sgranò gli occhi e si aggrappò al bancone
della
hall, improvvisamente insicuro che le sue ginocchia fossero ancora
capaci di reggerlo.
Un uomo alto, splendidi occhi azzurri e capelli del colore dell'argento
più puro: Viktor Nikiforov era dietro di lui, e nella mano
destra
teneva la custodia del suo violino.
Si sentì mancare l'aria, forse aveva addirittura smesso di
respirare.
No, no Yuuri, riprendi a
respirare, l'ossigeno ti serve. Non puoi morire, sei ancora troppo
giovane.
«Signor Nikiforov mi spiace ma, come ho già detto
al suo collega, il signor... Come si chiama?»
Ignorò completamente la domanda del custode.
Era troppo impegnato a realizzare la presenza di Viktor.
Lui e Viktor. A circa due metri di distanza. Un dio greco-russo che per
qualche strana ragione adesso si trovava con lui nella stessa stanza.
Inevitabilmente accarezzò con lo sguardo tutta la sua
figura,
cercando di memorizzare quanti più particolari possibili,
quasi
avesse paura che da un momento all'altro Viktor potesse sparire per
magia.
L'attillato maglioncino bordeaux che indossava metteva in risalto il
suo fisico slanciato, la curva perfetta dei pettorali e...
«Signore? Il suo nome?»
Giusto.
Il portiere. C'era anche lui.
«Uh, sì, Yuuri. Yuuri Katsuki.»
«Giapponese, eh?»
Viktor gli stava rivolgendo la parola. Gli stava parlando, addirittura
sorridendo.
Dio misericordioso.
«Dicevo, come ho già detto al signor Katsuki, la
sala ristorante è chiusa. Non posso aprirla.»
«E come le ho detto io, invece, ho il permesso del
proprietario, che
è un amico di vecchia data. Vuole chiamarlo per chiedergli
conferma? Non c'è problema! Mi dia un attimo, cerco il
numero...»
Il russo tirò fuori dalla tasca dei pantaloni neri che
indossava il suo cellulare e cominciò a digitare qualcosa.
Se la stragrande maggioranza del suo cervello era impegnata ad ammirare
Viktor, un'altra parte, più piccola, si stava rimproverando
per
quel casino.
Tuttavia, la vista del bell'uomo che armeggiava col suo telefonino fu
abbastanza da convincere il povero receptionist a ritirare
immediatamente tutto quello che aveva detto.
Dopotutto non c'erano
camere vicino al ristorante, non li avrebbe sentiti nessuno e
soprattutto non era il
caso di disturbare il proprietario per una sciocchezza del genere.
Lasciò quindi il bancone per accompagnarli.
In ascensore, Yuuri cominciò ad agitarsi, sentendo su di
sé lo sguardo dell'altro musicista, e non riuscì
a fare a
meno di sentirsi ridicolo coi suoi jeans, le vecchie scarpe da
ginnastica, la maglia dei Queen che suo padre gli aveva comprato
quattro anni fa e la felpa lasciata aperta.
Doveva sembrargli uno stupido.
Arrossì, e forse Viktor doveva essersene accorto
perché, quando lo guardò di sfuggita, stava
sorridendo.
Il viaggio sembrava non terminare mai. Il suo cuore - che, solo in quel
momento se ne accorse, stava battendo
pericolosamente - si calmò solo quando il portiere
esordì
con un «Eccoci qui. Un'ora sola, non di
più», e poi fu questione di attimi prima che
rimanessero soli.
Un'ora sarebbe bastata.
Si prese un attimo solo per distogliere lo sguardo da Viktor e guardare
il ristorante: il pavimento di marmo nero e le pareti rosse conferivano
all'ambiente un'atmosfera
piuttosto accogliente, e ovunque ci si voltasse c'erano quadri d'ogni
grandezza e genere.
Ma la sua attenzione fu catturata ben presto solo da una cosa: proprio
là,
in fondo alla sala, il pavimento era rialzato a formare un piccolo
palco.
Là c'era il tanto agognato pianoforte.
Dimentico di tutto quello che lo circondava raggiunse lo strumento,
quindi si accomodò sullo sgabello.
Scoprì la tastiera con delicatezza sollevando
prima il telaio, poi la
striscia di velluto rosso che la ricopriva, e infine ammirò
la lucentezza dei tasti bianchi, le luci dei lampadari che
si riflettevano in quelli neri.
Senza pensarci troppo cominciò a suonare la prima cosa che
gli
venne in mente: il rondò alla turca di Mozart. Un pezzo
allegro
che gli piaceva molto, le sue dita si mossero sui tasti quasi
autonomamente.
Neanche si accorse del sorriso che si formò spontaneamente
sulle
sue labbra, tanto meno di quando il suono di un violino
iniziò ad
accompagnare la sua melodia.
Bastò quello a riportarlo alla realtà, si
fermò di
colpo: Viktor gli stava di fronte, poggiato al fianco del pianoforte.
Lo guardava, confuso.
«Perché ti sei fermato?»
«Ah...»
Restò a bocca aperta, senza sapere cosa rispondere.
Una piccola, piccolissima parte del suo cervello doveva ancora elaborare la
presenza di Viktor, troppo da processare in qualche istante.
«Forza, ricominciamo daccapo. Ti seguo.» lo
incoraggiò l'altro.
Stava ancora afferrando il significato di quelle poche parole, quella voce, ma le
sue mani furono più veloci.
Come chiesto da Viktor ricominciò a suonare, e stavolta il
violino lo accompagnò da subito.
Si perse totalmente nell'esibizione, lasciandosi trasportare dalla
melodia, a malapena si accorse di aver finito qualche minuto
più tardi.
E ora? Cosa fare? Sollevare
lo sguardo dai tasti avrebbe significato incontrare quello di Viktor, e
non era sicuro di riuscire a sostenerlo.
Il suo cuore ricominciò a pulsare, celere.
«Com'è che hai detto che ti chiami?»
Dannazione.
«Yuuri.»
Per l'ansia, cominciò a suonare qualche tasto con la mano
destra, ben deciso a non spostare gli occhi da lì.
«Sei bravo, sai?»
«G-Grazie. Anche tu sei, uhm, molto bravo.»
Non resistette e lo guardò.
Il sorriso che il violinista gli rivolse rischiò di mandarlo
in
tachicardia, ma Yuuri tenne duro e si aggrappò ai tasti del
pianoforte.
Nel farlo, gli sfuggì un accordo.
Gli occhi di Viktor si illuminarono per un istante, come se quelle note
gli avessero dato un'idea.
«Otlichno!
"Il fantasma dell'opera", uh?»
«Eh?»
Era confuso, ma quando il russo prese a suonare l'Overture lo
seguì immediatamente.
Conosceva le note e così anche il musical, che aveva avuto
modo
di
vedere un paio di anni prima, e la bellezza delle canzoni lo aveva da
subito colpito, per cui aveva imparato a suonarle tutte. Ma Viktor non
si fermò lì, nossignore. Terminata quella,
passò a
All I ask of you.
Ricordava quel brano: subito dopo l'ennesimo omicidio del Fantasma, il
visconte di Chagny la canta alla protagonista, Christine,
nel tentativo di rassicurarla, e subito dopo i due si scambiano il loro
primo bacio. Si tratta di una canzone d'amore, dopotutto.
E ancora proseguirono con The
point of no return,
un duetto tra il Fantasma e Christine: un pezzo molto più
sensuale, erotico, l'esatto opposto di quanto avevano suonato
prima.
Per tutta l'esecuzione, Viktor alternò sorrisi a espressioni
di pura estasi
e Dio, avrebbe fatto qualsiasi cosa per poter ammirare ancora una volta i suoi occhi chiudersi, le sue labbra incurvarsi e vederlo
sospirare mentre suonava, completamente rapito dalla musica.
Quando finirono, l'altro sembrò davvero soddisfatto.
«Wow!» esordì, e Yuuri sentì le sue guance
tingersi di un leggero rosso.
Ancora non riusciva a crederci.
Suonare con un bravo violinista è spettacolare, ma suonare
con Viktor Nikiforov...
È tutta un'altra storia.
«Ho sempre voluto provare questi brani con un pianoforte ad
accompagnarmi, ma conosco pochi pianisti davvero bravi o interessati a
fare altro che non siano i soliti classici...»
Non rispose, non sapeva cosa dire. Era un complimento?
Viktor lasciò il violino, posandolo sul ponticello del
piano.
Gli si avvicinò lentamente, per poi stendersi appena sulla
cassa, fino a
trovarsi faccia a faccia con lui.
«Dimmi, Yuuri, da quant'è che suoni?»
Persino la sua voce sembrava essere musica.
«Tredici, quasi quattordici.»
«Interessante... conosco persone che suonano questo strumento
da
più tempo di te e non ci mettono la stessa
passione.»
Se possibile, divenne ancora più rosso.
Erano così vicini che poteva vedere le sue lunghe ciglia, le
sfumature di azzurro dei suoi occhi.
Bellissimo.
«Domani suonerai anche tu per la serata di
beneficenza?»
Sgranò gli occhi.
«Dannazione!»
Viktor mutò espressione, perplesso.
Improvvisamente colto dal panico, diede uno sguardo al suo orologio da
polso: segnava quasi la mezzanotte. A breve sarebbe sicuramente tornato
il
portiere per cacciarli e lui non aveva ancora provato nulla, per cui
cominciò a sfogliare gli spartiti nel disperato tentativo di
trovare qualcosa.
Li posò nuovamente: nulla di quello che aveva portato con
sé lo convinceva.
Tutto quel tempo, Viktor lo aveva osservato senza proferir parola, ma
fu anche il primo a parlare.
«Qualche problema?»
«Ecco, non ho pensato a nulla da suonare domani.»
ammise Yuuri, afflitto.
«Improvvisa, no?»
Il silenzio che seguì fece ridere il russo.
«Non dirmi che un pianista così bravo come te non
è capace di improvvisare qualcosa...»
«Per la verità sono passati mesi dall'ultima volta
che ho suonato.»
Ci fu un breve periodo di silenzio, prima che Yuuri tornasse a parlare.
«Ma tu perché sei qui? Non hai bisogno di provare,
insomma, tu sei...»
L'altro inarcò le sopracciglia, in attesa di cosa avrebbe
detto il giapponese.
«Sei Viktor Nikiforov. Sei perfetto.»
Si diede dello stupido per aver detto l'ultima frase ad alta voce.
«Già, tecnicamente non avrei bisogno di provare.
Chissà...»
A quel punto si allontanò dal pianoforte. Ripose con calma
il
violino e l'archetto nella custodia, quindi cominciò a farsi
strada tra le sedie.
«Forse volevo solo un po' di compagnia per la
notte.» disse, e nel farlo gli sorrise malizioso.
Il suo cuore mancò qualche battito.
Raccolse gli spartiti, richiuse il telaio e a malincuore
lasciò
il pianoforte e seguì Viktor in ascensore; l'avevano
già
preso insieme,
ma c'era stato anche il portiere con loro, e adesso che erano soli
Yuuri si sentiva
oltremodo teso.
Domani.
Domani avrebbe suonato davanti a chissà quante persone,
Viktor
l'avrebbe visto, e lui non aveva la più pallida idea di cosa
fare.
Erano quasi arrivati al piano terra quando il maggiore parlò.
«Qualunque cosa deciderai di suonare domani, sono certo che
saprai stupirmi, proprio come hai fatto stanotte.»
Yuuri si voltò nella sua direzione, incredulo. Aveva davvero
sentito quelle parole?
L'aveva stupito?
Neanche nei suoi sogni più remoti avrebbe immaginato di
poter udire davvero
da lui qualcosa di simile.
Mai.
Nel frattempo, l'ascensore si era fermato.
La mano di Viktor che si posò sulla sua spalla in una lieve,
lievissima carezza lo lasciò immobile, incapace di fare
qualsiasi cosa.
«Buonanotte, Yuuri.»
L'occhiolino ammiccante che gli rivolse prima di lasciare l'ascensore
fu il coup de grâce.
A stento riusciva a tenersi in piedi quando, ancora scioccato, premette
il pulsante segnato dal numero "due", il piano su cui alloggiava.
Sentiva le gambe molli mentre a passi lenti percorreva il corridoio,
cercava di aprire la porta della stanza. Le chiavi gli scapparono di
mano.
Una volta entrato sentì l'improvviso bisogno di stendersi
sul suo letto.
Aveva incontrato Viktor.
Aveva suonato con Viktor e la stessa cosa sarebbe successa anche il
giorno dopo.
Sarebbero stati sullo stesso palco, insieme, e come se non bastasse lui
l'aveva toccato.
Okay, sì, era stata una pacca sulla spalla e niente di
più, ma c'era pur sempre stata la mano di Viktor sulla sua
spalla.
Sospirò, frustrato da quella surreale situazione, e
afferrò il suo telefono, che per tutto quel tempo era
rimasto
sul comodino che affiancava il letto.
Sorrise appena quando trovò il contatto che cercava.
"Sei sveglio?"
Aveva ovviamente
contattato Pichit.
"Ohi! Sì,
sono ancora sveglio. Devi dirmi qualcosa?"
"Ho un sacco di cose da
raccontarti."
Note
autrice:
Ebbene, eccomi qua,
alla fine sono sbarcata anche in questo fandom.
Che
dire? Ho adorato Yuuri on Ice ed era da tempo che cercavo ispirazione
per una storia su Viktor e Cotoletto, e, anche se un po' tardi,
è
arrivata.
Cosa
porterà Yuuri alla serata di gala? Eh eh eh... sono aperte
le scommesse
♥ Quanto agli aggiornamenti, non penso di stabilire nessuna
cadenza
particolare, cercherò semplicemente di pubblicare quanto
prima...
Se qualcuno fosse curioso di sentire il duetto di Viktor e Yuuri, vi
lascio qui il link del video a cui mi sono ispirata :) Cliccate
qui!
Un
grazie a Canf e Nonna Biscotta che mi hanno fatto da Beta per questo
primo capitolo, e ringrazio anche tutte quelle che persone che sono
arrivate fin qui uwu
Lascerò
il rating giallo per il momento, ma non escludo che dopo qualche
capitolo possa cambiare e diventare rosso, quindi... niente. Non ho
altro da aggiungere, spero solo che questo primo capitolo abbia
attirato la vostra attenzione. Inoltre sto cercando di lasciare i
personaggi quanto più IC possibili, ma per sicurezza ho
preferito
mettere anche il tag OOC.
Fatemi
sapere cosa pensate della storia, in un messaggio privato o in una
breve recensione, sono aperta a consigli e/o critiche! ♥
Ci vediamo al prossimo
capitolo!
With love,
Your Joker.
P.S. : ho
preferito lasciare
la traslitterazione delle parole che Viktor dice in russo. In questo
caso, "otlichno" significa "grandioso, magnifico" o almeno
così mi ha
assicurato Google Translate.
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