Schegge
di vetro, sogni in frantumi — è tutto quello che
resta
•
A chi c’è
E a chi non
c’è più •
Etere etilico.
Probabilmente non esiste modo migliore per descrivere la sensazione che
prova quando i loro sguardi s’incontrano, una sinfonia di
note spezzate, beato obnubilamento dei sensi.
Quella dipendenza fisica – e psichica – che li
lega, impossibile spezzarla, somiglia così pericolosamente
all’assuefazione da droga: la consapevolezza
dell’erroneità, il desiderio smanioso di averne
ancora.
Osservarsi è l’anestetico che lenisce il dolore,
baciarsi il coronamento di sogni neri come l’inchiostro.
Quando lasciano incontrare le loro labbra per la prima volta intorno a
loro ogni cosa è sprofondata ormai da ore nel piacevole
oblio della notte, i suoni risultano più ovattati, tutto ha
il sapore del proibito. Non saprebbero dire se si tratti di una loro
impressione – angosciati dalla percezione di quanto sia
sbagliato
quel momento – o se quel retrogusto amaro e
ferroso, così simile al sangue, che sentono in fondo al
palato non sia un’illusione, bensì triste e
crudele verità.
È un bacio che dura solo pochi secondi, come se avessero
paura di sfiorarsi, in quella notte oscura ricolma di sensazioni
psichedeliche. Si separano forse per paura, oppure per disgusto verso
se stessi; fatto sta che di quel bacio, casto e involontario, nessuno
dei due sembra esserne sazio.
«È stato bellissimo» mormora Kidou,
retrocedendo di qualche passo, le punte delle dita fredde che si
sfiorano le guance, che hanno subito acquistato colore, mentre la
lingua scivola involontariamente sulle labbra, come se volesse
raccogliere gli ultimi residui del sapore dell’altro; stenta
a crederci, eppure l’iniziativa è partita proprio
da lui.
«Non avremmo dovuto» replica una seconda voce,
appartenente ad una figura seminascosta
nell’oscurità, lo sguardo basso, colpevole e
penitente.
«Sarebbe successo comunque, prima o poi» Yuuto
avanza nuovamente, mettendosi a sedere sulle gambe
dell’altro, piegato in ginocchio sulla moquette della stanza
– è troppo buio per poter distinguere di che
colore si tratti, Kidou però sa già che si tratta
di un beige opaco «che tra noi ci sia chimica non mi pare un
mistero, l’abbiamo sempre saputo entrambi; era solo questione
di tempo.»
«Non doveva andare in questo modo» la persona alle
sue spalle si prende la testa tra le mani, la disperazione che sembra
prorompere fuori da ogni parte del suo corpo.
«Ah, no? E come, allora?» Kidou adesso sembra
piccato, stizzito quasi, mentre cerca di reprimere in ogni modo il
disappunto e la frustrazione che ora paiono attanagliarlo.
«Non lo so… ma non così»
l’uomo poggia la testa sulla sua spalla, forse in cerca di
conforto «voglio dire, tu sei ancora così piccolo,
inoltre non ti merito, sei troppo
puro per uno come me.»
«Che razza di scusa è mai questa?» Kidou
alza gli occhi al cielo, per poi accarezzargli pazientemente una
guancia «posso assicurarle che ero nel pieno delle mie
facoltà mentali – e lo sono tuttora, a dir la
verità – quando ho deciso di darle quel bacio. Non
ho assolutamente alcun rimpianto in merito.»
«Non è questo quel che intendevo»
Kageyama sospira, stringendo a sé il corpo del ragazzo.
«Allora cosa?» domanda ancora Kidou, inclinando
appena la testa di lato per via della momentanea confusione.
«Che potresti pentirtene, prima o poi» Reiji
sospira mestamente, fissando un punto indefinito della stanza
«anzi, te ne pentirai sicuramente. Non sono la persona che
conosci, Kidou.»
«Non mi va di pensare al futuro. Non stavolta,
perlomeno» Yuuto gli stringe le braccia al collo, con
espressione laconica «per una volta ho solo voglia di godermi
tutti i lati piacevoli che questa situazione potrebbe avere.»
«Quale situazione? Stare qui, al buio, tra le mie
braccia?»
«Eh già.»
«Oh, potrebbe avere molti più lati piacevoli di
quanti tu possa immaginare, signorino» Kageyama si lecca le
labbra, d’improvviso quella situazione non gli sembra
più così spiacevole.
«Allora voglio che lei me li insegni tutti, Comandante. Dal
primo all’ultimo, nessuno escluso» ribatte il
ragazzo, le guance di nuovo rosse per la consapevolezza di quel che le
sue parole stanno volutamente sottintendendo.
«Potrei anche accettare questa proposta. Nessun
rimpianto?» s’informa Reiji, lo sguardo
improvvisamente attento e calcolatore.
«Nessun rimpianto, certamente» gli assicura Kidou,
che già csi sente completamente soggiogato da quelle parole.
«Molto bene, allora» Kageyama si tira in piedi,
prendendo in braccio Kidou e attraversando con lui la stanza fino a
raggiungere il letto, sul quale lo adagia con cura
«perché si dà il caso che io abbia
intenzione di trascinarti giù con me nell’abisso
ancora più in fondo.»
«Magnifico» sussurra Yuuto, gli occhi rossi che
scintillano di felicità.
È cambiato tutto. Sono passati tre anni – tre
anni, maledizione – e nulla sembra voler tornare
al proprio
posto. Aumentano le rughe e i graffi sulla pelle, diminuiscono i
capelli e la voglia di scherzare che si ha in gioventù, se
c’è una cosa tuttavia che proprio non ne vuole
sapere di passare è la loro voglia di rincorrersi.
Ogni volta che s’incontrano, ormai quasi senza nemmeno
accorgersene, non riescono a non finire uno nelle braccia
dell’altro, per poi puntualmente rinnegare ogni cosa,
sputandosi addosso odio e desiderando di non essere caduti ancora in
tentazione, in quella spirale di peccato e negazione.
È di nuovo notte, ancora una volta le tenebre avvolgono
sinuose e soffocanti qualsiasi contorno, rendendo quella camera una
massa oscura e informe.
Un’altra stanza d’albergo, l’ennesima
storia che si ripete. È un copione già visto,
quello, per quanto nessuno dei due sembri intenzionato ad abbandonarlo.
Sembrano due guerrieri caduti tra la neve, mentre ora riposano esausti,
il respiro affaticato e il battito cardiaco che proprio non ne vuole
sapere di rallentare.
Kidou si rigira quietamente tra le coperte, gli occhi sbarrati. Per
quanto si senta stanco non sembra proprio riuscire a prendere sonno,
che sia per via dell’adrenalina in circolo nel suo sangue o
per qualcos’altro non saprebbe proprio dirlo.
Accanto a lui, invece, Kageyama pare proprio essere crollato
addormentato. Lo sente respirare regolarmente, il petto nudo che si
alza e si abbassa sotto le lenzuola di raso bianco. Yuuto vorrebbe
riuscire a raggiungere lo stato di pace necessario per poter riposare
in quel modo beato, tuttavia quella capacità non lo
accompagna, questa notte.
È sgattaiolato fuori dal dormitorio della sua squadra in
punta di piedi, cercando di fare quanto meno rumore possibile
– come un
ladro, s’ammonisce mestamente. La
verità è che – Yuuto lo sa bene
– nessuno accetterebbe quella relazione malata, men che meno
i suoi compagni.
Kidou riesce quasi a sentire le loro voci nella mente –
“ma come”, sussurrano, “per tutti questi
anni non hai fatto altro che ripetere che non volevi più
avere niente a che fare con lui e poi la notte corri a rifugiarti nel
suo letto” gli direbbero, senza ombra di dubbio. Il timbro
graffiante e sbeffeggiante di Fudou si erge su tutti – e
Kidou sa perfettamente che hanno ragione, tutti quanti, peccato che
quella trappola mortale sia come assenzio, per lui: gli raschia la gola
e gli brucia lo stomaco eppure, nonostante tutto, non riesce a non
desiderare di averne ancora.
Le prime volte il più grande terrore di Yuuto era che
potessero coglierli in flagrante mentre tutto ciò avveniva,
ora a tormentarlo è invece il pensiero che qualcuno possa
notare la sua assenza. Quel pensiero convince definitivamente Kidou ad
alzarsi, nonostante nutra un profondo dispiacere per questo.
Non sa perché, tuttavia è come se avvertisse che
quella sia l’ultima volta. La consapevolezza che, di
lì a poco, sarà costretto a mettere un punto a
quella storia lo logora al punto da star male, mentre sente lo stomaco
lacerarsi per l’ansia.
Getta un’occhiata clandestina alla sua destra, restando per
diversi secondi incantato ad osservare il suo guerriero protettore, il
suo Comandante sprofondare sempre più in quel sonno meritato
– dopo tante fatiche, dopo tanti tormenti. Le palpebre sono
abbassate dolcemente sugli occhi, le labbra distese in una linea retta
appena definita, che sembra quasi sfocata alla luce lieve dei lampioni,
laggiù in strada.
Kidou si stinge il lenzuolo al petto, mentre si tira su a sedere. Gli
dispiace andarsene così, senza nemmeno un saluto, eppure
è certo che con uno strappo netto sarà
più facile separarsi da lui, mentre se indugiasse ancora
finirebbe per non andarsene mai più.
L’indomani ci sarà la partita tra il Giappone e
l’Italia. È uno scontro decisivo, dopo il quale
è probabile che le due rappresentative non
s’incroceranno un’altra volta. Il pensiero di non
poterlo vederlo di nuovo, che quei pochi minuti siano gli ultimi a loro
disposizione da passare insieme è insostenibile, soprattutto
se Kidou pensa che uno di loro due li sta trascorrendo da incosciente.
Quella consapevolezza è troppo dolorosa per poter essere
accettata, così Kidou, senza aggiungere nemmeno una parola,
si tira su a sedere, tenendo il lenzuolo ancora stretto contro il
petto. Improvvisamente in quella stanza sembra fare molto
più freddo e Yuuto è abbastanza certo che non sia
perché non ha indosso i suoi vestiti.
Mentre con lo sguardo setaccia il pavimento alla ricerca dei pantaloni
– impresa pressoché impossibile, in quella dannata
penombra – sente una mano poggiarsi sul suo braccio. In un
primo momento non riesce a trattenersi dall’istinto di
trasalire, quando tuttavia si volta, rendendosi conto di chi sia il
proprietario di quel tocco – anche se era piuttosto logico,
si riprende – non può fare a meno che
tranquillizzarsi immediatamente, sebbene la sorpresa fatichi a svanire
dal suo volto.
«Te ne vai già?» la voce di Kageyama
è impastata di sonno e risentimento, tradendo una certa dose
di reconditi sogni e speranze.
Kidou si morde un labbro, non sa bene cosa dire; ha come
l’impressione che, a qualsiasi frase dovesse ricorrere,
finirebbe irrimediabilmente per essere quella sbagliata.
«Devo andare» risponde, l’afflizione ben
percepibile nella voce «se scoprono che non sono in camera
mia finirò per beccarmi una sospensione e il rientro
immediato in patria.»
«Capisco» Kageyama si stiracchia tra le coperte,
facendo per voltarsi dalla parte opposta; Kidou sta per tornare alla
sua ricerca dei panni sparsi in giro per la camera, quando avverte
l’improvviso impulso di voltarsi. Non deve fare nemmeno
troppa strada, poiché a metà del suo slancio verso Kageyama viene raggiunto proprio da Reiji, che evidentemente – come al solito, d’altronde
– ha avuto la sua stessa idea nel medesimo istante. Le loro
labbra s’incontrano ancora una volta, fameliche, insaziabili,
petali di rosa all’alba, appena schiusi e umidi di rugiada
che si cercano l’un l’altro.
Più si baciano e più avvertono la
necessità di averne ancora, mentre si cercano e Reiji lo
attira nuovamente verso di sé. In quel bacio ci sono molte
più parole di quelle che realmente riusciranno mai a
rivolgersi: il bisogno di entrambi di appartenersi, ancora una volta,
la gioia e l’ebbrezza che avvertono sulle labbra e in tutto
il corpo quando la consapevolezza di quella situazione proibita li
colpisce in pieno, il dolore e l’abbandono al pensiero che,
ancora una volta, tutto ciò stia per giungere al termine.
Yuuto si separa a malincuore da Kageyama, ricacciando indietro con
forza le lacrime; Reiji invece trattiene il labbro inferiore del
ragazzo tra i denti, applicandovi una pressione decisa ma non dolorosa,
per poi sbuffargli fiato caldo sul volto. Lo vuole ancora,
perché negarlo? Sa bene tuttavia di dover lasciarlo andare;
è la cosa
giusta da fare, cerca di convincere se stesso
– peccato che
cedere a quella cognizione sia così
difficile, stavolta.
«Vai» mormora, le labbra che mentre parla sfiorano
quelle del ragazzo «ci vediamo domani in campo.
Sarà un bello scontro.»
Kidou chiude gli occhi. Non crede di avere la forza necessaria per
poter ribattere a quelle parole, così si mette in piedi, per
poi piegarsi a terra subito dopo, alla ricerca dei propri indumenti. Si
riveste nel più totale silenzio, mentre può quasi
sentire il vento soffiare all’esterno.
Quando è ormai pronto e si sta avviando verso la porta, si
arresta di colpo, voltandosi indietro. Fissa ancora la figura di
Kageyama, pensieroso. Così tante parole non dette gli
ronzano per la mente e così tante vorrebbe confidargliene,
alla fine però decide di ricorrere solo a quelle che, in
quel momento, gli sembrano strettamente necessarie.
«Kageyama-san?»
«Mh?»
«Alla fine non ho davvero avuto nessun rimpianto, in merito a
quel che è successo tra noi.»
Per degli istanti mascherati da eternità Kageyama resta a
fissare il soffitto della stanza, come assorto in una meditazione
troppo silenziosa e troppo lontana per poter essere raggiunto da
qualsiasi pensiero. Quando tuttavia Kidou sta ormai per gettare la
spugna e uscire da quella stanza, finalmente lo sente replicare
– quasi non se l’aspettava più.
«Nemmeno io, Kidou. Nemmeno io.» sospira, la voce
che resta sospesa tra loro due.
Kidou si lascia sfuggire un lieve sorriso: per Kageyama
un’affermazione del genere equivale ad una dichiarazione
d’amore.
«Buonanotte, Kageyama-san» conclude Yuuto, proprio
un attimo prima di aprire la porta e scivolare fuori, in corridoio, il
tutto lasciando rimanere gli alloggi della nazionale italiana immersi
in un silenzio surreale.
«Buonanotte, Yuu-kun» replica Reiji, quando la
porta della stanza si è ormai chiusa e Kidou è
definitivamente svanito dalla sua vita, come sabbia che troppo in
fretta rotola tra le dita.
Quando la notizia della morte di Kageyama gli giunge alle orecchie, a
Kidou non resta da far altro che stringere un paio di occhiali da sole
scheggiati tra le dita – quel
paio di occhiali da sole. Con
rancore e delusione pensa alle cose che ha ormai irrimediabilmente
perduto, quelle ore rubate alla notte, quei sogni che per una manciata
di minuti per i quali poteva quasi illudersi, ancora un po’,
di vederli tramutarsi in un’amabile realtà. Ma i
sogni, si sa, son fatti per restare tali, ecco perché ora
che Kidou sentiva di essersi risvegliato da quel magnifico sogno tutto
quel che gli rimaneva in mano non era che polvere di sogni, del tutto
inutile – non voleva volare, non se accanto a lui non
c’era Kageyama.
E Kageyama non
c’era più, adesso.
Angolo autrice
E… okay, non so bene cosa sia questa
“cosa” orrenda, immagino uno dei miei soliti deliri
che tiro fuori quando mi riduco a scrivere fino all’una di
notte. Che poi io questa fic non la volevo neanche pubblicare,
è stata mia sorella che ha insistito, “no, dai,
è bella, pubblicala”, quindi se fa schifo la colpa
datela a lei--
Va bene, va bene, mi calmo. Mi pare il minimo, dopotutto.
Ehm, anzitutto, salve. Se quella dell’altro giorno era
l’ultima fic del 2016, possiamo dire che questo aborto
elaborato inauguro ufficialmente il 2017. Il che, in effetti, visti i
risultati non credo sia un buon segno—
Okay, giuro solennemente
di piantarla. Il punto è che,
secondo me, nutro una forte incapacità di scrivere seguendo
dei prompt. Mi pare di creare storie… boh, non saprei
neanche come definirle. “Mozze”? Ecco,
sì, diciamo così. Mi sembra sempre che ci manchi
qualcosa, forse un pizzico in più di sentimento –
sarà che ormai sono abituata a scrivere fic solo
“a briglia sciolta”, per così dire.
Però ieri, quando ho visto questo prompt su Twitter (in
realtà il post è di Tumblr, vi lascio il link
qui,
così, qualora qualcuno di voi dovesse avere la malsana
idea di seguire le mie orme e farsi un po’ del male con del
sano e genuino angst, che alla fin fine non fa mai male…
no?) sono rimasta letteralmente folgorata, perciò mi sono
detta: beh, dai, perché non provarci? Ed ecco che il
risultato finale è stato questo. Non sono propriamente
soddisfatta e so bene che su Efp andrebbero pubblicate le storie che
più convincono l’autore, però che
dovevo fare, ormai la fanfic l’avevo preparata, non postarla
mi sembrava uno spreco di energie…
Si
capisce che sto dicendo tutto ciò per cercare di
convincermi che non sia poi così sbagliato pubblicarla?
Sì? Okay.
Alla fine, l’unica cosa che mi convince totalmente di questa
– brevissima – shot è il titolo, che
trovo molto melodioso e intrigante come
tessersi lodi da soli parte uno
di ottomila duecento che io sia una persona estremamente
complessata
non è certo un mistero, tant’è vero
che, come mio solito, mi è venuto prima in mente il titolo e
poi ho scritto la fic. Okay, so che è un’abitudine
estremamente controproducente, però se ne devono uscire
certe ‘perle’ Aria
basta egocentrismo pls allora
forse non è poi così dannosa. Tornando a noi, il
titolo fa ovviamente riferimento all’ultima parte della shot
(quindi, in un certo senso, potrebbe essere considerato una sorta di
spoiler? Probabilmente sì) in cui si capisce che le schegge
di vetro a cui fa riferimento Kidou sono quelle degli occhiali da sole
rotti di Kageyama che lui stesso tiene in mano, dopo averli recuperati
in seguito all’incidente (vedi ep. 3x106), mentre i sogni
infranti sono chiaramente quelli riguardanti l’idea di un
futuro in cui lui e Kageyama vivono felicemente insieme. Madonna,
quanto angst—
Della fic in sé per sé, invece, credo di dover
spiegare ben poco: sono due macromomenti, due missing moments, il primo
ambientato in un plausibile ritiro della Teikoku, quando Kidou
avrà circa undici anni ebbene
sì, Kageyama
riusciva ad essere losco già quando Yuuto aveva ancora
quell’età. Sigh. Che poi
l’iniziativa di
quel bacio parte proprio da Kidou stesso, infatti immagino il momento
di iniziale spaesamento di Kageyama, che molto probabilmente
avrà pensato qualcosa del tipo “Avrei dovuto
proibire a Genda di portare quella fiaschetta di liquore”. Me
lo immagino benissimo, ahah. A parte gli scherzi {ed i miei scleri} in
realtà suppongo che Yuuto fosse sobrissimo, altrimenti la
frase “posso assicurarle che ero nel pieno delle mie
facoltà mentali – e lo sono tuttora, a dir la
verità” starebbe lì molto arrandom e
no, questo non è decisamente il nostro caso. Tra
l’altro, se non ci fosse stata quella frase il tutto avrebbe
avuto un’aria molto “non-con” e, signori,
no grazie: la KageKi è la mia OTP, perciò posso
assicurarvi che questi due cuccioli li preferisco di gran lunga quando
sono entrambi coscienti e consenzienti in merito a quello che stanno
facendo. Che
poi dopo abbiano fatto cose losche a noi importa poco.
Ho
davvero detto “cucciolo” a Kageyama? Ehm, ma
anche no?
L’ultima parte è invece ambientata durante il FFI,
obv. Avevo già provato a scrivere una cosa del genere, tempo
addietro, solo che non l’avevo mai finita ed era molto
più esplicita-- okay, mi concentro. Mi piace un sacco come
ho reso questa scena non
avevamo detto basta con
l’egocentrismo? perché in tutto
ciò
c’è qualcosa di decisamente poetico, forse nella
parte delle labbra che vengono paragonate a dei petali di rosa
inumiditi dalla rugiada mattutina o forse in quella della similitudine
dei due corpi abbandonati tra le lenzuola di raso con quelli dei
guerrieri caduti nella neve. Okay, forse questa fic ha anche dei lati
positivi, se ci sono tuttavia è solo ed esclusivamente
merito delle mie migliori amiche, le similitudiniTM.
L’ultima parte, invece, è forse quella
più struggente e poetica, oltre ad essere il punto in cui,
come ho già detto, mi ricollego al titolo della shot.
E niente, è tutto. Scusatemi davvero se vi riempio di
disagio in questo modo, con queste 2.200 parole di infimo angst, ma
ahimé altri modi non ne conosco. Prima di andarvene
– okay, lo so, vi ho già abbondantemente rotto le
scatole con tutto ciò e le note sono lunghe come mezza fic,
but – visto che prima ho nominato Twitter, mi faccio un
attimo di auto-spam. Per chi non lo sapesse ho modificato la mia bio
Efp – andate a vederla, è l’ammmore
– e lì ho aggiunto il link alla mia pagina
Twitter. Se qualcuno avesse voglia di venire a dare
un’occhiata, di dare una scorsa al mio account o
alle cazzate
a ciò che pubblico, sappiate che siete benaccetti anche
lì. La maggior parte dei miei tweet contiene
scleri/headcanon (in particolare su Kageyama e Kidou) capita tuttavia
che, nel bel mezzo di quella poltiglia, ci sia anche qualcosa di
più serio – per dirvi, il 16 esce lo screenplay di
Animali Fantastici e il 20 il terzo outer code di Inazuma Eleven,
perciò aspettatevi commenti a caldo (e a freddo) in merito.
Quindi no, niente, se avete voglia di passare mi farebbe un sacco
piacere, se poi avete voglia di fare quattro chiacchiere ci si
può sentire per DM sempre su Twitter oppure nei messaggi
privati qui su Efp. Lo sapete, sono una persona estremamente sola e mi
fa sempre molto piacere scambiare qualche parola con qualcuno.
Bene, adesso è veramente tutto. Ringrazio chiunque abbia
letto la fic – per quelli che sono arrivati fino alla fine di
queste note d’autrice estremamente demenziali: siete degli
eroi, sappiate che vi stimo davvero tanto – chi dovesse
inserire la storia tra le preferite/ricordate nessuno
e
l’eventuale inesistente
anima pia che dovesse recensire
questo… coso. E sappiate che voglio bene anche a voi, che
sulla fic ci avete cliccato per sbaglio.
A presto (spero)
Aria
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