E poi cosa accadde?

di Blackmore Di Blackmore
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Il fatto che teoricamente nessuno di loro poteva essere toccato lasciava i bambini di Miss. Giorgette tranquilli, ma Eva passava ogni sua giornata scrutando fuori dalla finestra, nel disperato tentativo di veder arrivare i suoi genitori per prelevarla e riportarla a casa, cosa che ovviamente non era mai successa. Era l'inizio dei i ruggenti anni sesanta, andavano di moda le gonne corte e le giacche di colori assurdi, le auto senza capotte e i jouboxe.
Evangeline Carter era orfana da troppo tempo ormai, i suoi genitori erano stati uccisi da un Vacuo mentre lei era fuori con un ragazzo carino, un certo Jeremy, quando la ragazza tentava di ricordare che viso avesse non ci riusciva; doveva essere una persona speciale visto che la ragazza di norma non trasgrediva mai alle regole per un giovane. Eppure quella sera, al posto che rimanere a casa a fare i compiti aveva preferito uscire dalla finestra per andare a fare un giro con lui, e quando era tornata, stanca ed infreddolita, non aveva trovato che cadaveri senza occhi nella sua casa. Sua madre era stata sbattuta in un angolo e in mano stringeva in modo convulso un biglietto su cui era scritto un indirizzo e poche altre informazioni, era indubbiamente per sua figlia. La giovane, per natura poco portata a i sentimentalismi aveva pianto poco la morte dei suoi genitori, consapevole che qualsiasi creatura gli avesse fatto ciò poteva tornare e, senza esitazione, aveva preso tutti i soldi che aveva trovato, prima di andare nella sua stanza, infilare qualche abito nella sacca che suo padre aveva usato quando era stato un giovane militare e poi uscire.
Il suo viaggio era stato lungo e travagliato, era inverno inoltrato e una ragazzina sola con una pesante sacca non era certo uno spettacolo normale, eppure era, in fine, giunta alla casa di Miss. Giorgette.
La donna che le aveva aperto aveva i capelli color mogano e la aveva scrutata attentamente prima di farsi di lato e farla entrare nella villa, con un sorriso cordiale. Era una figura magra e bassina, più somigliante a una giovane sorella maggiore che non ad una madre, eppure nulla poteva sfuggire al suo occhio indagatore. Eva le raccontò la sua storia con parole semplici e dirette, della morte della famiglia, il viaggio per giungere fino a lì e le peculiarità che i suoi genitori le avevano sempre intimato di nascondere.
La donna aveva mostrato di capire la situazione della giovane e la aveva invitata a fermarsi con loro, promettendole protezione. Quella notte, in una nuova camera da letto la ragazza si era finalmente lasciata andare e aveva pianto la morte della sua famiglia.
***
Dalla sua cabina Enoch scrutava il porto da quale Olive, tenuta sottobraccio da un certo Richard, li salutava sventolando la mano coperta dallo spesso guanto nero che le impediva di appiccare il fuoco a qualsiasi cosa toccasse. Gli altri sul ponte si stavano sbracciando per ricambiare il saluto della ragazza, ma lui aveva preferito evitarsi quella scena deplorevole. Un leggero bussare alla sua cabina gli distolse l’attenzione dalla ragazza con i capelli rossi che ormai era solo un vago puntino in lontananza.
-Avanti.-
La porta si aprì lentamente e, dall’altra parte comparvero Jake ed Emma, che lo guardavano preoccupati e un po’ a disagio.
-Ciao Enoch, come stai?- chiede timidamente la ragazza entrando all’interno della stanza, per andarsi a sedere accanto a lui.
Il ragazzo li aveva scrutati per qualche istante. -Sto bene, ragazzi davvero, non ho nulla che non va.-
La coppia si era guardata per qualche istante. -Certo, Enoch, se lo dici tu…- aveva sussurrato Jake, palesemente sarcastico, andando a sedersi sul letto della camera che condividevano per quel viaggio.
-Sul serio, Olive non è una mia proprietà, non posso chiederle di rimanere con me se…- si bloccò per un istante, guardando l’oceano fuori dal piccolo oblò. -se ama qualcun altro.-
-Lei sarebbe rimasta con noi se solo…- tentò Emma.
-Se solo gli e lo avessi chiesto? E avrei dovuto chiederle di rinunciare all’amore per quel mezzo soldato solo per star con noi? Scusami Emma ma quello che stai dicendo è veramente egoista.- ringhiò il giovane senza lasciarla finire. La ragazza, invece, sorrise.
-Sei cresciuto così tanto Enoch, quasi non ti riconosco più…- sussurrò lasciandogli una lieve carezza in testa per poi uscire dalla stanza, lasciando i due ragazzi soli a scrutarsi. Ognuno di loro era cambiato in quel tempo che avevano passato senza un anello temporale in cui vivere, dopo la caduta della casa nel 45 Miss Peregrine, contrariamente alle usanze, aveva espresso il desiderio a i suoi bambini di viaggiare per il mondo per conoscerlo un poco meglio. Erano in fine passati tre anni e la guerra si era conclusa nel migliore dei modi, con la vittoria Americana.I bambini di Miss Peregrine erano cresciuti, ed alcuni di loro avevano superato la maggiore età, Olive Jake e Enoch erano i tre più grandi.
La giovane dai capelli rossi si era innamorata ben presto di un ragazzo, un militare, che aveva ricambiato i suoi sentimenti e le aveva chiesto di sposarlo, così, una sera di primavera, Olive aveva comunicato agli altri che li avrebbe lasciati per rimanere, e così era stato.
Incredibilmente la notizia era stata presa da Miss Peregrine ottimamente, tanto che aveva aiutato la giovane con un poco di shopping e si erano accomiatate con molti abbracci, ripromettendosi una fitta corrispondenza.
-Ti passerà, vedrai.-
Enoch, spostò lo sguardo su Jake, che gli sorrideva incoraggiante.
-Si, forse un giorno starò meglio.- sibilò prima distendersi nel suo lettino e dare le spalle a Jake, che uscì piano dalla stanza, lasciandolo solo alla privacy di cui in quel momento aveva un disperato bisogno.
Nel corridoio Alma Peregrine ed Emma lo stavano aspettando con le braccia conserte ed espressioni preoccupate in volto.
-È molto sconvolto suppongo. Credo che identifichi il fatto che Olive lo abbia lasciato per un ragazzo quasi sconosciuto come un grande fallimento, un danno al suo orgoglio.-
-Infatti.-
-Cosa possiamo fare per lui?- chiese Olive, preoccupata.
-Nulla, temo.- 
 




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