Le cronache di Aveiron: Miriadi di battaglie

di Emmastory
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Capitolo XXXIV

Momenti felici

I giorni passavano, e noi eravamo ancora ad Aveiron. In cuor nostro, Stefan ed io avremmo voluto tornare ad Ascantha, dove avevamo costruito una famiglia e una vita, ma non potevamo. Samira stava ancora male, e Soren aveva bisogno del nostro aiuto. Passava le notti accanto al suo letto, sperando ardentemente che si svegliasse, ma ciò non accadeva. Secondo la dottoressa Janet, la nostra amica non era entrata in coma, ma era semplicemente troppo stanca e debilitata per riuscire a svegliarsi. Non potevamo sentirlo, ma sapevamo che il dolore derivante dalla sua attuale condizione la distruggeva. Una sola cosa ci rinfrancava. Lei era viva. Certo, il dolore le impediva di muoversi, ma era viva. Una vera e propria panacea per la psiche di Soren, che intanto pareva perdere sonno e lucidità. In fin dei conti, non desiderava altro che vederla aprire gli occhi e parlargli. L’avevamo sentita farlo più volte mentre dormiva, ed era chiaro che il suo pensiero andasse a Soren. Il tempo continuò quindi a passare, e incredibilmente, dopo circa un mese di attesa, finalmente accadde. Eravamo tutti nella stanza, in perfetto silenzio. Era stata la dottoressa Janet a convocarci, ormai certa che non ce l’avrebbe fatta. “Vi suggerisco di darle i vostri addii, ragazzi.” Ci aveva detto, fissandoci tutti con il viso stravolto dalla tristezza. Era un medico, e soccorrere le persone malate o in difficoltà era il suo lavoro, e malgrado ci avesse detto di aver visto morire più d’una persona, era davvero triste. Le aveva tentate tutte, ma dopo un mese di tentativi e terapie differenti, aveva deciso che non c’era più nulla da fare. Completamente in disaccordo con lei, il dottor Patrick era di tutt’altro avviso. “Non se ne parla. Lei può farcela. Lo so io, lo sai tu e lo sanno tutti in questa stanza.” Aveva detto, mostrandosi iroso e autoritario con la moglie, che di fronte alla caparbietà del marito, allontanò la mano dall’ago infilato nel braccio di Samira. Difatti, un lungo tubo trasportava i liquidi e le medicine che le erano state prescritte, formando così una flebo colma di un sapiente misto di acqua e di una sorta di ricostituente. Un farmaco sperimentale, che stando alle parole della dottoressa, era la sua ultima speranza. Muta e immobile, la nostra cara amica era avvolta nelle coperte, e ad occhi chiusi, faticava a respirare. Quasi spaventata, Terra mi strinse forte la mano, e Rose la imitò istantaneamente, afferrando con tutta la sua forza la mano del padre. Nel tentativo di confortarla, Stefan la cullò qualche secondo, ed io guardai Terra, avvicinandola forzatamente a me. In quel momento, quello era il mio modo di parlarle e rassicurarla, di dirle che tutto sarebbe andato bene. Le dispiaceva vedere la nostra compagna di viaggio in quelle condizioni, e avrei potuto giurare che nessuno di noi fosse da meno. Affranto, Soren guardò il suo viso pallido e diafano, solcato dai segni della sofferenza e dalle tante lacrime versate, e proprio allora, un vero miracolo. Con uno sforzo immane, Samira aprì gli occhi, e mugugnando qualche parola, cercò con la sua mano quella dell’amato. “Samira!” la chiamò lui, iniziando poi a piangere per la contentezza. “Grazie al cielo.” Sussurrò poi, visibilmente felice per la piega che la situazione aveva preso. Alcuni secondi svanirono quindi dalla vita di ognuno di noi, e i due innamorati, finalmente riuniti e ancora insieme nonostante le numerose avversità che avevano affrontato, si scambiarono un bacio. Non uno veloce e frettoloso, ma uno ben diverso. Colmo di passione e sentimento, sembrava racchiudere ogni battito dei loro cuori e ogni parola che non si erano detti. “Ti amo Soren, ti amo davvero.” Soffiò lei in quell’istante, felicissima di essere appena stata accolta fra le braccia del suo amato marito. “Ti amo anch’io, tesoro.” Rispose lui, baciandola ancora e ancora, fino a rimanere letteralmente senza fiato. A quella scena, sorrisi quasi istintivamente, e mentre un sorriso mi spuntava in volto, una nuova sensazione di indescrivibile gioia mi riempiva lentamente il cuore. Nessuno poteva negare che una vera guerra infuriasse appena fuori da quelle mura, ma in quel preciso istante, non ci importava. Quello che contava ora era respirare e prenderci una pausa, al solo scopo di concentrarci su quelli che erano e potevano essere i nostri momenti più calmi e felici.




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