Raziel
Raziel - Il Momento Giusto
Capitolo 1
Great is youth, and equally great is old age...
great are the day and night.
Great is wealth and great is poverty...
great is expression and great is silence.
-Walt Whitman, Leaves of Grass
Stava diventando buio in fretta: era meglio che si sbrigasse
a tornare
indietro alla locanda, altrimenti la proprietaria non gli avrebbe
servito la cena. Non che morisse dalla voglia di mangiare il
pinnekjøtt, ma almeno sarebbe stato meglio dei soliti piatti
di
pesce di cui iniziava ad avere la nausea. Percorse il sentiero al
contrario, uscendo dalla foresta innevata e tornando al paesino dove
aveva vissuto negli ultimi anni. Non era nulla di eccezionale, ma gli
abitanti erano estremamente cortesi e nessuno di loro si era posto
domande sul perché un forestiero si fermasse per tanto tempo
in un luogo con cui non aveva legami.
Vivevano un migliaio di anime nel paesino, abbastanza per
permettersi
di avere una specie di macellaio, che era anche un pescivendolo, una
locanda, una libreria che vendeva volumi usciti almeno dieci anni prima
e un negozio di vestiti. Per la maggior parte erano anziani, donne e
uomini che erano nati là e desideravano morirvi, poi si
aggiungevano molte coppie di mezza età e alcuni giovani che
non
avevano ancora deciso di fuggire via. In aggiunta, per sua immensa
sfortuna, un paio di accampamenti di militari di chissà
quale
nazione turbavano la quiete dei dintorni.
I militari non gli stavano simpatici: i militari portavano
guerra e
sangue. Ne aveva già visto abbastanza per tutta la sua vita.
Sbatté un paio di volte gli scarponi sul muro a
fianco alla
porta e poi entrò, correndo al suo posto per non mancare la
ciotola di brodo caldo che la proprietaria distribuiva celermente. Era
grasso e saporito: una goduria per le sue membra congelate.
Osservò la sala al piano terra: c'erano
più soldati del
solito ad occupare le sedie del bancone, ognuno con un bicchiere di un
liquido ambrato di fronte. Non era però troppo strano.
All'accampamento gli alcolici non abbondavano, e nemmeno il
riscaldamento. Meglio bere in pace lì, al caldo e circondati
da facce nuove. Anche se...
«Ofelia,
che ci fanno loro qui?» chiese a una delle cameriere in carne
con cui aveva fatto amicizia.
Questa gli riempì la ciotola, ormai vuota, di
costolette di pecora e
guardò nella direzione dei militari, contraendo il viso in
una
smorfia di disgusto: «Quelli, signore, sono la
rovina
dell'accampamento. Sono quelli che andranno a ovest, verso il mare, a
trovare qualcuno che li scaldi per stanotte.»
«Ofelia, prostitute è così
difficile da dire?»
La donna lo fissò imbarazzata e gli diede la
schiena, servendo la pecora agli altri commensali, in silenzio.
Lui mangiò un boccone, che si sciolse in bocca,
poi si tolse i
guanti e divorò le costolette con mani, come un cavernicolo:
era
il suo primo piatto di carne dopo mesi, se lo sarebbe goduto fino in
fondo.
L'uomo seduto al suo fianco rise, chiudendosi ancora di
più nel
cappotto che indossava e commentò acido: «Quella
non sa
neanche da che parte lo si scalda, un uomo, durante la notte. Ha solo
una fifa nera di poter finire come loro.»
«Immagino che tu lo sappia.»
«Beh, non ho mai provato a farlo, ma state ben
certo che mi sono fatto scaldare per bene. Mi chiamo Fedor, e voi?»
«... Raziel.»
«E che razza di nome è?!»
«Perché, Fedor ti pare migliore?»
L'uomo soffocò una risata con un colpo tosse:
«Sì, in effetti avete ragione... Comunque, da
quanto siete qui?»
«Alloggio alla locanda da qualche anno.»
«E la cara proprietaria non vi ha ancora cacciato?
Io sono qua da una settimana e ogni mattina la vedo attendere
impaziente la mia partenza.»
Raziel chiamò Ofelia per una seconda porzione e
si tolse la sciarpa marrone, appallottolandola sopra i guanti, e il
cappello, nascondendolo in una delle tasche dei pantaloni. Si
alzò e si fece dare una bottiglia di vino al bancone,
guardando con sdegno i soldati. Al tavolo versò un bicchiere
per lui e per il suo vicino, che ringraziò.
«... Non vi piacciono i militari, vero?»
«Non particolarmente.»
«Mio figlio è uno di loro, mi ha
inviato una lettera cinque o sei anni fa.»
«Immagino ti manchi.»
«No.»
Raziel sollevò il viso dalla ciotola, sorpreso da
quella negazione forte, che non lasciava spazio per attenuanti.
«Non potrebbe. L'ho tenuto in braccio quando
è nato, poi me ne sono andato da quella casa. Il mestiere
del genitore non è mai stato il mio. Ho un po' di figli
sparsi per il mondo, ma lui è l'unico che mi scrive. Quando
torno a Mosca ci sono sempre pacchi di lettere per me alla posta.»
«Sono anni che non torni al tuo paese, allora.»
Fedor alzò un sopracciglio, poi tolse
anche lui la sciarpa, legandola allo schienale della sedia.
«Mi piace viaggiare, ho i soldi per farlo. Diciamo
solo che non ho scelto il periodo migliore.»
Fu il torno di Raziel di ridacchiare, contenendosi per non
sputare il boccone che aveva appena mangiato: «Se si pensasse
a tutte le disgrazie che possono accadere, non ci si sposterebbe mai da
casa. Quando si ode il richiamo, si deve correre il rischio.»
«Sa che richiamo odo io, proprio ora?»
«Quello del pinnekjøtt?»
«No, quello dell'ovest. Dovreste accompagnarmi.»
Raziel per poco non si strozzò, chiedendosi per
quale motivo dovesse uscire fuori, di notte, con quel gelo, con un tipo
che conosceva da meno di un'ora per andare a visitare un bordello.
Fedor scoppiò in un'aperta risata allo sconcerto del rosso e
slacciò la cintura che gli stringeva la giacca sulla pancia
per avere maggior libertà.
«Non
ho mica detto che deve entrare con me: può
sedersi in uno degli ingressi, vicino al fuoco e rimanere lì
al caldo. Non voglio perdermi nella neve, in due sarà
più facile tornare indietro domani mattina.»
Raziel aveva creduto che avrebbe visto un'arma spuntare da
sotto la giacca, mentre tutto quello che notò furono una
penna e dei fogli di carta. Prese un respiro profondo e bevve un altro
bicchiere di vino, spingendo poi il piatto in avanti e infilandosi i
guanti.
«Questo sì che si chiama prendere
l'iniziativa»
disse alzandosi e chiudendo la cintura. Slegò la sciarpa e
la avvolse intorno al collo coprendosi bene.
Una volta vestito Raziel fece per riportare la bottiglia,
ancora mezza piena, al bancone, ma Fedor lo intercettò: «Questa
viene con noi. Sarà una lunga notte, dovete avere compagnia.»
Raziel scosse la testa ed uscì seguendolo. Non
aveva idea di quale direzione prendere, ma non avrebbe dimenticato il
cammino fatto: sarebbe stato un'ottima guida al ritorno.
Fedor estrasse una torcia dalle tasche e l'accese. La neve
riluceva del pallore giallo della lampadina. Sembrava una distesa di
petali soffici di iris gialli coperti di rugiada.
A Raziel arrecava quasi dispiacere calpestarla e lasciare le impronte
del proprio passaggio.
Chissà cos'avevano Ofelia e le altre donne contro
le prostitute. Non erano donne problematiche: negli anni aveva sentito
parlare di loro solo un paio di volte a causa di alcuni neonati
abbandonati davanti alla porta della chiesa. Non che ci fossero state
prove a sostegno della teoria che fossero figli loro, ma alla locanda
le cameriere li avevano nominati tali e tali sarebbero rimasti fino
alla loro morte. Per il resto erano solo voci e commenti velati che
però non nascondevano il profondo disgusto delle donne
virtuose.
Come se poi
la virtù dipendesse dal numero di persone con cui si ha
condiviso il letto, pensò Raziel, rivedendo
nella mente l'intelligentissima Kore, il caro Attalos, la dolce Iliade
e la meravigliosa Caterina.
Se dovessero
giudicare me, senza dubbio non ne verrei fuori pulito... Ma come
direbbe Hesediel, nessuno può giudicare il faraone se non il
faraone stesso.
Si strinse maggiormente la sciarpa, pregando di arrivare
presto, e chiuse le maniche sul posto per impedire al freddo di entrare
in quello spiraglio. Guardò poi il suo compagno di viaggio
mentre camminava: nonostante la sua familiarità aveva
continuato a dargli del lei, educatamente, ma come se non volesse
instaurare un rapporto con lui. Probabilmente questo atteggiamento
influenzava il desiderio di non volersi mai legare a nessuno e le
prostitute erano un ottimo compromesso.
Nel momento in cui pensò di chiedere a Fedor
quanto ancora avrebbero dovuto camminare, questo si voltò
verso di lui indicando uno scuro gruppo di case in cerchio.
Al centro c'era uno spiazzo da cui la neve era stata spalata
via e si vedeva bene il terreno bruno sotto i piedi. Avrebbe
ricominciato a nevicare nell'arco di poche ore, ma le donne
lì aveva tempo in abbondanza durante il giorno e pochi
compiti da svolgere: la mattina seguente avrebbero tolto nuovamente la
neve.
«Siamo usciti prima dei militari: c'è
l'imbarazzo della scelta.»
Raziel sorrise un poco imbarazzato, ma non disse nulla. Si
lasciò condurre nella casa più grande e si
sedette a fianco a Fedor su una panca di legno vicino al fuoco, in
attesa.
Dalla scala scese una donna dai capelli neri, lunghi, molto
magra. Aveva il viso di una bambina: non poteva avere più di
vent'anni. Gli occhi scuri sembravano quelli di un angelo e le ciglia
lunghe li incorniciavano magnificamente. Fedor si alzò e
lasciò alcune monete su un tavolo; la ragazza
scosse la testa, in silenzio. L'uomo allora fece un sorriso sghembo e
tirò fuori altro denaro dalle tasche: a quel punto la
giovane lo prese per mano e lo portò al piano di sopra.
Passarono un paio d'ore e Raziel le affrontò
seduto sulla panca, a godere del calore del fuoco. Aveva un po' caldo,
ma non si arrischiava a togliere nessun abito: meglio non essere
scambiato per un cliente in attesa.
Dopo un'altra ora, e due militari che avevano salito le
scale mano nella mano con altre due belle ragazze, la bottiglia di vino
era diventata invitante e ne avrebbe volentieri bevuto un buon sorso,
se solo avesse trovato la voglia per tirare fuori le mani dalle tasche.
Alla fine poggiò la nuca al muro e si chiese
perché avesse accompagnato Fedor: avrebbe potuto starsene
tranquillo nella sua stanza, con quella copia del manoscritto di
Platone da leggere e una bella coperta calda sui piedi. Invece aveva
scelto, di nuovo, di aiutare una persona in cerca d'amore. Proprio
vero, il lupo perde il pelo, ma non il vizio: nel suo caso, un paio di
ali verde smeraldo.
Si svegliò dal pisolino sentendo gli stivali di
uno dei soldati sbattere sui gradini della scala: la ragazza doveva
averlo sbattuto fuori dalla stanza. Nel frattempo, mentre l'uomo si
rivestiva vicino al fuoco, entrò una donna. Questa
squadrò il soldato con disgusto e distolse lo sguardo,
schifata. Poi notò la presenza di Raziel, e lo stesso
sguardo si addolcì. Gli si avvicinò.
«Bisogno di un letto caldo?»
chiese.
«Non sono un cliente.»
«E io non ti sto offrendo i miei servizi: solo un
letto e delle coperte.»
«Oh, un letto e delle coperte possono ispirare
molti scenari.»
Lei si mise le mani sui fianchi: «Anche
un fuoco può ispirare molti scenari, ma non mi pare di
averti bruciato.»
Raziel alzò gli occhi e la guardò, poi
si tirò su e abbassò la testa: «In
tal caso accetto molto volentieri la vostra offerta.»
Gli disse di seguirla e lo portò nella casa
opposta a quella, obbligandolo a salire subito nella camera da letto.
Raziel osservò la casa attentamente: era
essenziale, ma curata e pulita. Non la casa di una prostituta, quella
di una donna.
Il letto era grande, con molte coperte, e sistemato
abbastanza vicino al camino da goderne di tutto il calore senza
rischiare di prendere fuoco. Tutto sommato era una camera accogliente.
«Immagino che vi facciate pagare bene»
le disse mentre toglieva la giacca.
«Molto bene, ma stasera non lavoro.»
«Perché, se posso chiedere?»
«Non do ai soldati l'amore, io.»
Improvvisamente Raziel ebbe voglia di giocare: «Io
potrei essere un soldato senza divisa.»
«Voi? Non fatemi ridere. Voi, un soldato? Non
sareste capace di uccidere un uomo nemmeno se stesse minacciando la
vostra vita. State giocando con la donna sbagliata.»
«Siete esperta di soldati a quanto sento.»
«Senz'altro più di voi. E ora levatevi
quegli scarponi: non salirete sul letto con quelli.»
«Come volete.»
Si sedette sul bordo del letto e lasciò gli
scarponi vicino al muro, distendendosi.
La donna non aveva intenzione di lavorare quella sera, ma si
spogliò come se lui non fosse nemmeno nella stanza.
Lasciò la giacca su una sedia e le scarpe vicino al fuoco,
poi prese un paio di calzettoni asciutti e li infilò
velocemente. Si tolse il vestito e indossò una camicia di
notte e una vestaglia, stringendo bene la cintura affinchè
non si slacciasse. Sciolse i capelli e li lasciò liberi
sulla schiena.
Quello era il corpo di una donna: non eccessivamente
muscoloso, magro quanto bastava per esaltare la prosperità
delle curve; i capelli selvaggi e non acconciati. Un corpo che
abbracciandolo ti avrebbe trasmesso calore, qualcosa di vivo e pulsante.
«Ammirato lo spettacolo?»
«Non mi avete lasciato scelta, ma come ho
già detto: un letto può ispirare molte idee,
soprattutto ai civili.»
«State tranquillo e nessuno
si farà male. Poi, non avevate detto di non essere un
cliente?»
«Chi dovrebbe farsi male?»
le chiese non appena si mise sotto le coperte a fianco a lui.
«Voi»
sussurrò e spense la luce.
La
donna si addormentò in pochi minuti, ma Raziel avrebbe
giurato che stesse dormendo con un solo orecchio: l'altro controllava
lui e ogni suo movimento.
Non importava: da qualche secolo, precisamente dopo
Caterina, si era lasciato l'universo femminile alle spalle. La visione
di una bella donna era sempre un piacere, ma non chiedeva altro. Non
aveva bisogno di altri trattamenti. La sua vita, così
com'era, gli era più sufficiente. Presto sarebbe tornato
alla civiltà, magari avrebbe preso una nave e avrebbe
viaggiato fino a uno dei porti americani, scendendo in quello che
più l'avrebbe convinto, per poi raggiungere i suoi
amici.
Passarono altre ore e Raziel, cullato dal respiro ritmato
della donna al suo fianco, si addormentò, sognando di
giardini immensi e di una stanza verde smeraldo, con un grande letto e
un trono di legno intarsiato.
Si risvegliò di soprassalto sentendo l'urlo di
una ragazza in piena notte.
Il posto accanto a lui era vuoto e la donna stava
accovacciata di fronte alla finestra con un fucile tra le braccia. Si
alzò e si mise dietro di lei, chiedendole di chi fosse il
grido.
«Aphrotiti... Quel soldato che si è
portato in camera ore fa la sta picchiando... Probabilmente non
gradisce di dormire fuori come il cane che è.»
«Come lo sapete?»
Gli fece spazio e anche lui, nella notte buia,
riuscì a vedere i due dall'altro lato della piazza, di
fronte alla porta aperta di lei.
«E vorreste sparargli?»
«...»
L'uomo gettò a terra Aphrotiti e la donna vicino
a Raziel gli diede uno spintone per aver lo spazio e prendere la mira.
Raziel la guardò e seppe che non ce l'avrebbe mai fatta: la
mano le tremava, avrebbe mancato il soldato correndo il rischio di
colpire la ragazza.
Le prese l'arma dalle mani e sparò. Il soldato
cadde e non si rialzò.
Chiuse la finestra e restituì l'arma alla donna,
che lo fissava sconvolta e stupefatta.
«Ancora certa che io non sia un soldato?»
«Non più così tanto...
Torniamo a dormire.»
Raziel non si oppose e si distese sul letto, lasciando le
coperte aperte per la donna. Questa rimase per un po' sul bordo,
intimorita da quello che aveva appena visto. Nonostante ciò,
quando Raziel aprì le braccia, non esitò a posare
la testa sulla sua spalla, felice di quella concessione.
Coro dell'autrice
Sono tornata dal
silenzio, sopravvissuta al cibo del Natale, che tra l'altro
smaltirò come minimo fino al Pasqua, e pubblico questo primo
capitolo.
Altro nome, altro
angelo: tocca Raziel questa volta. Ora, Raziel è (o dovrebbe
essere, ogni sito la dice un po' a modo suo) un Arcangelo, Potenza
dell'amore e del sapere, del coro dei Cherubini. E me lo sono
immaginata come un bell'uomo, con capelli lunghi e barba entrambi
rossi, la carnagione molto chiara e un carattere saggio, sentimentale,
gentile ma passionale. Qualsiasi riferimento ad orientamenti sessuali
si evince perfettamente dal testo, diversamente dall'aspetto. Non
è un libertino, ma la persona giusta è in grado
di affascinarlo e farlo cadere in tentazione.
Non mi arrischio
ad aggiungere altro, sennò potrei fare spoiler per il
prossimo capitolo che, ipoteticamente, potrebbe già essere
l'ultimo, dipende da quanto i personaggi avranno voglia di recitare
sotto la mia guida.
Aggiornerò
nel più breve tempo possibile, ma dovrò
conciliare la scrittura con l'Università e la sessione
d'esami. In ogni caso so già perfettamente cosa debba
accadere e come, ed in parte tutto ciò esiste già.
Come al solito
questa storia rappresenta uno spin-off per conoscere meglio i
personaggi della storia madre che, come al solito, non ho nè
finito nè deciso di pubblicare.
Vi auguro Buona
Lettura, Buon Anno Nuovo già che ci sono e spero che abbiate
voglia di lasciarmi qualche recensione.
Un saluto a tutti
Izumi
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