Capitolo
1
Ci
siamo, si disse. Era a Yellowknife, finalmente. Dopo aver
passato due giorni terribili sull'autobus, combattendo tra la nausea
mattutina
e l'odore che cinquanta persone insieme in un posto così
ristretto creavano.
Per non parlare delle due vecchiette sedute di fronte a lei, avevano
parlato
per quasi tutto il viaggio e lei non era riuscita a dormire bene, non
che fosse
arrabbiata con quelle due signore, aveva letto la loro aura e sapeva
che erano
due brave persone e di solito lei non si innervosiva mai. Di solito.
La causa del suo crescente nervosismo era un'altra e tra poco sarebbe
stata
anche ben visibile...
Si
posò una mano sul ventre e sospirò, stringendo
nell'altra il piccolo bagaglio che aveva con sé: uno zaino
che conteneva
qualche vestito ed il poco che le sarebbe servito per qualche giorno.
Sapeva di
non aver garanzie, ed era partita abbandonando tutto per il bene del
suo
bambino, perché nonostante sapesse di avere solo una misera
percentuale di
vittoria, lei doveva provare a dare un padre alla creatura che cresceva
dentro
di lei.
Non
aveva mai pensato di trovarsi in una situazione
del genere, incinta così giovane di un ragazzo che aveva
così tanti problemi, e
che sicuramente le avrebbe sbattuto la porta in faccia, ma non
importava. Lui
doveva sapere dell'esistenza di quel bambino e lei avrebbe fatto di
tutto per
far sì che lo accettasse e amasse, non importava se non
avesse mai accettato o
amato lei.
Ritornò
con la mente alla sera di due mesi prima,
quando era stata invitata ad una rimpatriata dei compagni di liceo, che
non
vedeva da anni. Si era appartata fuori in disparte, come al solito, tra
gli
alberi a guardare la luna piena che illuminava il cielo notturno. Non
aveva
notato la presenza del rosso, né aveva percepito la sua
aura, stranamente. E
quando lui era venuto fuori dal nulla, lei aveva nascosto lo spavento
in un
saluto apparentemente calmo, tornando a concentrarsi sul satellite
luminoso,
ignorando il ragazzo ed il cuore che batteva furioso, come succedeva
ogni volta
che pensava a lui o lo aveva accanto.
Non
lo aveva mai dimenticato durante quei tre anni e
l'aveva perdonato per il modo poco carino con cui l'aveva sempre
trattata, gli
avrebbe perdonato ogni cosa, come lui avrebbe dovuto perdonare tutte le
persone
che lo avevano ferito e ricominciare a vivere.
Erano restati così per un po', lei a fissare la luna e lui
immobile dietro di
lei. Poi, era tutto cambiato; lei si era ritrovata stretta a lui, a
ricambiare
il bacio che mai si era aspettata di ricevere, a ricambiare i battiti
frenetici
del cuore, i respiri ansanti e le carezze.
All'improvviso, aveva sentito l'erba fredda contro la pelle nuda della
schiena
e si era resa conto che il suo maglione e la camicia erano spariti. Ma
non lo
aveva fermato, perché per la prima volta negli occhi di
Scott, aveva visto
brillare un'emozione che non era l'odio e che le aveva causato un
brivido lungo
la spina dorsale. Così, si era semplicemente stretta a lui
ed aveva vissuto il
momento più bello della sua vita, donandogli qualcosa che
non aveva mai donato
a nessuno. Ed infine, lui l'aveva tenuta stretta contro il petto, come
se fosse
la cosa più importante al mondo, e per poco lei era stata
davvero felice.
Ma quel momento era durato un attimo, lo stesso misero attimo del
battito d'ali
di una farfalla, perché lo aveva sentito sussultare
all'improvviso, come se
qualcuno o qualcosa lo avesse spaventato, allontanarsi da lei e
vestirsi in
fretta, lasciandola sola e ferita.
Il
vento gelido penetrò attraverso i vestiti,
facendola rabbrividire e riportandola alla realtà. A
distanza di quasi due
mesi, quel rifiuto silenzioso le faceva ancora male. Certo, non si era
illusa,
ma dopo ciò che avevano condiviso non si sarebbe mai
aspettata di vederlo
fuggire a quel modo; come se lei fosse stata una lebbrosa.
Sospirò ed infilò la mano nella tasca laterale
degli jeans che indossava e ne
tirò fuori un fogliettino stropicciato, lesse attentamente
l'indirizzo che vi
aveva scritto sopra, quello di Scott, e se lo portò al petto
in una muta
preghiera alla madre terra. Non era di certo stato facile abbandonare
la sua
città, le sue certezze, i suoi genitori e tutto
ciò in cui avrebbe potuto
trovare sostengo, per quel viaggio, per Scott e per il loro bambino.
Lui l'avrebbe cacciata, oh sì che l'avrebbe fatto. Lo
sapeva. Ma il cuore
traditore sperava, pregava davvero che la mente si sbagliasse.
Si
sistemò lo zaino su una spalla ed iniziò a
camminare per i negozi colorati di quella cittadina, piena di profumi e
facce
che non aveva mai visto. Anche gli alberi e la vegetazione che la
circondava le
sembrava così estranea, nonostante fosse identica a quella
di Toronto. In
lontananza, poteva scorgere gli alti edifici che si trovavano a nord di
Yellowknife.
Quella città sembrava divisa in due: da una parte c'erano
edifici moderni ed
ogni genere di negozio; dall'altra casette colorate, fattorie, negozi
artigianali ed il bellissimo lago che l'aveva subito incantata dal
grande
finestrino dell'autobus.
Dopo
qualche minuto di cammino, si rese conto di non
sapere dove fosse. Si era allontanata molto dalla fermata dei bus, da
cui era
partita, e non sapeva nemmeno come tornare indietro. In poche parole,
si era
persa.
Mordicchiandosi il labbro inferiore con agitazione, iniziò a
guardarsi intorno,
cercando di non farsi prendere dall'ansia e dalla paura, e solo in quel
momento
notò che alcune persone la stavano fissando con
curiosità.
Immaginò che per loro non fosse abituale ricevere turisti,
soprattutto non
giovani e soli, così ora lei si trovava al centro delle loro
attenzioni e
chiacchiere.
Nascose
il disagio e cercò con lo sguardo una via di
fuga e un aiuto per riuscire a trovare la casa di Scott. In quel
momento, sentì
il coraggio venirle meno e quasi si maledisse per essere partita da
sola per
una cittadina così lontana, poi si ripeté che
faceva tutto quello per il suo
bambino e che doveva essere forte.
Sì,
devi essere forte Dawn...
Fece
vagare lo sguardo verso il negozio di ferramenta
poco distante da lei, e notò un uomo piuttosto anziano che
stava caricando del
fieno su un camioncino dalla vernice blu consumata dal sole. Avrebbe
chiesto a
lui indicazioni per arrivare da Scott. Si avvicinò
lentamente, soppesando
mentalmente cosa dire senza che si lasciasse scappare qualcosa di
troppo.
Immaginava che ancor prima del calar del sole, tutti avrebbero parlato
di lei e
di certo non voleva dare loro altra carne da mettere a fuoco
lasciandosi
scappare dettagli intimi e succosi come la sua gravidanza.
Si
avvicinò all'uomo, che le dava le spalle,
ripetendosi per l'ennesima volta che doveva essere forte.
«Mi scusi...» Iniziò un po' in
imbarazzo, non le era mai capitato di chiedere
informazioni a qualcuno, ma c'era una prima volta a tutto ed ormai lo
sapeva
bene.
L'uomo si voltò di scatto e, dopo un primo momento di
perplessità, iniziò a
squadrarla da capo a piedi. Lei tossicchiò, allontanando
l'imbarazzo che
rischiava di farla desistere dal suo intento. «Potrebbe
indicarmi come arrivare
a questo indirizzo?» Finì, porgendo il foglietto
all'uomo, che lo prese con
curiosità dalla sua mano e lo portò a qualche
centimetro lontano dagli occhi,
socchiudendoli per poter leggere.
Appena
gli occhi stanchi, e non più giovani, dell'uomo
si posarono sulle parole da lei impresse sulla carta ed il cervello ne
assimilò
il significato, sgranò le iridi azzurre sorpreso e rilesse
l'indirizzo, poi
alzò lo sguardo su di lei e la fissò scettico.
«Vuole andare alla fattoria dei Douglas? Ne è
sicura?» Le chiese incredulo,
sorprendendola.
«Sì,
potrebbe indicarmi dov'è, per favore?» Dawn
poté
capire chiaramente il motivo della sua reazione leggendogli l'aura, la
famiglia
di Scott non era benvoluta e le persone di quella cittadina preferivano
non
aver rapporti con loro. E lei conosceva bene la sensazione che si
provava
quando gli altri ti tengono alla larga, anche se in questo caso la
reazione era
scatenata dai genitori del ragazzo e non da lui in particolare.
Sentì
l'uomo sospirare e grattarsi la barba, indeciso
se accompagnarla o meno. «So dove abitano e
l'accompagnerò io, signorina.»
Accettò infine, aggiungendo anche un altruistico passaggio
che lei non si
sarebbe mai aspettata.
Stava
per rifiutare, ma l'uomo non le diede il tempo
di farlo.
«Non
accetto una risposta negativa, è molta la strada
da percorrere a piedi ed oggi è anche una giornata
fredda.» Una folata di vento
gelido la fece tremare e battere i denti, come se madre natura volesse
dare
ragione all'uomo e convincerla ad accettare. Camminare per molto tempo
non
avrebbe fatto bene né a lei né al bambino, ed ora
lui veniva prima di tutto,
ragionò infine.
«Va
bene, accetto volentieri il passaggio, se non vi
reca disturbo.» Si arrese, aveva troppo freddo per mettersi a
discutere. Se la
strada da percorrere era davvero troppa, con quel gelo si sarebbe
congelata
prima di arrivare a destinazione e lei non doveva pensare solo a se
stessa ora.
E poi, l'uomo era una persona per bene quindi poteva stare tranquilla.
Il
vecchietto le sorrise amichevolmente, nel tentativo
di rassicurarla.
«Nessun disturbo, signorina.» Con un gesto del
capo, le ordinò di salire sul
veicolo.
Dawn
si affrettò a salire sul furgone, notando con
piacere che il riscaldamento era accesso. Sospirando contenta, si
abbandonò
contro il sedile mentre l'uomo la raggiungeva nell'abitacolo e metteva
in moto.
***
Erano
partiti già da qualche minuto, ma nessuno dei
due aveva aperto bocca. Dawn era troppo occupata a godersi il caldo per
parlare, mentre l'altro aveva paura di essere troppo invadente, ma dopo
qualche
momento di indecisione, l'uomo decise di rompere il silenzio.
«Come
mai è qui, signorina? E soprattutto, come mai si
sta recando dai Douglas? Scusate la mia curiosità, ma sono
anni che nessuno va
più a trovare quella famiglia.» Rise nervosamente
lui, tenendo lo sguardo fisso
sulla strada dinanzi a sé.
«Sono
un'amica di Scott.» Rispose semplicemente,
guadagnandosi un'occhiata incredula dall'uomo.
«Non
sapevo Scott avesse degli amici. Certo, quando
era piccolo ne aveva molti, ma poi...» Lui tossì
teso prima di continuare,
cambiando però discorso. «Comunque, sono felice
che abbia un'amica, lei sembra
una brava persona.»
Dawn
lo ringraziò con un sorriso e ripensò a quello
che l'uomo le aveva rivelato. Scott aveva avuto degli amici da bambino,
chissà
se ne aveva ancora qualcuno, ne dubitava fortemente. Comunque, quello
significava che forse c'era ancora speranza per lui.
«Io
sono Anderson, piacere di fare la sua conoscenza.»
Riprese dopo un po' lui, ricordandole di aver accettato un passaggio
senza
nemmeno presentarsi.
«Io
sono Dawn, mi scuso per non essermi presentata
prima ed è un piacere anche per me conoscerla.»
Sorrise gentilmente e si
richiuse di nuovo nel silenzio. Era passato tanto tempo dall'ultima
volta che
una persona le aveva parlato spontaneamente e senza timore, esclusi
alcuni
compagni del liceo, ovviamente.
Le poche persone che la conoscevano a Toronto, non le rivolgevano mai
la parola
e la evitavano, avevano troppa paura che lei potesse scoprire i loro
segreti e
questo li metteva a disagio.
«Eccoci
qui, signorina.» Anderson parcheggiò l'auto
davanti ad una fattoria in rovina ed apparentemente disabitata. Il
legno del
recinto che bloccava l'entrata agli sconosciuti, era marcio e la casa
che un
volta doveva essere stata rossa, ora rovinata e bisognosa di una
riverniciata.
Il portico era decadente ed aveva bisogno di una ristrutturazione, come
tutte
le strutture che riusciva a scorgere, fienile compreso.
«La
ringrazio mille per il passaggio, Anderson.» Scese
dal furgone e rabbrividì per l'ennesima volta al vento
gelido che la investì,
diede un ultimo saluto all'uomo che le aveva risparmiato una gran bella
"passeggiata" e si avviò verso la struttura in rovina.
«Stai
attenta ragazza, anche se sei un'amica di quel
ragazzo, ti consiglio di non abbassare la guardia.»
L'avvertì lui, prima di
ripartire, lasciando dietro di sé una nuvola di polvere.
La
bionda scavalcò il recinto marcio ed attraversò
il
piccolo vialetto che la separava dalla casa di Scott. Lentamente,
salì gli
scalini in legno del portico, sentendone scricchiolare qualcuno.
Sembrava la
scena di un film horror, anche il posto era perfetto.
Arrivò
davanti alla zanzariera che precedeva la porta,
anch'essa rovinata e consumata dagli anni, e busso velocemente prima
che il
coraggio le mancasse.
Le
luci in casa erano spente e per un momento credette
che non ci fosse nessuno, poi, dopo qualche minuto, la luce di quello
che
doveva essere il salotto si accese e le si bloccò il respiro
in gola, mentre il
corpo si irrigidiva per la tensione.
Sentì
un tonfo, seguito subito dopo da una colorata
imprecazione ed un borbottio. Sì, quello era proprio Scott.
***
Chi
cavolo rompeva a quell'ora? Si chiese Scott,
entrando in salotto.
Erano
solo le dieci di mattina e a lui piaceva stare a
letto almeno fino a mezzogiorno, soprattutto ora che non c'erano i suoi
genitori a rompergli le scatole.
Si strofinò gli occhi, ancora intontito dal sonno, ed
andò a sbattere con il
piede contro una delle sedie che circondavano il tavolo.
«Porca
puttana!» Sbottò, zoppicando verso l'entrata e
maledicendo chiunque si trovasse dall'altro lato.
Aprì
la porta e la zanzariera, e si ritrovò davanti la
figura di una biondina minuta che si stava torturando le mani.
All'inizio non
la riconobbe, forse per l'abbigliamento tanto diverso da quello che
aveva di
solito o per i capelli leggermente più corti, poi i suoi
occhi la misero a
fuoco e lui rimase paralizzato sul posto.
«Cosa
ci fai qui?» Chiese il rosso, sorpreso dalla
visita di quella ragazza che non vedeva da due mesi e che, invano,
cercava di
togliersi dalla mente. Ricordava ancora il profumo della sua pelle, il
sapore
delle sue labbra ed il leggero dolore causato dalle sue unghie che
penetravano
la carne delle spalle...
Scott
scosse il capo, scacciando quel ricordo
piacevole e doloroso al tempo stesso. Doveva riprendersi, cacciarla,
mandarla
via prima che si lasciasse andare al bisogno quasi istintivo di
assaporare di
nuovo le sue labbra.
«Ciao
anche a te, Scott.» Lo salutò ironicamente lei,
poi la sentì sospirare e cambiare atteggiamento prima di
riaprire bocca. «Io
devo dirti una cosa importante.» Lo freddò,
notando che stava per aprir di
nuovo bocca.
Dawn aveva uno sguardo deciso, la schiena dritta ed il mento alzato,
come un
soldato che si preparava alla guerra. Non se ne sarebbe andata, dedusse
lui.
Non l'aveva nemmeno invitata ad entrare, la ragazza però non
sembrava curarsene
e se ne stava sotto il portico con quell'espressione decisa che poche
volte, se
non mai, aveva visto comparire sul suo volto sempre dolce e gentile.
«Va
bene, dì quello che devi dire e sparisci.»
Sbottò
spazientito. Una parte di lui gli gridava di far entrare la ragazza,
abbracciarla ed amarla come aveva fatto due mesi addietro, ma quella
orgogliosa
e crudele che usava come scudo, e che ormai aveva il sopravvento su di
lui, gli
ordinava di sbarazzarsi presto di quella distrazione e tornarsene
dentro ad
ammazzare topi e godersi la pace lasciata dalla partenza dei suoi
genitori.
«Sono
incinta, Scott.» Gli rivelò con apparente calma.
Quella notizia lo colpì con la stessa intensità
di un pugno nello stomaco, ma
non diede a vederlo; anzi, indossò la solita maschera da
stronzo e si affrettò
a risponderle.
«Quindi
che vuoi ora?» La ragazza non batté ciglio
alla sua risposta fredda e dura, come se si fosse aspettata esattamente
quella
frase da lui e questo lo fece imbestialire. Ogni cosa che faceva o
diceva,
sembrava non avere effetto su di lei, come se sapesse sempre prima di
lui cosa
avrebbe detto o fatto.
«Nulla,
non voglio nulla. Ho solo pensato che dovevi
saperlo.» Gli rispose lei, mantenendo ancora sul viso
quell'espressione decisa
e fiera.
«Bene,
ora puoi andartene.» Fece un passo indietro per
chiudere la zanzariera e lei fuori dalla propria vita, quando la
ragazza parlò
di nuovo:
«Rimarrò
a Yellowknife, Scott. Resterò fin quando non
ci accetterai ed accetterai te stesso, quello vero, quello che ti
ostini a
tenere dentro. Quello che già ama questo bambino.»
Affermò decisa, portandosi
una mano sul ventre.
Si
trattenne dal riderle in faccia, davvero credeva
che avrebbe accettato lei ed il bambino? Sciocca, pensò, e
qualcosa all'altezza
del cuore lo fece sudare freddo: senso di colpa. Scacciò
quella sensazione e
tornò a fissarla freddamente.
«Davvero
vuoi rimanere in questo posto di merda?»
Rise. «Bene, fai pure, ma non credere che alla fine il tuo
sforzo avrà
l'effetto sperato.» Sputò velenoso.
«Puoi
mentire a te stesso, Scott, ma non a me.»
Replicò dolcemente lei, una dolcezza che aveva il potere di
ucciderlo.
«Davvero?
Te lo dice la mia aura?» La prese in giro
lui.
«I
tuoi occhi mi parlano prima della tua aura.» Gli
rispose candidamente, poi si voltò e si allontanò
lentamente.
Scott
rimase pietrificato sulla soglia di casa. I suoi
occhi gli parlavano prima della sua aura? Si portò una mano
all'occhio
sinistro, come se toccandolo potesse capire effettivamente se fosse
vero o no.
Scosse la testa, dandosi dell'idiota, chiuse la mano a pugno ed
entrò dentro,
sbattendo la zanzariera e la porta.
Maledetta
Dawn!
Perché?
Perché si era infilata nel suo cuore? Stava
così bene prima, in compagnia soltanto del suo dolore e del
suo odio. Poi era
arrivata lei, e bastava solo il suono di quella voce dolce e calma per
spegnere
un risentimento che durava da talmente tanto tempo, da non sapere
più nemmeno
lui quando esattamente avesse iniziato a provarlo.
Ed
ora... un bambino! La maschera voleva davvero non
saperne nulla, ma l'altra parte di se stesso cercava di riemergere dal
buio
della sua anima, urlandogli di rincorrerla ed accettare quella
possibilità di
essere felice, ma lui aveva paura e da codardo preferiva restare
nascosto nella
sua oscurità.
Lei aveva detto che sarebbe rimasta lì finché lui
non avesse accettato loro e
se stesso, ci sarebbe davvero riuscita? Quella parte nascosta di Scott
pregò di
sì.
Tornò
a letto, scombussolato ed infuriato. Solo che
non sapeva se lo fosse con Dawn o con se stesso.
***
Dawn
si allontanò dalla fattoria di Scott, trattenendo
le lacrime. Le parole del ragazzo l'avevano ferita, anche se
già se l'era
aspettate.
Il problema era che lei, indipendentemente da quello che riusciva a
vedere e
percepire, era una ragazza qualunque e sognava esattamente come tutte
le altre.
Ed in fondo, aveva sperato che lui l'avrebbe almeno ospitata per quella
notte.
Sfregò le mani sulle braccia per darsi un po' di calore, per
fortuna era quasi
mezzogiorno altrimenti avrebbe dovuto sopportare un freddo ancora
più pungente.
Stanca ed affamata, Dawn si fermò per un po' a recuperare
fiato, la testa le
girava e la nausea era tornata, nonostante avesse svuotato il suo
stomaco poco
prima di arrivare in città.
Si
sedette per terra e chiuse gli occhi, respirando
lentamente, doveva calmarsi e pensare a cose positive. Rimase
così per un po',
fino a quando sentì un furgone fermarsi di fronte a lei,
solo allora riaprì gli
occhi; ritrovandosi di fronte una donna anziana dai lunghi capelli
grigi e lo
sguardo curioso, che si sporse dal finestrino per fissarla intensamente.
«Cosa
ci fai lì per terra?» La domanda era stata
formulata con un tono irritato e curioso, ma Dawn poté
leggere l'autentica
preoccupazione nell'aura della donna.
«Sto
solo riprendendo fiato.» Si rialzò, togliendosi
la polvere dai pantaloni con delle pacche e spostando lo zaino
sull'altra
spalla.
«Sei
nuova di qui, giusto?» Chiese ancora la donna,
socchiudendo gli occhi per guardarla meglio.
Dawn
annuì.
«E
non hai un posto dove stare, ho indovinato?»
Continuò l'enigmatica sconosciuta.
Dawn
scosse la testa, in un gesto affermativo.
La
donna sospirò pesantemente, poi parlò di nuovo.
«Salta su scricciolo, starai nella mia fattoria. Mi servivano
proprio due
braccia in più.»
La
bionda la fissò sorpresa e completamente senza
parole, era in quella città da meno di un'ora e questa era
già la seconda
persona che le dava una mano. Non era abituata a tutto quell'altruismo,
anche
perché di solito quella altruista era lei.
Notando
che la ragazza non accennava a muoversi, la
donna batté con forza una mano sulla portiera bianca.
«Allora, ti muovi? Credi che la vecchia Caroline abbia tempo
da perdere? Il mio
soggiorno su questa terra è agli sgoccioli ed ho ancora
molte cose da fare
prima di andarmene.»
Dawn
rise involontariamente a quella frase, non voleva
darle l'impressione di ridere di lei, ma sentirle dire che le rimaneva
poco tempo
nonostante apparisse così piena di energie, era davvero il
colmo. Ringraziando
la madre terra per il suo aiuto, andò verso il sedile del
passeggero ed entrò
in auto.
«Finalmente.»
Sospirò Caroline, appena la bionda si fu
chiusa la portiera alle spalle, e ripartì a grande
velocità, senza degnarla di
uno sguardo.
Sollevata,
Dawn si accarezzò il ventre, sentendosi più
tranquilla.
Non
ti preoccupare piccolino,
andrà tutto bene vedrai, pensò,
in un tentativo di rassicurare il bambino, anche se era
lei quella che ne aveva più bisogno. Doveva tenere duro e
combattere, solo così
non avrebbe mai avuto rimpianti.
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