Fury
Non
c’è solo della follia in noi due.
C’è
della disperazione. Talmente autentica da indurci a perseverare nei
nostri
errori.
Non
credi dovremmo smettere, Brian? Direi che al momento è
evidente che questa cosa
ci sta massacrando. Fa un male fottuto, come diavolo è
possibile che nessuno di
noi due se ne renda conto?
-Insomma,
devo darti conto e ragione di tutti i miei spostamenti?!-
m’informo.
Vorrei
suonare stupito tanto quanto mi sento, invece ascolto la mia voce e mi
sembra
più che altro arrabbiata – senza
ragioni
reali. Parlo come un adolescente che pretenda di rivendicare
la propria
libertà dai genitori…o peggio, come un compagno
che tenti di rivendicarla dalla
propria donna.
Il
che è assurdo.
La
mia donna
è la causa di questa
discussione. O, più precisamente, il fatto che la mia donna
stia in Italia e
questo mi induca a lasciare l’Inghilterra per periodi di
tempo più o meno
lunghi, è la causa di questa discussione.
Pensare
che generalmente non te ne accorgi neppure se resto via per mesi interi.
Poi
però capita che ti vengano pruriti insoliti e tu abbia
voglia di presentarti
qui all’improvviso…
Qui.
A
casa mia.
Quand’è
successo che casa mia diventasse il ricettacolo della merda
che è la nostra relazione?
…ma
perché, Matthew, c’è stato un momento
in cui questa cosa è
diventata una relazione?
Sì,
c’è stato. È innegabile. Lo
è perché c’è stata una terza
volta, dopo la
seconda, ed alla quarta già mi facevo troppe domande di meno
rispetto a quelle
che avrei dovuto pormi. Quando alla quinta ho aperto la porta senza
discutere,
mi sono detto che era fatta. Niente da stupirsi se alla sesta non mi
sono
neppure posto il problema di ritrovarmi seduto allo stesso tavolo con lui, nella mia cucina, a cenare come se
fossimo davvero solo una coppia stanca.
E
da allora questa casa – quattro
pareti,
tre stanze, un bagno… - è diventata un
po’ il segno tangibile di ciò che
siamo. Un luogo in cui fuggire.
Non
è strano? La gente fugge in posti dove smette di sentire
dolore, noi fuggiamo
in posti dove il dolore diventa l’unica certezza.
E
se non ce n’è, lo creiamo. Lo abbiamo creato
già quella prima notte ed ora ci
metteremo a consumarlo un po’ alla volta.
Di
solito non penso così. Di solito le mie idee vanno ognuna in
una direzione
diversa e sono tutte ugualmente trascinanti e prive di schemi. Di
solito amo il
mio delirare osservando il mondo.
Di
solito, però, non sono così esausto.
-Sarebbe
corretto che tu lo facessi, sì.- ritorce lui
con un’apatia feroce, che non serve a mascherare
l’assurdità evidente di quella
semplice affermazione.
Sarebbe
corretto, mi ripeto mentalmente,
stranito.
-…e
quando cazzo sarà che tu farai qualcosa di corretto per me,
invece? Eh,
Brian?- domando in tono neutro.
È
una guerra di nervi. Onestamente penso che l’abbiamo persa
entrambi. Lui perché mi
fissa con un astio palese
che solo la sua voglia di umiliarmi riesce a contenere nei confini di
questa cosa;
io perché è chiaro che tutto ciò
è illogico, ma invece di dirlo
– almeno - sto qui e ne parlo come se
fosse…normale.
Cristo
Santo!
cosa accidenti ci può
essere di normale in lui che mi fa
una scenata di gelosia per la mia
donna!
-Brian,
io vado da Gaia quando voglio.- notifico incolore, lasciando ricadere
le
braccia lungo i fianchi in un gesto che vuole essere un segnale del mio
stato
d’animo.
Sto
dicendo: “chiudiamola qui”. Sto dicendo:
“non abbiamo davvero bisogno di
renderla più complicata di quanto non sia già di
suo”.
Il
punto è che non è la prima volta che lo dico.
In
realtà, temo di aver anche perso il conto.
E
come se questo non fosse abbastanza – il ripetersi quasi
noioso di scene sempre
uguali – c’è la consapevolezza di quello
che penso ma non dico.
Ossia.
“Perché?
perché tu hai il diritto di venire qui, dirmi che mi odi,
fare sesso con me ed
impormi la tua gelosia. Perché io non devo fare
altrettanto?”
Lo
sai, Brian, io sono davvero geloso. Geloso di Helena e di Cody e di
tutto il
tempo che passi con loro. Sono geloso di Stefan, della tua manager, del
tuo
nuovo batterista di cui non mi hai ancora detto neppure il
nome…
…sono
geloso di noi.
Geloso
delle volte in cui bussi alla mia porta ed io ti lascio entrare, geloso
delle
ore che passiamo a scopare, geloso delle nostre cene e dei nostri
pranzi
avvelenati, della cattiveria che ci riserviamo l’un
l’altro con tanta sollecitudine.
Sì, sono geloso anche dei tuoi insulti, del fatto che perdi
il tuo tempo e la
tua intelligenza per usarmeli contro come armi.
Sono
geloso del fatto che nonostante questo tu non vada via, torni sempre ed
ogni
volta ti odi un po’ di più e, di riflesso, odi me
più della volta precedente.
Lo avverto, te lo leggo in faccia, lo leggo nell’irritazione
che ormai non
nascondi neppure.
Non
sono pazzo, Brian, il punto è che mi sono accorto che, ogni
volta che torni, un
pezzo della maschera scivola via.
Magari,
se passerà un tempo sufficiente, potrò vedere
cosa c’è sotto.
Credimi,
è da quel 24 Ottobre che sembra lontano come il mondo che mi
chiedo cosa ci sia
sotto. Sotto i tuoi modi ammiccanti, i tuoi sorrisi che sono luminosi
da far
male quando – sorridendo - lo fai sinceramente ed anche sotto
quelle parole che
mi dicesti allora e che adesso mi sembrano assolutamente impossibili.
Io
ti guardo. E mentre lo faccio, penso che non tornerò
indietro: tu non mi
ridarai quel momento perfetto, quello in cui io ho pensato che se
avessi potuto
sfiorarti mi sarebbe bastato.
-Non
ho detto che non devi andare da Gaia,- sibila lui
incattivito – ho detto che sarebbe corretto mi informassi
almeno! Cosa credi? che io non abbia impegni? che sia
tenuto a stare qui ad aspettare i tuoi comodi?!
-Brian,
stai dicendo un mucchio di stronzate! Io e te scopiamo! Non stiamo
assieme!-
affermo rabbioso.
-E
questo ti da il diritto di sentirti migliore di me, Bellamy?!
Dio
mio…
-COSA
CAZZO C’ENTRA?!- ruggisco piantandomi di fronte a lui, mani sui fianchi e viso acceso.
Mi
sento le guance in fiamme. Mi sento la gola in fiamme. Sono ore che
discutiamo.
…Brian,
ti supplico…piantiamola qui. Non interessa a nessuno dei due
continuare a
questo modo.
-C’entra
nella misura in cui tu credi di poter fare il cazzo che vuoi, Bellamy!
E questo
non è né vero, né ammissibile!- mi
grida contro di rimando, sporgendo il viso
perché io possa ritrovarmi incastrato nel colore assurdo dei
suoi occhi una
volta di più.- Io non permetterò ad un ragazzino
idiota e saccente di…- incespica
sulla parola, vorrei che non riuscisse a trovarla mai più,
ma la sua non è
difficoltà di collegare il concetto ad un suono,
è difficoltà di gestire il suo
odio a sufficienza da dare vita a quel suono- usarmi!-
sbotta alla fine – come se io fossi una puttana qualunque!
-Ah,
io userei te
come se fossi una puttana qualunque?!- sbuffo incredulo.- Mi
prendi per il culo, Brian?! Tu vieni qui quando vuoi, senza nemmeno
avvertirmi,
pretendi di trovarmi ad aspettarti, entri, scopi, mangi e te ne
vai…- elenco
impietoso- E la puttana saresti tu?- ribadisco semplicemente.
Sogghigna.
Fa impressione quando lo fa, io so sempre che sta per arrivare un
diretto
preciso e calzante nel mio stomaco. Non importa se fisicamente non
muove un
muscolo.
A
parte quella dannatissima bocca, s’intende.
-Ma
tu sei una puttana, Bellamy.-
risponde pianamente.- E la cosa ti piace immensamente, visto che lo sei
rimasto
anche a distanza di dieci anni e nonostante tutto il successo che hai
ottenuto.
…io
conosco un numero considerevole di usi più intelligenti e
più utili per
l’umanità con cui potrebbe occuparla quella
dannatissima bocca.
-…Brian…vaffanculo.-
scandisco lento.
Lui
ridacchia.
Si concede
anche questo lusso mentre io mi allontano di riflesso, disgustato.
-Cazzo!-
sbotto muovendomi a casaccio dentro il salotto. Osservo lo scenario che
ci
circonda e, lo ammetto, ho difficoltà a riconoscerlo.-
Cazzo, Brian! Cazzo!-
ribadisco.
Lui inclina la testa e mi
osserva, quasi fosse affascinato dalla vista di un me in preda ad
un’evidente
crisi isterica.
…cazzo,
Brian.
Mi
fermo di colpo, soffiando fuori il fiato per cercare di mantenere il
controllo
della situazione e, soprattutto, di attenuare il dolore che sento
stringermi al
petto.
-…devi
sempre rovinare tutto.- sussurro.
-Rovinare
cosa, Bellamy?- ritorce sgranando
gli
occhi come se non credesse alle sue stesse orecchie.
-Rovinare.-
ripeto lento. Lo guardo, impietoso ed implacabile lo fisso con una
determinazione che non sapevo neppure di avere.- Tutto, Brian,
qualsiasi cosa
tu abbia tra le mani.
Rimane
in silenzio raccogliendo le idee. Lo vedo mentre lo fa, le vedo
addensarsi
dietro i suoi occhi come dietro uno specchio, li rendono torbidi e
pesanti,
scuri e densi come se fossero fatti di metallo liquido. Poi le
idee…i pensieri,
scivolano giù fino alle labbra, le schiudono e si posano
sulla punta della
lingua, pronte ad essere scagliate come lance acuminate contro di me.
-…vuoi
dire noi due, Bellamy?- domanda scandendo bene le parole.
So
che vorrebbe sentirsi dire di sì. Gli offrirei la mia testa
su un piatto
d’argento e lui la staccherebbe di netto e la getterebbe via,
tra i rifiuti,
esattamente dove pensa che dovrebbe stare e dove vorrebbe ricacciarmi.
È
lì che mi hai trovato, Brian, per questo non riesci a capire
come io sia potuto
venirne fuori da solo. Nessuno vede davvero un diamante grezzo in mezzo
alla
spazzatura, tu hai dovuto lottare per farti vedere, io cosa ho fatto a
parte
cadere dal cielo in braccio ad un produttore.
Non
lo so cosa ho fatto, Brian.
Non
so cosa ho fatto a te.
-Rispondimi.-
ordina piano quando il silenzio si fa troppo lungo per lui.
E
c’è già una minaccia nel tono basso e
controllato, ormai lo conosco e so che è
lo stesso tono con cui terrorizza la gente che lavora per lui, con cui amministra ogni cosa nella
sua vita ed in quella di
chi lo circonda. Lo usa anche con me. Generalmente funziona.
-Lo
sai.- dico io senza ubbidirgli.
-Oh,
no, Bellamy!- mi deride controllando la risata che si affaccia isterica
nella
sua voce.- Non provarci. Rispondimi.- ripete una seconda volta.
La
terza non ci sarà. Non c’è mai.
…non
ci sono mai arrivato alla terza, ho sempre ceduto prima, lo ammetto.
-Lo
sai!- ribadisco invece, stavolta.
Annulla
le distanze. Fa un passo, poi l’altro ed io rimango
esattamente dove mi trovo.
Brian è più basso perfino di me – una
consolazione davvero pietosa, ma alla quale aggrapparsi quando
l’autostima
vacilla! …con lui vacilla spesso, peraltro.
– quando mi arriva di fronte,
troppo vicino per guardarmi negli occhi, è costretto ad
alzare il viso ed io mi
ritrovo mio malgrado a cercare il suo sguardo per berne…una volta di più.
-Tu
sei un patetico, idiota,
insopportabile, arrogante e saccente figlio di puttana!- mi sputa
contro
feroce.
-Gradirei
che lasciassi mia madre fuori dalle nostre conversazioni, Brian.-
ritorco
concedendomi un sorriso che stento a riconoscere come mio.- Io non
avrei metodi
altrettanto efficaci per ribattere sulla tua.- concludo.
Sono
impazzito.
-Oh.-
constata perplesso, sfoggiando quel suo sguardo da bambolina timida che
tanto
effetto ha sulla mente dei “maschi”- Tu
gradiresti?- mi chiede nuovamente, come
se la cosa lo sorprendesse davvero.
Apro
la bocca, è ormai evidente che lui
ha
voglia di litigare.
È
altrettanto evidente che ce l’ho anch’io.
Ma
poi squilla il mio cellulare.
***
Impariamo
il valore delle cose solo quando sono perdute.
Per
le persone è anche peggio.
Impariamo
il valore che una persona ha per noi, solo quando sta per scivolarci
via dalle
dita o, cosa peggiore, lo ha già fatto.
Forse
è per questo che la maggior parte degli esseri umani rimane
tanto legata alle
storie finite, quelle che dovrebbero essere un capitolo chiuso di un
passato
che ci si lascia alle spalle ma invece affiorano, e sempre quando ci
sentiamo
più deboli. Soli. Tristi.
Incapaci.
Io
ascolto il suono preciso e squillante del cellulare. Lo ascolto mentre
si
solleva in un silenzio pesante e carico di aspettativa che si tende tra
me e lui.
Brian
lo sente come me.
Lo
annusa.
Mi
guarda negli occhi, ma nell’attimo stesso in cui io mi
muoverò, la sua testa ruoterà
su se stessa ed i suoi occhi si punteranno sullo stesso oggetto
inanimato che
mi chiama da sopra i cuscini del divano.
È
una questione di tempo.
-Non
rispondi?- mormora lui.
Sembra
ammansito. Significa solo che sta per stringere, affondare gli artigli
ed uccidermi. Una volta per tutte.
Il
mio cuore batte un ritmo così disperato che tutto
ciò che riesco a pensare è
“non voglio che lo senta, non voglio che capisca che ho
paura”. Non so se Brian
possa davvero sentirlo, so che l’immobilità
è stata spezzata dalla sua domanda,
come so che il cellulare continua impaziente ad aspettarmi.
Faccio
un passo indietro – mi allontano da lui,
è troppo vicino… - e poi in avanti, verso il
divano. Le mie dita si chiudono
attorno alla plastica rigida, i miei occhi rimangono fissi in quelli di
Brian.
Dall’altro
lato Gaia mi saluta e mi chiede perché ci abbia messo tanto
a rispondere.
È
una questione di tempo. Due secondi esatti? Forse tre?
…no,
sono quattro interminabili minuti. Quattro minuti esatti – me
lo dice il contatore
del telefono quando alla fine riattacco la chiamata – in cui lui – Brian
– mi guarda. In cui lei, Gaia, mi parla e sorride. Ed in cui
io…
Codardo.
Vigliacco.
Stupido. Sciocco.
…innamorato
di un
vecchio sogno.
Io
rimango zitto e conto tutte le ragioni per cui Gaia vale per me
più di ogni
altra cosa al mondo. Le conto una dietro l’altra – e lui mi spia, mi osserva – mi
dico che sono tutte valide, che sono
giuste, che sono davvero importanti.
Sopra
ogni cosa mi dico che non potrei farne a meno – e lui sorride, perché sa di aver vinto
– e, quando qualcosa di cui
non puoi fare a meno è appeso alle dita di qualcun altro - mi sorride, perché gli basterebbe
parlare, aprire la bocca, dire
qualcosa ed io sarei morto – allora dovresti
pregare che sia qualcuno la
cui stretta è affidabile e sicura.
Ed
io invece sto affidando Gaia alle
dita di Brian Molko.
…per
come la vedo io…siamo pari, Brian.
***
Ho
aperto l’acqua per coprire il rumore che fa l’aria
nel lasciare i miei polmoni.
È talmente sibilante, difficoltoso e raschiante che urta me
per primo e da
l’esatta misura della mia debolezza attuale.
Così
ho aperto l’acqua nel lavandino, quando mi sono rifugiato in
bagno, e ci ho
nascosto dietro la paura nel mio respiro. Stringo le mani attorno alla
porcellana bianca finché le ossa non scricchiolano e
cominciano a farmi male e
ringrazio il Dio in cui non credo che i dannati capelli abbiano
raggiunto una
lunghezza incomprensibile dietro la quale scappare quando non si ha il
coraggio
di guardarsi allo specchio.
La mia vita si è
decisa in quattro minuti
esatti.
Non
è mutata di una virgola.
Brian
non ha parlato, Gaia lo ha fatto per se stessa e per me, lei non sa di lui, il mio ridicolo segreto è
salvo.
In
quattro minuti esatti ho preso ciò che restava della mia
adolescenza e l’ho
lasciato cadere a terra.
Sollevo
il volto. Sento i passi di Brian muoversi nel salotto alle mie spalle
– oltre
il corridoio. Osservo la mia faccia pallida, le occhiaie scavate, nel
riflesso
che mi osserva da sopra il lavandino. Chiudo l’acqua,
trovando conforto nella
concretezza dei gesti. Poi alzo le mani e le porto dietro la nuca,
armeggio con
la chiusura della catenina perché non ricordo neppure da
quanto non la tolgo e
fa resistenza quando provo a forzarla. Alla fine scivola via e mi si
raccoglie
sul palmo della mano.
Quando
la ritiro su, resta solo il plettro di plastica. Non pesa niente. Lo
infilo in
tasca e riallaccio al collo il regalo di Gaia.
Torno
in salotto per trovare lui
già sulla
porta, sta sistemando il colletto della camicia sotto il soprabito con
gesti
così meccanicamente perfetti e studiati da farla sembrare
l’inquadratura di un
film. Mi sente arrivare, lo so, ma non si volta perché
sarebbe già riconoscermi
un qualche valore e lui non me ne
attribuisce. Spalanca l’uscio come se fosse casa sua, esce ed
io lo seguo molto
lentamente e lo richiamo quando è già fuori, i
piedi sullo zerbino che ingombra
la soglia.
-Brian.
Mi
guarda.
Spingo
le dita in tasca e ne tiro fuori il plettro di plastica, glielo tendo
tenendolo
tra due dita con attenzione.
-Se
dovesse mai capitarti di reincontrare la persona che me lo diede, digli
che lo
ringrazio, mi ha portato fortuna. E digli che mi sono sempre
considerato
onorato di averlo potuto conoscere.
“Fury”
MEM
2008
Nota di fine capitolo della Nai
E la storia finisce qui ^_^
Sì, lo so, non è nemmeno un vero finale XD
Ringrazio coloro che l'hanno letta, "seguita" e "preferita"!
Alla prossima ^_-
MEM
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