Salve!
Ringrazio chi è entrato a dare uno sguardo, chi
leggerà e chi
deciderà di lasciare una recensione! Spero che la storia vi
incuriosisca e, soprattutto, che vi piacerà.
Devo
però innanzittutto avvertire che nella storia saranno
presenti molte
note, perché ho deciso di scrivere alcune frasi in gaelico
scozzese,
per rendere la vicenda più realistica, e che i nomi delle
città
sono tutti nella loro forma in gaelico, ovvero quella originale.
Inoltre, non aspettatevi una long, perché è solo
una corta longfic
di due capitoli.^^
Spero
che li apprezzerete!
Damnata
ab omnibus, ad infinitum
1
Luine staccò un fiore dal terreno e
rimase a fissarlo con curiosità e invidia. Quella piccola e
innocente piantina non aveva nient'altro da fare nella vita se non
nutrirsi e riprodursi in altri mirabili e variopinti fiori. Non doveva
preoccuparsi di nulla di più; non ne aveva motivo,
poiché viveva in tutti gli agi che il mondo poteva donare,
ignara del dolore e della solitudine. Era proprio questo che invidiava
di quel fiore: non provava alcuna sofferenza, perché
semplicemente non sentiva nessuna emozione. Si limitava a sopravvivere
per quanto quel mondo le permetteva prima di porre fine alla sua
inutile vita. La mezzelfa chiuse la mano a pugno, spezzando e
sminuzzando ciò che rimaneva del fiore.
«Luine!» gridò una
voce cristallina poco lontano. La mezzelfa si voltò e
notò un gruppo di elfe non troppo distanti dalle rocce dove
si trovava sdraiata. Una di queste le faceva segno con la mano di
andare da loro. «Accompagnaci!»
Lei finse un sorriso forzato e urlò di
rimando: «Non ho voglia, ma grazie lo stesso.»
L'elfa che la aveva chiamata fece una smorfia e si
rigirò verso le altre, ridendo e andandosene con loro. Luine
poteva immaginare benissimo cosa si stessero dicendo quelle pettegole:
“Ma l'avete vista? È talmente pigra da non
riuscire nemmeno ad alzarsi”, “Non credo che sia
pigra, quanto più incredibilmente introversa” e
ancora “Ve lo dico io: è solo
un'emarginata.”
Poteva chiaramente sentire nella sua mente le
risate argentine delle elfe prenderla in giro, come altre innumerevoli
volte era accaduto sin dalla sua nascita. I momenti che erano
più vividi nella sua mente ricollegati all'infanzia erano
proprio le battute che gli altri bambini elfi solevano farle tutte le
volte che lei era in loro presenza. Aveva impresso le loro parole
derisorie nella testa e, da allora, tutte le volte che aveva cercato un
approccio con gli altri, quelle erano sempre tornate a farsi sentire
prepotentemente. Sei solo una mezzelfa. Non sei come noi.
Non hai la minima idea di chi siano i tuoi genitori. Potrebbero averti
abbandonata perché ti odiavano; e forse non avevano tutti i
torti a farlo.
Lasciò cadere a terra i resti del fiore
e si prese la testa fra le mani, come accadeva ogni volta in cui quei
pensieri tornavano a tormentarla, cercando di pensare a qualcos'altro,
a qualsiasi altra cosa. Abbassò le
mani quando si fu calmata e lo sguardo le cadde sul bracciale che
teneva legato al polso, come soleva fare per cercare un po' di
tranquillità. Non era nulla di troppo elegante o
artificioso: una semplice striscia di cuoio legata con delle minuscole
cordicelle. Gli elfi antichi le avevano rivelato di avere trovato solo
quello sopra alla leggera coperta con cui il suo corpicino da neonata
era stata protetto dal gelido vento del nord. Nient'altro: nulla che
potesse ricondurla ai suoi genitori, nessun segno, nessun biglietto. Il
nulla più totale. A dire il vero, qualcosa le avevano
lasciato oltre al bracciale: una indomabile massa di capelli rossi. Gli
elfi della luce avevano tutti chiome di colore chiaro, che andavano dal
biondo al bianco; per questo, lei vedeva i suoi capelli come un tratto
distintivo, uno dei tanti elementi che la differenziava dagli altri,
solo più evidente di due orecchie leggermente meno
appuntite. Ormai alla Corte tutti tendevano a riferirsi a lei come alla
mezzelfa rossa, a rimarcare la netta separazione
tra lei e tutti loro.
Mille volte Luine era arrivata a domandarsi se
fosse vero che i suoi genitori l'avevano abbandonata perché
la odiavano. Si era chiesta cosa avesse fatto di male un'innocente
bambina per meritarsi questo, ma mai la sua domanda aveva trovato una
risposta. Sebbene non fosse un'elfa completa, ma solo a
metà, e fosse, quindi, frutto dell'unione di un umano, -
uomo o donna -, con uno della loro specie, gli elfi della Corte
Benedetta, il luogo in cui lei era stata lasciata, la accolsero tra le
loro schiere e decisero, non dopo un aspro dibattito, di tenerla con
loro e crescerla. Eppure, lei non si era mai sentita a suo agio tra di
loro: non era una loro pari, - non lo sarebbe mai stata -, e gli altri
elfi non perdevano occasione di ricordarle la sua
inferiorità.
Luine sfiorò il bracciale e lo
rigirò sul polso, per osservare tutta la sua superficie,
sebbene ormai conoscesse a menadito ogni più piccola piaga
del cuoio e imperfezione dovuta all'usura. Il tempo non aveva fatto
altro che peggiorare la sua situazione, poiché, man mano che
i giorni e gli anni passavano, Luine non faceva altro che allontanarsi
dalle poche conoscenze che aveva con fatica stretto e isolarsi sempre
di più dalla società e dalla vita cittadina della
Corte Benedetta. Sapeva benissimo di non essere ben accetta dagli elfi
solo perché le sue orecchie non erano perfettamente a punta;
aveva preso atto di ciò e aveva agito di conseguenza,
ignorando i commenti e le frecciate che spesso le venivano rivolte e
reagendo con diffidenza. Aveva imparato a controllare il dolore e la
rabbia e a nascondere abilmente le sue vere emozioni agli occhi degli
altri, per non mostrare punti di debolezza che quelli avrebbero subito
sfruttato per scalfirla.
Non poteva fargliene una colpa; in fondo, non si
comportavano così con tutti e con la maggior parte delle
persone tenevano anche un atteggiamento gentile, in quanto elfi della
luce, ovvero portati per loro natura a compiere azioni giuste, o,
almeno, quasi sempre. Con lei, tuttavia, era diverso: la loro
circospezione verso di lei, che spesso sfociava in vero e proprio
disprezzo, era per certi versi giustificabile. Luine era spuntata fuori
da non si sapeva dove, lasciata davanti alle porte della Corte
Benedetta. Non si conoscevano i suoi genitori, né si poteva
sapere con certezza la loro natura. Avevano solo potuto ipotizzare che
dovessero essere un elfo, sebbene fosse impossibile appurare se della
luce o dell'oscurità, e un mortale. Non era possibile sapere
altro del suo passato e il bracciale che doveva essere appartenuto ai
suoi genitori non era di alcun aiuto in questo. Più volte
aveva tentato di chiedere agli elfi più influenti della
Corte se fosse possibile sfruttare quell'oggetto per localizzare almeno
uno dei suoi genitori, ma quelli avevano sempre evitato l'argomento in
modo molto brusco. Un giorno, dopo tante insistenze da parte della
mezzelfa, uno di loro si spazientì e le rivelò
che ciò che cercava era pericoloso e oscuro. Luine comprese
che dovesse trattarsi di magia nera, ma, nonostante ciò, la
risposta dell'elfo aveva ottenuto l'effetto opposto alle sue
intenzioni: aveva riacceso in lei la speranza di poter incontrare la
sua vera famiglia.
Si alzò e scese dalle rocce in cui
spesso negli ultimi vent'anni si era seduta, appartata dal resto della
Corte, alla ricerca di un po' di pace, che, tuttavia, non era mai
riuscita a trovare pienamente. Si affrettò a ripercorrere a
ritroso la strada che portava dal bosco alle abitazioni della Corte
Benedetta. Aveva già atteso troppo tempo; non poteva
ritardare oltre la sua partenza.
Entrò nella piccola casa che da pochi
anni le era stato permesso di possedere dopo lunghe richieste. Non le
era mai piaciuto vivere insieme agli altri elfi bambini e, non appena
era diventata abbastanza grande, aveva subito chiesto il trasferimento.
Aveva sempre pensato che ci fosse troppo chiasso per i suoi gusti; lei
amava il silenzio e la solitudine. O era stata indotta a preferirli, da
quando gli altri avevano iniziato ad escluderla da ogni
attività e iniziativa. Di certo gli elfi non si erano
lamentati quando era andata a vivere da sola; anzi, erano contenti di
non averla più tra i piedi per tutto il tempo.
Prese una sacca e vi radunò dentro gli
oggetti a cui era più attaccata: rimase quasi delusa quando
si accorse di quanto pochi questi fossero. Non aveva mai tentato un
contatto un poco più profondo con il mondo e le persone che
la circondavano e, isolandosi, era arrivata a distaccarsi da tutto e
tutti. Di sicuro nessuno avrebbe sentito la sua mancanza: con ogni
probabilità, non si sarebbero nemmeno accorti che se ne era
andata.
Si richiuse dietro la porta della casa che l'aveva
accolta per un lasso di tempo tanto breve e si incamminò per
la strada affollata da elfi della luce, silvani, pixie e ogni altro
tipo della loro specie, tutti allegri e pieni di vita, intenti a
parlare concitatamente tra loro e a ridere. In lontananza, poteva
sentire canti elfici alzarsi e permeare l'intera Corte, che appariva
per certi versi come uno dei tanti villaggi umani di cui spesso
parlavano gli elfi più anziani, e ancora più
distante riusciva a distinguere lo scroscio dell'acqua proveniente
dalla cascata poco fuori il centro abitato e dal fiume che vi passava
attraverso. Tutta quella gioia non faceva che accrescere la sua
tristezza al pensiero di quello che si lasciava alle spalle. Aveva
avuto la possibilità di trascorrere una vita felice in mezzo
agli elfi, ma, già svantaggiata di suo per la sua natura
incompleta, si era totalmente allontanata da loro. Si era autoesclusa e
di questo non poteva incolpare altri che se stessa.
Si lasciò alle spalle i canti e la
spensieratezza della Corte Benedetta, per imboccare la via che la
avrebbe condotta verso il mondo umano, a lei totalmente sconosciuto,
guidata solo da un incerto suggerimento. Per caso, pochi giorni prima
aveva sentito un elfo pronunciare il nome di un individuo che, secondo
lui, possedeva poteri del tutto fuori dal comune. Il Druido
Seumas.
«Dicono che costui abbia la
capacità di mettersi in contatto con gli spiriti e usare la
magia, proprio come un elfo delle stelle» aveva affermato
l'elfo.
«Ho sentito di persone che affermano di
avere tali poteri, ma sono tutti degli imbroglioni» aveva
ribattuto un altro.
«Credo che stavolta questo sia un vero e
proprio mago esperto delle arti magiche» aveva continuato.
«È stato avvistato da alcune pixies a nord della
Scozia, nei pressi di Diùranais.»
Appena sentito questo discorso, era corsa subito a
casa per scriversi da qualche parte i nomi citati, per evitare di
scordarli. Anche ora osservava quello stesso foglio, su cui era scritto
in una calligrafia un po' storta Diùranais, nord
della Scozia. Mentre camminava nella foresta che costeggiava
la Corte Benedetta, un pensiero occupò tutta la sua mente,
costringendola a fermarsi. Lei non era mai uscita. Non sapeva dove
fosse la Scozia, dove si sarebbe ritrovata una volta varcato il portale
della Corte, come fosse il mondo là fuori e da quali
creature fosse abitato. Non aveva visto altro che elfi nella sua vita e
conosceva “gli umani” solo di nome e per alcune
loro usanze che aveva studiato. Le era stato detto che uno dei suoi
genitori era un mortale, ma lei non sapeva nemmeno come questa specie
fosse d'aspetto. E questo Druido, con la sua
strana magia... Il solo nome bastava a farle montare la paura e lo
sconforto. Eppure, tanto valeva tentare pur di sapere la
verità sui suoi genitori. In fondo, era una mezzelfa:
avrebbe trovato un modo per sopravvivere, sarebbe riuscita a trovarlo,
chiedendo aiuto alle persone del posto, e così avrebbe
finalmente conosciuto la posizione dei suoi veri famigliari.
Ripartì con maggiore ardore di prima e
continuò il suo viaggio tra gli alberi del bosco, attraverso
i quali filtravano spiragli di luce che illuminavano la strada verso il
portale. Questo era un enorme arco di pietra, decorato dalla natura che
lo circondava e con grandi rampicanti che si attorcigliavano intorno
alle colonne fino a raggiungere la sommità della porta.
Dall'arco partivano grandi mura che circondavano l'intera Corte; non
servivano a molto, dato che la terra degli elfi era già
invisibile alle altre razze, in particolare agli uomini, e non c'era
alcun pericolo che qualcuno tentasse di attaccarlo o entrarvi con la
forza, poiché nessuno ne aveva motivo. Per miliardi di anni,
gli elfi erano vissuti là nel benessere e nella pace.
Guardò per l'ultima volta dietro di
sé, prima di prendere un grande respiro e attraversare il
portale, conscia del fatto che stava abbandonando la casa che l'aveva
vista crescere e che con ogni probabilità non avrebbe
più rivisto. Venne attraversata da una folata di vento, che
le scompigliò i fluenti e lunghi capelli rossi. Era fatta:
aveva oltrepassato le mura. Si voltò, ma non vide altro che
una normale foresta: il portale e la Corte Benedetta erano scomparsi.
Quindi, il suo sguardo cadde a terra; quello era l'esatto punto in cui,
molti anni addietro, era stata depositata e abbandonata dai suoi
genitori.
A malincuore si girò verso la direzione
opposta e continuò a percorrere la strada. Avrebbe camminato
fin quando non avrebbe incontrato altre creature a cui avrebbe potuto
chiedere aiuto.
Una volta uscita dal bosco, il paesaggio si era
rivelato sempre uguale: miglia e miglia di erba verdeggiante e colline
a vista d'occhio. Era ormai da un'ora che camminava e non aveva ancora
incontrato nulla di diverso dalla brulla natura: nessun segno di esseri
viventi. L'abito blu scuro iniziò a darle fastidio nei
movimenti e i piedi le dolevano da impazzire, a causa delle scarpette
di pelle con cui non era abituata a percorrere tante iarde.
Pensò che il mondo esterno non era poi tanto differente
dalla Corte: alla fin fine, entrambi erano circondati da boschi, alberi
e natura incontaminata e coperti da un meraviglioso cielo azzurro.
Luine, guardando alcuni nuvoloni in lontananza che si stavano
avvicinando pericolosamente, pensò che doveva sbrigarsi se
voleva proteggersi dalla pioggia, che le avrebbe reso più
arduo il cammino, e affrettò il passo, nonostante i piedi
dolenti. Finalmente, ridiscesa una collinetta, vide all'orizzonte una
piccola costruzione. Senza riflettere, iniziò a correre,
poiché le nuvole avevano già riempito tutto il
cielo e promettevano una tempesta. In pochi minuti, si
ritrovò davanti all'edificio, che, tuttavia, come suggeriva
il nome sull'insegna poco leggibile Reul na maidne1,
intuì che non fosse una comune abitazione, bensì
una locanda. Poco prima di entrare, si sistemò bene i
capelli sopra le orecchie per evitare di mostrare il tratto distintivo
dei mezzelfi. Fece il suo ingresso proprio mentre le prime goccie di
pioggia iniziavano a scendere e a bagnarle il mantello.
Comprese subito di averci visto giusto, dato che la
stanza in cui si ritrovò era piena di tavoli e sedie tutti
vuoti e vi era un grande bancone, dietro il quale stava un uomo intento
a pulire alcuni bicchieri con uno straccio. Quando quello
sentì la porta d'ingresso richiudersi con un tonfo,
alzò lo sguardo, accorgendosi della presenza di Luine.
Subito posò il panno sul banco e le disse in una lingua
tagliente e sconosciuta: «Halò. Dè tha
sibh ag iarraidh?2»
Luine rimase interdetta. Tutto si era aspettata
tranne che gli esseri di quelle terre avrebbero parlato una lingua
diversa dalla sua. In fondo, quella locanda si trovava a pochi
chilometri dalla Corte e agli elfi bambini veniva insegnata sia la
lingua elfica, sia quella umana, vivendo a un passo da loro, come anche
quelle delle altre specie, come i folletti, le fate e gli gnomi.
Essendo la vita degli elfi immortale, questi dedicavano gran parte del
tempo alla ricerca di una conoscenza totale del mondo, nel tentativo di
sapere ogni cosa di esso e delle razze circostanti. Se lei fosse
rimasta alla Corte e avesse continuato gli studi, probabilmente sarebbe
arrivata anche lei ad imparare tutte le lingue esistenti, ma il suo
destino aveva deciso diversamente.
«N-non capisco cosa ha detto»
disse con voce leggermente tremante. I modi burberi dell'uomo la
mettevano a disagio.
L'uomo la guardò senza sembrare
afferrare le sue parole. «Cò as a tha sibh?3»
continuò.
«Gavyn, dè tha dol?4»
urlò una voce femminile e potente da una stanza adiacente.
Pochi attimi dopo, sbucò un donna anch'essa forzuta come
l'oste, che lanciò uno sguardo a Luine, prima di girarsi di
nuovo verso l'uomo. Scambiò con lui qualche parola, per poi
volgersi nuovamente verso la mezzelfa. «Dè an
t-ainm a th’ort?5»
«Io... Non capisco...»
«Oh, non comprendi il gaelico»
esclamò quella finalmente nella lingua conosciuta anche da
Luine. «Si vede che non sei di qui. Devi scusare Gavyn, ma
lui è ignorante e non sa parlare altra lingua oltre
questa.» Indicò verso l'uomo, che ora aveva
ripreso a pulire i bicchieri e i piatti. «Cosa
vuoi?»
«Devo chiedere un'informazione»
iniziò, sperando con tutta se stessa che quella donna
avrebbe potuto aiutarla. «Sapete dove si trova la Scozia del
nord?»
La donna, come sentì la sua domanda,
scoppiò in una fragorosa risata, tanto da attirare
l'attenzione dell'oste, che sollevò impercettibilmente la
testa verso di lei. «Caileag6,
ti trovi nella Scozia del nord.»
«Oh, e dove precisamente?»
L'altra la guardò con un'espressione di
pura curiosità; evidentemente doveva considerare assurde le
domande che le stava ponendo, ma non c'era altro modo per saperlo.
«Davvero non ne hai idea?»
chiese, stupita. «Strano, perché sembri parlare
benissimo lo scots.»
Luine fece cenno di no con la testa. Non sapeva
nemmeno che la lingua con cui stava parlando e che le era stata
insegnata da bambina fosse propria di quella zona.
«Beh, allora, se non hai intenzione di
prendere niente da bere, credo proprio che questa informazione ti
costerà qualche moneta.»
La mezzelfa rimase incredula davanti a quella
richiesta: davvero gli umani erano disposti a far pagare per
così poco? Però, non aveva altra scelta che
dargli ciò che quella donna chiedeva, se voleva sapere dove
si trovasse Diùranais.
«Quanto?»
«Voglio essere magnanima: mi bastano
cinque sterline.»
Gli elfi non avevano soldi alla Corte,
poiché a loro bastava ciò che riuscivano a
reperire in natura, senza comprarlo da altri, ma era venuta a sapere di
quanto le altre specie vi fossero attaccate, come, appunto, gli umani,
i nani, i folletti e molte altre. Era però riuscita a
trovare, o, meglio, rubare, diversi oggetti preziosi, come anelli e
orecchini d'oro, spesso messi dalle elfe in occasione delle feste in
cui venivano fatti innumerevoli canti e danze che duravano interi
giorni.
Luine tirò fuori dalla sacca un piccolo
rubino staccato da un anello e lo passò alla donna, che,
come lo vide, spalancò gli occhi per lo stupore.
«Questo può bastare?»
«Naturalmente»
affermò l'altra, rigirandosi tra le mani il rubino. Anche
l'uomo, come lo vide, lo fissò con espressione incredula.
«Allora, la locanda si trova in prossimità di Am
Parbh, sulla punta della Scozia e vicino al mare.»
«Dove si trova Diùranais?»
«È a qualche ora di viaggio da
qua.Ti basterà rimanere vicino alla costa, poco lontana da
qui, e in men che non si dica ti troverai lì.»
«Grazie mille» disse Luine,
sorridendo alla donna.
Fece come le era stato indicato dall'umana della
locanda e camminò spedita nella direzione che le aveva detto
di seguire, fermandosi solo una volta per mangiare un pezzo di pane. I
mezzelfi avevano ereditato dagli elfi la capacità di
riuscire a rimanere anche per due giorni interi senza riposarsi.
Naturalmente sentiva la stanchezza del viaggio, ma non l'impellente
bisogno di dormire e riprendere le forze, tale da impedirle di
continuare, né di mangiare. Poteva resistere un intero
giorno senza toccare cibo e senza sentire i crampi della fame. Nel
cammino le capitò di incontrare piccoli laghi e brevi corsi
d'acqua, che le permisero di pulirsi il viso, darsi una rinfrescata e
bere un po' d'acqua, ciò che davvero le serviva per
recuperare le forze. Vedere il mare e avere la possibilità
di rimanervi accanto durante il viaggio fu per lei un'esperienza
totalmente nuova. Non aveva mai visto prima di allora qualcosa di tanto
magnifico e immenso: nella corte vi erano solo piccoli laghetti,
cascate e stagni, ma affatto comparabili allo stupefacente panorama che
le si presentava davanti agli occhi.
Proprio come aveva detto la donna,
imphiegò quattro ore ad arrivare al villaggio,
poiché era costretta a fermarsi ad ogni centro abitato che
incontrava per accertarsi se si trattava o no di Diùranais e
vi mise almeno un'ora per aggirare una lunga rientranza nella costa,
chiamata proprio, come scoprì grazie agli abitanti vicini, Kyle
of Diùranais, per la vicinanza del paese.
Finalmente arrivò a
Diùranais, che si presentò come un minuscolo
villaggio alle pendici di un dirupo che sprofondava a picco nel mare,
composto da poche casette di legno. Provò a bussare in una
qualsiasi di esse, dato che, nonostante la bella giornata, sembrava che
nessuno fosse uscito fuori, e le venne aperto solo dopo pochi secondi.
«Tha?» domandò un'anziana dai radi
capelli bianchi e dai denti gialli, che si intravedevano attraverso la
bocca aperta in una smorfia di curiosità per l'arrivo
inaspettato di Luine.
La mezzelfa pensò che la domanda della
donna fosse una sorta di “Sì?”
e, nonostante non sapesse bene la sua lingua, questa era
simile alla lontana a quella conosciuta da Luine, e questa
provò a formulare una breve frase. «Cerco il
Druido Seumas.»
Con sua fortuna vide il volto dell'anziana
illuminarsi e questa le afferrò il braccio con incredibile
forza per la sua età. «Seumas?»
«Tha» rispose Luine, che ormai
aveva intuito che significasse “sì”.
«In an Smoo Cave.»
Smoo Cave? si chiese Luine.
Che cos'era?
L'anziana sembrò aver compreso la sua
perplessità, poiché uscì dalla casa,
richiudendosela dietro e la trascinò lontano dal villaggio,
verso lo strapiombo. Proprio quando Luine iniziava a dubitare della
donna e a credere che avesse intenzione di buttarla giù, si
accorse che in realtà ai piedi del dirupo non c'era il mare,
o, almeno, non era attaccato alla rupe, ma vi era una stradina che
portava alla spiaggia sottostante. Esattamente sotto vi era una
rientranza della roccia, che probabilmente era una grotta, sebbene lei
non riuscisse a vederla bene da quella posizione.
«Smoo Cave» ripeté
l'anziana con un sorriso che mostrava tutti i denti gialli e anche i
punti in cui questi erano caduti, lasciando solo uno spazio vuoto.
«Grazie» disse Luine,
ricambiando il sorriso prima di lasciarla e avviarsi lungo la via
scoscesa. La percorse tutta correndo, ansiosa di fare la conoscenza del
Druido e, quando arrivò alla fine, si trovò
davanti un enorme buca all'interno della parete rocciosa che la
lasciò stupefatta. Mai aveva visto qualcosa di tanto
imponente e stupendo, eccezion fatta per l'oceano.
Seguì un piccolo fiumiciattolo che si
addentrava nella caverna e in un attimo si ritrovò
all'interno, ricolmo del suono incessante dell'acqua che doveva
scorrere all'interno della grotta, mentre la luce diminuiva sempre di
più man mano che entrava maggiormente. Si voltò
solo una volta per osservare il mare sempre più lontano:
così facendo, le parve di scorgere una figura ammantata di
nero in piedi sulla spiaggia. Ebbe l'impressione che quell'individuo
stesse guardando proprio lei e Luine, invasa da uno strano
presentimento, si affrettò a girarsi e inoltrarsi
maggiormente nella grotta.
Imboccò un corridoio, saltando da una
pietra all'altra per evitare di bagnare ulteriormente le scarpe, dato
che nel pavimento passava uno scarso corso d'acqua proveniente dal mare.
Quindi, si accorse che, laddove il livello del
fiume iniziava a salire, erano state costruite delle scale di legno che
si reggevano tramite un ingegnoso sistema simile a quello delle
palafitte, solo che in quel caso il tetto veniva offerto dalla caverna
stessa. Attraverso piccoli buchi tra le tavole di legno su cui stava
camminando, poteva vedere l'acqua scorrere sinuosa sotto la piattaforma.
Alla fine del corridoio, questo si aprì
in un'enorme camera; la pedana si interrompeva esattamente alla
metà di essa, poiché dall'altra parte vi era una
piccola cascata. Il piano in legno era arredato come se fosse una vera
e propria casa: mobili e armadi ricolmi di libri, un tavolo e tre sedie
dall'aria molto antica e un po' malconcia. Si avvicinò ad
una delle librerie e fece scorrere un dito sulle copertine dei libri,
alcune molto rovinate.
«Cò thusa?7»
domandò una voce imperiosa, facendola sobbalzare e scattare
indietro. Si voltò e vide che nel corridoio da cui lei era
venuta era apparso un uomo all'apparenza assai attempato per il corpo
gracile e la barba e i capelli bianchi. Eppure, mostrava anche
un'innaturale forza nel portare un'alta pila di libri, che
depositò sul tavolo. Però ciò che
davvero riusciva a trasmetterle un'incredibile acutezza d'ingegno e
intelligenza erano i suoi occhi, che ora erano puntati su di lei.
Luine balbettò un
«Cosa?», sia perché non aveva capito
nulla di ciò che le aveva chiesto, sia perché era
ancora scioccata per il suo arrivo improvviso.
L'anziano comprese la lingua in cui parlava la
mezzelfa e ripeté: «Chi sei e cosa vuoi
qui?»
«Mi chiamo Luine. Cerco il Druido
Seumas.»
«L'hai trovato»
affermò quello. «Cosa devi chiedermi?»
Luine, senza riflettere, si portò una
ciocca di capelli rosso fuoco dietro all'orecchio, mentre iniziava a
spiegare il motivo per cui era partita ed era giunta fin lì:
«Ho sentito che tu hai dei poteri magici e speravo che
potessi aiutarmi a trovare i miei genitori. Loro... mi abbandonarono
quando ero solo una bambina e...»
«Una mezzelfa»
disse Seumas, interrompendola. Nonostante il modo in cui aveva
pronunciato la sua specie, non sembrava particolarmente stupito che
creature come lei esistessero davvero. A Luine era sempre stato detto
che gli umani non credevano nell'esistenza della Corte, degli elfi e
del resto del Piccolo Mondo, sebbene fossero a conoscenza dei nomi
delle loro razze. Il druido, invece, a differenza degli altri uomini,
sembrava avere grande familiarità e conoscenza del mondo di
Luine. «Chissà che tipo di elfo fu tuo padre o tua
madre...» rimurginò tra sé e
sé, per poi dire: «E così vuoi trovare
i tuoi veri genitori. Mi serve un oggetto appartenuto a uno di
loro.»
Lo sguardo corse subito al bracciale che portava al
polso. «Qual è il prezzo?»
«Tranquilla, non mi interessa il denaro.
Faccio pagare i miei servizi con qualcosa di... diverso. Una parte
della tua anima.»
«La mia anima?»
trillò Luine, che tutto si sarebbe aspettata tranne quella
richiesta stravagante.
«Una parte. La magia ha sempre un prezzo
alto e questo è quello da pagare se vuoi rivedere i tuoi
genitori. In quanto mezzelfa, la tua anima è come spezzata
in due tra la tua essenza elfica e quella umana. Io voglio che tu mi
dia la parte umana, quella che da sempre ti fa sentire incompleta e
isolata dagli altri elfi.»
Luine rimase a bocca aperta: come faceva quel
druido a sapere così tante cose sul suo conto? Era forse in
grado di entrarle nella mente? Tuttavia, non poteva negare che
l'offerta fosse allettante e anche a suo favore, poiché da
essa non avrebbe ottenuto altro che guadagni: da un lato avrebbe
raggiunto e finalmente conosciuto i suoi genitori, dall'altro si
sarebbe liberata della parte di lei che la teneva ancorata al mondo
umano e che l'aveva fatta sempre sentire a disagio nella Corte.
«Accetto.»
«Bene» affermò
l'anziano, sorridendo. Iniziò a muoversi per la stanza alla
ricerca degli oggetti che gli sarebbero stati utili al rito: un
bastone, delle pietre, una mappa. Posizionò tutto sul
pavimento, i sassi in circolo e al centro la cartina leggermente logora
che mostrava il regno degli umani. Luine notò che si
trovavano in un'isola, divisa tra Regno di Scozia al nord, in cui
capì di trovarsi in quel momento, Regno di Strathclyde e
Regno di Northumbria, che si collocava a sud. Mentre osservava l'uomo
disporre gli oggetti sul pavimento, chiese:
«Perché hai bisogno di una parte della mia
anima?»
«La magia funziona in un modo molto
particolare: si rinnova tramite i sentimenti, le anime e gli spiriti, a
qualsiasi persona, genere e razza essi appartengano. È un
circolo vizioso: gli uomini o le altre creature sovrannaturali
richiedono i miei incantesimi e in cambio mi lasciano una parte di
loro, con cui alimento la mia magia per sfruttarla a sua volta nel
compiere altri incantesimi.»
Luine annuì proprio mentre il druido si
rialzava, sorreggendosi ad uno strano bastone interamente bianco.
«Dammi l'oggetto.»
La mezzelfa si slacciò il bracciale e lo
passò al druido, che lo posizionò al centro della
mappa. Quindi, Seumas tirò fuori dalla tasca della casacca
un coltellino. «Ora devi tagliarti.» Notando lo
sguardo allibito di Luine, si affrettò ad aggiungere:
«È necessario per l'incantesimo di localizzazione.
Basta anche una piccola goccia di sangue.»
Luine prese tra le mani l'arma e applicò
una leggera incisione sull'indice. Come la lama tagliò la
pelle, apparve un puntino rosso. Su indicazione del druido, la fece
ricadere esattamente al centro della cartina, macchiando il bracciale.
Seumas si sedette davanti al cerchio di pietre, con il bastone
appoggiato sulle ginocchia, e iniziò a cantare una nenia con
voce profonda e intonata in una lingua sconosciuta, ma molto simile al
gaelico in cui tanto aveva sentito parlare in quel giorno. Luine si
accorse che la goccia di sangue si stava iniziando a muovere e ad
allontanare dal centro della cartina, avvicinandosi al territorio su
cui capeggiava la scritta Regno di Scozia e
fermandosi nella zona centrale, dove si andò a coagulare.
«Sruighlea»
affermò il druido, che guardava con le sopracciglia
aggrottate la zona in cui dovevano trovarsi i genitori di Luine.
«Potrai trovarla nel castello sulla sommità del
villaggio. Non sono in grado di vedere e dirti altro.»
«Sono là?»
domandò la mezzelfa, espirando tutto il fiato che aveva
tenuto sospeso durante l'intero processo.
«Sì. Ora devi darmi
ciò che mi spetta» disse, alzandosi.
«Farà male?» chiese
Luine, temendo ciò che l'anziano le avrebbe fatto. In fondo,
doveva sempre privarla di una parte della sua anima.
«Un po'» affermò,
mentre scostava la mappa con sopra il bracciale. «Devi
entrare nel cerchio.»
Luine fece come le era stato indicato e socchiuse
gli occhi, troppo spaventata per guardare. Sentì il druido
cantare nuovamente la stessa melodia, solo stavolta leggermente diversa
dalla precedente nelle parole che venivano pronunciate. Quindi,
percepì una lieve pressione, forse ad opera della punta del
bastone, poco sotto il seno, nel punto in cui si trovava il cuore,
seguito da un'impercettibile scossa. Dopo pochi istanti, la punta del
bastone iniziò a provocarle un leggero prurito e fastidio,
seguito dall'impressione che il suo corpo stesse inspiegabilmente
venendo prosciugato da esso. Il prurito divenne puro dolore nella zona
toccata e, anche quando Seumas allontanò il bastone, Luine
continuò a sentire la sofferenza che da lì si
andava dipanando nel resto del corpo, come una terribile malattia.
Portò una mano al cuore; le sembrava che si fosse spaccato
in due per quanto le faceva male. Ma un pensiero si fece strada nella
sua mente, più forte di qualsiasi dolore: Sono
libera. Non era più inferiore agli altri elfi.
Una volta eliminata la sua parte umana, era diventata completamente una
di loro e ormai non aveva più nulla da invidiargli. Ora si
sentiva finalmente completa.
«Ho finito. Puoi riprendere il tuo
bracciale e ti offro anche la mappa: ti servirà per non
perderti, dato che non sembri essere molto esperta di queste
terre.» Mentre Luine si piegava per riprendere gli oggetti
dal pavimento, sentì Seumas aggiungere, con aria grave:
«Sulla tua anima aleggia un'aria oscura. Attenta a scegliere
con senno e cura le tue azioni future e non lasciare mai che la follia
prenda il possesso delle tue facoltà.»
La prima cosa che da lontano notò di
Sruighlea fu l'enorme e imponente castello che svettava sopra una
collina, ai cui piedi si trovava il villaggio, minuscolo se paragonato
alla grandezza dell'edificio. Aumentò il passo per
raggiungere prima Sruighlea, sebbene avesse i piedi in fiamme e fosse
stanchissima. Aveva impiegato tre giorni per percorrere tutta la
Scozia, senza fermarsi quasi mai, animata dall'eccitazione al pensiero
che di lì a poco avrebbe conosciuto i suoi veri gentiori e
dal desiderio di vederli.
Come entrò nel villaggio, venne accolta
da un'atmosfera festosa: tutti gli abitanti erano usciti dalle loro
case e si erano radunati per le strade, chi per andare a lavorare, chi
per comprare qualcosa da mangiare, chi semplicemente per passare il
tempo a spettegolare e parlare con i propri conoscenti. Tuttavia, la
mezzelfa intuì che dovesse esserci un altro motivo per cui
quelle persone erano tanto gioconde. Non sapeva se quella gente avrebbe
compreso la sua lingua, ma provò a fare un tentativo: forse
in quella zona avrebbe avuto la fortuna di trovare persone che la
avrebbero capita. Fermò un uomo, chiedendogli cosa il
villaggio stesse celebrando. Quello le rispose che era appena arrivata
al castello di Sruighlea la famiglia reale e che questa avrebbe
trascorso là un'intera settimana. Per gli abitanti poter
ospitare il sovrano e la sua famiglia nel loro villaggio era motivo di
grande gioia e onore.
Luine venne travolta dall'allegria delle persone e
si avviò con rinnovato vigore verso il castello di
Sruighlea. Percorse il breve tratto in salita che collegava questo con
il villaggio; passò, quindi, su un grande ponte, seguendo il
flusso di persone anch'esse dirette al castello, e
oltrepassò le mura che lo cingevano e difendevano,
attraversando un maestoso arco. Non aveva mai visto una struttura
architettonica tanto grandiosa e armoniosa, resa ancora più
incantevole dallo sfondo delle verdeggianti pianure scozzesi.
Sia le guardie che si trovavano accanto all'entrata
dell'edificio, sia quelle nelle torri ai lati dell'arco, pronte ad
avvistare eventuali minacce da una visuale più alta, la
lasciarono passare senza preoccuparsi di controllare il motivo per cui
fosse lì. Si lasciò trascinare dalla folla
proveniente dal villaggio e, quando entrò nel cortile
interno del castello, si accorse che questo era già gremito
di persone, radunate intorno a qualcosa che ancora non riusciva a
scorgere. Andò avanti a spintoni, senza curarsi delle
lamentele e degli insulti dei popolani. Finalmente, dopo tanta fatica,
riuscì a superare l'enorme massa di persone e a raggiungerne
il margine, potendo in questo modo vedere quale fosse il motivo di
quella adunanza. Davanti, ad ustruirle parte della vista, si
ritrovò una guardia che, insieme ad altre accanto, tentava
di contenere la folla e farla indietreggiare. Tuttavia, mettendosi in
punta di piedi, riuscì a scorgere oltre le spalle dell'uomo
le persone su cui si era focalizzata l'attenzione dell'intero
villaggio: la famiglia reale. Si poteva facilmente comprenderlo dagli
abiti incredibilmente sfarzosi e raffinati che indossavano, quanto
Luine non aveva mai visto. Gli elfi avevano anch'essi vestiti molto
eleganti, ma neanche minimamente paragonabili a quelli che possedevano
il sovrano e la regina.
La mezzelfa notò che in
realtà la famiglia reale era composta da soli tre membri: il
sovrano, il figlio, che doveva avere circa dodici anni, e la moglie.
Ciò che, però, colpì maggiormente
Luine non furono gli abiti del sovrano, ma la figura della regina: si
distingueva dal resto della famiglia per i capelli di un rosso talmente
vivo da sembrare puro fuoco, ben più appariscente
dell'ordinario castano del marito e del figlio.
Il cuore di Luine perse un battito quando si mise
ad osservare con più attenzione la regina: i capelli, i
lineamenti del viso, l'aspetto e le fattezze del corpo. Era come
guardare il proprio riflesso sulla sponda di un lago. Mamma
pensò, con il fiato sospeso.
La regina salutò la folla e, seguita dal
re e dal principe, fece rientro nel castello: evidentemente avevano
appena pronunciato un discorso, ma era arrivata troppo tardi e se l'era
persa. Le guardie iniziarono a spingere per far uscire la folla dal
palazzo; molti cittadini si voltarono e se ne andarono di loro
spontanea volontà, mentre altri tentarono di opporre
resistenza per avere la possibilità di vedere ancora il re e
magari parlare con lui.
Luine provò a fermare un ragazzo
più o meno della sua età, anche lui impegnato a
farsi spazio per uscire, e gli chiese: «Come si chiama la
regina?»
Quello la guardò come se fosse pazza e
se quello che gli stava domandando fosse la cosa più ovvia
del mondo. «Eithne.»
Eithne si ripeté
nella mente, mentre si sforzava di riavvicinarsi al castello e al punto
in cui l'aveva vista l'ultima volta. Cercò un modo per
oltrepassare la barriera costituita dai soldati, ma quelli continuavano
a sospingerla verso l'uscita e la porta in cui era passata sua madre si
allontanava sempre di più. «Madre!»
tentò di urlare, invano.
Sono una mezzelfa si disse
improvvisamente. Anzi, ormai sono un'elfa completa. Sono
più agile e forte di un qualsiasi essere umano.
Si lasciò trascinare dalla spinta delle
persone fino a poca distanza dalla porta di uscita e dalle mura;
quindi, fuoriuscì dalla massa e con uno scatto si
allontanò, prendendo una via laterale e infilandosi nella
prima porta trovata aperta. Dal forte odore che la investì
immediatamente appena mise piede nell'edificio, capì di
essere capitata nelle cucine. Su un camino un allegro fuoco ardeva e
veniva attizzato da alcuni servi perché arrostisse
più rapidamente la carne posta su uno spiedo davanti alla
fiamma. Altre persone erano impegnate a mescolare intrugli che da
lontano sembravano minestre e a preparare altri piatti elaborati,
proprio perché destinati al sovrano. Attraversò
la stanza, stando attenta a non urtare nessuno e a non creare disastri,
per poi rispuntare in un'enorme sala piena di personaggi nobili e
alcune guardie. Fortunatamente erano tutti impegnati a parlare
animatamente tra di loro e nessuno notò la sua presenza; si
appiattì lungo la parete di pietra e scivolò su
di essa fino a raggiungere una porta laterale, che aprì
cercando di fare il minimo rumore, ma allo stesso tempo di affrettarsi,
e vi entrò. La porta dava su delle alte scale; non vedendo
nessuno, le percorse tutte fino ad arrivare a un ampio corridoio su cui
si affacciavano due porte. All'improvviso sentì uno
scricchiolio e una di esse aprirsi senza alcun preavviso: Luine,
stupita, non ebbe il tempo di nascondersi, né
riuscì a trovare un rifugio adatto prima che la ragazza che
uscì dalla stanza la notasse.
La mezzelfa pensò che, se non avesse
trovato qualche scusa plausibile per la sua presenza lì,
probabilmente la giovane sarebbe corsa a chiamare le guardie e allora
Luine non avrebbe più avuto alcuna speranza di incontrare
sua madre.
Quella la guardò accigliata.
«Io... sto cercando la regina»
le disse, sperando che questo le bastasse per lasciarla stare.
«Per quale motivo?» chiese
quella, incrociando le braccia.
Luine si prese qualche secondo per pensare a cosa
dire, tentando di non rendere troppo palese che stesse riflettendo su
una giustificazione da darle. «Devo portarle un messaggio
importante» affermò con sicurezza. Per evidenziare
l'urgenza con cui doveva incontrare la regina, aggiunse: «Su
ordine del re.»
Quella si mostrò sorpresa, ma
durò solo un attimo. Il secondo successivo
riacquistò tutta la severità che aveva mostrato
anche prima. «Avverto la regina.» La ragazza si
rintornò e bussò alla stessa porta da cui pochi
secondi prima era uscita. Qualcuno all'interno rispose e quella fece il
suo ingresso, mormorando un «Vostra grazia...»
Luine non riuscì a sentire altro,
poiché la serva si era richiusa la porta dietro di
sé. Dovette aspettare solo pochi istanti prima che quella si
riaprisse e la giovane apparisse nuovamente, facendole segno di
avvicanarsi ed entrare.
La mezzelfa ebbe un tuffo al cuore quando,
affacciandosi, riconobbe i selvaggi capelli rossi della madre, gli
stessi che lei aveva ereditato. Era girata e seduta su un tavolo che
doveva fungere da scrittoio, su cui era impegnata a scrivere qualcosa.
«Puoi andare, Moyra» disse, riferita alla serva,
che uscì, lasciandole sole.
Luine sentì i battiti del cuore
accelerare mentre osservava la figura della madre alla luce del sole e
ascoltava la sua voce, che non aveva mai avuto la
possibilità di sentire prima. «Mi chiedo quale sia
questo messaggio tanto importante da inviare un messaggero
anziché venire mio marito di persona»
esclamò, mentre riponeva sul tavolo il calamo e si voltava
per guardare in faccia il suo interlocutore.
Quando vide Luine, tuttavia, si
immobilizzò. Sarà stato per i capelli o per
l'incredibile somiglianza fisica, ma dal suo sguardo la mezzelfa
comprese subito che aveva capito chi fosse.
«Madre» mormorò
Luine, mentre le lacrime premevano per uscirle dagli occhi.
Eithne si alzò, barcollando e reggendosi
al tavolo. «Non è possibile...»
sussurrò, per poi domandare a voce alta, con un'espressione
di sconcerto in viso: «Chi diavolo sei?»
«Mamma, sono io, Luine. Sono
tornata.»
«No, tu non sei mia figlia. Non lo sei
mai stata. Ti ho diseredata, abbandonata. Non puoi essere
tornata...» continuò la regina, incapace di
realizzare che Luine fosse lì davanti a lei.
La mezzelfa aprì la bocca per dire
qualcosa, per poi richiuderla di scatto. Lei non la voleva. Aveva fatto
tutta quella strada convinta che, una volta incontrata sua madre,
avrebbe ritrovato l'ordine nella sua vita e ogni pezzo sarebbe andato a
posto, ma quello era esattamente il contrario di ciò che
stava accadendo. Le sembrava quasi che la madre, dicendo quelle parole,
l'avesse pugnalata a tradimento. Esatto, si sentiva proprio in questo
modo: ferita, tradita e abbandonata una seconda volta.
«Tu non dovresti nemmeno esistere; sei il
frutto di qualcosa che non sarebbe mai dovuto accadere e che ogni
singolo attimo della mia vita ho tentato di dimenticare. Se solo avessi
avuto il coraggio di ucciderti, anziché abbandonarti
soltanto, forse oggi non sarei stata costretta a ricordare. Non avrei
visto il passato bussare di nuovo alla porta.»
«Perché mi hai
abbandonata?» ora la voce di Luine era divenuta dura e quasi
atona. Tuttavia, sebbene stesse cercando di non far trasparire alcuna
emozione e di non mostrarsi debole, non riusciva a coprire la nota di
dolore, vedendosi ancora una volta respinta dalla madre, da colei che
l'aveva creata e che ora la stava distruggendo solo con la forza delle
parole, taglienti come lame.
«Ho dovuto» disse, socchiudendo
gli occhi, mentre una lacrima scolcava il suo bel volto. «Non
potevo abbandonare tutto. Non potevo.»
«E così hai deciso di
abbandonare me» sibilò
Luine. Ormai nel suo cuore non c'era più spazio per la gioia
che aveva provato quando aveva visto per la prima volta sua madre.
«E per cosa? Perché volevi essere una regina,
servita e reverita da tutti? Avresti potuto benissimo tenermi con te,
anziché lasciarmi a morire in una foresta.»
«Devi andartene» disse Eithne
di punto in bianco, senza dare una risposta alle mille domande che
affollavano la testa di Luine.
La mezzelfa la guardò con uno sguardo
pieno di rabbia e sofferenza.
«Vattene»
ripeté la madre, sedendosi ai piedi del letto a baldacchino
della sua camera. Luine, dopo un attimo di esitazione, si
girò per non mostrare alla madre le lacrime che sgorgavano
senza freno e corse fuori.
1 Stella del
mattino in gaelico scozzese.
2 “Ciao. Cosa
vorresti?” in gaelico scozzese.
3 “Da dove
vieni?”
4 “Gavyn, cosa sta
succedendo?”
5 “Come ti
chiami?”
6 Ragazzina,
bambina.
7 “Chi
sei?”
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