-5-
IN NOMINE PATRIS
-5-
Le
guardie la sospingono dentro, la porta si richiude alle sue spalle,
è sola con la suora, mentre immagina i soldati che lasciano
quel
posto sbuffando, o sghignazzando, una mano al berretto, l'altro al
fucile, liberati del peso di aver portato a termine una scomoda
missione.
Un guizzo, e i pugni battono sul legno ormai sbarrato.
- Vi ordino di farmi uscire! Sono il Comandante Oscar
François de Jarjayes! -.
Grida vane, come la sua rabbia.
Si volta di scatto, contro la Madre Priora che, immobile, la sta
osservando, il viso raccolto in un'espressione indecifrabile.
- Non posso restare qui. Vi prego di comprendermi. I miei uomini... -.
- I vostri
uomini? -. La madre
stira appena le labbra in un sorriso. - Questo è un
convento,
madamigella. Le faccende terrene non ci
riguardano -.
- Voi non capite, Madre. Io non posso. La mia vita è
là fuori. Io sono un soldato! -.
- Voi eravate
un soldato,
madamigella. Ogni
consorella
abbandona la sua vita di peccato e oscurità per abbracciare
la
grazia di Dio Padre, e diventare Sua degna sposa. Con la preghiera, la
devozione, la rinuncia, il distacco, il lavoro, e su tutto, il silenzio, ci
eleviamo sull'unica strada che
conduce all'Amore eterno -.
Oscar resta tesa, la mano che, corsa all'elsa della spada, scivola
lungo il fianco, il pugno serrato che lentamente si scioglie, ma il
cuore, quello no, quello ancora batte convulsamente.
- Noi siamo
votate a Dio e alla preghiera. Ma non
temete. Sarete grata di essere stata portata via al mondo e aver
ritrovato l'abbraccio del nostro Padre celeste.
Anzi, dovreste cominciare da subito a farvene una ragione. Siete una
donna intelligente, potete ben farlo. Accettare ciò che ci
accade e affidarsi a Dio è il primo passo per rinascere
nella
sua Gloria -.
La madre soppesa le parole con gravità, le lascia fluire.
Parole
ripetute all'infinito, e fatte proprie, carne nella carne.
Oscar se ne lascia attraversare, dà un rapido sguardo alla
stanza in cerca di una via di fuga.
Ma nello spoglio locale c'è solo una finestrella ingabbiata,
e un'unica porta, chiusa, che probabilmente porta nel ventre
del convento. Una scrivania fa angolo con la parete, e al muro una
sedia, candele
affisse sulla pietra scabrosa, appeso un crocefisso di legno, alcuni
fiori.
E' in trappola.
- Forse chi vi ha voluto qui lo ha fatto per il vostro bene, per
sottrarvi alle sorti terrene -, continua la Madre, movendo un passo
verso di lei, la lunga veste bianca e nera che nasconde i piedi,
sfiorando il pavimento. Dai tratti del viso sembra una donna piuttosto
anziana, i cui occhi non rivelano alcuna emozione.
- O forse, vi aveva così in odio da immaginare che per voi
non
ci sarebbe stata punizione peggiore che essere rinchiusa a vita in un
luogo di silenzio e preghiera -.
Rinchiusa
a vita!
- No, io... non potrete mai piegare la mia volontà, fare di
me
ciò che non potrò mai essere. Verranno a
cercarmi,
fuggirò da qui! -.
- Sì -. La Madre è abbastanza vicina adesso da
allungare
una mano e toglierle la spada. - E' quello che alcune dicono. Ma di qui
non è mai riuscita a fuggire nessuna. E prima o poi ci si
rassegna, o si comprende qual è la vera libertà.
Succederà anche a voi -.
In un altro carcere, all'Abbaye, Alain e gli altri soppesano pensierosi
il tempo inerte che trascorre tra un pasto e l'altro.
Sono stati divisi in due celle, ma alzando la voce riescono a
comunicare e rassicurarsi un gruppo con l'altro.
Ci siamo ancora tutti, e siamo vivi.
E' Alain quello che viene chiamato con maggiore trepidazione. E' sempre
stato
un punto di riferimento, non solo come caposquadra. Sarà per
quella sua aria scanzonata, per gli occhi vigili e intelligenti, per
quel modo di fare sicuro e un po' spaccone. Non hanno esitato a
imitarlo, gli altri undici, quando sputando in terra si è
rifiutato con quanto fiato aveva in gola di obbedire agli ordini di
Bouillé, qualche giorno prima, nel piazzale.
Aveva visto Oscar seguire il generale, e la cosa non gli era piaciuta
affatto. Aveva spronato André a seguirla -possibile che quel
ragazzo esitasse ancora di fronte agli altri a mostrarsi qual era?-, e
una strana apprensione lo aveva tenuto teso e in allerta
finché
Bouillé non era ricomparso da solo. Quel pallone gonfiato,
dal
viso tronfio e rubizzo, i modi ruvidi e spiccioli da aristocratico
borioso, aveva osato dar loro degli ordini. No, non avrebbe mai tradito
il suo comandante. Aveva imparato a conoscerla, e con ella il suo
valore. E corpo
di un diavolaccio, l'avrebbe seguita all'inferno se fosse stato
necessario!
Noi prendiamo ordini solo da
Oscar François de Jarjayes!
I suoi soldati. Orgogliosi di esserlo.
André è uscito presto da palazzo, quella mattina.
Ha passato la notte insonne, di fronte al fuoco. La testa fra le mani,
o passi nervosi nella stanza.
Al primo chiarore dell'alba si è vestito, lasciando la
divisa
ormai asciutta sulla sedia. Forse è meglio se per il momento
agisce in abiti civili, da attendente di Oscar quale è
sempre
stato. Provvederà poi in qualche modo a far pervenire a
Dagout
una giustificazione per la sua assenza. Capita a volte ai soldati di
assentarsi, per malattia o altro, non sarebbe una novità. E
se
l'assenza perdurasse oltre un tempo lecito, proverà a
chiedere
aiuto al Generale. In fondo è ancora al servizio della
famiglia
Jarjayes, ed è in virtù di questo legame e della
sua
esperienza che lo hanno accettato nelle Guardie del popolo. (1)
L'idea che gli è parsa più ragionevole
è stata quella di cercare Girodel.
Sono state guardie reali a prelevare Oscar. E Girodel potrebbe anche
essere informato sulla prigionia dei suoi compagni, e avere notizie
sulle date previste per il processo. Ma soprattutto, Girodel ama Oscar.
Ha chinato la testa davanti a lei, sotto la pioggia. Le ha obbedito a
rischio della propria stessa carriera. André ha riconosciuto
la
malinconia celata nel suo sguardo, vi ha visto un certo se stesso. E
per amore si rischia tutto.
Saldo del suo proposito, spinge il cavallo oltre i cancelli del comando
delle guardie.
Lo ha fatto per così tanti anni, seguendo Oscar e il suo
cavallo
bianco, quando ancora erano fanciulli, e tutto appariva paradossalmente
semplice. Ridevano lungo la strada, spronando i cavalli in gare
improbabili, ché lui la lasciava sempre vincere. E poi
assumevano quell'aria seria, che a Oscar riusciva benissimo,
approssimandosi a varcare le sentinelle. Un'espressione che stonava
così tanto su quel viso da
bambina, e i riccioli biondi. La divisa attillata che non mostrava
nessuna forma, se non un corpo d'angelo etereo, quasi incompiuto. La
voce impostata e ferma, che non tradisse indugi femminei; e
l'attitudine al comando, iniettata nel sangue a stille lente, sin dalla
nascita.
Ricorda tutto, André. Ricorda la sottile nostalgia mentre la
vedeva entrare nel palazzo, per dirigersi nel suo ufficio, e a lui
restava solo il compito di sistemare i cavalli e passare il tempo
scambiando due parole con gli altri attendenti. La mente si sofferma
sui tratti di quello del conte
Girodel: era un ragazzo, al pari di lui, la livrea leggermente
più sontuosa, e un'inesauribile passione per i giochi di
carte,
a soldi.
Lo cerca con lo sguardo, ma non lo scorge.
Passa di fronte alle scuderie, affida il cavallo a un ragazzetto, la
raccomandazione di badarlo e ristorarlo un poco.
Al portone d'ingresso saluta le guardie, si presenta come l'attendente
della famiglia Jarjayes, chiede di poter essere ammesso alla presenza
del Colonnello Girodel.
Le guardie osservano la posa sicura, il volto disteso, il bel jabot che
decora il petto di sotto al jilet.
- Il Colonnello Girodel non è in servizio oggi -.
Una notizia scarna, mentre la guardia riassume la posizione d'attenti e
non muove più gli occhi dal cortile sgombro che ha dinnanzi.
- Avrei premura di conferire con lui di una questione
piuttosto importante. Potreste dirmi quando... -.
- Non siamo tenuti a fornire questo tipo di informazioni -.
André ringrazia senza fretta, sfoggia persino un sorriso di
cortesia, prima di volgere le spalle e il passo tutto. Inutile
insistere, eseguono solo ordini. Pedine semplici, burattini tirati da
altre mani, quel che Oscar si è sempre rifiutata di
diventare.
- Sarete condotta nella vostra cella, menre le sorelle prepareranno
l'occorrente per il rito. Avrete modo di riflettere su quanto vi ho
detto,
madamigella -.
La Madre Priora china lo sguardo in segno di saluto, la mano esce dalla
manica ampia e sottile, apre la porta. Si affaccia una suora in abito
bianco, ha il volto gentile, i tratti di un'età incerta,
come se
dentro al convento ogni tempo fosse sospeso, e incorniciato dal velo
ogni volto finisse per assomigliare all'altro. Le fa strada allargando
il
braccio, la guida lungo un corridoio di pietra e d'ombra, che odora di
antico e di muschio e di cera. Si affacciano tante porticine tutte
uguali, davanti ad ognuna un crocefisso.
Gli stivali di Oscar rimbombano in modo osceno. La suora non fa rumore,
la veste non emette quasi nessun fruscio.
E' il silenzio che penetra nelle ossa e se ne appropria, ammutolendo i
muscoli e la pelle tutta, fin sulla stoffa.
Come potrà rassegnarsi a tutto questo?
La suora estrae un mazzo di chiavi, apre una di quelle porticine, una
anonima, come le altre.
E' un quadrato di pareti e di travi di legno al soffitto, un giaciglio,
un catino, per finestra un tondo da colombi, e fuori un chiostro, che
Oscar non può vedere, ma che si inanella di colonne e volte,
e
orla una corte di selci spigate che convergono al pozzo posto nel
centro.
- Quanto... quanto dovrò restare qui? -.
La consorella la guarda, sorride, e non risponde.
Oscar ha osservato il cono di luce farsi spazio sulla
parete, e poi flettersi, fino a diventare tinta calda, e spegnersi.
Ha udito schiudersi porte, poco più che la
sofferenza
sottile del legno a ridosso dei cardini. Nessun passo, nessun fruscio,
nessuna voce. Si è seduta sul giaciglio, nient'altro che uno
strato di erbe secche e stracci ravvolti in un lenzuolo che odora di
fieno e campo, ma la maggiorparte del tempo lo ha trascorso in piedi,
appoggiata a una parete, gli occhi a studiare la superficie della
pietra, così uguale eppure infinitamente diversa in ogni
grumo,
scavo, fessura.
André non la lascerà marcire in quel posto. La
troverà.
Il
mio André...
Aveva dovuto rischiare di vederlo morire per capire quanto lo amasse.
Il dolore lacerante, impietoso, dell'abbandono, quando la folla insorta
a Saint Antoine li aveva divisi, strappati, allontanati, perduti.
Può l'anima resistere nell'essere tagliata in due, o non
piuttosto muore, lacerandosi?
Se
muori tu, muoio anche io André...
Eppure, di nuovo, aveva avuto bisogno di Fersen per comprendere
l'amore. Egli aveva ripetuto, in un sussurro, quasi una rivelazione a
se stesso, quel suo grido disperato. E di fronte allo sguardo incerto
del Conte, a quel suo breve tentennamento, Oscar aveva capito, aveva
disvelato a se stessa il proprio cuore, come un pittore che toglie il
manto rosso dalla sua ultima tela sì da mostrarla al
pubblico e rimirarla egli stesso in tutto il suo compiuto splendore.
L'amore per André è sempre stato in lei.
Ed
è nell'assenza che ne scopre il bisogno. Dilaga,
ormai, e si insinua, e manca, sottopelle e nelle vene, come agli occhi.
Non può finire così. Non in quel convento. Non
tanto per il
luogo: convento o prigione non fa differenza. Non può finire
così, sola, senza che sia mai riuscita a dire a sua volta
"ti
amo", e provare l'effetto che fa. Senza che abbia salvato i propri
uomini, senza che si compia il
suo destino di donna e di soldato.
Una
donna, André, la tua.
I pensieri si affollano scivolosi come il fango che ha calpestato la
notte scorsa, e che ancora le sporca gli stivali.
D'un tratto una suora appare sull'uscio, è quella di prima,
le
par di riconoscerla, se non altro per il mazzo di chiavi. Non parla,
è evidente che voglia essere seguita. Stavolta solcano
l'intero
corridoio, le porticine sono socchiuse. Giungono ad una stanza poco
più ampia, dove ad aspettarla c'è la Madre
priora, una
tinozza, altre consorelle ma vestite in modo più semplice,
un tavolinaccio con qualcosa sopra di ravvolto, forse un telo o un
abito, e forbici.
- Madamigella, mi auguro che queste ore passate in solitudine e
preghiera Vi abbiano calmato un poco -. Oscar non risponde.
Lascia che una consorella si avvici, e in gesti lenti ma decisi la
spogli della divisa, fino agli stivali, per poi fare degli abiti un
involto, che sparisce assieme a lei alle sue spalle. Nuda, come mai si
è sentita, eppure non osservata. Nessuno sguardo indugia su
di lei. Le consorelle hanno gli occhi bassi, eseguono gesti consueti,
che non odorano d'imbarazzo né d'altro.
Un'altra prende le forbici, stira una prima ciocca, la taglia fino alla
nuca, e via, un'altra. Oscar non ha memoria di aver mai portato i
capelli così corti, se non certamente da bambina, quando per
legge di natura i capelli non potevano essere che di quella misura,
essendo nati insieme a lei. Che strana sensazione quel brivido sul
collo denudato... Eppure i suoi occhi restano di brace, le labbra
serrate. La aiutano ad entrare nella tinozza, l'acqua è
gelida, gliela versano con una brocca sulla testa, le spalle, il dorso,
e lei la osserva scivolare, farsi strie di brividi a fior di pelle,
irrigidirsi sul seno, solcare il ventre teso.
- Oggi rinascete, madamigella, nella grazia di Dio -.
La asciugano con un telo, aiutandola ad uscire dalla tinozza, il corpo
tremante, asciutto eppure splendido, la pelle chiara disegnata da
efelidi minuscole e segni bianchi di antiche ferite, le linee dolci di
una femminilità a tutti -quasi tutti- nascosta.
Le fanno indossare la veste da novizia, un tessuto semplice che le
scampana addosso, nascondendola di nuovo agli occhi del mondo.
Un'altra divisa, in fondo.
- Da oggi abbandonate ciò che siete stata fino a poche ore
fa. E se ci sarà bisogno di proferire il vostro nome, da
oggi, per le vostre consorelle, sarete Blanche -.
Una ragazza le alza gli occhi al viso, ha gli occhi chiari, e
a differenza di tutti quelli che ha incrociato fino a quel momento,
questi sono vividi, quasi umidi. Ma non azzarda oltre, la ragazza
depone subito lo sguardo, si mette da parte, attendendo altri ordini
dalla Madre Priora. Solo Oscar resta impassibile, lo stesso ardore che
le scuote le vene, la stessa fiamma che le brucia nel petto, e che
nessuna maschera imposta può spegnere.
Il
mio nome è Oscar François de Jarjayes, sono un
soldato. Sono la donna di André Grandier.
---
(1) Se non erro, nel manga, è il Generale che
fa
arruolare André perché resti vicino a Oscar.
Nell'anime
non è specificato, Oscar se lo ritrova semplicemente davanti
al
suo arrivo in caserma, dopo il ritiro in Normandia, ma non credo che un
"guercio" qualunque sarebbe stato arruolato di buon grado (passatemi il
termine un po' brutale).
P.s. Modifico la nota dopo la giusta osservazione di Kiara69 ... non ricordavo che André si fosse fatto aiutare da Alain, chiedo venia :)
Grazie di cuore a tutti voi che leggete, seguite, preferite e
ricordate, e lasciate le vostre inestimabili riflessioni.
Con gratitudine e simpatia, Amantea
|