14. Ililea
Camminare da invisibili per la città di Ililea non era affatto facile.
Dovevamo stare attenti alle persone per non intrupparle, creare
confusione e farci scoprire. Ogard ci rallentava molto perché camminava
cautamente: per com’era cresciuto (superava di diversi palmi Menfys e
due canini facevano capolino dal labbro superiore, dandogli un’aria più
feroce) faceva molta fatica a passare tra la gente; invece Wisp, ancora
piccolo, sgusciava tra la gente con rapidità sorprendente, seguendo
Aingel come un’ombra.
Tanasir mi aveva spiegato, quando gli avevo domandato stupita perché
Wisp non crescesse, che era una caratteristica dei draghi verdi. Il
loro potere si sprigionava solo nelle situazioni più drammatiche e, per
questo, non erano meno pericolosi degli altri draghi, anzi era davvero
imprudente far infuriare uno della loro razza.
Ad ogni passo sentivo il cuore salirmi in gola. Eravamo finalmente
giunti nella capitale e avremmo messo in atto il nostro piano: cogliere
Klopius di sorpresa. Aingel era fiduciosa che, contro tutta la nostra
magia, il tiranno non avrebbe potuto resistere. Ma sapevamo tutti che
non sarebbe stato così facile: Klopius aveva rubato il segreto della
magia a mio padre tanti anni fa, quindi aveva avuto molto tempo per
esercitare il suo potere.
Scacciai i cattivi pensieri scuotendo la testa e mi concentrai ad
osservare dove mettevo i piedi. Schivai appena in tempo un uomo con un
carretto.
Ililea aveva il perimetro triangolare circondato da spesse e compatte
mura ed era fatta su diversi livelli.
Restai sconcertata: ai livelli più bassi c’era la più totale povertà,
invece all’ultimo livello c’era il bellissimo Castello Dorato, usurpato
da Klopius. Come faceva, quell’uomo malvagio, a vivere nel lusso
quando, a pochi metri dal castello, c’era gente che moriva di fame?
Aingel si fermò all’improvviso, vicino un vicolo laterale della strada
principale, piangendo lacrime di rabbia: « Come ha… come ha osato… »
mormorò disgustata, poi ci guardò e si asciugò le guance « Scusate, ma
vedere ogni volta come Klopius ha distrutto il regno di mio padre… di nostro padre è… orribile ».
« Dove dobbiamo andare Aingel? » chiesi mettendole una mano su una
spalla per confortarla.
« Giù » rispose Aingel indicando un grosso tombino nel vicolo vicino a
cui si era fermata.
Controllò se qualcuno stesse guardando, ma fortunatamente in quel
momento passava solo una vecchia donna coperta di stracci che chiedeva
l’elemosina. Aingel le fece cadere vicino alcune monete d’oro, evocate
con la magia, per distrarla, e mentre la vecchia le raccoglieva con
gioia, lei aprì velocemente il grosso tombino. Non voleva che qualcuno
notasse oggetti che si spostavano da soli.
« Svelti entrate » disse agitata.
Entrai dopo Wisp, e dopo di me, per ultima, entrò Aingel che chiuse il
tombino. Il buio invase il lungo tunnel dove ci eravamo addentrati.
« Fuocaius! ».
Una splendente fiammella arancione comparve sulla mano destra di Aingel
– che era tornata visibile – illuminando completamente il tunnel.
Cercai anch’io di diventare visibile, però non ci riuscii (ancora non
padroneggiavo bene quel tipo di magia), così la mia gemella mi levò
l’incantesimo e aiutò Menfys con i draghi. Anche gli altri erano
diventati visibili.
Aingel fece segno di seguirla: « Venite, questo passaggio sotterraneo
ci porterà direttamente nelle segrete del castello ».
Le gallerie sembravano interminabili, uguali e fredde.
Mi sentii all’improvviso sola in quell’inquietante buio sfocato e presi
la mano di Menfys che si trovava davanti a me. Lui la strinse di
rimando e sentii infondermi un po’ di coraggio.
In quel momento ripensai a quello che era successo pochi giorni prima.
Ogard e Daelyshia, ovviamente, l’avevano saputo. Anche gli altri
avevano capito che qualcosa tra di noi era cambiata. Non gli avevamo
dato una definizione ma ero sicura che quello fosse amore. Ero
innamorata di Menfys come lui lo era di me, e vedevo il suo amore in
ogni gesto, ogni sorriso, ogni sguardo che mi rivolgeva. Era la mia
forza…
E questa intensità del sentimento un po’ mi spaventava.
Io ero una mezz’elfa, lui un elfo, e una guerra si frapponeva tra noi…
Che cosa ci riservava il futuro?
Camminammo per molto tempo nel buio. Avevamo perso la cognizione dello
spazio e del tempo.
All’improvviso Aingel girò in un vicolo cieco e si fermò davanti una
parete di mattoni.
« Cosa succede? Hai perso la strada? » chiese subito Mavina,
preoccupata.
Odiava stare nella soffocante oscurità del tunnel.
« Shh! » la zittì Tanasir.
Aingel si avvicinò alla parete, con la mano sfiorò diversi mattoni e
poi si allontanò. All’improvviso il muro si spalancò come una porta e
Aingel ci spinse dentro prima che si richiudesse dietro di noi.
« Siamo arrivati » disse la mia gemella piano, la voce carica di
nervosismo « Queste sono le stanze che si trovano al livello più basso,
se saliremo riusciremo ad arrivare alla sala del trono ».
« Come sei certa di dove sia? » domandò Mavina.
« Ho passato anni a studiare le piante di questo castello » rispose
Aingel « Keltosh riuscì a recuperarle prima che Klopius si insediasse ».
Ci trovavamo nelle Cantine Dimenticate, le più remote e antiche del
castello d’Ililea. Si chiamavano così perché nessuno sapeva della loro
esistenza, tranne i sovrani. Erano luoghi oscuri, i più antichi
sotterranei su cui sorgeva il castello. Vi erano nascosti gli oggetti
più vecchi e strani che avevano fatto parte del castello, mi sembrò
anche di scorgere le lampade con dentro l’incantesimo della luce che
illuminavano le città di Danases.
All’improvviso mi accorsi di uno strano movimento accanto a me e
sobbalzai. Quella di cui mi ero spaventata ero solo la mia immagine
riflessa. Mi inginocchiai vicino uno specchio ovale dal vetro rotto in
diversi frammenti. Ero curiosa di guardarmici dentro. Era da molto
tempo ormai che non vedevo il mio volto.
Un paio di occhi a me sconosciuti mi restituirono uno sguardo smarrito
in più frammenti. Vidi una giovane mezz’elfa dai lunghi capelli
schiariti così tanto dal sole che le punte erano diventate quasi
bianche e dal volto perfetto che ricordava la remota bellezza dei
draghi. Le sue orecchie erano molto più a punta e uno dei suoi occhi,
che prima doveva essere verde, stava diventando azzurro. Ma adesso
invece di essere del colore del mare, sembrava di quello dell’acqua
limpida di un fiume quieto.
Mi fissai incredula.
Chi era quella?
Di certo non ero più io.
O almeno non ero più la Elien che aveva vissuto nella foresta di Elwyn.
Menfys si affiancò a me.
« Elien, cosa c’è? ».
Lo guardai attraverso lo specchio.
« Hai visto quanto sono cambiata? » gli domandai.
Lui, oltre Daelyshia e Ogard, era l’unico che mi aveva visto da quando
ero un vero mezz’elfo.
Grazie alla magia che mi legava con la dragonessa il mio lato elfico
stava prendendo il sopravvento su quello umano.
Non ero più una comune mezz’elfa, ma non ero nemmeno del tutto un’elfa.
Un ibrido a metà tra tre razze.
« Non perdiamo tempo, dobbiamo andare! » ci riprese Aingel,
all’improvviso pallida.
Si rese nuovamente invisibile e la imitammo. Aprì una botola sul basso
soffitto dove comparve una sottile scala arrugginita e cominciammo a
salire. Finalmente uscimmo dai sotterranei.
Era diventato buoi e tutto sembrava addormentato.
Quanto tempo avevamo camminato lì sotto?
Il castello d’Ililea aveva perso quella che doveva essere il suo
splendore antico ma rimaneva comunque bellissimo.
Enormi e sontuose scale argentate, con corrimani dorati, collegavano i
diversi piani. Le stanze avevano soffitti altissimi che, spiegò Aingel
sottovoce, in realtà erano solo un’illusione data dalla magia, in
realtà erano molto bassi e i pavimenti erano mattonellati con splendidi
disegni, che raccontavano la storia di Astrakan.
La mia gemella ci condusse al secondo piano. Percorremmo una scalinata
che si affacciava su il portone più maestoso che avessi mai visto.
Questo permetteva l’accesso ad un’enorme sala con grandi vetrate
colorate e al centro un trono. Tutto sembrava come consumato dalla
ruggine. Il castello stava morendo insieme al suo regno.
« Non capisco… » mormorò Aingel preoccupata.
« Che cosa…? » chiese Tanasir, ma s’interruppe perché una porta sbatté
e, una voce sgradevolmente familiare, risuonò nell’aria: « Cercavate
forse la corona, stupidi elfi? ».
Klopius era entrato nella sala, da una porta secondaria, e guardava
esattamente nel punto in cui ci trovavamo, anche se invisibili.
Evidentemente aveva avvertito la nostra magia.
« È arrivato il momento della tua sconfitta Klopius! » urlò Aingel
rendendosi visibile « La pagherai cara, per tutto quello che hai fatto!
».
« Il tuo potere è finito! »
ringhiò Naim arrabbiata, ricomparendo grazie alla magia di Aingel.
All’improvviso un ruggito squarciò l’aria, l’enorme portone principale
della sala del trono si aprì e apparve l’enorme Grifone che ci lanciò
un’occhiata malvagia e sfoderò gli artigli da leone.
« Siete solo degli insulsi stupidi elfi in confronto alla mia potenza,
come sperate di battermi?! ».
Mi resi (anche se con qualche difficoltà) visibile, seguita dagli altri
e dai draghi: « La pagherai per aver ucciso mio padre! Siverl! » una luce accecante
apparve sulle mie mani e la lanciai contro Klopius.
Quello allungò un braccio e, con mio enorme stupore, lo prese nella sua
mano e me lo rilanciò contro. Lo schivai e quello colpì un’enorme
vetrata della sala che s’infranse, spargendo i vetri colorati
dappertutto.
Klopius, con un solo gesto della mano, fece alzare i pezzi da terra e
ce li lanciò contro. Ci rifugiammo dietro all’enorme trono. Naim e
Daelyshia, lanciarono del fuoco, che lo sfiorò, allora il grifone si
lanciò su di loro, ma Ogard si mise in mezzo e lo scontro fece tremare
le pareti.
Klopius lanciò un nuovo incantesimo, così forte che al suo passaggio
sentii rizzare i capelli. Aingel, dal nulla, evocò uno scintillante
scudo dorato dove la magia cozzò contro e s’infranse in mille
scintille. Iniziarono a lanciarsi incantesimi contro sempre più veloci
e sempre più potenti, tanto che Menfys dovette intervenire a sostenere
Aingel con la sua magia.
Sentii dei passi pesanti alle mie spalle e vidi che dei soldati armati
di tutto punto stavano salendo le scale in direzione della sala del
trono.
Erano troppi per noi!
« Mavina aiutami! ».
Insieme bloccammo l’enorme portone con la magia, prima che quelli
potessero entrare.
Mi girai appena in tempo per vedere il Grifone liberarsi dei draghi,
avventarsi su Tanasir e ferirlo con un poderoso artiglio al fianco.
L’elfo gemette e cadde a terra mentre vicino a lui il pavimento si
colorava di rosso.
« Tanasir no! » sentii urlare Mavina accanto a me.
All’improvviso un ruggito di rabbia e un forte bagliore esplosero nella
stanza e capii che provenivano da Wisp. Stava usando il suo potere.
Quando la luce sparì il drago verde era enorme, perfino più grande di
Ogard, con le punte acuminate e le zanne sporgenti dal labbro. La terra
tremò quando sbatté la poderosa coda in terra. Wisp era pieno di rabbia
che avessero toccato Tanasir. Fece un balzo e iniziò una furiosa lotta
contro il Grifone.
« Elien corri a prendere la corona.
Nessuno si accorgerà di te! » mi disse Wisp con un guizzo di
pensiero.
Anche la sua mente era cambiata dopo la trasformazione. Le sue parole
mi echeggiarono in testa con il fragore di una frana e per un attimo
rimasi stordita.
« Ma dove posso andare? »
chiesi scoraggiata.
Naim mi entrò di prepotenza nella testa e vidi un’immagine sfocata di
una stanza.
« Era qui che i sovrani custodivano
la corona molto tempo fa. E’ la nostra ultima speranza ».
Mi voltai verso Mavina. Entrambe stavamo tenendo il portone con la
magia. Come avrei fatto?
« Elien va! Ce la faccio da sola! » rispose lei alla mio sguardo
disperato.
Lasciai l’incantesimo solo nelle sue mani e corsi verso la porta
laterale prima che qualcuno potesse vedermi.
Il castello che stranamente sembrava deserto. Tutte le forze si erano
concentrate lì. Dovevo sbrigarmi altrimenti Mavina non avrebbe retto a
lungo. Percorsi un corridoio laterale mentre cercavo la stanza che mi
aveva fatto vedere Naim. Secondo la sua visione doveva trovarsi tre
piani più in alto.
Salii le scale.
I rumori della battaglia come un eco lontano.
I corridoi erano spogli, anche se sui muri c’erano delle macchie
rettangolari, segno che lì prima dovevano esserci dei quadri. Sentivo
l’odore della muffa che impestava gli angoli dei soffitti. Quei muri,
quei corridoi, tutto in quel castello trasudava morte.
Una strana luce violetta proveniente da una stanza attirò la mia
attenzione.
Doveva essere quella!
Al centro della piccola sala, in una deca che emanava la luce violetta
che avevo intravisto, c’era la corona di Aingel, la corona del regno.
La osservai per un attimo incantata: era simile quella di Danases, solo
che aveva un solo grande buco al centro invece di averne tre piccoli
per le tre pietre.
Timorosa, mi avvicinai e battei sulla deca. Il suono cristallino si
sparse attorno a me ma non riuscii nemmeno a scalfire il vetro.
Provai numerosi incantesimi minori e poi decisi che avrei usato quello
della Freccia Argentata. Permetteva di creare una freccia con la magia
che riusciva a trapassare qualsiasi cosa ma richiedeva un dispendio di
energia enorme.
Decisi di provare e mi ritrovai ansante sul pavimento mentre la deca
andava in frantumi. Passarono attimi in cui i polmoni mi andarono a
fuoco. Quando riuscii a controllare gli spasmi ai muscoli presi la
corona e corsi, per quello che potevo, verso la sala del trono.
Arrivai ansante nella sala, coprendomi le orecchie e chiudendo gli
occhi nel momento in cui due incantesimi s’incontrarono e scoppiarono.
Quando il fumo si diradò e finalmente riuscii a vedere, sentii il
sangue defluire dal volto.
Menfys era a terra e Klopius si stava avvicinando a lui, con la spada
alzata. Pietrificata, lo osservai puntare la spada alla gola dell’elfo.
La corona mi sfuggi dalle mani e cadde a terra tintinnando, per fortuna
il caos che creavano Wisp e il Grifone mentre combattevano coprii il
suono.
Sentii montare la rabbia.
Klopius mi aveva portato via mio padre, non avrei lasciato che facesse
del male a Menfys.
Ebbi una scarica di adrenalina.
Corsi e mi gettai sulla schiena di Klopius colpendola con i pugni. Non
m’importava se lui era più potente di me, o se avesse potuto usare la
magia per mettermi subito fuori combattimento, in quel momento
desideravo fargli solo più male possibile, più di quello che aveva
fatto lui a me e Aingel, con le mie sole mani.
Klopius ringhiò e mi buttò accanto a Menfys, che senza forze cercava
inutilmente di rialzarsi ma l’uomo l’aveva bloccato a terra.
Mi ritrovai con la spada puntata alla gola.
« Elien! » gridò Daelyshia,
avvertendo la mia paura.
Tutti smisero di combattere, tranne Wisp che continuava ad attaccare
incessantemente il Grifone.
Klopius rise spezzante.
Cercai di muovermi ma la spada spinse di più sul collo. Rantolai e
sentii qualcosa di caldo scivolarmi lungo il corpo. Menfys rimase
pietrificato quando vide il sangue inzupparmi la maglia.
« Vediamo… cosa mi ricorda questa scena? » si chiese Klopius, con falsa
preoccupazione. Poi s’illuminò e ghignando disse: « Ah già! Vostro
padre che supplica come un maiale un attimo prima della sua morte ».
« Bugiardo! ».
Aingel con la magia che schizzava fuori di lei per la rabbia fece un
passo avanti, ma Klopius spinse ancora più a fondo la lama sulla gola.
Urlai di dolore sentendo il freddo metallo sulla pelle già ferita.
Il suono del mio grido si amplificò e risuono nella stanza insieme al
ringhio di Daelyshia.
Sentii la mano di Menfys raggiungere la mia e stringerla.
Riuscivo a sentire il battito amplificato del suo cuore spaventato.
Strinsi di rimando la sua mano e il mio gesto non passò inosservato a
Klopius che ghignò maligno e alzò la spada per colpirmi.
Chiusi gli occhi, spaventata.
Non volevo morire, non così.
Aspettai però il colpo non arrivò, invece sentii all’improvviso il
respiro mancare.
Aprii gli occhi di scatto e vidi che Klopius stava usando la magia su
di me.
Sentivo l’incantesimo stringermi la gola in una morsa.
Tossii e rantolai, cercando di respirare.
« Daelyshia, aiutami! »
sussurrai.
Allora la dragonessa unì le sue forze alle mie per cercare di
contrastare l’incantesimo, purtroppo fallimmo.
La testa iniziò a girarmi e quando incontrai lo sguardo di Menfys, nei
suoi occhi spaventati vidi anche la mia paura.
« Basta! » esclamò Menfys, cercando di muoversi « Basta! Prendi me al
suo posto! ».
« Non farlo » rantolai ed esaurii la scorta d’ossigeno.
Chiusi gli occhi, quando la stanza iniziò distorcersi e dei puntini
esplosero dietro le palpebre. La gola e i polmoni bruciavano, la testa
pulsava e vorticava.
« È così ingiusto sentire il suo dolore senza provarlo veramente, non è
vero? » sentii dire Klopius, sprezzante, a Menfys.
Improvvisamente si sentì un rombo: Wisp aveva colpito il Grifone al
cuore, uccidendolo.
Aprii gli occhi e vidi Klopius ringhiare, rabbioso: « Ora basta! ».
L’incantesimo sparì e gemetti ansante, respirando a pieni polmoni. La
stanza smise di girare e Klopius ci spinse da parte con la magia,
atterrammo dall’altra parte della stanza, contro il muro. Le ossa mi
esplosero in un dolore atroce.
Mentre lottavo contro il dolore per rimanere cosciente vidi Klopius
infuriato sprigionare tutta la sua potenza: con un incantesimo colpì
Wisp che cadde a terra e non si mosse. Tanasir impallidii e gemette,
cadendo.
Mavina era ansante. Il portone tremava terribilmente sotto i colpi dei
soldati, non sarebbe riuscita a durare molto.
Menfys si avvicinò zoppicando e poggiò una mano sul mio collo. Sentii
un caldo prurito: il taglio si chiuse e il sangue sporco sparì.
« Menfys » mormorai in preda a un terribile dolore « La mia schiena… ti
prego aiuta Aingel! ».
Lui mi guardò orripilato. La mia schiena si era rotta all’altezza dei
fianchi e non sentivo più le gambe. Non ero più di nessun aiuto per
nessuno.
« Non muoverti » mi sussurrò lui poggiando le mani sul mio fianco.
Capii cosa volesse fare ma non potevo fermalo.
« Menfys, no! Perderai troppa energia! ».
Ma non mi ascoltò. Sentii il corpo bruciare e le ossa scrocchiare
mentre l’incantesimo agiva. Le gambe formicolavano. E quando tutto finì
Menfys era accanto a me, svenuto.
Controllai che respirasse in preda al panico.
Era ancora vivo.
Mi alzai in piedi di scatto.
Non c’era più tempo.
Un forte rombo annunciò che l’incantesimo di Mavina aveva ceduto e i
soldati iniziarono a sciamare all’interno della sala. Ogard, Daelyshia
e Naim iniziaro a lanciare del fuoco per fermare la loro entrata e la
stanza divenne rovente.
Corsi a prendere la corona dove l’avevo lasciata e poi mi diressi da
Aingel. Le misi in mano il monile, guardando preoccupata Tanasir che,
ormai all’estremo delle forze, era l’unico rimasto a lottare contro
Klopius.
« Non c’è la pietra! Dov’è? » mi urlò Aingel, guardando la corona che
aveva in mano.
« Non lo so! » esclamai disperata.
All’improvviso la tasca del vestito di Aingel e la tasca del mio
pantalone s’illuminarono e uscirono un piccolo sasso dorato e uno
argentato.
« Il sasso di Madre Natura » mormorammo all’unisono.
I due sassi si unirono e dalla loro unione comparì una piccola e
rotonda pietra rossa con inciso sopra uno strano simbolo.
« È la pietra del fuoco! » esclamò Aingel prendendola in mano e poi
incastonandola nel suo buco.
Una forte luce si sprigionò dalla corona. La mia gemella mi spinse via
e se la mise sulla testa.
« Elien allontanati! ».
Corsi verso Menfys e mi buttai sul suo corpo, creando uno scudo di
protezione. I draghi si accucciarono sui corpi di Mavina e Tanasir
potreggendoli con le loro ali.
« Questo è per nostro padre! » sentii urlare Aingel.
La luce fortissima investì i soldati. Il mio scudo vacillò e rischiò di
incrinarsi per via di tutto quel potere. Fremetti dalla stanchezza. Poi
l’incantesimo si diresse verso Klopius che provò a resistere ma lo
sentii urlare, un grido disumano, e poi tutto si fece silenzioso.
In quel momento la lotta per Astrakan finì.
L’usurpatore era stato sconfitto.
Vidi Aingel cadere a carponi a terra e ansimare, la corona sulla sua
testa che risplendeva.
Aiutai Menfys a rivenire e tutti ci alzammo piano.
Ma uno di noi era rimasto a terra.
Tanasir corse vero Wisp e, piangendo, inizio a colpirlo cercando di
farlo di muovere: « Wisp Svegliati! Svegliati! No, no… NO! ».
Lacrime calde iniziarono a rigarmi il viso.
Wisp era morto.
Si era sacrificato per noi.
Menfys e Ogard si scambiarono un’occhiata sconvolti e pallidi, invece
Aingel aveva abbracciato Naim, come se avesse paura che anche lei se ne
andasse.
Mavina si avvicinò a Tanasir per consolarlo.
« Non puoi fare nulla per lui, Tanasir » gli disse con voce dolce,
rotta dal pianto « Adesso è uno Spirito».
All’improvviso, una luce avvolse il corpo dell’enorme drago verde e, un
attimo dopo, il drago non c’era più.
Sentimmo la sua voce rimbombare nell’aria mentre nel cielo di Astrakan
esplodeva un’aurora boreale che illuminò il castello di mille colori: «
Non dimenticate, mai ».
Tanasir, impazzito dal dolore, urlò: « Non te ne andare! ».
Ma ormai il suo drago non c’era più.
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