Omnia Fert Aetas

di _hell_inside_
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CAPITOLO UNDICI
 

-Brava, così… Fallo girare, più lenta, non metterci forza inutile… Così…- la voce di Gwyn guidava la mani e i movimenti della fanciulla davanti a lui. Erano una decina, quasi tutte donne giovani, ma non mancavano anche le più anziane e i bambini, riuniti nello spiazzo di terra davanti alla grande capanna. Le parole di Idwal risuonavano nella mente di tutti “voglio che tutte le donne sappiano usare almeno la lancia, devono essere capaci di difendersi. Se i romani dovessero tornare e distruggere le prime linee, chi proteggerà i nostri figli? Date almeno una speranza alle vostre donne”. Quindi, sotto la guida severa di Myrddin, Gwyn e in parte Gwen si erano ritrovati tutti lì. Perfino la vecchia Dearbhla era lì, bastone in mano, decisa a dare tutta se stessa per difendere il villaggio dove era nata e cresciuta.

-Lexyy, piccola gioia, bravissima!- esclamò stupito Myrddin: aveva sempre avuto un debole per quella ragazzina dai grandi occhi verdi così decisa e determinata. Sapeva che suo figlio le insegnava di nascosto tutti i movimenti imparati dal padre, maestro di spada, ma non immaginava un tale talento naturale. Come non c’era nulla di artefatto nei movimenti di Gwen, erano puliti, portati a termine senza il minimo errore tecnico nonostante Myrddin l’avesse vista duellare e, in quel momento, aveva prevalso l’istinto. Gli piaceva quella fanciulla, la vedeva bene come compagna di Gwyn anche se sapeva che stava mettendo accanto due fuochi che bruciavano in modo violento, non i carboni ardenti e l’acqua cheta. Ma, in fondo, nemmeno lui e Nimue erano mai stati capaci di spegnersi, non si completavano, semmai si elevavano. Eppure si erano amati, nemmeno la Dea poteva immaginare quanto si fossero amati.

-Myrddin? Ti sei addormentato?- la voce di Gwen lo scosse dai suoi pensieri, nella sua mente galleggiava il viso di Nimue che, per qualche strano scherzo della memoria, andò a sostituirsi a quello della fanciulla davanti a lui. Si somigliavano… Come madre e figlia, tranne il colore degli occhi. Non erano dell’azzurro della sua amata, ma erano castani, limpidi anch’essi, ma non come una pozza d’acqua bensì come una notte estiva.

-Tua madre. Parlami di lei- mormorò

-Mia madre?-

-Si- il maestro di spada le prese la mano, sfiorandole il cordino di lana che portava al polso –Lo ha identico Dubhan, con gli stessi colori. Parlami di tua madre, ti prego-

Gwen sospirò per poi sedersi accanto all’uomo su un tronco appoggiato a terra: -Era una sacerdotessa, aveva diciotto estati e celebrò Beltane: secondo l’antico rito, giacque con un bardo. Urien. Mio padre. Rimase incinta e quando lo scoprirono la cacciarono dal Santuario; visse nel bosco e lì, nel gelo dell’inverno, mi fece nascere. L’ho vista combattere contro bande di derelitti romani e di altri clan, l’ho vista andare a caccia e donarmi l’amore di cui era capace. Per cinque inverni, mi fece conoscere il bosco, le sue piante… Sono una guaritrice grazie a lei-

-Ma sei anche una guerriera-

-Lo era anche lei- sorrise la fanciulla –mi insegnò i rudimenti della spada e a cinque inverni, quando i tamburi romani si fecero più vicini, mi portò da mio padre, sarei stata più sicura. Mi disse che sarebbe tornata, ma non la vidi più. Cinque estati dopo…- si interruppe per asciugarsi le lacrime –cinque estati dopo, mi svegliai piangendo. Il petto mi faceva male, come il basso ventre, come se mi avessero violato. Percepii che era morta-

-Qual’era il suo nome?-

-Nimue-

-Nimue? Sei sicura?-

-Si, certo. Perché?-

-La storia che mi hai raccontato, Gwen, è la stessa che, undici estati fa, mi narrò una donna. Il suo nome era Nimue. La trovai nel bosco, i lupi le ubbidivano e lei non li temeva. Sarebbe stata capace di uccidermi, nonostante fosse ferita. Non sapevo che sarebbe stata l’unica donna che avrei mai amato in tutta la mia vita. E la madre di Dubhan. Ma il primo impatto, beh, mi mancò per un pelo lanciandomi contro la lancia-

-Questo sarebbe stato molto da mia madre- rise Gwen –Mio padre diceva che le somigliavo molto-

-Le somigli. Tuo padre aveva ragione-

-Gwen! Vieni a duellare?- Lexyy l’aveva chiamata a gran voce

-Arrivo!-

-Vai. E se ti dovesse servire una famiglia, sentiti libera di pensare a me e Dubhan così-

 

-Di cosa parlavi con il maestro di spada?- chiese curiosa come sempre Lexyy passando a Gwen uno dei due bastoni che teneva in mano

-Cose da grandi- rispose, iniziando dei movimenti impacciati: non le era conosciuto il bastone, lo riteneva troppo lungo e poco agile. Lexyy doveva essere invece dell’idea contraria perché sapeva usarlo in maniera quasi perfetta e elegante.

-Uffa dite tutti così-

-Parlavamo di mia madre-

-Myrddin la conosceva?-

-Sì. È morta sei anni fa-

-Nimue? Tua mamma era Nimue?-

-La descrivete tutti come una specie di dea, cosa aveva di così speciale? Insomma, l’ho conosciuta, ma i miei ricordi si fermano ai miei cinque inverni-

-Queste sono cose che in realtà non dovrei sapere, ma… Ha salvato l’intero villaggio, ha sacrificato la sua vita per salvare tutti noi. La tua mamma l’avrebbe fatto?-

-È un gesto da lei, effettivamente- disse concludendo un semplicissimo attacco facilmente parato dalla ragazzina che aveva di fronte.

-Gwen, mi sembra sempre che tu debba ammazzare qualcuno in un colpo solo ogni volta che combatti- la schernì Gwyn avvicinandosi e cingendole la vita –Devi essere delicata, continuativa… Ascolta il legno-

-Preferisco ascoltare il metallo- gli mormorò all’orecchio lei liberandosi dalla sua presa e baciandolo avidamente. Senza aver previsto lo scherzo, lui chiuse gli occhi mentre lei aveva allungato una mano fino a raggiungere una spada appoggiata nelle vicinanze e quando si staccarono da quel bacio, Gwyn si ritrovò una spada puntata alla gola da una sogghignante Gwen

-Ti lasci abbindolare così?-

-Mai!- questa volta fu lui a baciarla e, una volta che lei ebbe abbassato la guardia, prenderla in braccio ridendo e portarla dentro casa.

Chiuse la porta, chiudendo fuori il mondo con una certa urgenza e bloccò il suo corpo tra se stesso e la porta. Le baciò le labbra, le guance, il collo slacciandole frettolosamente il vestito lasciandola nuda dalla cintola in su. Le afferrò una gamba e se la portò all’altezza del bacino, lasciando vagare le sue mani sull’interno coscia e lasciandosi spogliare. Sempre senza toglierle le mani di dosso la spinse verso il pagliericcio, spogliandola del tutto e facendola stendere sotto di se. La voleva, non riusciva a pensare a altro. Scese con le labbra fino a baciarle il centro del suo piacere e la vide mugugnare di piacere, ansimante.

-Gwyn… Gwyn prendimi. Fammi tua- lo pregò.

Entrò in lei piano, ma deciso. Ogni spinta la vedeva completamente immersa in quel piacere a lei quasi sconosciuto. La stava facendo sua, sentendo appagato oltre che il corpo anche il cuore. Venne ansimando, quasi con un urlo mozzato e lo sguardo stanco. Si lasciò cadere sopra di lei, ansante come l’altro e lasciandosi stringere al suo seno.

-Come stai?- le chiese

-Bene-

-Davvero?-

-Davvero. Tu?-

-Bene- le sorrise lui –Bella-

-Non è vero- obbiettò Gwen

-Stupida- le baciò il collo, vicino all’orecchio –Vieni qui-

-Ma sono qui-

-Più qui-

 

 

Gwyn venne svegliato dai pesanti colpi dati alla porta, dati in maniera insistente e continuativa. Fece per alzarsi dal letto, quando sentì un peso che gli cingeva il petto. Gwen. Si erano addormentati abbracciati, la notte prima, dopo aver fatto l’amore almeno dieci volte. Si volevano, si cercavano costantemente.

-Idwal? Idwal chiedono di vederti. È arrivata una delegazione di un altro clan, vengono in pace- urlò qualcuno dall’esterno. Il capoclan si alzò dal letto borbottando: probabilmente era stato svegliato alle prime luci dell’aurora da quel fracasso.

-Hywel?- chiese aprendo la porta ancora addormentato o quasi –Che succede?-

-Ero di guardia questa notte. Sono appena arrivati, venivano in pace, sono il clan di un villaggio vicino, gli unici superstiti…-

-Falli riposare, dai loro acqua e cibo. Arrivo tra poco-

-Che succede?- borbottò Gwen con voce impastata

-Si stanno avvicinando. Gwen, Gwyn vi voglio con me-

 

Erano seduti sulle panche della capanna centrale, davanti al fuoco. Erano quasi tutti uomini, con il volto abbattuto e stanco. Erano pochi coloro che osavano parlare, la maggior parte stavano in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto.

-Chi è il capo qui?- la voce di Idwal rimbombò come un tuono nella capanna

-Io…- si fece avanti un uomo sulle trenta esteti, dai capelli biondo cenere lisci e lunghi fino alle spalle e gli occhi color nocciola

-Taliesin ap Deere! Figlio di un troll, pensavo ti avessero rapito le fate!- esclamò sorpreso Gwyn gettandogli le braccia al collo

-Cugino! Quanti anni! Avevo sentito che eri morto!- ribattè l’altro quasi piangendo

-Mi dispiace interrompere questo momento così sentimentale, ma perché siete qui?- si intromise Idwal

-Sei il capoclan?- chiese Taliesin

-Si, sono io-

-Ci hanno attaccato due notti fa i Romani. Dormivamo e quei pochi che vedi sono coloro che sono riusciti a salvarsi. Siamo scappati nella foresta sperando di trovare un villaggio…-

-E siete arrivati qui- finì Gwen

-Esatto- confermò Taliesin

-Chi sei tu? Ho già udito la tua voce in passato fanciulla, qual è il tuo nome?- una figura incappucciata si girò a osservarla, non si vedevano i suoi lineamenti, oscurati dal cappuccio calato fino al naso, mentre un brivido percorse la schiena di Gwen

-Mi chiamo Gwen ap Urien. Tu chi sei?-

-Gwen? La Gwen che conobbi un tempo? Il guerriero che è un guerriero anche nel cuore? Ma dovrebbe essere morta-

-Heilyn? Heilyn il bardo?- Gwen corse a inginocchiarsi davanti alla figura incappucciata per scostargli il cappuccio, ma questo si ritrasse

-Heilyn… Heilyn sono io, sono quella Gwen… Sono riuscita a fuggire-

-Dimmi qualcosa che solo Gwen può conoscere-

-Di giorno e di note s’ode il rintocco, figlia del miele che porta il sorriso, aroma che avvolge ogni mio sospiro…-

-Nel pensiero s’agita il cuore, dormiveglia di labbra cercate abbraccio di baleno arco del cielo- finì di cantare Heilyn

-Me la dedicasti-

-Gwen!- la figura si gettò singhiozzando tra le braccia di lei –Sei tu piccola mia-

-Sono io, sono io- mormorò scoprendogli il volto e ritrovandosi davanti un volto martoriato

-Hai notato vero?-

-Cosa… cosa ti hanno fatto?-

-Mi hanno cavato gli occhi, cucito le palpebre… mi hanno tagliato le labbra e poi non ricordo… Mi sono risvegliato nel bosco, credo. Mi hanno trovato loro. Non vedo nulla e non riesco quasi neanche a parlare-

-Heilyn…- lei si limitò a stringere –Perché ti hanno fatto questo? Perché?-

-Perché sono un bardo, piccola mia- disse accarezzandogli le guance, il collo, indugiando sognante sulle labbra

-Le baciai molte volte, le ricordo morbide sul mio viso, sulle mie labbra-

-Non osasti mai andare oltre-

-Sapevo che il tuo destino non era con me, nonostante io ti amassi molto-

-Io…-

-Non hai nulla di che scusarti, sei felice con l’uomo con cui condividi il letto?- mormorò il bardo mentre Gwyn cingeva le spalle di lei

-Sì. Ma ti vendicherò Heilyn, nemmeno la Dea può impedirmelo-

 

 




Note dell'autrice: tante lacrimucce per Heilyn immagino... Ovviamente anche lui esiste e è un mio carissimo amico. I versi che cantano lui e Gwen appartengono al legittimo scrittore
A presto Tenebra




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