Desiderio
e Paura
Levi
raggiunse l'ufficio dell'istruttore Keith ed entrò senza
neanche bussare. Era stato convocato, come gli altri ufficiali presenti
al centro addestramento per discutere delle faccende del giorno. In
genere il tutto si limitava a decidere le esercitazioni per i cadetti e
come presidiare, ma quel giorno ci sarebbero state delle
novità.
«Come
sappiamo, Erwin nel pomeriggio partirà per la
capitale» disse Keith, ignorando il fatto che Levi fosse
arrivato in quel momento e proseguendo da dove aveva lasciato.
«E sarà via fino a domani sera per motivi
personali, perciò non potrà esserci d'aiuto. Ci
è stata inviata la richiesta da parte della Guarnigione
affinchè gli mandiamo una decina di reclute per un supporto
nel controllo e rinforzo del Wall Sina.»
«Posso
andarci io» disse Ludwing, un ex comandante della legione di
Guarnigione. «Raccolgo i cadetti necessari e mi dirigo
immediatamente.»
«Ottimo,
si tratterebbe comunque di una cosa di giornata. In serata dovreste
già essere sulla via del ritorno.»
«Nessun
problema» disse Ludwing.
«Infine,
ho bisogno di qualcuno che scenda giù in città.
Il carro con i nostri rifornimenti è fermo lì,
pare sia stato seguito e importunato da dei banditi durante il tragitto
e ora tema ad affrontare l'ultima tratta senza copertura.»
«Non
dovrebbe occuparsene la Gendarmeria?» chiese Levi, scocciato.
«Dicono
di essere troppo impegnati per stare dietro a un gruppo di mercanti
terrorizzati. Quelle scorte ci servono e non ho intenzione di perdere
un singolo giorno. Inoltre ho pensato che questo sarebbe potuto essere
un buon addestramento per i cadetti.»
«Allora
andrò io» disse Levi.
«Perfetto,
prendi le reclute necessarie e recati lì dopo pranzo. Quindi
per oggi al centro addestramento resteremo solo io, Hanji e
Darius» disse Keith prima di sproloquare con riassunti e
formalità varie. Fu sbrigativo, lui stesso detestava quel
genere di situazioni e preferiva mettersi subito al lavoro,
perciò non ci mise molto a sciogliere l'assemblea.
«Ludwing»
e l'istruttore si bloccò nel sentire il proprio nome venir
pronunciato dall'imperativa voce di Levi. Si voltò,
chiedendosi cosa avesse portato il capitano a bloccarlo non appena
messo piede fuori dall'ufficio di Keith.
«Oggi
porta Mari con te» disse Levi, trasformando quella che doveva
essere una richiesta in un ordine. Non che avesse voluto surclassare le
cariche, ma chiedere per favore e dare giustificazioni non rientrava
proprio nel suo modo di fare.
«Mari?
La rossa?» chiese Ludwing poco convinto. L'incarico
assegnatogli non era dei più complessi, semplice routine,
una scocciatura per la maggiore, ma Mari non era ben vista dai compagni
e mai avrebbe voluto avere a che fare con liti e disaccordi tra le sue
file.
«Dice
che vuole prendere parte all'Armata Ricognitiva, ma non ha mai visto un
Gigante in vita sua. Vedere con i propri occhi la preparerà
a ciò che troverà la fuori.»
«Allora
non è vero che ti opporrai alla sua entrata nell'Armata
Ricognitiva» sghignazzò Ludwing, prendendo a
camminare al suo fianco.
«Le
voci girano in fretta» osservò Levi, scocciato per
il fatto che fosse al centro dei pettegolezzi.
«Il
centro è più piccolo di quello che può
sembrare, e ci si annoia molto.»
«Ho
intenzione di oppormi... per il momento» rispose seccamente
Levi.
«Allora
perché tutto quel discorso sul prepararla?»
«Perché
magari mi renderà il compito più
semplice.»
Passarono
davanti a una delle torri di vedetta, dietro al quale videro la diretta
interessata intenta a un allenamento straordinario in singolo sul
combattimento. Sferrava pugni e calci a nessuno in particolare,
cercando semplicemente di correggere la postura e continuando
imperterrita. Con addosso una semplice canotta per allenamento, Levi
riuscì a scorgere un paio di brutti lividi all'altezza della
spalla e capì che quelli dovevano essere gli effetti della
loro chiacchierata di quella mattina.
«A
me sembra determinata più che mai»
commentò Ludwing guardandola mentre sferrava un gancio.
«Ti darà filo da torcere»
ridacchiò, battendo un paio di colpi sulla spalla del
collega. Colpi che ricevettero in cambio una delle occhiatacce
più infuocate del repertorio Levi, ma Ludwing lo
ignorò e concluse con: «Ma va bene, la
porterò con me oggi.»
Levi
non lo ringraziò nemmeno e si allontanò,
avvicinandosi a Mari. Ancora un altro paio di pugni, e nel voltarsi la
ragazza si trovò il capitano davanti, proprio mentre stava
sferrando un altro colpo. Levi la guardò con indifferenza,
come se si fosse trovato lì per caso, ma poi disse:
«Raddrizza la schiena.»
E
Mari obbedì all'istante, tesa come poche volte si era
sentita.
«Hai
le gambe troppo divaricate» le comunicò ancora
Levi, prendendo a girarle attorno per osservarla meglio, e lei di nuovo
obbedì, sistemandosi rapidamente.
«Alza
i pugni e stringi i gomiti» e ancora lei come una bambola che
veniva messa nella posizione ideale, obbedì.
«Colpisci
davanti a tè» e lei sferrò il primo
pugno. «Va bene, ma cerca di accompagnare col resto del
corpo» continuò lui e le si mise affianco,
assumendo la sua stessa posizione.
«Così!»
disse e diede dimostrazione.
«Ho
capito» annuì Mari e provò a imitarlo.
«Non
ci siamo, prova ancora» la sollecitò Levi,
mostrandole ancora una volta come avrebbe dovuto muoversi. Mari
riprovò, ancora e ancora, non togliendo lo sguardo da Levi
al sul fianco e cercando di imitare i movimenti che faceva lui. Destro
e sinistro, ginocchiata e calcio, andarono avanti ancora per un po'.
Quando Erwin passò da lì insieme a Darius, Levi
era ipegnato a mostrare a Mari come bloccare un avversario tramite una
presa al braccio: la stessa che Sierk aveva usato con lei. Le spiegava
e nel frattempo le dava dimostrazione, usandola come marionetta. Poi la
liberò e permise anche a lei di fare altrettanto, facendosi
usare come bambola d'addestramento. Mari provò a imitarlo,
ma il risultato fu decisamente più scarso, tanto che pochi
istanti dopo era a terra, rovesciata dallo stesso Levi che si era
liberato facilmente. Le disse qualcosa, probabilmente degli ammonimenti
per aver sbagliato, poi allungò la mano verso di lei e
l'aiutò a rialzarsi.
Riprovarono
e ancora Mari venne scaraventata a terra una, due, tre volte. Qualsiasi
cosa facesse, Levi trovava sempre il modo di liberarsi con
rapidità e ribaltarla. Probabilmente la cosa non le
andò a genio, visto che all'ennesimo tentativo fallito in
cui Levi l'aveva buttata a terra, quando lui le porse la mano per
aiutarla, lei se lo tirò dietro con forza e lo fece cadere
di faccia a terra. Levi si sollevò repentinamente,
fulminandola e incrociando il suo sguardo infastidito e imbronciato.
Per quell'azione sconsiderata, si beccò un colpo di nocca
sulla testa e qualcosa che somigliava molto a uno
«Stupida».
Si
rialzarono, apparentemente indenni, anche se Mari non smise un attimo
di massaggiarsi il punto in cui era stata colpita, continuando a
brontolare, forse a piagnucolare. Levi la lasciò sfogare per
un po', sembrando che la cosa non gli interessasse molto, ignorandola
apparentemente, impegnato a sbattersi via la polvere dai vestiti. Ma
poi le posò la mano sulla testa e le scompigliò i
capelli tanto vigorosamente da lasciarla ancora più
imbronciata. Dalla sua posizione fu difficile per Mari scorgere
l'angolo della bocca di Levi leggermente tirato verso l'alto, in un
accenno di sorriso. Il capitano ben si guardava nel dare esplicita
dimostrazione di certi stati d'animo, ma lo stesso non si poteva dire
per Erwin, che ora li osservava con un'aria vagamente soddifatta.
«Alla
fine, Levi ha ceduto» sorrise Hanji, affiancando il
comandante.
«E'
ancora presto per parlare» disse Erwin, lasciando stare
l'allenamento improvvisato dei due e tornando per la sua strada.
«Oh,
andiamo. Conosci Levi, fa il duro e l'antipatico ma alla fine ha il
cuore tenero. Insomma, guardalo come si diverte col nuovo animaletto
che gli hai procurato» sghignazzò Hanji,
camminando al fianco di Erwin. Benchè non si fosse voltata
ad osservare la reazione del comandante, riuscì comunque a
percepirlo su di sè il suo sguardo interrogativo, lievemente
infastidito.
«Non
credere che non l'abbia capito, conosco Levi tanto quanto conosco te e
so bene che non l'avresti fatto venire fin quaggiù, tu
stesso non ci saresti venuto, trascinandomi con te, se non avessi avuto
un obiettivo ben preciso in mente.» Ed Erwin
ridacchiò a quell'affermazione, senza però
preoccuparsi di smentirla. «In fondo, Mari, l'hai raccolta
tu, no?»
«Chissà,
magari con l'età mi sto rammollendo»
commentò Erwin, chiedendosi per la prima volta se fosse
stata solo la forza della ragazza a convincerlo a portarla
nell'esercito o se semplicemente non ci fosse stato altro nella sua
storia ad averlo smosso. Magari proprio quella sua disperata
ammirazione per Levi.
«Sei
un vecchio romantico, anche se non l'ammetterai mai» lo
stuzzicò Hanji, facendolo ridere ancora.
«Però sento che quella ragazza, prima o poi,
avrà il suo momento di gloria.»
«Ben
arrivato, capitano!» saltò in piedi Mari,
portandosi il pugno al petto. «Le sue attrezzature sono
pulite a dovere e pronte all'uso!»
Levi
la guardò un po' stupito, chiedendosi quando avesse avuto il
tempo, dopo pranzo, di andare in officina e pulire e rassettare tutte
le attrezzature. E soprattutto, perchè? «Io non te
l'ho chiesto.»
«Sì,
lo so bene!» si limitò a rispondere Mari,prima di
aggiungere: «Stasera quando tornerà mi
insegnerà quell'incredibile mossa che ha fatto oggi con i
piedi?»
«Mossa
con i piedi?» chiese Levi, inarcando un sopracciglio,
divertito per l'ingenuità della ragazza. Afferrò
il suo meccanismo per il movimento tridimensionale e gli diede
un'occhiata accurata, mentre Mari al suo fianco si dimenava nel
tentativo di tirare qualche calcio in aria, senza troppo successo, a
dimostrazione di quale fosse la "mossa coi piedi" di cui stava parlando.
«Ah!
Come le sembrano?» chiese poi, avvicinandosi a Levi e
guardando con trepidazione l'attrezzatura. Ci aveva messo anima e corpo
nel cercare di renderla splendente, andando a pulire perfino i
meccanismi più complessi da raggiungere a mani nude.
«Non
male» commentò lui, muovendo il manico da un lato
a un altro per controllarlo da ogni angolatura.
«Sono
stata brava?» chiese con uno strano scintillio negli occhi.
Levi le aveva appena confermato che il suo era stato un buon lavoro,
eppure sembrava trepidasse per ottenere un esplicito complimento nei
suoi confronti. In particolare, sembrava ci tenesse particolarmente nel
sentirsi dire che "era stata brava". Non si chiese nemmeno
perché, sentendo che le risposte risiedevano sicuramente
nelle sue lacrime e nelle preghiere che aveva fatto due sere addietro,
quando aveva giurato ai fantasmi del suo passato che sarebbe stata
buona e li aveva pregati di non farle del male. Chi era bravo non
veniva picchiato e poteva continuare a sopravvivere: era questa la
lezione che le era stata insegnata.
«Sì»
rispose morbido nella voce, deciso ad accontentarla. «Sei
stata brava.»
Il
sorriso di Mari risplendè sul suo viso, facendola quasi
brillare, mentre le guance assumevano una lieve colorazione rosata
assolutamente in tinta con quei capelli che ora cominciavano a non
irritarlo più così tanto. Erano sangugnei,
l'aveva appurato, ma era un sangue che non macchiava e non sporcava. In
un certo senso, era sangue vivo, come un prolungamento del suo sistema
cardiaco, riceveva quella colorazione direttamente dal cuore con le sue
incessanti pulsazioni. Ne poteva quasi sentire il calore e le
vibrazioni, quando vi immergeva le dita.
«Oggi
andrai con il capitano Ludwing» le annunciò, anche
se probabilmente ne era già al corrente, visto che sarebbe
partita da lì a pochi minuti.
«Sì,
lo so» rispose lei.
«Sei
pronta?»
«Sì,
ho preparato tutto attentamente e minuziosamente!»
«No,
intendevo... sei pronta a vederli?»
Mari
esitò qualche secondo, prima di chiedere, cupa nella voce:
«Parla dei Giganti, non è
così?»
Levi
non rispose, ma Mari sapeva bene che quella era un assenso. Fece un
passo indietro e si lasciò cadere su uno sgabello, sedendosi
in maniera scomposta. Quell'unico occhio che si riusciva a intravedere
sul suo viso parzialmente nascosto dai capelli si era fatto
più sottile, più affilato. Ora non sembrava
affatto la bambina che Levi aveva lamentato somigliasse. Era
consapevole e cosciente, non affatto sprovveduta. Mari era forte,
più di quanto volesse far credere. Più di quanto,
forse, lei stessa credesse.
«Una
volta, all'età di otto anni, mentre cercavo qualcosa da
mangiare tra i rifiuti di un fruttivendolo, nascosta in un vicolo
insieme a tre dei gatti della colonia, vidi un uomo. Indossava la
divisa della Gendarmeria, ma era rannichiato in un angolo buio in fondo
alla strada, da solo, e piangeva. Provai ad avvicinarlo, chiedendomi
preoccupata se non avesse avuto bisogno di aiuto ma la paura prevalse,
anche perchè io ero una ladruncola e lui un militare, e alla
fine decisi di restare nascosta dietro il cassonnetto fintanto che non
decise di andarsene. Prima di farlo, però, preso da un moto
di rabbia, stracciò un foglio di carta e lo
lasciò lì. Non mi ci volle molto per rimettere
insieme i pezzi e allora capii perché quell'uomo fosse tanto
disperato: quella era una lettera ufficiale del corpo militare. Sopra
c'era scritto "le riferiamo dolorosamente che sua sorella Clarice Price
ha servito con onore il corpo militare e con altrettanto onore ha
sacrificato la sua vita nella battaglia dell'umanità contro
i Giganti". È stato così che sono venuta a
conoscenza di questi esseri. Fino ad allora avevo creduto che la
povertà fosse l'unico male dell'uomo. Non ho idea di che
forma abbiano, o almeno non ne avevo fino a quando non ho letto i libri
reperibili nella biblioteca ufficiale del corpo militare. Non sapevo
cosa fossero, come fossero fatti, nè perché
fossero tanto pericolosi per l'uomo. Eppure sapevo che là
fuori delle persone stavano morendo per combatterli per noi. Cominciai
a pensare che fosse tutta colpa loro, se noi eravamo costretti a vivere
in quel modo, e cominciai a pensare che se i soldati fossero mai
riusciti a sconfiggerli allora avremmo potuto vivere felici anche noi.
Non so se avessi ragione o meno, ma ogni giorno mi svegliavo nella
speranza che qualcuno cominciasse a gridare per le strade: "la guerra
è finita, siamo liberi!"» e ridacchiò,
come se avesse appena raccontato una barzelletta.
«Perché
mi racconti tutto questo?» chiese Levi, che ancora osservava
le lame della sua attrezzatura, benchè avesse già
appurato che fossero splendenti. Un semplice gesto che serviva a
piazzare un muro tra loro due, non lasciarsi coinvolgere da quel
racconto.
«Perché
per ogni topo esiste un gatto! È la natura, capitano Levi.
Non possiamo governarla a nostro piacimento, possiamo solo adattarci e
fare di tutto per cercare di far durare le nostre vite il
più possibile. Per amor proprio, solo per puro egoismo,
perché quando il gatto riuscirà ad artigliare e
divorare quel topo l'ordine naturale delle cose, il mondo intero, non
ne sarà destato minimamente. È così e
non possiamo farci niente.»
«Ti
stai arrendendo alla morte?» chiese Levi con riluttanza.
«Oh,
no! Al contrario! Mi sto arrendendo alla vita. Non siamo onnipotenti,
esisterà sempre un ordine superiore al nostro e Lei che vive
la politica militare dovrebbe ben saperlo. Se ci ostiniamo a negare i
nostri limiti, a non accettarli, il giorno che lasceremo questo mondo
avremo la sensazione di aver sbagliato qualcosa, che sia stato colpa
nostra. Al mondo abbiamo solo noi stessi, tutto il resto è
un'illusione, e se alla fine perfino noi arriviamo a tradirci, a
rinnegarci, cos'altro ci sarà rimasto?»
«Fai
dei pensieri complessi per essere una ragazza dei
sottoborghi» osservò Levi e Mari rispose alzando
le spalle, come se fosse stata una cosa naturale e di poca importanza.
«Non
ho mai avuto possibilità di proteggere il mio corpo, ho
dovuto trovare un modo per sopravvivere. La morte spaventa perfino una
gatta randagia come me.»
«Hai
paura di morire, dunque?»
«Perché?
Lei no?» chiese con stupore Mari. Esisteva qualcuno al mondo
che non temesse la morte?
«Chi
si arruola nell'Armata Ricognitiva prima o poi muore. Lo sai,
vero?»
«Lei
è ancora vivo.»
«Tu
non sei me!» la fulminò Levi, prima di aggiungere.
«E comunque non sappiamo ancora per quanto.»
«Il
futuro è un mistero per chiunque, non esiste chi
è più al sicuro e chi meno. Conosco persone che
sono morte per uno starnuto.»
«Disgustoso»
si lasciò sfuggire Levi.
«Dico
sul serio!» si animò Mari. «Gli sono
usciti gli occhi dalle orbite, metteva i brividi! Io non l'ho visto,
per fortuna, ma c'è chi l'ha visto e lo racconta!»
«Insomma!»
la interruppe Levi, predicendo l'arrivo di un'altra delle sue storie su
quando era bambina e sulle strade che, sinceramente, lui non voleva far
altro che dimenticare. «Predichi la difesa della vita,
ammetti di temere la morte, ma poi sembra che ignori il vero
significato della tua scelta. Sei contraddittoria! Perché
vuoi arruolarti, rischiando di morire domani stesso, quando dici di
voler sopravvivere e di voler evitare la morte? Non capisco cosa ti
passi per la testa! È tanto divertente giocare a fare l'eroe
coraggioso?»
«Io
ero quel topo, capitano Levi» rispose seccamente Mari.
«E lo sono ancora! C'è un gatto là
fuori destinato a mangiarmi, questo lo so. Non mi prenda per
sprovveduta. Ma i mangiatori di carne, che siano topi o umani, fanno
più paura quando sono celati nell'oscurità e non
sai cosa ti balzerà addosso e quando. Almeno ora
saprò da cosa devo difendermi e posso imparare a
farlo.»
«I
Giganti, lì sotto, non sarebbero mai arrivati. Che cosa
avevi da temere?»
«Ci
sono esseri che divorano più di un Gigante, capitano. Esseri
che divorano e non uccidono.» E gli occhi affilati di Mari si
posarono su Levi, facendogli di nuovo venire i brividi. Quegli occhi
erano porte spalancate su un mondo che non desiderava vedere. Un mondo
di incubi e terrore, di ombre dalle orribili fattezze umane. Non
mostri, non giganti, umani... e perciò raccapriccianti.
«Io
ho paura della morte» disse Mari, alzandosi in piedi.
«Ma a volte un sorriso, un desiderio, un battito di cuore,
hanno più forza della paura. E se si chiude gli occhi, si
riesce a percepire il soffio del vento sulla pelle, la melodia degli
uccellini, la morbidezza al tatto di un prato, il profumo di un
fiore... e il dolore sparisce come per magia.» La
determinazione e la sicurezza con cui espresse quest'ultimo pensiero,
fece intuire che fosse qualcosa che avesse fatto molto spesso. Un
meccanismo di cui ne conosceva perfettamente il funzionamento.
Chissà quante volte, stesa sotto qualche schifoso corpo
sudato, avesse chiuso gli occhi e avesse fatto sparire il dolore "per
magia".
«Sono
ancora quel topo terrorizzato, ma sono un topo che vuole dare forma
alle sue paure. Poter loro guardare negli occhi, capirne la grandezza,
studiarlo e provare a imparare a sopravvivere davvero. E se la paura
sarà troppa, allora non dovrò far altro che
trovare un desiderio che sia più forte e riesca ad andare
oltre.»
«Belle
parole, non c'è che dire» disse Levi, che ora
sembrava più irritato che mai. Non poteva far a meno di
pensare che quella fosse solo una ragazza che sognasse di fare l'eroe,
come quelli nei libri, e che non si rendesse conto della
realtà. «Ma cosa saprai fare quando ti troverai
davanti il tuo "gatto mangiatore di carne"? Avrai tempo e forza di
soppesare paure e desideri?»
«Mi
metta alla prova» lo provocò.
«No.
Non lo farò. Non ho nessuna intenzione di portarmi appresso
un cadavere che cammina» la fulminò, prima di
allontanarsi a passi pesanti. Era riuscita a irritarlo, nonostante
avesse da poco cominciato a tollerare la sua presenza, quasi ad
apprezzarla. Si era dimostrata tenace, forte abbastanza da rivendicare
il suo diritto di essere se stessa e lottare per sè. Ma
adesso, dopo quella sfilza di stronzate sulla morte e sui desideri, era
tornato a pensare che fosse solo una ragazzetta che doveva ancora
crescere e imparare cosa fosse la realtà. Lo irritava, tutta
quella sfilza di pensieri assurdi lo irritavano terribilmente. E stava
di nuovo tornando sulla sua ferrea decisione di impedirle di arruolarsi.
L'unica
cosa che ancora non riusciva a capire, però, era da dove
arrivasse tutta quella riluttanza nel vederla nel corpo dell'Armata
Ricognitiva. Perché l'idea che lei perdesse la vita lo
mandava così in bestia? Eppure aveva sempre apprezzato chi
si fosse dimostrato forte tanto da mettere a repentaglio la propria
vita.
«Capitano
Levi!» chiamò Mari, senza scomporsi, quasi
imponendogli di fermarsi e ascoltarla. «La pensi pure come
preferisce, mi prenda per sciocca, ma io le prometto che un giorno Lei
comprenderà la mia forza. Anche se sarà troppo
tardi.»
E
con un verso di disappunto, Levi si allontanò
definitivamente.
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