Un bambino fortunato

di Hermione_wand
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La nostra passeggiata stava ormai volgendo al termine: erano circa le 22:40 quando Harry cominciò a dirigersi verso casa, annusando di tanto in tanto un ciuffio d'erba nel prato. Stavamo costeggiando uno dei palazzi che si affacciavano sul parco e, intanto, lei era là, pochi passi più avanti a noi. Mentre ci sorpassava velocemente avevo intravisto i suoi occhi, lucidi, come quelli di chi tenta di trattenere le lacrime: quel suo volto, sempre bello e raggiante ma in quel momento sfigurato dalla tristezza, ne era testimone. Era colpa mia. Io avevo bisogno di sapere di più, di entrare a far parte di quel suo mondo che mai aveva voluto mostrarmi, sebbene fosse rimasto per molti anni vivo nella sua memoria. Perciò, mi feci coraggio e le chiesi di parlarmi di Teto: subito la sua voce si fece tremolante, come se non sapesse che cosa rispondere, o come se non si aspettasse quella domanda. Quel ricordo la faceva stare male, le riportava alla mente tutta la fatica e l'impegno che aveva messo per aiutare quel povero bambino, che la natura aveva condannato a vivere soltanto fino ai sei anni di età, intrappolato nella sue pessime condizioni fisiche. Stefano soffriva di macrocefalia e, inoltre, una lesione del midollo spinale ne aveva causato la paralisi delle gambe; ma nonostante ciò, il piccolo Stefano era stato un bambino fortunato: aveva avuto la possibilità di avere al suo fianco una donna che lo amasse esattamente quanto si ama un figlio. Ne parlava come se lui fosse stato, per un tempo, la sua ragione di vita e, forse, era stato proprio così. Ero un po' gelosa di questo loro rapporto, ma subito mi resi conto di quanto, anche io, mi sentissi legata a questo bambino, un bambino che non avevo mai avuto la fortuna di conoscere: lo sentivo parte della nostra famiglia, quel fratellino che non ho mai avuto, o meglio, quel fratellino che morì anni prima di me nel grembo di mia madre, senza mai riuscire a vedere la luce. Quel giorno, capì di aver instaurato un legame molto profondo con Teto, che si sarebbe rafforzato sempre di più di lì in avanti. Ascoltai mia madre parlare dei giochi che facevano insieme: è difficile immaginare quanto possa essere complicato per bambini come lui lanciare un palla o provare a parlare. Mi si spezzò il cuore, tanto che, anche io, dovetti impormi contro me stessa per non lasciare che le lacrime mi rigassero il viso; poi pregai Stefano nella mia mente, rivolta con gli occhi verso il cielo stellato, di proteggere mia madre e tutta la nostra famiglia. Percorremmo l'ultimo tratto di strada, in silenzio, forse imbarazzate dalla breve conversazione che avevamo appena avuto, mentre Harry, ignaro di tutto, trotterellava verso il pianerottolo. Raggiungemmo la porta di casa e, ancora senza una parola, entrammo. Erano le 22:45.




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