The Ghost of You

di Margo_Holden
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Capitolo 19

 

Sam era stato svegliato dalla chiamata dell'amico e anche se avrebbe preferito tornarsene a letto, non l'avrebbe mai fatto. Innanzitutto perché aveva percepito che qualcosa non andasse e tutto questo solo ascoltando il tono di voce dell'amico, che trapelava una sorta di tristezza e di disagio.

Questo non era da lui.

Ora, mentre seduto su quel divano cremisi si scolava una bottiglia di vodka, ne aveva avuto la conferma.

─ Allora, mi vuoi dire che ti succede?

Alex alzò gli occhi verso l'amico, il cui viso traspirava preoccupazione. Si accorse che forse era davvero messo male.

Deglutendo aria e lanciando uno sguardo verso il tappeto ai suoi piedi, si decise che era arrivato il momento di parlare.

─ Stavo per violentare una donna.

Sam, nel sentire quelle parole, corrugò la fronte e attese che l'amico continuasse ma ciò non avvenne, così fu costretto a riprendere lui il discorso.

─ Che cosa vuoi dire?

Ma Alex sembrava essersi chiuso dietro quel muro che costruiva ogni volta per difendersi dagli altri, quando diventava debole e insicuro.

─ Alex, che cosa cazzo vuoi dire?!

A quel punto, sentendosi messo alle strette decise di aprire bocca.

─ Questo Sam, questo...─ rispose lui allargando le braccia.

Solo allora, sentendosi soddisfatto, il biondino si abbandonò sul divano, lasciando però gli occhi puntati sul russo, che nel frattempo si era portato le mani sulla faccia.

Sam conosceva molto bene Alex ed era proprio per quello, che non riusciva ad afferrare il significato che si celava dietro le sue parole eppure quei gesti, i movimenti sconclusionati parlavano per lui, solo che Sam non riusciva ad accettarlo.

Stettero in silenzio per alcuni istanti.

Entrambi si studiavano.

Sam che lo scrutava con i suoi occhi neri. Alex che lo osservava senza farlo davvero, con quei suoi occhioni azzurri.

─ Come è accaduto? Per favore, parla oppure ti sbatto a calci nel culo fuori di qui e torno da Donovan.

Alex sorrise.

Quando ci si metteva il biondino era davvero terribile e a stronzaggine, così come a delicatezza, non lo batteva nessuno.

─ Ero dai russi per la missione e con me c'era una ragazza che si chiama Maria. Conosco quella ragazza da molto tempo ed è la mia puttana personale, mettiamola così ─ ma non ebbe il tempo di continuare la frase che fu interrotto dall'amico, che intanto sogghignava divertito.

─ Allora lo fai funzionare il tuo amichetto lì sotto?! E dimmi uomo delle caverne, per quasi Maria è pure italiana? ─

Il motivo principale per cui quella sera era andato proprio da Sam, oltre che per bere e sfogarsi, era soprattutto le battutine che riuscivano a far risollevare il morale. Quel ragazzo era così. Angelo e demone nello stesso corpo e chi lo conosceva veramente bene, sapeva di quel suo lato che teneva incatenato nel suo cuore.

─ Sei uno stronzo quando ti ci metti! Comunque, poiché sono un cazzo di uomo e come si sa, la carne è debole, lei è pronta ad accogliere a gambe aperte la mia debolezza, contento?! Adesso andiamo al nocciolo della questione. Ho chiesto a Maria di ballare e ad un certo punto non ho più visto il suo viso tondo, ma quello bianco di Hazel e non ci ho visto più.

Non erano sufficienti altre parole per descrivere la situazione.

Sam aveva capito tutto.
Gli occhi, quella strana tristezza, il continuo tacere dell'amico e il non riuscire a guardarlo negli occhi. La ciliegina sulla torta poi, era arrivata quando aveva nominato il suo nome.
Alex era innamorato di Hazel.
Ma Alex non l'aveva ancora capito.




Un mese dopo.





La vita è un eterna ruota.
Gira piano, poi veloce e poi di nuovo piano.
Il fatto è che essa gira, sempre e comunque.
Come l'amore.
Nasce negli occhi e poi arriva a colpire l'anima.

Ma quando il sentimento più nobile che ci sia al mondo muta, si trasforma in un sentimento più devastante, al quel punto è difficile tonarne indietro.

Per Hazel era stato così.

Aveva fatto entrare nel suo cuore Alex, ma involontariamente l'uomo aveva rotto in mille cocci quello che Hazel aveva costruito.

Apposto di aggiustarli però, lei aveva deciso di accantonarli e cominciare a coltivare un fiore, che aveva lo stesso colore dell'odio. Giorno dopo giorno, pasticca dopo pasticca, era arrivata a far crescere quella rosa nera, con un intenso profumo di vendetta. L'aveva colta e aveva preparato poi il tutto, per concimarne delle altre.

Il suo principale obbiettivo era quello di far innamorare l'uomo per poi ucciderlo, nello stesso identico modo di come dodici anni prima uccise suo fratello, suo padre e suo madre.

─ ...e poi vorrei anche delle uova e del bacon.

La signora sulla cinquantina che era entrata con i tre figli e il marito, aveva dei capelli spessi neri e raccolti in una crocchia alta e oltre ottanta chili tra stomaco e fianchi.

Pazientemente Hazel aveva preso il lungo ordine e l'aveva annotato sul taccuino bianco a righe verticali nere.

Il tintinnio della porta l'avvertì che era entrato un nuovo cliente.

Erano le quattro di un pomeriggio di metà dicembre, natale si avvicinava così come l'inizio di un nuovo anno.

Si allontanò silenziosamente dal tavolo, non prima di aver fatto un cenno con la testa come ringraziamento alla famigliola felice e si recò verso il bancone.

Percepì nell'aria un profumo familiare, ma non ci fece caso anzi passò oltre e si recò in cucina per dare l'ordine.

Girò lo sguardo verso il bancone e morì.

La sua fu una morte lenta e atroce, ma indimenticabile.

Alex gli si stagliava davanti, bello come nessuno degli uomini che aveva conosciuto in vita sua. In un attimo tutti i propositi che si era prefissa di realizzare svanirono come neve al sole. Incatenata a quegli occhi magnetici, vide che la barriera che ergeva per nascondersi dalla crudeltà umana, era stata abbassata.

Alex si mostrava a lei, dopo tutte quelle settimane, dopo tutte quei pomeriggi dimenticati, dopo tutte quelle ore che avevano passato a darsi man forte, ad aiutarsi, a sorreggersi per quel mondo troppo crudele, per due mine vaganti come erano le loro anime.

─ Un caffè doppio, per favore!

Lo guardò ammaliata ancora per qualche istante, poi si riprese e facendo un leggero cenno con la testa di conferma, si girò e si diresse verso la cucina.

Quando fu lontana da quelle pozze ardenti, si lasciò andare e appoggiandosi verso il muro, riprese fiato.

Dopo un mese si rifaceva vivo.

Era davanti ai suoi occhi, l'aguzzino dei suoi genitori e impotente, non poteva fare niente.

Si staccò prepotentemente dal muro su cui si stava sorreggendo e strinse forti i pugni.

La voglia di urlare era tanta, ma per il suo bene, la trattenne dentro di sé.

Passandosi poi una mano sulla fronte e una volta risistemata la coda di cavallo che era costretta a fare, uscì di nuovo, ricordandosi che la macchinetta del caffè era stata posizionata fuori.
In tutto questo, Jon la guardava silenziosamente e la studiava.

Uscì e fu costretta a passare di nuovo di fronte all'uomo che accortasi della presenza della biondina, alzò subito gli occhi sul suo magro corpo.

Hazel quegli occhi se li sentiva addosso. Sapeva che era venuto per lei e sapeva anche che non l'avrebbe infastidita ancora per molto.

Prese una tazza bianca dal ripiano e con mani tremanti, la trascinò vicino la caffettiera per voi versare la bevanda scura. Gliela portò nella sua direzione appoggiandola davanti i suoi occhi, senza mai alzare lo sguardo su di lui, ma puntandolo sempre e solo sulla tazza, da cui una goccia marroncina era strabordata da un lato.

Alex , una volta posta la tazza sotto il mento, fece di tutto per far scontrare le loro mani, in una sorta di carezza delicata.

Il ruvido delle mani di lei andò a contatto con quello di lui.

A quel punto Hazel fu costretta ad alzare lo sguardo.

─ Grazie.
Ma nel momento in cui stava lasciando la mano, Alex la prese con prepotenza e sussurrando gli disse ─ Tra dieci minuti vieni fuori, ho bisogno di parlarti.

Hazel rispose con un flebile accenno con la testa e tornò verso i tavoli a prendere le altre ordinazioni. Ogni tanto si distraeva e lo guardava di nascosto.
Nel frattempo Alex aveva finito il suo caffè e una volta pagato, si accinse ad uscire dal locale. Prima di farlo però, diede un ultimo sguardo a quella ragazzina che lo aveva incatenato ad una sorta di magico e dolce incantesimo.

Dieci minuti dopo, Jon diede la possibilità ad Hazel di uscire.
Si portò una sigaretta alle labbra e con uno scatto l'accese.

Il sapore della nicotina si andò subito a mischiare alla saliva mentre il fumo risaliva graffiando dalla gola.

Lo cercava con lo sguardo ma non riusciva a trovarlo.

Portava lo sguardo prima a destra e poi a sinistra ma niente gli faceva capire che fosse passato di lì. La sigaretta finì e così buttò il mozzicone ai suoi piedi schiacciandolo poi, con il tallone

Il cellulare prese a trillare. Mise la password e si accorse che era un messaggio.

Da: Alex
Attraversa la strada. Sono in macchina.

Posizionando il telefonino in tasca, attraversò la strada e fece esattamente come l'uomo gli aveva detto di fare.

Ecco, di nuovo si sentì una marionetta nelle mani dell'aguzzino.

Ormai quello era Alex per Hazel.

L'aguzzino, l'assassino, il distruttore della sua famiglia.

Strinse le mani in pugno, ricordando a se stessa che non era il momento di rivendicare il sangue, per quello c'era ancora tempo.

Girò la testa verso sinistra e si accorse che parcheggiata vicino ad un muretto con su una scritta volgare, c'era un SUV nero.

Prese un profondo respiro, ricordò a se stessa perché fosse giunta lì e aprì la macchina fiondandocisi dentro.

L'odore della pelle si insinuò immediatamente, mentre quello della lavanda divenne prepotente.

─ Volevi vedermi, allora parla perché non ho molto tempo.

Hazel non era riuscita nemmeno per un istante a guardarlo. Aveva parlato tenendo lo sguardo fisso davanti a se e basta, non era riuscita a fare altro.

Alex la osservava dallo specchietto e anche lui, non aveva avuto il coraggio di guardarla negli occhi. Le immagini di Clash che usciva dal suo appartamento erano ancora ben dipinte nella sua mente, nei suoi ricordi. Al solo pensiero di lui che sfiorava quella pelle di luna, lo mandava in bestia e avrebbe tanto voluto far scorrere un fiume di sangue. Però non poteva e lo sapeva molto bene perché in fondo Hazel e lui, appartenevano a due pianeti completamente diversi, distanti anni luci.

La realtà specchiandosi però, mostrava un altro volto.
Erano simili, forse uguali.
Hazel credeva di essere l'anima buona, quella che risiedeva nel lato luminoso, quella che non aveva mai fatto del male a nessuno.

In realtà lei proprio come lui, aveva distrutto, ucciso, calpestato la cosa più importante al mondo: se stessa.

Si era lasciata affogare in quel mare di sangue. Si era lasciata trascinare da quei demoni che avevano i tratti della vendetta che è maligna e oscura il cuore. Si era lasciata sopraffare dall'odio verso una vita corrotta e inaspettata. Anche lei quindi, proprio come lui, risiedeva nel lato oscuro.

─ Dovevo vederti al più presto uno perché non ti ho mai pagato e due perché desideravo passare un pomeriggi solo con te.

Il mondo sembrò per un attimo fermarsi.
In una sola frase, Hazel era stata umiliata e lusingata.
Doveva arrabbiarsi, forse.
Doveva rispondergli qualcosa, quello era certo.
Doveva fare tante cosa, ma non fece niente.
Per la prima volta lo guardò. Dopo svariati secondi anche Alex fece lo stesso.

─ Te lo ha mai detto nessuno che sei un grandissimo stronzo?

Percepì nel tono di voce della ragazza una punta di fastidio e sorrise per questo. L'aveva fatto apposta a parlargli del pagamento per ricordargli del giorno in cui si erano conosciuti. Si era preso una piccola rivincita su di essa.

─ Diciamo che non sei la prima. Vai a dire a John che non ti senti bene e che devi andare a casa.

Ora era il turno di Hazel sorridere con ironia e con rancore.
Ma chi credeva di essere?! Non poteva dirgli cosa fare e cosa non fare!

─ No! ─ rispose con quel ghigno di superiorità sul viso.

Alex si era innervosito e stava quasi per spazientirsi.

Il suo piano era farla pagare alla ragazza per quello che stava per fare nei confronti di Maria, quella povera ragazza e soprattutto perché aveva pensato bene, di scoparsi qualcun altro che non fosse lui.

Tamburellò con le dita sul manubrio e portando di nuovo lo sguardo avanti, allungò un braccio verso il collo della ragazza e semplicemente, cominciò a stringere forte. A quel punto, tutti i tentativi e i buoni propositi di starsene calmi non servirono.

─ Ascoltami bene: sei soltanto una puttanella del cazzo, con un bel faccino questo devo dartene atto, ma delle volte anche quelle come te, che reputo forse un po' più intelligenti delle altre puttane con cui sono stato, dimenticano con chi hanno a che fare perciò, esci da questa cazzo di macchina e vai a dire a quel cazzone del tuo capo, che stai male! Oppure ti pianto una pallottola in mezzo alla testa, proprio qui, cerbiattino! ─ concluse indicando con l'altra mano libera il posto centrale della fronte.

Hazel per tutto il tempo aveva boccheggiato in cerca di uno straccio di respiro e non riuscendoci, aveva artigliato le sue unghie sulla mano dell'uomo che a ogni parolaccia pronunciata, aumentava la sua forza. Aveva gli occhi che strabordavano di rabbia, di una malsana voglia di morte. Sì, era quella la frase giusta: voleva far scorrere del sangue, navigare in esso e sentirsi completo, appagato.

Per un attimo, quando aveva fatto quel suo monologo, aveva avuto seriamente paura di lui. In tutte quelle settimane non si era realmente resa conto di chi aveva davanti. Alex con lei, si era sempre comportata benissimo, come un perfetto gentiluomo, ma ora, ora gli aveva dato un ulteriore pretesto per odiarlo, quando si era mostrato per quello che era realmente.

Ecco il demone uscire da lui; esso ha occhi pazzi, azzurri e mente nera.
È il lato oscuro di Alex, l'altra faccia della medaglia. 
Stai attenta Hazel, lui non perdona!

Vedendo la faccia viola della ragazza, decise di lasciare andare la presa su quel collo candido e delicato.
Quel gesto gli costò una fatica immane.
Quando si spezza la catena che tiene legato il mostro, poi è difficile corrergli dietro cercando di fermarlo.

Finalmente i suoi polmoni ripresero a funzionare.
Ispirava ed espirava.
Poi scese dalla macchina e andò di corsa da John, senza mai girarsi nella direzione del mostro.
Attraversò la sala e sotto gli occhi attenti dei presenti, si dileguò nel bagno.
Vi entrò e come una furia bussò alla prima porta rossa che incontrò sulla sinistra. Non sentendo nessuna risposta, l'aprì e la richiuse a chiave subito dopo.
Si sedette sul water e aspettò il fiume trasbordare dai suoi occhi chiari.
Ma non usciva niente.
Non riusciva più a piangere; il demone si era portato via pure quella facoltà sacro santa.
Un urlò rabbioso uscì dalle sottili labbra screpolate dal freddo e dando un pugno verso il muro, decise che era giunto il momento di andare via da quel posto sicuro.
Cercò John e quando lo trovò, gli spiegò di sentire un forte dolo nella parte addominale e che presto, una volta uscita da lì, sarebbe andata dritta dal dottore.

John fece finta di crederci e acconsentì a lasciarla andare.
Poco prima che quel farabutto di un delinquente uscisse, li aveva visti parlare e aveva visto la ragazza impallidire al suo arrivo.
Non poteva permettere che quello schifoso andasse a macchiare l'animo puro di quella ragazzina, che aveva salvato pochi anni prima dalla miseria e dalla morte.

Si, John sapeva tutto di Hazel, di quello che gli era successo ma aveva tenuto sempre all'oscuro di tutto ciò Hazel, che invece credeva di aver chiuso per sempre con il passato che aveva lasciato nel caldo afoso del Texas.

John aveva fatto una promessa tempo prima: salvare Hazel. Ed in quel momento, doveva essere salvata da l'uomo nero che aveva due diamanti al posto degli occhi.





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