26.
Elijah
si mise a sedere per terra, poggiò le mani sul bordo della vasca dentro la
quale Allison stava seduta, cullata dall’acqua calda e rimase a fissarla per un
lungo istante; era imbronciata, e quel muso lungo la rendeva ancora più bella.
“Posso
vedere che sei arrabbiata, ma non capisco perché” le disse.
Lei
alzò un sopracciglio, poi sospirò. “Perché a volte sembra proprio che tu non
riesca a capire,” gli disse. “Mi tratti come se potessi sopportare qualunque
cosa Elijah.”
“Lo
faccio perché so che sei una donna forte e…”
“Esatto”
lo interruppe lei. “Una donna Elijah. So che non sei un uomo che lascia entrare
facilmente le persone, so che non ti piacciono le smancerie e non piacciono
nemmeno a me ma a volte… a volte vorrei che la smettessi di trattarmi come una
cacciatrice e mi trattassi semplicemente come Allison.”
Lui
piegò poco il capo, allungò la mano e gliela poggiò sulla guancia. “Dimmi cosa
vuoi che faccia e lo farò.”
Allison
fece un grosso respiro, poi si spostò all’interno della vasca fino ad essere
faccia a faccia con lui. Poggiò il mento sulle sue mani e rimase in silenzio, a
fissarlo per alcuni secondi. Era bello il suo Originale elegante, con quel
cipiglio frutto di tutte le responsabilità che aveva deciso di accollarsi nel
corso dei secoli; suo fratello Klaus e la sua scelleratezza, Rebekah e i suoi
sogni umani, Kol e il suo fregarsene di tutto, Finn con la sua cieca
obbedienza…
Si
allungò in avanti e lo baciò tra le sopracciglia, quasi volesse baciare via
quello sguardo accigliato.
Lui
sorrise, rilassandosi all’istante. “Grazie,” le sussurrò prendendole il viso
tra le mani. “Ne avevo bisogno.”
“Lo
so” rispose lei. “A volte ne ho bisogno anche io.”
“Cercherò
di ricordarmelo, promesso. E prometto anche che mi farò perdonare.”
La
donna abbozzò un sorriso, poi con le mani prese ad allentargli la cravatta.
“Vieni nella vasca con me e ti perdonerò ogni cosa.”
Elijah
rise mentre si spogliava pronto a raggiungerla.
Allison
aprì piano gli occhi e fissò il soffitto sopra di sé. Non era sicura di
ricordare bene, mentre le immagini di quel breve sogno le accarezzavano ancora
le palpebre, ma se la sua memoria non la stava ingannando si trovava alla
stazione di polizia di Mystic Falls, città in cui si era recata con Finn ed
Elijah alla ricerca di Freya.
Fece
un grosso respiro e si sollevò piano fino a mettersi seduta su quel piccolo
divanetto sul quale, supponeva fosse stato lui, Matt l’aveva sdraiata dopo
averle iniettato qualcosa. Sì, ora ricordava. Istintivamente alzò la mano e se
la poggiò sul collo, proprio sul punto in cui l’ago che l’aveva fatta
addormentare l’aveva punta.
Deglutendo
a vuoto represse un conato di vomito passandosi entrambe le mani tra i capelli.
Dannato Matt Donovan, sempre a fare l’eroe. Perché era per tenerla al sicuro
che le aveva iniettato un sedativo giusto? Pensandoci non riusciva a darsi
altre spiegazioni. Lentamente si mise in piedi e cercando di mantenersi in
equilibrio raggiunse la porta; girò la maniglia convinta che fosse chiusa e
invece la trovò aperta.
Pensò
che se fosse riuscita a raggiungere l’esterno si sarebbe sentita meglio, un po’
di aria fresca poteva farle solo bene, solo che sentiva un fischio nelle
orecchie e la testa le girava. Non era certa che sarebbe riuscita ad arrivare
fuori.
“Allison,
hey sono qui” la afferrarono piano due braccia la cui stretta le era
incredibilmente familiare.
“Elijah”
mormorò trovando difficile persino parlare. O forse era solo una sua
impressione. “Freya?”
“Sta
bene” lui la aiutò a sedersi su una sedia e le spostò con delicatezza i capelli
dal viso. “Sta bene. Tu stai bene?”
“No”
scosse il capo la donna. “Mi gira… mi gira la testa e ho la bocca secca e un
fastidioso fischio nelle orecchie. Matt… Donovan, lui mi ha iniettato qualcosa
ma non so cosa fosse e non so perché lo abbia fatto.”
Elijah
le baciò la fronte prendendole il viso tra le mani. “Gli ho chiesto io di
tenerti al sicuro, lui ha pensato che sedarti fosse l’unico modo possibile.”
“Perché?
Perché l’hai fatto?”
“Non
sapevo con cosa avessimo a che fare, non volevo correre alcun rischio. Ti
prego, non essere arrabbiata.”
Allison
rimase in silenzio, cercando di mettere insieme tutte le informazioni si
ritrovò a pensare che forse, stavolta, non era davvero il caso di arrabbiarsi.
Odiava che prendessero le decisioni al suo posto ma capiva bene che se fosse
andata con loro, stanca e priva di concentrazione come si sentiva da un po’,
sarebbe stata solo di intralcio. L’unica cosa che contava era che Freya stesse
bene, arrabbiarsi con chi aveva solo voluto proteggerla non era la cosa giusta
da fare.
“Mi
dispiace” sussurrò iniziando a piangere, senza sapere neppure perché lo stesse
facendo. “Davvero” aggiunse alzandosi, sentendo le gambe tremarle un po’ quando
lo fece.
L’Originale
le passò un braccio intorno alla vita, una mano strinse quella piccola di
Allison. “Per cosa ti dispiace?”
“Non
sono stata molto di aiuto. Non lo sono da un po’ oramai. Non avrei dovuto
insistere per venire qui, sono solo un di più privo di ogni utilità.”
“Cosa
stai dicendo?” il vampiro cercò il suo sguardo. “Tu non sei un di più senza
utilità; sei la donna più sveglia e abile che conosca. Non ti ho messa in
panchina perché credevo che non potessi aiutarci, l’ho fatto perché ti amo e l’idea
che ti succeda qualcosa mi… terrorizza” le sorrise. “Andiamo a casa adesso, che
ne dici?”
La
donna annuì ma non riuscì a smettere di piangere. Qualunque droga Matt le
avesse dato aveva decisamente esagerato con la dose. “Ti amo anche io. Ma non
credo che riuscirò ad arrivare all’auto, qualunque cosa Matt mi abbia dato ha
esagerato.”
Elijah
la prese delicatamente in braccio. “Ci penso io” le sussurrò baciandole la
fronte.
****
Allison
aveva fatto una lunga doccia; aveva lasciato che l’acqua calda le accarezzasse
la pelle e lavasse via la stanchezza di quella giornata. A liberarla di
qualunque sedativo le avesse iniettato Matt ci aveva pensato Freya con una
specie di incantesimo che aveva praticato in auto mentre tornavano a New
Orleans. Quando erano arrivati in città si erano recati dritti alla tenuta e lì
era rimasta per un’ora, fino a quando non aveva annunciato che se ne sarebbe
andata a casa e che preferiva farlo da sola e a piedi per prendere una boccata
d’aria.
Elijah
aveva capito e l’aveva lasciata libera, le aveva dato i suoi spazi sicuro che
comunque qualcuno della Strige la tenesse sempre d’occhio. E non su richiesta
di Tristan o su sua richiesta… lo facevano semplicemente perché la rispettavano
ed Elijah non era sorpreso che, nonostante tutto, fosse successo.
Dopo
la doccia aveva preso le chiavi dell’auto e si era diretta nel Bayou. Aveva
fermato l’auto proprio davanti alla casa di Jackson e aveva fatto un grosso
respiro prima di scendere dall’abitacolo. Si era chiesta, prima di farlo, cosa
stesse facendo, perché era proprio lì che era andata, perché semplicemente non
aveva chiesto al suo fidanzato di stringerla per toglierle di dosso quella
strana sensazione che sentiva da un po’.
Non
era riuscita a darsi una risposta ma in fondo poco importava. Diede una rapida
occhiata al suo anello e si avvicinò alla porta. Allungò la mano e bussò due
volte, poi attese.
Jackson
le aprì dopo qualche secondo e per uno strano motivo che Allison ricondusse ai
Winchester la vista della sua camicia di flanella le infuse calma.
“Allison”
mormorò lui con espressione perplessa. “Che ci fai qui a quest’ora?”
Lei
si guardò intorno per un istante. Cosa ci faceva lì a mezzanotte passata? Non
ne aveva idea o forse sì ma le faceva paura ammetterlo. “Io non…” farfugliò. “Non
lo so. Avevo bisogno di parlare con qualcuno e sei la prima persona che mi è
venuta in mente.”
Il
lupo piegò poco il capo. “Stai bene? Hai l’aria di una che non si fa una bella
dormita da un po’.”
Allison
abbozzò un sorriso. “Ho avuto momenti migliori in effetti. Posso entrare?”
“Sì
certo, scusa” Jackson si fece di lato per farla passare. “Non ricevo spesso
visite quindi non sono abituato a… beh hai...”
“Mi
dispiace” lo interruppe lei. “Mi dispiace Jackson.”
“Per
cosa ti dispiace?”
“Per
come sono andate le cose tra te ed Hayley, non avevo ancora avuto modo di
dirtelo” la donna arricciò poco la bocca. “Io non… non so cosa dire.”
Jackson
tirò fuori due bicchieri e una bottiglia di tequila. “Parlare è un’azione
sopravvalutata” le disse. “L’ho sempre pensato” le passò un bicchierino pieno e
se ne versò uno per sé.
Allison
lo strinse tra le dita per qualche secondo, poi scoppiò a piangere. Jackson la
strinse in un abbraccio.
****
“Allison”
Elijah la chiamò a gran voce entrando in casa ma non ricevette alcuna risposta.
L’orologio segnava le due del mattino e lui non aveva idea di dove fosse la sua
fidanzata. Tirò fuori dalla tasca il suo cellulare e rimase per qualche secondo
con gli occhi fissi sulla foto di lui ed Allison che faceva da sfondo; l’aveva
impostata proprio lei qualche tempo prima.
Con
un sorriso compose il numero e avviò la telefonata. Tre squilli dopo partì la
segreteria e la sua voce roca gli risuonò nelle orecchie; così diversa da
quella fragile e triste che aveva sentito alcune ore prima a Mystic Falls.
Riattaccò e provò di nuovo, la quarta volta decise di lasciare un messaggio.
“Allison,
sono le due del mattino… dove sei? Ti prego, richiamami appena senti il
messaggio.” Poggiò il telefono sull’isola della cucina e dopo essersi tolto il
cappotto e la giacca si versò un bicchiere di vino e si mise a sedere su uno
sgabello, gli occhi puntati su quel maledetto cellulare che però sembrava non
volerne sapere di squillare.
Attese
fino alle quattro del mattino, poi dopo un’altra vana prova sul numero di
Allison decise di telefonare a Freya per chiederle di fare un incantesimo di
localizzazione.