Per prendere altre vie bisogna prima lasciare la strada maestra

di Kuruccha
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L'odore delle proprie puzzette non è mai troppo sgradevole

[Okita, Kagura, Sadaharu]

 

«E così ci incontriamo di nuovo alla stessa maniera» dice, ma lo sguardo di Kagura rimane fisso sull’orizzonte dei grattacieli in rovina. La pioggia cade in gocce fitte, increspando la superficie immobile dell’acqua nel canale di scolo.
La vede irrigidirsi; dalla sagoma della sua mandibola capisce che sta stringendo i denti. «Non ti avevo riconosciuto» gli risponde, e non sa bene se sia arrabbiata con lui o piuttosto con se stessa. La presa delle sue dita sul parapetto del ponte non accenna a farsi meno salda. 
Da sotto il cappello, oltre il bordo di paglia e stoffa, Sougo osserva l’enorme sagoma grigia ferma al riparo di una delle catapecchie. «Il cagnaccio sì, però, dato che mi ha lasciato avvicinare.»
«Probabilmente la tua è una puzza che non si dimentica.»
«Beh, nemmeno la sua, dato che la sento da qui.»
«Sadaharu profuma come un campo di violette a primavera.»
«Certo. Un campo di violette concimato di fresco.»
Il cane solleva le orecchie, poi uggiola, come a voler chiamare la sua padrona; è teso in avanti, pronto a scattare nell’attimo in cui ce ne fosse il bisogno.
È quando distoglie lo sguardo dalla bestia che i suoi occhi incrociano di sfuggita quelli di Kagura; il loro incontro dura meno di un momento, ma tanto gli basta per sentir nascere di nuovo l’impulso a canzonarla.
«I tuoi capelli» lo anticipa però lei, la mano stretta sul manico dell’ombrello.
Sougo scrolla le spalle. «Si sono allungati.»
«No» gli risponde, guardandolo finalmente in viso. «Non sono bianchi.»
Quello che le si dipinge brevemente addosso è un sorriso appena accennato, ma che non può fare a meno di contagiarlo; le sorride di rimando, chiedendosi se l’abbia mai fatto prima d’allora – in un passato lontano, lì su quel ponte, o al parco, o in qualsiasi altro luogo della Edo ancora pacifica.
«Sei qui per farti prendere a pugni?» gli domanda lei. Sadaharu, forse avvertendo la nota minacciosa nella sua voce, è subito accanto a lei.
«No. Non stasera, almeno» risponde, sistemandosi meglio il cappello sulla testa. La pioggia scorre in un grosso rivolo, bagnandogli la stoffa delle maniche. «Ho di meglio da fare che restare qui a picchiarti.»
«Quando vuoi, allora» gli dice, voltandogli le spalle. «Te le darò di santa ragione.» 
La guarda andar via, i suoi capelli arancioni che ondeggiano sotto la cupola dell’ombrello. Sadaharu la accompagna, ma è l’unico a voltarsi indietro; osserva Sougo da sopra la spalla, abbaia due volte e comincia a scodinzolare.
«Non ci contare» risponde, alzando appena la voce per farsi sentire.

 


(Nelle intenzioni iniziali era il seguito quasi diretto della precedente. A posteriori, a parer mio si può leggere anche indipendentemente.)
Originariamente postata qui. Ho apportato alcune piccole variazioni, ora mi convince di più :)




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