Ieri,
17 febbraio, era
la giornata dedicata ai gatti.
E
la mia mente balzana
ha creato questa storia.
Dovrei
evitare di fare
queste cose ma, ormai, è troppo tardi.
Doveva
dormire.
Era tardi,
era stanco, sudato
e dolorante. Si era allenato come un matto per tutta la giornata e
l'unica cosa che gli martellava il cervello,
in quel momento, a parte la faccia scema di Kakaroth, era dormire.
La giornata
era stata
faticosa, come al solito. Un allenamento sfinente, un calore
bruciante che gli aveva prosciugato i nervi sottopelle e un'afa da
succhiare l'ossigeno direttamente dai polmoni, l'avevano accompagnato
tutta la giornata, fastidiosi e persistenti quanto una zanzara.
L'unica,
ora, era dormire: farsi una doccia, accomodarsi per bene fra le lenzuola fresche e
dormire.
In camera
non c'erano problemi
di afa. La moglie ipertecnologica aveva dotato la loro stanza
matrimoniale del miglior impianto di condizionamento del pianeta,
tanto da far provare invidia ai pinguini, e il microclima che si
creava nella stanza era una meraviglia. Abbandonò
così cucina e
salotto e salì le scale per il piano di sopra.
Nel lungo
corridoio che
conduceva alle stanze da letto, Vegeta diede una rapida occhiata alla
porta del figlio, lasciata come sempre socchiusa per far trapelare
quel singolo filo di luce dei neon del corridoio, che si infilava
nella stanzetta di Trunks come uno sciame di lucciole.
Coperto a
malapena dal
lenzuolo che ricadeva sullo scendiletto, Trunks dormiva della grossa
nel suo letto con le lenzuola dei Transformers. A pancia in
giù,
accomodato per bene, venne osservato per qualche istante dall'occhio
vigile del padre. Anche i mostriciattoli dormono,
pensò il
principe al leggero russare del bimbo. Ma certo, dopo aver
passato l'intera giornata a combinar guai con il figlio di Kakaroth,
il mostriciattolo deve riprendere le forze per torturarmi nuovamente
domani.
Vegeta
scosse la testa,
sbuffando e lasciando il piccolo ai propri sogni, e si avviò
verso
la stanza che condivideva con la moglie in fondo al corridoio. Bulma
diceva sempre che esagerava a definire mostriciattolo
il
figlio. Infatti, demone gli calza di più,
pensò, sornione.
Se ci fosse stata lì la moglie probabilmente gli avrebbe
rifilato
una bella gomitata in pancia, per poi venire irrimediabilmente presa
dalle sue braccia nerborute, buttata sul letto, e ricoperta di baci
fino al giorno dopo per aver osato sfidare il Principe dei Saiyan.
Ma quella notte avrebbe dovuto dormire da solo, la moglie era rimasta
fuori città per una conferenza internazionale e, anche se
avrebbe
preferito passare la notte in dolce compagnia, dovette accontentarsi
di una fresca doccia e del ronzio del condizionatore a fargli da
sottofondo.
Dopo una
doccia che parve una
manna dal cielo per le sue povere spalle incriccate, si
spaparanzò
sul letto, andando ad occupare la parte di materasso che spettava
ordinariamente alla moglie ed inspirò a pieni polmoni
l’effluvio
di cui era sparso il suo morbido cuscino. Così, coccolato
dal
profumo della compagna, dalla freschezza soffiata dal condizionatore
e dallo stridio delle cicale in giardino, chiuse gli occhi e,
finalmente, si rilassò.
Il rumore
fastidioso di una
porta che si socchiudeva lo strappò improvvisamente al
sonno. Dei
passi felpati, leggeri come piume, costellarono la stanza, lasciarono
a terra qualche vestito, vi passarono sopra incuranti ed andarono a
posarsi sul morbido materasso, curvandolo sotto il loro peso. Una
figura morbida, un respiro flebile, due occhi brillanti che lo
osservarono.
Vegeta si
tirò su sui gomiti,
postandosi svogliatamente sul letto e osservò il nuovo
arrivato che
ricambiò lo sguardo curioso, quasi sorridente.
<<
Che cazzo ci fai tu
qui. >>
Il micio
nero, da dietro i
suoi baffi felini, sembrò indeciso all’inizio
sulla risposta. Lo
fissò immobile, come sempre, finché optò per un
pragmatico miagolio.
Vegeta sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
<<
Senti, sparisci! Io
voglio dormire! >> ringhiò di rimando, oltraggiato
per essere stato disturbato proprio quando stava per addormentarsi.
Il micio, allora, gli rispose con un altro miagolio che gli fece
salire la bile su dall’esofago. Si passò una mano
sul volto,
brontolando. Quante volte aveva detto a Bulma che quel gatto doveva
sparire dalla sua vista? Almeno un centinaio, rammentò, e
ogni volta
le sue lamentele si disperdevano come parole al vento. Lui voleva
dormire e quel dannato animale era lì!
Il micetto
nero, il cui nome
non gli interessava proprio,
più che
non rammentarlo, da qualche tempo, aveva preso la fastidiosa
abitudine di seguirlo ovunque andasse, come se fosse la sua seconda
ombra. Silenzioso, attento e scaltrito, sembrava sapesse dove posare
ogni singola zampa e anticipare il movimento del più piccolo
granello di polvere nella stanza. Aveva visto con quale
agilità si
sapeva arrampicare sulle tende della suocera, per la
felicità della
giovane nonnina ma, d’altro canto, aveva anche visto la
ruffianeria
di cui era capace quando voleva una scatola di croccantini in
più.
Non gli piaceva la bestia, era furba, callida. Una volta Bulma,
scherzando, aveva detto che il suo animale simbolo doveva essere il
gatto. E il fatto che si assomigliassero, anche troppo, non gli
piaceva. Non gli piaceva affatto.
<<
Allora bestia, non
ci siamo capiti >> disse, afferrando il micio dal copino
e
sollevandolo rabbiosamente per portarselo davanti agli occhi, naso
contro naso. << Tu devi andar- >> ma venne
interrotto da una
leccatina sul naso, che lo fece rabbrividire. Il micio, per sua
grande sorpresa e orrore, infatti, aveva iniziato a strofinare il
musetto sul suo viso a dir poco alterato, alternando le coccole ai
bacini, deliziosamente accompagnati dalle fusa. Il micino, poi, lo
guardò curioso e completamente ignaro del pericolo che in
quel
momento stava correndo.
Vegeta,
rimasto immobile a
fissare nauseabondo il piccino, ricorse a tutto il suo autocontrollo
per non strappare al micio la colonna vertebrale e spiattellarlo
direttamente sul muro. Chiuse gli occhi, contando fino a dieci, e,
quando li riaprì,,
si disse che non ne
valeva la pena di sporcarsi le mani di pelo e sangue a
quell’ora
della notte e appoggiò a terra il gatto, che si
appallottolò ai
piedi del letto.
Tirò
un sospiro di sollievo,
cercando il suo chakra interiore e, nonostante il ticchettio
all’occhio destro, rilassò i muscoli e chiuse
nuovamente gli
occhi, riaccomodandosi tra le lenzuola. Nel buio della stanza, Vegeta
si convinse finalmente a rilassarsi, dopo essersi massaggiato il
ticchettio all’occhio. Non c’è
bisogno di uccidere nessuno,
pensò fra sé e sé. Il micio
è fermo, ai piedi del letto, non
dà
fastidio a nessuno e io posso chiudere gli occhi in pace e dormire.
È
tutto perfetto. Tutto in ordine. Sospirò
un’altra volta per
rilassarsi. Bene, ora posso dormire. Non
c’è bisogno di
uccidere nessuno. Calma. Non c’è bisogno di-
<<
… merda. >>
Il chakra
si incrinò un
secondo quando il micio aveva saltato sul letto, per poi accomodarsi meglio
sulle gambe del Saiyan. Quella brutta bestiaccia aveva osato mettere
le sue luride zampine sulle sue gambe! Anni di duro allenamento
deturpati da un felino che osava poggiare il fondoschiena lurido e
peloso sulle sue gambe e- va bene, si disse Vegeta,
sto un
po’ esagerando. Con una pazienza che non pensava
di avere,
riafferrò, quindi, il micino e lo appoggiò,
stavolta con una
leggera stizza a terra, sullo
scendiletto, così che fosse pure comodo e dormisse bene e non gli rompesse le scatole nuovamente. Tornò a sdraiarsi
nel letto.
<<
Fa già
maledettamente caldo, non mi serve uno scaldino! >>
brontolò
tra sé e sé, una volta sicuro che il gatto stesse
fermo al suo
posto. Sbuffando, si sistemò meglio sul lenzuolo,
incrociò le
braccia e fissò rabbioso il soffitto per qualche secondo.
Bulma gli
aveva insegnato il segreto della calma e nel tempo gli era servito
innumerevoli volte contare fino a dieci. Questo l’aveva
salvato
dalla voglia di sparare suo figlio su Marte, quando, da bimbo, gli
aveva riempito gli stivali di vermi, o dallo spaccare a suon di pugni
la faccia di Kakaroth, quando più volte aveva abusato della
sua
pazienza per i motivi più futili. Come quella volta che si
presentato in camera sua all’una di notte, mentre lui e Bulma
erano
impegnati in qualcosa di serio, chiedendogli se avesse visto in giro
il suo stivale perché l’aveva perso.
Sospirò, massaggiandosi le
meningi e invocando una briciola di sonno.
<<
Che gran figlio di-
>>
<<
Meeooow >>
Alzò
nuovamente gli occhi al
cielo e si girò a pancia in giù e, abbandonati
nuovamente i buoni
propositi di tornare nel mondo dei sogni, si rivolse al micino che
stava ansioso ad aspettarlo accanto al letto, mentre impastava con le zampine pelose la sciarpetta in seta che la moglie aveva
abbandonato al vento la sera prima, nella fretta di prepararsi e
farsi bella. Il micino ci si stava facendo le unghie, sfilacciando i
preziosi fili e stropicciando, in materia insensibile.
Wow,
spero Bulma non dia la colpa a me, sperò, alzando
un
sopracciglio.
<<
Senti, coso…
>> il micio sembrò per un istante prestargli
attenzione,
puntandogli gli occhietti vispi addosso. Vegeta proseguì con
uno
sbadiglio << Io ho passato l’intera giornata ad
allenarmi, ho
sonno e pretendo di dormire! Tu quindi te ne vai fuo- >>
ma il
micio già non lo ascoltava più e, in vena di
attenzioni, aveva
iniziato a strofinare il muso sul dito puntato con cui lo aveva
apostrofato il principe e, incurante delle sue parole minacciose,
continuava a far fusa, al limite della ruffianeria.
Consapevole
che in un un
diverbio con un gatto sarebbe risultato certamente perdente, Vegeta
optò per le
maniere forti. Così, in pochi secondi, il gatto si
ritrovò sbattuto
fuori dalla stanza fresca in cui era entrato per bearsi della
compagnia del padrone e del condizionatore.
Vegeta
tornò finalmente a
letto, a passi pesanti, e si buttò di pancia sul materasso,
andandosi ad accoccolare accanto al cuscino di Bulma.
Sospirò
estasiato al silenzio che finalmente era tornato nella camera e
chiuse gli occhi, con un sorriso soddisfatto in volto. <<
Alleluia... >> ringraziò gli dei e si
abbandonò
all’incoscienza.
Fuori la
stanza, invece, il
povero micio fissava la porta che lo separava dal fresco della camera
da letto. Mosse la coda, infastidito e triste per la sua uscita -
poco teatrale -
di scena.
Non
passarono che pochi minuti
di quiete che il gatto si mise a graffiare la porta e a miagolare
all’impazzata per richiamare l’attenzione del
padrone. Vegeta si
destò improvvisamente e grugnì di disappunto.
Avrebbe dovuto
impagliarlo quel gatto. Afferrò il primo cuscino che gli
capitò
sottomano e se lo ficcò in faccia, sperando di morire
soffocato
piuttosto di sentire ancora le lagnanze del micio. Neanche il ronzio,
seppur benaccetto, del refrigeratore riusciva a coprire quella lagna
melensa fuori dalla porta. Così, inquieto e furibondo per
essere
stato nuovamente svegliato, corse ad aprire la porta, per ritrovarsi
faccia a faccia con il gattino che, stavolta, lo fissò
spaurito. Il
ticchettio all’occhio riprese a pulsare e nel chakra
beneamato si
formò qualche crepa. Nel buio della notte, il micetto
riuscì solo a
vedere il sorriso malvagio del padrone aprirsi tremendamente per
iniziare a suonargli
una bella
sviolinata, quando, all’ultimo, riuscì
sgusciare dentro
la stanza, abbandonando il principe sull’uscio a fissare il
vuoto.
Interdetto, Vegeta riuscì solo a vedere la sagoma elegante
del
gattino saltare sul letto, accomodarsi meglio sul cuscino, il suo
cuscino, e iniziare a dormire indisturbato.
Ormai il
suo occhio era andato
e anche il pomello della porta risentì della sua
insoddisfazione tanto che gli si sbriciolò facilmente in mano. Si
avviò
furibondo verso il letto. Squadrò il micino,
che nel frattempo si era messo a pancia in su, facendo le fusa,
contento, e digrignò con forza i denti, facendoli
scrocchiare tra
loro.
Questo era
il colmo. A
quest’ora il micio sarebbe già dovuto essere
scaraventato in
giardino a velocità supersonica e lui sarebbe dovuto essere
a letto
a dormire tranquillo. E
Invece no.
Sospirò, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi,
e si passò una mano sugli occhi. Le
cose che non faceva
per quella famiglia. Perché aveva visto il modo in
cui Trunks
accarezzava il micio quando questo beveva il suo latte. Era una
carezza gentile, delicata, come se stesse sfiorando una foglia caduca
o la guancia di un neonato. E aveva visto il modo in cui Bulma o il
dottor Brief si portavano in braccio il micio mentre gironzolavano
per i laboratori. Appollaiato sulla spalla, a far le fusa e a
dormicchiare in
pace, sembrava proprio un animaletto indispensabile per la
sua
famiglia. Risalì nuovamente a letto e, sperò
davvero fosse l’ultima
volta, si rimise sdraiato sulle lenzuola, questa volta con il micetto
acciambellato vicino alla spalla. Le vibrisse che
vibravano leggermente ad ogni respiro e la coda distesa lungo il
fianco. Certo, indispensabile un cazzo,
pensò incavolato se
fosse stato per lui se lo sarebbe mangiato in un panino. Chiuse
finalmente gli occhi.
Durante la
notte la coda del
gatto gli finì in bocca innumerevoli volte e questo
portò alla
rottura definitiva del suo chakra e a farlo urlare in grida isteriche
un paio di volte, facendo sobbalzare il piccolo Trunks
dall’altra
parte del corridoio, ma, alla fine, il sonno gli tornò
favorevole e gradito.
Dall’altra
parte
dell’universo, invece, qualcuno non dormiva affatto e
osservava
oltraggiato, attraverso lo scettro di Whis, quello che era avvenuto
in quelle poche ore in casa Brief. Il Signore della Distruzione
spalancò la bocca sconcertato al terribile voltafaccia che
il
principe del Saiyan aveva osato infliggergli e arricciò il
naso, in
un moto di invidia.
<<
Whis! Vieni subito
qui! >> urlò al suo secondo, richiamandolo
senza mezzi termini
ai suoi servigi.
Il maestro
comparve immediato e
impeccabile, come sempre, nella sua tunica raffinata. <<
Sì,
Lord Beerus, mi avete chiamato? >>
Beerus lo
squadrò con occhio
furente e gli indicò l’immagine che compariva
nello scettro: <<
Hai visto cosa ha fatto? >> esclamò isterico.
Whis si
avvicinò al suo
pupillo con la solita grazia ed eleganza e, come gli aveva indicato
il giovane dio, osservò con volto imperscrutabile
all’interno
della sua ampolla. Si portò una mano alla bocca e rise
caldamente,
sotto lo sguardo furente di Beerus: << Vegeta sta
dormendo, non
vedo cosa ci sia di male >> sorrise bonariamente il
maestro.
Lord Beerus
si mostrò,
invece, molto più alterato. << Lo vedo anche
io che sta
dormendo! >> sbottò << ma che
cosa diamine è quello? >>
Whis si
avvicinò nuovamente
al suo scettro per vedere che cosa stesse indicando di tanto
sconcertante il suo allievo. Alzò un sopracciglio, dubbioso.
<<
Sarà uno degli animali che vivono presso la casa della
signora
Bulma… >>
Il dio non
pareva soddisfatto
della sua risposta ma, notò il maestro, strinse ancora di
più i
pugni. << Portami subito da Vegeta, te lo ordino.
>>
Poteva esserci solo un gatto per Vegeta e quel gatto era lui,
non
quell’altro. Lui e nessun altro.
In pochi
secondi, scomparvero
entrambi nell’etere.
Bulma
rientrò a casa il
mattino seguente di buon’ora, grazie all’arrivo
prodigato di un
taxi che ebbe la fortuna di riaccompagnarla a casa e di guadagnarsi
la giornata con quella
sola
corsa.
Salì
le scale che portavano
al secondo piano,
facendo il minimo
rumore possibile, e si
avviò sorridente
verso la sua stanza, sperando di trovare suo marito ancora
addormentato e bendisposto, magari più tardi, a qualche
dolce
coccola tra le loro lenzuola fresche e profumate d’amore.
Appena
aprì la porta, trovò,
invece, per sua grande meraviglia, il marito già sveglio ma
completamente terrorizzato: infatti, per qualche assurdo motivo, ai
piedi del marito sonnecchiava Beerus, il dio della Distruzione che
aveva preso come cuscino le gambe del marito, bloccandolo
completamente in ogni movimento, e che ronfava comodo e rilassato
sulle lenzuola morbide come se fosse un comune gatto. Vegeta, invece,
pareva non aver chiuso occhio e la fissava con due occhi iniettati di
sangue e due occhiaie spaventose, mentre Scrat, il suo micio nero gli
giaceva in grembo come se nulla fosse.
<<
Aiutami… >>
gli sentì sussurrare al colmo del parossismo e le parve di
vederlo
lottare contro alcune lacrime di disperazione che sembravano scorgere
ai lati degli occhi.
Sconcertata,
gli sorrise
timidamente e socchiuse la porta. Era meglio chiamare Whis,
perché
venisse al più presto a riprendersi Lord Beerus.
Angolo
dell’autrice
Adoro
far disperare
Vegeta.
Seriamente.
LOL.
Questa
storiellina scema
è dedicata a Felinala. Perché sì.
Fatemi
sapere che ne
pensate!
A
presto.
|