E
poi scuse, e accuse e scuse, senza ritorno
Strofa
There
once was a time I was sure of the bond
When
my hands and my tongue and my thoughts were enough
Prima di
tornare in albergo, Han s’infilò in un
bar.
Era
una bettola sorprendentemente pulita ed ordinata, e molto poco
affollata – solo tre alieni in un angolo, ed una ragazza che
passava uno straccio bagnato sul bancone. Aveva un’aria
assorta, i capelli biondi tenuti indietro da una forcina, e due occhi
scuri.
Quando
Han le chiese il drink più alcolico che aveva, lo
perforò con lo sguardo ma non commentò. Si
limitò a scrollare le spalle, e a voltarsi per prendere una
bottiglia.
Han
la osservò riempirgli il bicchiere di un liquido dorato.
«Sicura che sia il più alcolico che hai?»
«Sono
sicura che non lo è»
ribatté lei, riavvitando il tappo. «Ma il
più alcolico che ho non è adatto agli umani. Ti
squaglierebbe lo stomaco».
«Uh».
Han prese il bicchiere. «Sai cosa?
Mi accontenterò».
La
ragazza sorrise cortesemente. Era il genere di sorriso che avrebbe
potuto fare una figlia davanti alla battuta imbarazzante di suo padre.
In effetti, era probabile che Han fosse coetaneo dei suoi genitori. Di
certo lei non sembrava molto più vecchia di…
L’uomo
tagliò di netto quella linea di pensieri, e
si diresse ad un tavolino prima che gli sfuggisse una domanda stupida
come sei in contatto con la tua famiglia? o i
tuoi genitori lo sanno
dove ti trovi?
Si
sedette nel posto più lontano dagli altri avventori, e si
chiese vagamente quanto doveva sembrare patetico ai loro occhi. Era un
uomo dai capelli ingrigiti e il viso segnato, che entrava in un bar a
metà del pomeriggio, completamente solo.
Alzò
il bicchiere e sorseggiò il proprio drink.
La sua prima reazione fu di tossire e battersi la mano libera contro il
petto.
D’accordo.
Alcolico lo era di certo, ma il secondo sorso
andò un pochino meglio. Era arrivato al terzo, quando
qualcuno si sedette accanto a lui.
«Ehi».
Han
alzò lo sguardo sul nuovo arrivato, un uomo dalla pelle
bruna e i capelli che cominciavano ad ingrigire.
«Kes» lo salutò, quasi in un borbottio.
«Come sapevi che ero qui?»
«Quando
mi hai lasciato con Chewbacca ad occuparmi della
nave, hai detto che andavi a bere qualcosa. Questo è
l’unico bar nei dintorni».
Han
si accigliò. Avrebbe decisamente potuto arrivarci da
solo. «E Chewie dov’è?»
«A
finire di occuparsi della nave» rispose Kes
Dameron, pazientemente. «Se la stava cavando meglio senza di
me. Sai che non me ne intendo».
«Giusto»
disse Han. «Vero».
Per
un lungo istante, l’altro uomo lo osservò in
silenzio. «Senti, Han» esordì infine,
«mi dispiace molto che questa pista non abbia portato a
niente».
«Non
importa» disse Han, distogliendo lo sguardo.
Gli
pizzicavano gli occhi, e sospettava non fosse soltanto colpa
dell’alcol.
Kes
gli posò una mano sulla spalla in una tacita offerta di
conforto. «Non smetteremo di cercarlo».
No.
Certo che no.
Han
cercò di non pensare al fatto che erano trascorsi due
anni interi, ormai. Lui si era rimesso in contatto con persone che
aveva conosciuto quando ancora contrabbandava, Leia aveva chiesto
l’aiuto di ex membri dell’Alleanza Ribelle. Ogni
tanto qualcuno trovava un indizio, una pista, ma si rivelavano sempre
dei vicoli ciechi.
A
volte, di sera, Han guardava le olo-notizie. Parlavano ancora di Ben
– l’opinione ufficiale era che fosse stato
rapito, ma era evidente che a questo punto molta gente lo dava per
morto.
Trasmettevano
anche un ologramma, e per Han era un pugno nello stomaco
ogni volta. Ben aveva quattordici, quindici anni al massimo. Non
sorrideva, forse perché i capelli non gli coprivano del
tutto le orecchie a sventola, ed era impossibile non notare la traccia
di pinguedine infantile che ancora gli ammorbidiva il viso.
Inutile
dirlo, la sua caduta al Lato Oscuro non era di dominio pubblico.
Lo
sapeva Han e lo sapeva Leia, ma non era importante – o
almeno, loro cercavano di non pensarci troppo. Han, onestamente, non
era neanche sicuro di crederci del tutto. Era molto più
verosimile che si fossero sbagliati, che loro figlio non avesse
partecipato attivamente all’attacco contro Luke e i suoi
apprendisti, che adesso fosse tenuto in ostaggio contro la sua
volontà.
Soltanto
una cosa era certa: quel che importava era riportarlo a casa.
Allora le cose si sarebbero sistemate, in un modo o
nell’altro. Prima, però, dovevano trovarlo.
Strappandosi
a fatica da quei pensieri, Han si rivolse a Kes.
«Tu cosa mi dici? Non ti ho chiesto come va. Come sta
Poe?»
A
quella domanda, l’espressione preoccupata
dell’altro uomo si rilassò in un accenno di
sorriso. «Sta bene» rispose lui.
«È sempre impegnato con le simulazioni di volo,
ultimamente, per cui non lo sento spesso… ma credo sia
soddisfatto».
«Immagino»
disse Han, sforzandosi di contribuire
alla conversazione. «Ho sentito delle voci
sull’addestramento per la flotta della Nuova Repubblica.
Sembra parecchio faticoso».
«Già»
annuì Kes, e
sospirò. «Qualche volta mi preoccupo,
perché so che non ha mai perso il vizio di volare sino allo
sfinimento. Ma cerco di fidarmi di lui, di dirmi che conosce i propri
limiti».
Han
passò le dita sul bordo del proprio bicchiere.
«Mi è sempre sembrato un ragazzo
ragionevole».
«Questo
sì, ma è anche testardo. Se lo
incitassi a fare le cose con più calma, non so se mi darebbe
retta. In fondo è quello che ha sempre sognato di
fare… E sa che Shara sarebbe fiera di lui».
Han
alzò la testa. La moglie di Kes, Shara Bey, era stata
una pilota per la Ribellione, ed era morta circa sei anni dopo la
battaglia di Endor.
«Questo»
mormorò Kes, quasi parlando a
se stesso, «conta molto per Poe».
Sul
momento, Han faticò ad identificare la morsa improvvisa
che gli aveva chiuso lo stomaco, poi capì: era dovuta al
modo in cui Kes parlava di suo figlio. Con orgoglio, una quieta
felicità… E soprattutto la certezza di conoscerlo.
Han
non era più sicuro che lui e Leia conoscessero Ben.
Quando lui pensava a loro figlio, pensava ad un bambino con la testa
tra le nuvole, i cui capricci peggiori facevano tremare gli scaffali e
cadere gli oggetti. Pensava ad un bambino che parlava lo Shyriiwook con
la stessa naturalezza con cui respirava, e a cui piaceva la neve. Cose
del genere.
Ma
se lui o sua moglie avessero dovuto parlare del ragazzo che loro
figlio era diventato, Han aveva paura che non sarebbero riusciti a dire
molto.
Quando
Leia aveva sentito il bisogno che Ben imparasse a controllare la
Forza, ed era successo fin troppo presto, lo avevano mandato da Luke. E
sì, gli avevano fatto visita, e si erano messi in contatto
con lui ogni volta che potevano, ma… Ben ce
l’aveva con loro, e Han non sapeva quand’era stata
l’ultima volta che avevano parlato come si deve. Ricordava un
adolescente evasivo, risentito, che solitamente si limitava a mugugnare
dei monosillabi.
Gli
piaceva ancora disegnare? Gli era passato il terrore dei temporali?
Aveva degli amici? Cos’avrebbe voluto fare da grande?
Han
strinse il bicchiere sino a farsi sbiancare le nocche,
perché non conosceva la risposta a nessuna di quelle domande.
Ripensò
al malumore quasi costante di Ben, ai suoi lunghi
silenzi. Si era detto che era una fase, che era tutto dovuto
all’adolescenza. Adesso poteva solo pensare che suo figlio
era completamente, dannatamente infelice – un angolo della
sua mente rammentò che il primo impulso di Ben, quando
ferito, era sempre stato ferire di rimando. Si sentiva un idiota per
non averlo capito prima.
“No,
non è vero” si disse, “lo
sapevo. È questo il peggio, lo sapevo anche
allora”.
Rigirandosi
il bicchiere tra le mani, ricordò
l’ultima volta che aveva visto Ben. Era stato tramite
un’olo-chiamata, e suo figlio aveva l’aria esausta
e gli occhi arrossati, come se non dormisse da giorni, o come se avesse
pianto di recente.
Per
un istante – un breve, singolo istante – Han
aveva pensato di chiedergli: Ben, ma tu vuoi tornare a casa?
Se
il ragazzo avesse risposto di sì, al diavolo Leia e Luke
e persino la Forza. Han sarebbe immediatamente salito sul Millennium
Falcon e sarebbe andato a riprendersi suo figlio.
Alla
fine, però, non gli aveva chiesto niente. Si era
limitato a fare qualche stupida battuta nella speranza di risollevargli
il morale, ed aveva… Aveva perso la sua occasione.
Dopo
quella chiamata, era diventato più difficile mettersi
in contatto, perché sembrava che la linea fosse sempre
disturbata… E poi era precipitato tutto. Il lavoro di Luke
era andato distrutto, e Ben era scomparso.
Era
un ragazzo, pensava Han disperato, era solo un ragazzo.
Com’era possibile che fosse andato tutto così
storto?
Con
un sussulto, tornò al presente, rendendosi conto di
essere rimasto in silenzio molto a lungo. Si schiarì la
gola, senza guardare Kes.
«D’accordo,
allora… Salutami
Poe» si sentì dire, fissando il proprio bicchiere.
Da
una parte avrebbe voluto svuotarlo in un colpo solo.
Dall’altra non aveva più alcuna voglia di bere.
Probabilmente,
Kes annuì. «Lo
farò» promise. «Tu tienimi informato.
Contattami, se posso essere ancora d’aiuto». Mosse
la sedia, ma non si alzò. «Ah, di’ a
Leia che poi gliene parlerò di persona, ma non credo che
entrerò a far parte della Resistenza».
Han
aggrottò la fronte. “Della cosa?”
Quando
alzò lo sguardo, Kes stiracchiò le labbra
in un sorriso di scuse ed aggiunse: «Ho già dato
con la Ribellione, penso».
«Certo»
si affrettò a dire Han,
«sicuro, lo capisco». Fece una pausa.
«Che cosa ti ha detto Leia, esattamente?»
Non
era passato molto tempo, da quando erano arrivati su quel pianeta.
Per
essere precisi, vi si erano recati quando avevano iniziato a
circolare delle voci sul fatto che un ragazzo
dell’età di Ben, un ragazzo che corrispondeva
anche alla sua descrizione, era stato visto nei dintorni.
Avevano
chiesto l’aiuto di Kes perché sapevano che
era già stato sul pianeta e che lo conosceva bene,
così come conosceva alcuni dei suoi abitanti.
Non
avevano una sistemazione particolarmente lussuosa: era la stanza di
un albergo, pulita ed ordinata ma molto semplice.
Un
letto matrimoniale, uno specchio a muro, una sedia ed una
cassapanca; più o meno era tutto qui.
Kes
aveva preso un’altra camera, mentre Chewbacca preferiva
dormire sull’astronave.
Han
percorse la stanza a grandi passi, entrando un paio di volte anche
nel bagno, poi si accomodò bruscamente sulla sedia.
Si
sfilò la giacca scura e la drappeggiò sullo
schienale, quindi prese a tamburellarsi le dita sulle gambe.
Leia
sarebbe dovuta rientrare a momenti. Mentre nei giorni precedenti
aveva partecipato alle ricerche, oggi era andata ad incontrare
un’assistente che doveva riferirle cosa stava succedendo in
Senato in sua assenza.
Era
molto preoccupata a causa dei resti dell’Impero; temeva
potessero trasformarsi in una nuova minaccia.
“Sembra
più preoccupata per la Nuova Repubblica
che per suo figlio”.
Han
cercò di soffocare quel pensiero, ma alla luce di quanto
aveva appena scoperto… Non gli sembrava poi così
ingiustificato.
Quando
la porta si aprì con un sibilo, lui ebbe un piccolo
sussulto. Leia entrò nella stanza, e gli scoccò
una breve occhiata – molto breve, come se guardandolo troppo
a lungo avrebbe potuto farsi male.
Era
vestita in modo semplice, e i suoi capelli erano intrecciati ed
avvolti attorno alla sua testa, come una corona.
Non
disse nulla, passandogli davanti per raggiungere lo specchio
accanto al letto ed iniziando a disfare la propria acconciatura.
In
modo forse irrazionale, Han provò un barlume di rabbia.
«Non mi chiedi nemmeno com’è
andata?»
Leia
si soffermò a guardarlo nello specchio. «Se
fosse andata bene me lo avresti detto subito» gli disse,
«o sbaglio?»
Han
non rispose. Non si sbagliava.
«Allora?»
domandò Leia. «Lo
avete trovato?» Dal suo tono stanco, era chiaro che non si
faceva illusioni.
«No.
Abbiamo trovato il ragazzo di cui parlavano. Non era
lui».
Era
solo un nativo di Coruscant che stava visitando alcuni pianeti. Il
suo comportamento schivo aveva insospettito gli abitanti, ma alla fin
fine era solo un po’ timido.
La
donna annuì appena, srotolando la prima treccia e
cominciando a disfarla.
Han
guardò i loro riflessi nello specchio. Non sapeva se gli
anni – soprattutto gli ultimi – fossero stati
gentili con loro, ma Leia era ancora bella. Era sempre così
bella.
«Ho
parlato con Kes» le disse Han, improvvisamente.
«Mi ha detto che stai organizzando una Resistenza, o qualcosa
di simile».
Leia
non interruppe nemmeno il proprio lavoro. «È
vero» convenne.
«Perché
io non ne sapevo niente?»
Lei
si passò le dita tra i capelli. «Te
l’avrei detto» affermò, iniziando a
disfare la treccia successiva. «Ti voglio con noi,
naturalmente».
Han
si schiacciò le mani tra le ginocchia. «Oh,
quindi me l’avresti detto perché pensavi di
reclutarmi, non perché sono tuo marito».
Stavolta,
Leia si girò verso di lui,
l’acconciatura disfatta a metà. «Che
cosa ti prende?»
«Che
cosa mi prende?» ripeté Han,
incredulo, per poi assumere uno sguardo cupo. «Non mi piace
che tu mi abbia tenuto all’oscuro».
«Hai
ragione, non avrei dovuto» ammise Leia, dopo
un istante di silenzio. «Ma è ancora tutto
confuso, e incerto, e…» Si bloccò e lo
guardò con più attenzione. «Non
è per questo che sei arrabbiato».
Han
provò quasi l’assurdo impulso di mettersi a
ridere. «Davvero? Perché, non sarebbe una buona
ragione?»
«Sei
molto arrabbiato» rimarcò Leia.
Aveva
ragione, naturalmente. Han distolse gli occhi, cercando di
trattenersi… Non ce la fece, e tornò a guardarla.
«Lo
hai usato come scusa» la accusò, in
tono a stento controllato.
Lo
shock balenò nello sguardo di Leia. «Che
cosa?»
«Toglimi
una curiosità» riprese lui,
alzandosi in piedi, «da quanto tempo hai in mente di fondare
questa tua Resistenza?»
Leia
si accigliò. «Non lo so. Da quando ho visto
che il Primo Ordine è una minaccia tangibile, e che la Nuova
Repubblica non sembra intenzionata a prendere i provvedimenti
necessari».
«Sì?»
chiese Han, più
tagliente di quanto avrebbe voluto. «Non ce l’avevi
già in mente quando hai iniziato a rimetterti in contatto
coi tuoi vecchi amici della Ribellione, quelli che avrebbero dovuto
aiutarti a trovare tuo figlio?»
Per
un istante, Leia lo fissò come raggelata.
Han
vide con chiarezza il cambiamento nei suoi occhi, la vide ripensare
alle sue parole di poco prima – lo hai usato come
scusa
– ed essere colta da una furia improvvisa.
Fu
quasi come tornare indietro di anni, alla base su Hoth, mentre il
viso di Leia si faceva duro ed impenetrabile.
«Vattene»
gli sibilò lei, gelida.
Quando
Han non reagì subito, Leia si diresse ad aprire la
porta, e si voltò di nuovo a guardarlo.
«Fuori
di qui».
Han
serrò i pugni. Pensò che gli occhi di Leia,
quegli occhi colmi di rabbia, avrebbero potuto riempirsi di lacrime, e
desiderò quasi rimangiarsi le proprie accuse… Era
un sospetto che lo rodeva, certo, ma credeva veramente che questo fosse
stato l’obiettivo di Leia sin dal principio? Che avesse
radunato i suoi vecchi amici non perché voleva un aiuto
nelle ricerche, ma per trovare alleati per la sua nuova guerra?
Forse
no, ma al momento ricordava solo tutte le ore che Leia aveva
trascorso al lavoro anziché a casa, e la biasimava quasi
quanto biasimava se stesso. E in ogni caso, era troppo infuriato per
ritrattare.
«Agli
ordini, vostra grazia» la schernì,
strappando la propria giacca dallo schienale della sedia e dirigendosi
alla porta.
Passò
vicinissimo a Leia, ma non la guardò
nemmeno di sfuggita.
Senza
fermarsi ad aspettare che la porta si chiudesse alle sue spalle,
imboccò le scale a passo spedito. Arrivò sino al
livello interrato, e a quel punto si lasciò cadere a sedere
sull’ultimo gradino.
Si
nascose il viso tra le mani, e pianse.
Note:
Okay, io non volevo scrivere questa cosa, dato che
c’è il 99% di probabilità che venga
smontata dai prossimi film. Ma ehi, pare che la chiamata
dell’angst sia troppo forte.
Probabilmente ho pensato troppo al fatto che in alcuni momenti del
Risveglio della Forza Han e Leia mi ricordano tanto com’erano
prima, e a quanto la cosa sia dolorosamente azzeccata.
(Comunque faccio sempre in tempo ad eliminare tutto, se pensate sia per
il meglio.)
Il titolo è un verso della canzone “Hotel
Supramonte” di Fabrizio De André, mentre la
citazione in corsivo viene da “Between” di Vienna
Teng. Non posso ascoltarla senza pensare ad Han e Leia dopo la caduta
di Ben.
BONUS:
Era la prima volta che lo vedeva adulto.
E dopo avervi resi partecipi di tutta questa gioia, me ne
vado~
Ah, a meno che non ci siano imprevisti, pubblicherò la
seconda (e ultima) parte sabato prossimo, il 25 di febbraio. |