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di theethee_
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Quel giorno il buon vino aveva fluito nei nostri corpi come non mai.
Avevamo passato in rassegna tutta la cantina con un tour privato. Alice Fortini aveva i suoi contatti, possiamo dirlo forte e chiaro.
Il tour era durato tantissimo: avevamo visto tutto il processo che la cantina faceva dal singolo acino d’uva fino al prodotto finale, ovvero la bottiglia che racchiudeva un costosissimo vino. Ovviamente gli assaggi non erano mancati. Dopo aver visto i vecchi metodi, le vecchie botti in rovere, dopo aver ascoltato la storia antichissima della cascina, eravamo arrivate alla degustazione.
Non che io ci capissi molto di vini.
Anzi, la guida esaltava i diversi aromi all’interno del liquido, diverse tonalità di colore, diversi sapori dovuti alle diverse botti in cui era preziosamente custodito. Eppure, per me, erano tutti identici. Il sapore lo trovavo esattamente uguale al bicchiere bevuto cinque minuti prima e l’unico giudizio che potevo dare era quello sui manicaretti che mangiavamo bevendo il vino.
Dall’altra parte Alice annuiva convinta sentendo ciò che ci faceva notare la giovane guida. Annusava il liquido rosso scuro, riconosceva gli aromi, faceva domande e ogni tanto si girava per controllare che tutto andasse bene. Mi chiedeva di tanto in tanto: “Senti questo retrogusto di ciliegia? Lo adoro, magari ne compro una bottiglia”, peccato che ripeteva la sua volontà di comprare una bottiglia ad ogni degustazione.
Finito il percorso io, di vino, ne avevo fin troppo in corpo. Ero arrivata al limite massimo di alcool che il mio fegato poteva processare in una giornata. Non sono mai stata una gran bevitrice, quindi una semplice degustazione era già troppo per me. Incominciavo a sentirmi un po’ sopra le nuvole, come se stessi galleggiando, chiaro segno che non dovevo deglutire nient’altro se non acqua.
Così feci. Acqua per tutto il resto della serata.
Ormai era tardi, la notte era già calata da parecchio tempo, il tempo di mettersi in macchina e guidare verso casa era quasi giunto.
Alice teneva in una mano una borsa, con le due bottiglie che aveva deciso di comprare. La scelta non era stata semplice: aveva ascoltato i pareri del giovane ragazzo nello shop della cantina fino ad arrivare a tre possibili bottiglie.
Io fissavo la scena incredula.
Tutta questa indecisione per delle bottiglie di vino? Vino tra l’altro tutto simile se non uguale?
Esagerata.
Neanche stesse per comprare una casa.
-Chiara che ne dici? Questo o questo? Quale ti piaceva di più?- chiedeva facendomi vedere le due bottiglie che aveva rispettivamente nella mano sinistra e in quella destra.
Volevo ridere, però cercai di trattenermi. Stava chiedendo a me? Pessima mossa.
-Non lo so proprio- risposi.
-Non sei proprio d’aiuto-
Alla fine, dopo un’attesa abbastanza lunga, è riuscita a decidersi e a prenderne solo due. Questo solo perché l’ho minacciata: “Alice, non prenderne tre. Due direi che bastano per questo giro”.
Non so perché ma ho il terrore di rivederla nello stesso stato in cui l’ho conosciuta: seduta sul suo divano davanti a bottiglie di vino e superalcolici, ai suoi piedi cocci di vetro e la sua pelle segnata da lividi inconfondibili. Ho il terrore che l’alcool possa farla ricadere negli stessi brutti pensieri e pessime emozioni in cui l’ho trovata ormai mesi e mesi fa.
Penso che lei stessa abbia avvertito, dai miei sguardi e dal mio comportamento, questa mia paura.
Per questo motivo quella sera, alla cantina, non ha opposto resistenza e si è accontentata di due costose bottiglie di vino pregiato.
Passeggiando per le vie strette e illuminate con vecchi lampioni, che rendevano tutto incredibilmente arancione e caldo, un vento delicato ci abbracciava. Questione di settimane e avrei dovuto cambiare la mia giacca con quella invernale.
Parlammo ancora di quanto questo posto fosse suggestivo e magnifico.
Entrammo in macchina silenziosamente, forse nessuna delle due aveva intenzione di andarsene via da quel mondo. Era anche logico. Il ritorno a casa significava solo una cosa: ritornare in quei casini che erano le nostre vite. Alice alla ricerca di un lavoro, io che mi dovevo dividere tra la scrittura e gli impegni che ancora l’attuale libro mi procurava.
In tutto questo c’era anche il segreto e silenzioso patto che ci eravamo fatte: continuare la nostra conoscenza, continuare a frequentarci perché nessuna delle due voleva staccarsi dall’altra, nessuna voleva lasciare l’altra sola di fronte ai propri problemi e alla propria vita.
Era un patto non da poco.
Con tutti i nostri impegni, di sicuro non sarebbe stato facile coltivare e far nascere la nostra relazione come avevamo immaginato nelle nostre menti, che su questo punto erano d’accordo. Eppure l’avevamo fatto, avevamo deciso che di tornare indietro non se ne parlava.
Io ne ero felicissima, lo ammetto.
Però chiudendo quella portiera, lasciavamo alle spalle, aldilà di quella lamiera, un mondo in cui per mezza giornata eravamo state spensierate e felici, lontane dalla nostra città piena di insidie e trappole, lontane dalle nostre vite complicate. Dove eravamo state noi stesse fino in fondo. Lei, sincera come io in sole poche occasioni l’avevo vista e io coraggiosa, temeraria, avevo confessato uno dei miei segreti più intimi a lei.
Durante il viaggio continuammo a parlare del più e del meno, niente di troppo serio ma nulla di troppo stupido. L’argomento più interessante, che mi ha dato modo di conoscere un altro lato di Alice, è stata l’astinenza da concerti.
A quanto pare Alice non va ad un concerto da due anni. Io probabilmente sarei già morta al suo posto. Chi riesce a restare per due anni senza cantare le sue canzoni preferite a squarcia gola, ballare liberamente tra persone con la tua stessa passione e vivere la musica in prima fila? Alice Fortini, ma io di no di certo.
Le ho spiegato di come i concerti siano la spinta che praticamente mi fa andare avanti da quando facevo il liceo. Sono come la benzina per una macchina, mi danno la giusta carica di adrenalina e vita che mi serve per affrontare la mia quotidianità. Dopo un concerto mi sento rigenerata e pronta ad affrontare qualsiasi cosa. Insomma, senza concerti morirei.
Infatti essermi trasferita, dalla provincia a una grande città, mi ha dato solo moltissime nuove possibilità di andare a concerti, sentire musica dal vivo, apprezzare gli artisti di strada e vivere la musica in modo più semplice e diretto.
Alice, mi spiazza dicendomi che fino a qualche anno fa era come me. Viveva di musica e giornalismo, aveva le giuste persone con cui condividere queste passioni e non faceva altro che frequentare locali in cui riusciva a trovare buona musica live.
Un’altra particolarità di Alice Fortini è stata scoperta.
Arrivate a casa, cerco di farla salire in tutti i modi. L’idea di saperla a casa da sola dopo una giornata insieme non mi piaceva. Avevamo trascorso delle bellissime giornate insieme, staccarci semplicemente anche per poco, non mi rassicurava. Non riuscivo a pensare che dovessimo dividerci visto che passare del tempo con lei era un piacere e non una tortura.
Però giustamente non potevamo passare ogni singola notte insieme e dopo il suo -Domani mattina ho un sacco di appuntamenti, devo svegliarmi presto e prepararmi al meglio-, mi convinsi che sarei sopravvissuta senza il suo calore a riscaldarmi.
Ci salutammo con un tenero e imbarazzato bacio sulle labbra. Uno di quelli soffici e leggeri, delicato e casto.


•••                                •••

-Fortini, il suo tweet mi ha semplicemente sbalordito-
Accavallo le gambe e mi metto comoda.
Sarà una lunga e noiosa conversazione.
Sorrido all’uomo davanti a me.
-Penso che sentirò questa frase uscire dalla bocca di molti- rispondo.
-Lo penso anche io- dice ridendo.
-Mi ha stupido il suo velocissimo messaggio però- dico sincera. -Pensavo che i miei colleghi spersi per l’Italia mi avrebbero dato qualche giorno in più di ferie e invece… eccomi qui, il giorno dopo l’essermi licenziata, in un’altra testata a parlare con un altro direttore-
-Spero di non aver disturbato le sue vacanze, Fortini- dice serio.
-No, stia tranquillo. Che ne dice di passare subito al sodo e lasciar perdere i convenevoli?-
Ride dopo aver sentito la mia frase tagliente.
-Ho solo un convenevole ancora: come mai si è licenziata? Cosa è successo?- mi chiede curioso.
Sorseggio l’acqua dal mio bicchiere con un sorriso stampato in faccia.
Uno.
Conto nella mia testa quanti mi rivolgeranno questa domanda.
-Non penso che siano discussioni da fare con estranei, per di più giornalisti come me- dico fredda. -È una questione tra me e il direttore, niente che possa interessare al pubblico. Ho preso la mia decisione, le motivazioni per cui l’ho fatto sono futili soprattutto per lei. Se mi vuole con se mi offra qualcosa, non pensi agli errori che ha fatto lui. Perché se vuole sapere con tutta questa curiosità cosa è successo tra noi, l’unica motivazione è perché ha paura di ripetere lo stesso sbaglio, non crede?-
Sorride in modo quasi amaro.
Deglutisce e socchiude gli occhi. Si lascia andare sulla sua sedia in pelle, sospira.
-Io la adoro quando è così acida e diretta- ammette tornando a guardarmi negli occhi. -Vorrei che lei avesse un posto che le piace qua, quello che preferisce in realtà. Abbiamo perso dei giornalisti, perché hanno preferito il web alla carta, quindi ci sono molti posti liberi ora come ora-
Annuisco curiosa, poi prosegue: -In realtà io la vedo molto bene sul lato politico, ma forse a lei non piace più visti alcuni precedenti…- dice lasciando intendere l’inevitabile.
-In realtà io amo la politica esattamente nella stessa misura di un tempo-
-Quindi la quotidianità politica le andrebbe bene come proposta? È il suo miglior “lato”, signorina- dice fiero della sua proposta.
-Dovrei pensarci su, ho molti altri appuntamenti ed incontri in questa settimana- dico cercando di farmi promettere qualcosa di più.
-Vedo che nessuno dei miei colleghi è rimasto con le mani in mano- ridacchia. -Avrà un ufficio nell’angolo dell’edificio, una vista magnifica tra l’altro, tutto suo-
-Vorrei portare con me anche la mia assistente-
-Può avere un’assistente dei nostri se preferisce- propone.
-Preferirei la mia, mi conosce da tempo e sa già la mia routine di scrittura e ciò di cui necessito- le dico seria.
-Una richiesta un po’ particolare Fortini… le dirò cosa posso fare-
Ci congediamo cordialmente.
Appena le porte dell’ascensore si chiudono sospiro. Tutti i colloqui e gli appuntamenti saranno delle trattative a rialzo? Delle contrattazioni?
Forse non avevo totalmente previsto tutte le conseguenza.
La suoneria del mio telefono mi riporta alla realtà.
-Marta?- dico.
-Ciao Alice, com’è andata?-
-Un leccapiedi-
-Uomini…-
-Puoi dirlo forte. Prossima tappa?-
-Ti mando l’indirizzo per messaggio- mi dice pronta.
-Grazie, speriamo in bene-
-C’è Chiara qua con me. Mi sta aiutando a mettere a posto tutti gli scatoloni che ci hanno portato dal tuo vecchio ufficio-
Sento una voce inconfondibile in lontananza: -Quante cianfrusaglie hai?-
Rido di gusto nel sentire quella frase.
-Buona fortuna anche a voi-
-Passa di qua per pranzo, prepariamo qualcosa anche per te-
-Grazie, lo farò di sicuro. A dopo-

Erano stati giorni pensati, se non pesantissimi.
I colloqui e gli appuntamenti si erano dimostrati tutti piatti ed uguali. Tutti mi volevano con loro, tutti speravano che rivelassi il perché me ne fossi andata pronti a pubblicare la notizia. D’altronde erano stati gli stessi giornali e giornalisti che avevano assalito casa mia alla ricerca dello scoop dell’anno, non potevo aspettarmi un comportamento diverso.
La ciliegina sulla torta era stata la stancante serata di oggi.
Riprendere il programma televisivo non era stato semplice. La mia sostituta, una giornalista ormai conosciuta nell’ambiente da molti anni, aveva preso più che degnamente il mio posto e aveva fatto un lavoro straordinario. È vero, gli ascolti erano un po’ calati, ma è normale in una situazione del genere. Lei aveva comunque tenuto testa a tutte le domande che le venivano fatte sulla mia situazione e non la ringrazierò mai abbastanza per il rispetto che mi ha portato.
Prima della diretta è venuta a salutarmi. Avevo detto a Marta di prendere un mazzo di fiori per lei, perché di sicuro sarebbe passata a salutarmi e augurarmi buona fortuna.
Ci avevo visto giusto.
A mezz’ora dalla diretta si era presentata davanti alla porta del mio camerino, ha bussato e io ho aperto cordialmente.
Tra qualche parola e l’altra le ho dato il mazzo di fiori. Lei è rimasta incantata da questo gesto, probabilmente non sia aspettava nulla dall’acida Fortini.
-Buona fortuna Alice, spero tu ti sia ripresa totalmente-
-Grazie mille, sei davvero gentilissima. Grazie per tutto il lavoro che hai fatto mentre non c’ero. È stato un piacere guardarti da casa!-
-Fortini, ma cosa dici! Io ti ho solo sostituita, il lavoro lo hai fatto tu prima di andare via per questa piccola vacanza-
-No, dico sul serio, grazie mille. Anche per tutte le volte in cui non hai messo bocca o alimentato i pettegolezzi che giravano su di me durante quest’assenza-
-Di nulla, tu avresti fatto lo stesso al mio posto. Poi siamo tra donne no? Dobbiamo supportarci- mi ha detto con un sorrido sincero.
Poco prima della diretta una notifica di Twitter attira la mia attenzione:
 
@RicciardiOfficial: Passo il testimone alla proprietaria originale. Bentornata Alice! Grazie per i fiori.


In allegato una bellissima foto del mazzo di fiori.
Di certo non mi aspettavo nulla del genere, ma non potevo chiedere un “nuovo” inizio migliore.
La puntata era andata bene, gli ascolti erano saliti a livelli altissimi.
Gli ospiti che avevo scelto erano stati proprio come volevo, avevano saputo intraprendere discussioni senza litigare o diventare irrispettosi. Li avevo scelti per far capire al pubblico che il taglio della trasmissione non era cambiato per nulla: politica, attualità, sociale erano sempre gli argomenti portati avanti da me.
Su twitter gli apprezzamenti erano giunti alla velocità della luce, il che mi rassicurava un po’.
Mi butto sulla sedia all’interno del mio camerino.
Per fortuna domani è venerdì e il week end è vicino.
A parte tutta la fatica e la tensione, essere di nuovo a pieno ritmo, avere di nuovo il mio programma tv mi rendeva felice. La mia vita era di nuovo quella di prima, o quasi.
Qualcuno di colpo bussa alla mia porta socchiusa.
Strano.
Avevo detto a Marta di andare tranquillamente a casa una volta finita la trasmissione. Ormai erano le undici e mezza ed era finita da mezz’ora.
-Avanti, è aperto- dico alzandomi, pronta a ricevere la persona dietro la mia porta.
-Ho pensato avessi bisogno di zuccheri- dice quella entrando.
Appena entra la riconosco subito.
Potrei riconoscere le sue movenze, la sua voce e il suo profumo anche ad occhi chiusi.
Sorrido dolcemente alla sua visione.
-Hai pensato il giusto. Vieni, chiudi la porta- dico sedendomi sul piccolo divanetto in pelle appoggiato al muro. Le faccio segno di sedersi di fianco a me, e così fa.
-Ciambelle- mi dice sorridendo dolcemente.
Ne addento una e un verso di piacere esce dalla mia bocca ancora piena.
Chiara ridacchia vedendo questa scena. -Mi sembravi la tipa da ciambelle effettivamente- dice continuando a ridere.
Tra un morso e l’altro mi dice: -Ti ho visto da casa- mi guarda negli occhi. -Ero così fiera di te-
Sentendo quelle parole il mio cuore perde qualche battito per strada, poi accelera per riprendere ciò che ha perduto. Finalmente queste parole coronano tutti gli sforzi fatti per arrivare fino a qua. Sentirle dire queste parole, mi riempie di felicità. Una felicità vera, di quelle genuine e spontanee. Quel genere di felicità che non potresti raggiungere in nessun altro modo, mai e poi mai.
-Grazie, nessuno me l’ha mai detto nessuno- le sue braccia di colpo mi circondano e mi stringono con forza. Non una forza brutale a cui ero abituata da ormai anni, una forza di quelle che dice: non ti lascio andare per nulla al mondo.
-Bene, allora te lo dico io per la prima volta- mi sorride baciandomi delicatamente. Il suo odore mi invade e le mie labbra improvvisamente sanno di cioccolato fondente.
Non potrei chiedere di meglio.
-Pensi che potremmo avere un po’ di tempo per noi questo weekend?- mi chiede timidamente.
-Certo!- rispondo contenta. -Anzi! Speravo proprio nell’arrivo del weekend- ammetto.
-Ah sì? Che avevi in mente di fare?- mi chiede curiosa.
-In realtà quello che vuoi tu, a me basta un po’ di pace e tranquillità. E magari un po’ di compagnia a casa mia- le dico cercando di farle capire che passare il weekend con lei che gironzola in casa mia, non sarebbe male.
-Hai visto casa tua com’è?- mi chiede ridacchiando.
La guardo con uno sguardo interrogativo.
In queste sere sono ritornata a casa, però non avevo neanche fatto caso al resto. L’unica cosa che vedevo era il letto e la mia stanza. Mi catapultavo di corsa nella mia stanza, una doccia veloce e via nel letto. La mattina, stessa cosa ma al contrario. Neanche mangiavo colazione ultimamente, la prendevo direttamente in giro per la città.
-Penso ci siano un po’ di scatoloni- dico pensierosa.
-Un po’? È sommersa. Pensa che ne abbiamo svuotati parecchi!-
Sospiro, neanche me ne ero accorta. La vita aveva assorbito tutta me stessa ultimamente, neanche più ci pensavo agli scatoloni dell’ufficio.
-Okay, mi sa che sabato so cosa farò. Oppure cerco di trovarmi un lavoro entro il weekend e li spedisco tutti nel mio nuovo ufficio- potrebbe essere una tattica molto proficua.
-Devi lavorare e mettere a posto, pigrona- mi dice giocosamente, dandomi una leggera spinta con la sua spalla.
Sbuffo sonoramente.
-Dai, ti darò una mano- le sorrido contenta in risposta. -A proposito di lavoro, oggi un giornalista de La Repubblica mi ha intervistato. Dopo l’intervista mi ha chiesto come stavi, ma senza doppi fini, così giusto perché ha notato la nostra amicizia. Mi ha detto di darti il suo biglietto da visita- dice sporgendomi il piccolo bigliettino di carta bianca. -Ha detto di chiamarlo, vuole parlare con te-
Rimango senza parole da quella frase.
-Wow- riesco solo a dire.
-Magari se fai una buona impressione vorranno averti con te, sarebbe un colpo grosso- dice sorridendo.
La ringrazio nel modo più semplice e sincero possibile.
Dopo pochi minuti siamo davanti alle nostre macchine parcheggiate.
-Buonanotte- le dico dolcemente.
-Buonanotte a te- mi risponde salendo in macchina.
La guardo mettere in modo.
A malincuore parte e guida verso casa.
Io faccio la stessa cosa.
Separarsi da qualcuno non è mai stato così difficile.

Il giorno dopo arriva in fretta.
“Finalmente è venerdì” penso istintivamente.
I miei appuntamenti si sono diluiti un po’ e incomincio a respirare.
Cammino svelta fino alla fermata del tram.
Potrei andare a piedi ma il freddo incomincia a fermare la mia buona volontà, quindi questa mattina ho preferito i mezzi per i miei spostamenti.
Rileggo l’indirizzo che mi sono segnata poco prima.
Mi infilo velocemente tra le porte del tram non appena quelle si aprono. Il calore mi riscalda immediatamente. Lascio che la frenesia delle persone, dell’ultimo giorno della settimana, trascini me e i miei pensieri sui binari del tram.
Non appena arrivo alla mia fermata, scendo con davvero poca voglia. Appena il freddo accarezza il mio viso stringo la mia sciarpa e inizio a camminare per la grossa via del centro.
I grandi archi di Via Roma mi circondano, riesco ad intravedere in lontananza Piazza San Carlo nel suo splendore mattutino.
Non ci sono tante persone in centro la mattina, per questo è un piacere godersi questi attimi di tranquillità immersa nel fascino storico del centro città.
Arrivata all’indirizzo mi sento un po’ spaesata. Dove dovrebbe essere la sede? Qua ci sono solo negozi di lusso. Mi guardo intorno cercando di capire se questa è una presa in giro, oppure dovrei davvero vedere l’insegna del famoso giornale.
Dopo un po’ di ricerche noto con piacere un portone curato e dall’apparenza molto costoso. Decido di fidarmi delle apparenze e vado vicino.
Finalmente trovo ciò che è di mio interesse.
Certo che non si vogliono far scovare, eh!
Suono.
Aprono senza neanche chiedere chi è.
Salgo le scale fino a quando non vedo una grande porta vetrata. Sentendo un vociare che riconoscerei a miglia di distanza, capisco di essere nel luogo giusto.
Davanti a me si apre il classico scenario che avevo imparato a conoscere nei dettagli, in ogni sua sfumatura: scrivanie e cubicoli, computer e schermi con ogni sorta di telegiornale che parla a ruota libera, persone al telefono, segretarie che portano i caffè ai loro capi, qualcuno che sbuffa, altri che si sfilano la cravatta snervati.
Il mio mondo, quello per cui vivo insomma.
Quindi una testata nazionale grossa come questa non lavora in modo diverso da come sono abituata.
Cerco di fermare qualcuno per poter chiedere informazioni.
-Salve, dovrei incontrare questo collega- dico mostrando il biglietto da visita.
-Certo, vieni- dice cordialmente.
Ci districhiamo tra le molte persone nei corridoi.
Mi lascia davanti a due porte di vetro opaco. Su di esse c’è scritto il suo nome e di fianco: Caposervizio.
Uh, un pezzo grosso devo dire.
-Grazie- dico gentilmente.
Il ragazzo annuisce e prosegue.
Tiro un sospiro.
Busso.
-Avanti!- una voce mi risponde.
Timidamente apro le spesse porte di vetro.
-Buongiorno- dico entrando nell’ufficio che trovo pieno zeppo di libri. Tento di catturare qualche titolo. Istantaneamente capisco che sono tutti libri di economia.
Il mio cervello incomincia a elaborare molte domande. Un caposervizio di economia? Può essere.
Davanti ai miei occhi si palesa, di colpo, la sua figura.
Occhiali vintage, ma all’apparenza costosi, camicia azzurra, una cravatta color ghiaccio. Capelli corti leggermente brizzolati, baffi arricciati e due occhi di un verde scintillante.
-Signorina Fortini, grazie per essere venuta con questa rapidità!- mi dice.
-Grazie a lei per l’ospitalità e può chiamarmi Alice- dico cordialmente.
-Alice, puoi chiamarmi Francesco- annuisco.
-Ho incontrato Chiara Cerati per metterci d’accorso su un’intervista qualche giorno fa, che poi ha fatto ieri con un mio collega, nel frattempo le ho chiesto come stavi. Spero che questo non ti dispiaccia, però ho seguito al tua vicenda con interesse- dice.
Rimango sbalordita dalla sua sincerità, cosa assai rara ultimamente.
Annuisco aspettando che continui.
-Oh che sbadato! Vuole del caffè? Sono subito partito in quarta senza neanche fare le solite cortesie!- dice ridendo.
Rido con lui. -Non si preoccupi, sono a posto-
Annuisce. -Comunque, Chiara molto gentilmente mi ha detto che sta meglio e che ha deciso di lasciare la redazione. Guardi, non mi interessano i motivi! Io stesso ho lasciato da giovane molte redazioni prima di stabilirmi qua, quindi posso capirti-
Wow, sono colpita.
-Proprio in questi giorni il caposervizio dell’ambito politico ha lasciato il suo posto per motivi personali. Prima che lei si faccia strane idee, no non voglio metterla come caposervizio. Non lo voglio fare perché non sono io il direttore di questa redazione, quindi non posso prendere questo tipo di decisioni. Secondo, non mi sembrerebbe giusto che una nuova arrivata scavalchi redattori che sono qua da un anno o più. Di conseguenza penso di promuovere un redattore a caposervizio, quindi ci sarebbe un posto vuoto come redattore, deve solo convincermi che lei è la persona giusta- mi spiega con un sorrido.
Mi siedo meglio sulla sedia.
-Francesco, come prima cosa ti ringrazio ma non per il posto che mi stai offrendo, ma per aver evitato le solite domande o battute su quanto è successo ultimamente nella mia vita e carriera. Ti ringrazio perché per tutta questa settimana ho solo sentito persone disposte a darmi tutto ciò che volevo pur di essere nel loro giornale. Io questo tipo di trattamento lo odio, credimi. Sarei la nuova arrivata e come ho già fatto anni fa, è giusto che mi guadagni una posizione dentro la redazione, quindi sono d’accordo con te su tutto- dico d’un fiato.
-Ovviamente sarei molto felice nel far parte di questa redazione. Quando Chiara mi ha dato il biglietto da visita ero già contenta al solo pensiero che il mio nome vi sia passato per la testa.  Quindi qualsiasi decisione tu prenderai, sappi che io sono felice anche solo per questa piacevole chiacchierata tra colleghi. Non lo nascondo, farei di tutto per lavorare qua. Anzi, in generale farei di tutto per ritornare in una redazione, perché lo ammetto: mi manca troppo-
Francesco ridacchia.
Io sorrido sincera.
-In realtà Alice, visto quello che mi hai detto penso di aver già deciso- mi spiazza. -Vorrei davvero che tu stessi con noi, devo solo più parlarne con il capo-
-Grazie, allora-
-E di che!- dice facendo spallucce. -Hai altre domande?-
-A dire il vero ho questa idea che mi gira in testa da stanotte- mi annuisce curioso. -Vorrei aprire un blog, un blog tutto mio. Ci sono parti di ciò che voglio raccontare che non sono adatte ai giornali e soprattutto vorrei arrivassero ad un pubblico più ampio. Internet è la risposta. Grazie alla mia trasmissione ho moltissime persone che mi seguono con passione, quindi penso possa uscire qualcosa di davvero bello, uno scambio di idee genuino e educativo. Mi sembri la persona giusta con cui parlarne, perché vorrei davvero raccontare le mie esperienze e sfogare una parte di me che da giornalista non posso fare-
Si arriccia un baffo e annuisce più di una volta.
-Mi sembra un’idea niente male, Alice. Ciò che scrivi ha sempre un seguito, la gente ti apprezza per il tuo carattere forte e senza paura… ciò che hai da dire su te stessa dev’essere qualcosa che leggerebbero con curiosità, secondo me. Per me puoi farlo, l’importante è che arrivi con degli articoli per il giornali e rispetti le scadenze che ti darà il tuo caposervizio- dice sinceramente.
-Grazie per la sincerità- sorrido. -Penso di avere una richiesta-
-Dimmi-
-Se venissi a lavorare qua, potrà venire con me anche la mia assistente?-
Si arriccia di nuovo il baffo, ma questa volta il sinistro.
-Okay, questa faccenda è più complicata ma vedrò di sistemarla. Al massimo dovrai dividerla con qualcuno-
Felice di quella risposta, mi congedo dopo poco.
Forse è una svolta.
Forse è la svolta.


•••                                •••

La musica si propaga in tutto l’appartamento.
Canticchio sottovoce la canzone che conosco praticamente a memoria.
-Questi fogli dove dovrebbero andare?- chiedo.
Lei si alza da terra, dove prima stava a gambe incrociate cercando di capire che fogli si possono buttare e quali no.
-Umh- mugugna venendo verso di me.
I suoi capelli castani sono legati in modo disordinato, lasciando cadere qualche ciuffo ribelle sul suo collo magro e i suoi occhi scintillano alla luce del sole, rendendoli ancora più verdi. Indossa una semplice tuta nera, persino larga per i suoi standard e forse troppo maschile, eppure rimane comunque bellissima. Potrebbe vestirsi con qualsiasi indumento, in ogni io la apprezzerei.
Si gratta la testa e dice: -Buttali, non mi servono-, poi ritorna alla sua postazione, si siede per terra, incrocia le braccia e continua il suo lavoro sbuffando.
Di certo Alice non aveva intenzione di passare il suo sabato mattina e pomeriggio così, ma doveva fare questo lavoro. Quindi l’ho praticamente obbligata a farlo oggi, così si toglie ogni pensiero e si può godere a pieno il fine settimana. Lei però non l’ha presa altrettanto bene, non fa altro che sbuffare come una bambina di sei anni.
Per smorzare la situazione ho deciso di mettere un po’ di musica, ma non sembra funzionare.
Continuiamo a svuotare gli scatoloni per ore interminabili, però finalmente iniziamo a vederne la fine. Ne mancano solo più cinque e sembrano cianfrusaglie che potrà mettere come soprammobile o appendere su qualche parete.
-Non ne ho più voglia- dice appoggiando la schiena al retro del divano.
-Dai Alice, ne mancano pochissimi!-
Sbuffa ancora.
-Sono le due e non abbiamo ancora mangiato!- dice incrociando le braccia.
-Non fare così- dico scherzando. -Finisci e poi mangiamo in santa pace- cerco di ricattarla in qualche strano modo.
Si trascina verso di me senza però alzarsi dal pavimento, con un ghigno dipinto in faccia.
-Dai facciamo pausa- mi dice con una vocina innocente e dolce, quasi sottovoce.
Continuo ad impilare i fogli fuori dallo scatolone cercando di non darle retta.
Quando le sue labbra toccano il mio angolo della bocca, quasi trasalisco.
Questo si chiama: giocare sporco.
-Alice, lavora!- dico con un misto di imbarazzo e ironia.
-Mhhh- risponde.
-Lo so non ne hai voglia, ma se finisci ordiniamo la pizza- cerco di convincerla ancora.
Non ricevo risposta, sento solo che le sue labbra si spostano lungo la mia mandibola e scendono verso il mio collo scoperto. Sorrido di riflesso.
-Okay, anche una alla nutella-
Ridacchia contenta perché ha avuto ciò che sperava e si rimette a lavorare.
Scuoto la testa rassegata.
Sicuramente sa come avere ciò che desidera.
Durante il nostro pranzo decisamente poco sano, la suoneria del telefono di Alice rompe il silenzio.
Sbuffa, qualcuno osa disturbarla mentre mangia la pizza… che affronto!
Si alza dalla sedia e corre verso il suo telefono.
Il mio sguardo cade istintivamente sul suo slancio atletico, sulle sue gambe lunghe e ovviamente sul suo fondoschiena scolpito. Oooops.
Scuoto la testa e ritorno alla mia pizza.
Intanto Alice si riavvicina alla cucina, passeggiando per il soggiorno.
-Oh salve!- dice felice al telefono.
Ascolta attentamente la conversazione, poi sorride di colpo. Ringrazia l’altra persona e butta giù.
Mi guarda felice.
Mi alzo istintivamente dalla sedia. Sento che è successo qualcosa di importante e le cose importanti si affrontano in piedi.
Si avvicina lenta a me, come se volesse farmi soffrire un po’ prima che sappia la notizia.
-Qualcuno ha un nuovo ufficio che la aspetta lunedì- mi dice, abbracciandomi di slancio.
La accolgo tra le mie braccia e la stringo forte.
Rimango senza parole di fronte alla notizia. -Sono felicissima per te!- dico con sincerità.
Lei, in risposta, non si stacca da me.
-È merito tuo Chiara! Senza il tuo contatto non avrei avuto nessun colloquio dentro quella redazione- ammette.
-Ma figurati, lui ti voleva parlare. Io sono stata solo un tramite- dico staccandomi da lei e guardandola negli occhi.
Mi sorride felice. -Bisogna festeggiare-
Ridacchia felice e si fionda di nuovo sulla pizza, sorridente.
Io faccio lo stesso.
Poi mi blocco.
-Aspetta- dico appoggiando il ginocchio alla sedia. -Questo vuol dire che dobbiamo inscatolare tutte le cose che abbiamo appena tolto da lì?-
Mi guarda con uno sguardo terrorizzato. -Emh…-
Stavolta sono io quella a sbuffare.

•••                                •••

-Una sala giochi?- chiede stupita.
-Non è una sala giochi qualsiasi- dico quasi sconvolta. -È una sala giochi arcade, di quelle vecchio stile! Tipo anni novanta, capito?-
Si illumina. -Il flipper!-
Rido di gusto. Poi ritorno a guardare la strada. -Sì c’è anche il flipper-
-Io sono una campionessa, credimi. Quando ero piccola, accendevo il computer di mio padre e giocavo tutto il tempo con il flipper- dice ridacchiando.
Mentre racconta questo piccolo episodio, capisco di voler sapere per ogni giorno che passa, qualcosa di più su di lei. Qualcosa di intimo, i ricordi di un’infanzia ormai finita da tempo, qualche episodio divertente della sua adolescenza e tante altre piccole cose.
-Vedremo se mi batterai- dico sfidandola.
Una volta arrivate iniziamo a giocare tranquillamente, qualche classico gioco, qualche battuta sul fatto che a ping pong non ci sa proprio fare.
Poi, per la sua felicità, arriviamo al flipper.
Lo ammetto, ci sa fare. Ma non mi batterà mai.
La prima sfida la vinco io, la seconda lei.
Ogni tanto le nostre mani si sfiorano e i brividi scorrono liberi sulla mia pelle.  
Vorrei davvero che potessimo comportarci come una vera coppia che sta uscendo insieme. Scambiarci tenerezze in pubblico e non, teneri baci d’addio di fronte alla nostra porta, tenerle la mano nella tasca della mia giacca perché fa troppo freddo… quella normalità che da tanto non vivo e chissà per quanto non vivrò ancora.
Mi poggia delicatamente la sua mano sulla mia. Mi sorride dolce come se avesse intercettato i miei pensieri. Un sorriso che dice: non ti preoccupare.
Lo so che lei ha capito la mia situazione. Non ho mai detto nulla di me in pubblico, nessuno ha mai saputo della mia precedente relazione e tutti sanno di ciò che è successo nella mia vita negli ultimi anni. Le persone sanno il peggio che mi è successo, ma non il meglio, non la felicità che sto provando e che ho provato in passato. Sbuffo al solo pensiero. Questa è una parte così delicata della mia vita, che quasi incomincia a starmi stretta.
Dall’altra parte, però, non devo farmi troppi problemi. Neanche Chiara ha mai parlato al pubblico della sua omosessualità, proprio come me. Quindi in teoria siamo nella stessa identica situazione.
Scommetto che anche lei vorrebbe avere di più, avere più libertà e una vita di coppia normale, però per averla dovremmo fare un passo che per me, ora, è troppo grande.
Mi avvicino al suo orecchio: -Ti sto stracciando, forse è meglio andare a casa- dico provocatoria.
Annuisce ridendo. -Facciamo finta che non sia mai successo- risponde.
-Umh, questo è tutto da vedere- dico ironicamente.
Saliamo in macchina tra una battuta e l’altra.
Metto in moto e ci dirigiamo verso casa canticchiando le canzoni che passano in radio.
-Scusami- esordisco.
Chiara abbassa la musica.
Noto, con la coda dell’occhio, la sua faccia interrogativa.
-Per cosa?- chiede preoccupata.
-Vorrei che avessimo una vita di coppia normale… vorrei che non ci dovessimo nascondere dentro le mura di casa nostra, vorrei che non ci dovessimo trattenere dal baciare l’altra, vorrei che fosse tutto normale, alla luce del sole- sputo fuori quasi come fosse uno sfogo.
Sento la sua mano che scorre lungo il mio braccio accarezzandomi.
-È che si è appena conclusa la fase più brutta della mai vita, l’incubo è finalmente finito. Questo soprattutto grazie a te e vorrei che tutti lo sapessero, vorrei che tutti sapessero che la persona che mi ha aiutato è la stessa che mi sta rendendo felice ora. Lo vorrei davvero Chiara, devi credermi- sospiro.
Continuo. -È che sarebbe troppo, sarebbe davvero una pressione che non riuscirei a sopportare. Questa, ora, è una parentesi felice e io non voglio finisca, non voglio chiuderla. Nessuno deve rovinare quello che siamo ora, quello che stiamo attraversando… perché io sono finalmente felice. Non voglio che i giornalisti ci assalgano di nuovo, non voglio dover dare spiegazioni, non voglio combattere per riavere la mia vita e la mia privacy. Capisci? Non ce la faccio adesso-
-Alice… nessuno ci obbliga a definirci, a fare grandi passi, a fare cose che non ci sentiamo di fare- mi risponde con dolcezza. -Tra l’altro stiamo ancora lavorando su noi stesse come individui e su di noi come coppia, o sbaglio? Stiamo cercando di affrontare le nostre paure e i nostri problemi insieme. Finché non avremo risolto tutto tra noi, finché non ci sarà una calma piatta, non penso che rendere il tutto pubblico sarebbe una buona idea. Non credi?-
Annuisco in risposta.
-Non ci pensare ora. Sei felice?-
Annuisco ancora.
-Anche io lo sono. Un giorno lo saremo ancora di più, se lo vorremo. Però dobbiamo andare per gradi, uno scalino per volta-
Le sorrido.
Ha sempre le parole giuste al momento giusto.
Parcheggio sotto casa sua, la accompagno davanti al portone.
-Grazie per la serata Alice, mi sono davvero divertita- mi dice timida. -Vuoi salire?-
-Grazie a te! No, è tardi e sono parecchio stanca… tutti quegli scatoloni mi hanno distrutto- ammetto.
-Buonanotte Alice, sono felice per il tuo nuovo lavoro-
-Tutto merito tuo- dico lasciandole un casto bacio sopra le sue labbra fredde.

•••                                •••

La suoneria del mio telefono mi sveglia di colpo.
Che ore sono?
Il sole non sembra essere alto.
-Pronto?- rispondo senza neanche leggere il nome sopra lo schermo.
-Chiara-
È Andrea. A quest’ora di mattina? Ho dimenticato qualche scadenza?
-Andrea. Hai bisogno?-
-Quando pensavi di dirmelo Chiara?-
Il mio sguardo si fa preoccupato.
-Che cosa?-
-Dov’eri ieri sera?- mi chiede con tono serio.
-Ero con Alice Fortini. Perché?- chiedo mettendomi a sedere sul letto.
-Perfetto… perfetto!- dice con tono arrabbiato. -Quando pensavi di dirmelo? Sono cose che io dovevo sapere, ho il diritto e il dovere di saperle!- quasi urla.
-Andrea, calmati non so questo cosa possa c’entrare, non capisco cosa sta suc-
-Ci sono foto Chiara, foto di te e Alice! Io dovevo saperlo, dovevi dirmelo-
-Andrea non è come sembra, non è… è la mia vita privata quella!- dico andando in panico.
-Chiara non esiste vita privata quando diventi un personaggio di interesse nazionale!-
-Fai qualcosa, toglila, fai qualcosa Andrea… fai qualcosa- dico quasi con tono disperato.
-Non posso Chiara! Ormai è sul internet, ormai tutti l’hanno vista-
Non può essere.
 


Buongiorno carissime persone!
Scherzi a parte, sono riuscita a scrivere questo capitolo prima del previsto e spero che vi piaccia. Tranquilli il drama vero e proprio non sta ancora per arrivare, prima voglio far passare un po’ di luna di miele tra le nostre due protagoniste! Però spaventarle un po’ non fa male, no?
Aspetto pareri e recensioni, idee su come le due possano risolvere il problema che è appena nato, e quello che volete! Vi invito a seguirmi su Tumblr: https://fyrstaa.tumblr.com ho già parlato con molte di voi lettrici e ne sono così felice! Però se volete semplicemente rimare aggiornati sulla mia vita da italiana a Dublino, su dove metterò il pacco da 13 chili che mi arriverà dall’Italia… seguitemi!
Tra l’altro ho incominciato ad accennare l’argomento musica che ci darà l’occasione di conoscere nuovi personaggi (due presi da questa bellissima storia http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3478261&i=1 che vi invito a leggere)
Bene, credo sia tutto. Ahhh no scherzo, notiziona delle notizione: sto tornando a casa per qualche giorno! Torno nella mia Torino e sono contentissima. Mi mancava molto (questo si nota perché ho messo vie e tram all’interno di questo capito, di solito evito ma mi mancaaaa), spero di sopravvivere a cene tra parenti e arrivare presto con un nuovo capitolo. Ci vediamo sotto la Mole per un caffè!
Un abbraccio a tutti voi.
Aspetto pareri <3

 




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