32.
JOEL
GORAN
Toronto
era calda e luminosa quel giorno. I raggi del sole che le colpirono il viso
mentre usciva dall’aeroporto, per Allison furono come una ondata di buon umore.
Due ore e trenta minuti di volo seduta accanto ad una donna che non ne voleva
sapere di smettere di parlare le avevano messo addosso tanto nervosismo e
disagio. Entrambe le cose erano state spazzate via dai rumori e dai colori
della città.
Le
piaceva Toronto, le era sempre piaciuta e c’era stato un periodo in cui aveva
persino pensato che forse viverci permanentemente non sarebbe stato male. Il
pensiero però era sparito presto, schiacciato dal peso delle troppe
responsabilità che quotidianamente le gravavano sulle spalle.
Fece
un grosso respiro indossando gli occhiali da sole e sorrise ad un bambino che
stringeva un orsacchiotto in attesa che suo padre recuperasse tutti i bagagli
sul taxi dal quale erano appena scesi. Allison fece cenno al tassista, come per
dirgli che lei sarebbe stata la prossima. Il bimbo in attesa le fece tornare in
mente troppe cose che aveva, vanamente, provato a spingere nel posto più buio e
sperduto della sua mente.
Quel
pensiero le fece ricordare che non aveva ancora acceso il cellulare e mentre
aspettava lo tirò fuori dalla borsa e lo fece. Le prime notifiche che arrivarono
furono quattro chiamate perse di Rebekah. Immaginava che le telefonasse per
cercare di farla ragionare, per convincerla a tornare. Com’era che le aveva
detto mentre raccoglieva le sue cose pronta a lasciare per sempre quella casa?
Ah sì… Elijah avrà bisogno di te quando tornerà. Lui ti ama.
Lei
le aveva praticamente riso in faccia mentre alcune lacrime le bagnavano le
guance, poi se ne era andata blaterando di qualcosa che in quel momento neppure
ricordava. Una cosa la sapeva per certo però: Elijah non la amava, altrimenti
non sarebbe andato via, con Hayley, senza neppure parlarne prima con lei. Povero
Jackson, si ritrovò a pensare, chissà se è consapevole che sarà per
sempre solo una nota a fondo pagina nella storia d’amore mai iniziata tra
l’Ibrida e il vampiro.
Lei
ora lo sapeva… sperava che al lupo non si spezzasse il cuore come invece era
successo al suo.
Con
un sorriso e un gesto della mano salutò il bambino e suo padre e salì in auto.
Non aveva valigia, tutto quello che aveva era la sua borsa e un piccolo borsone
in cui aveva sistemato un solo cambio. L’indomani sarebbe tornata a casa, aveva
pensato che era inutile portarsi dietro troppe cose. La cosa più importante
comunque era ben nascosta.
“Dove
la porto?” le chiese il tassista guardandola dallo specchietto retrovisore.
Lei
si schiarì la voce mentre il suo cellulare riprendeva a squillare; Rebekah… di
nuovo. “Hope Zion” disse mentre rispondeva.
“Finalmente!” le
disse la sua amica. “Avrò provato a telefonarti cento volte ma il tuo
telefono era spento.”
“Quattro
volte Rebekah, questa è la quinta e ho risposto. E giusto perché tu lo sappia
non ho risposto perché ho effettivamente voglia di parlare con te, l’ho fatto
solo perché altrimenti non avresti smesso di telefonare.”
“Ah!
Mi fa piacere sapere che mi conosci così bene.”
Allison
scosse poco il capo. “Cosa vuoi?” le disse infine guardando la città scorrere
attraverso il finestrino.
“Voglio
che la smetti di comportarti come una bambina e che torni qui. Elijah tornerà
domani e quando ha telefonato ha chiesto di te. Nessuno ha voluto dirgli che te
ne sei andata. Gli spezzerebbe il cuore saperlo.”
“Primo;
io non mi comporto come un bambina, piuttosto è tuo fratello che si è
comportato come un vigliacco. Secondo non mi importa quando Elijah tornerà a
casa perché io con lui ho chiuso. Terzo, anche se per assurdo volessi essere lì
quando tornerà non potrei comunque perché non sono neppure negli Stati Uniti al
momento.”
“E
dove diavolo sei?”
“Non
vedo come la cosa possa riguardarti. Ora se vuoi scusarmi, devo andare. Ho
alcune cose di cui occuparmi.”
“Aspetta!”
esclamò Rebekah. “Sei sicura di non voler tornare? Io credo che dovresti… se
non per Elijah per un oggetto piccolo e brillante che di solito porti sempre al
collo e che Freya si è premurata di… trattenere in pegno per assicurarsi che
avessi un motivo per ritornare.”
Allison
si portò la mano al collo scoprendo che non aveva la sua collana; quella di sua
madre. Così abituata a portarla sempre e così furiosa quando se ne era andata
via non si era neppure accorta di non averla. “Manderò un corriere a
ritirarla.”
L’altra
rise. “Sì, come se la darò al tuo corriere.”
“Rebekah”
cercò di ragionare Allison. “Quella collana era di mia madre, è molto
importante per me.”
“E
sarà al sicuro con me. Fino al tuo arrivo… momento in cui te la renderò. Domani
Allison, domani.”
Riattaccò
e la cacciatrice fece un grosso respiro per riprendere il controllo. Rebekah
Mikaelson e la sua dannata testardaggine.
“Siamo
arrivati” la avvisò il tassista spegnendo il motore. “Vuole che la aspetti?”
Lei
sorrise porgendogli cento dollari. “No, ci vorrà un po’. La ringrazio e tenga
pure il resto.”
****
QUALCHE
ANNO PRIMA
“Allison
Morgan!” esclamò il dottor Goran in piedi nel centro della sala d’attesa piena
di gente.
“Sono
io” rispose qualcuno alzando una mano ma non lo sguardo, non subito almeno.
Quando lo fece però la garza le cadde di mano mentre si scontrava con due occhi
scuri che le erano familiari e che allo stesso tempo non conosceva.
“Incredibile” mormorò scuotendo poco il capo.
“Si
sente bene?” chiese il dottore con un sorriso. “Sembra che abbia appena visto
un fantasma.”
“Sì”
si affrettò a rispondere lei riprendendo il controllo. “È solo che lei somiglia
molto a qualcuno che conosco.”
“Oh”
sussurrò lui. “Spero qualcuno che le è simpatico.”
“Gli
sono molto affezionata” confermò Allison schiarendosi la voce. “È qui… per
sistemare la mia mano?”
“Esatto”
le disse l’uomo invitandola a seguirlo fino ad un lettino. “Sono il dottor Joel
Goran.”
“Lieta
di conoscerla. Senta,” gli disse la donna. “Se ha altre cose di cui occuparsi
faccia pure, ci sono casi più gravi di me e io posso aspettare.”
Joel
rise. “Il dottor Miller aveva ragione, lei è molto gentile.”
“Mi
chiami pure Allison, darsi del lei è…”
“Antico?”
concluse il dottore al suo posto. “Va bene, allora tu chiamami Joel.”
“Toc
Toc” Allison fece capolino nella stanza con la testa con un sorriso. Sorriso
che si spense non appena vide Joel seduto su una sedia a rotelle, lo sguardo
perso su un punto indefinito del pavimento di linoleum. Le servì un grosso
respiro e tanta forza di volontà per ristamparselo sul volto quando si voltò a
guardarla. Quando aveva saputo cosa gli era successo, prendere il primo aereo
era stata l’unica cosa che le era venuta in mente. Joel Goran era un brav’uomo,
meritava di meglio di quello che il destino gli aveva riservato.
“Che
io sia dannato…” mormorò lui guardandola, la barba incolta e gli occhi privi di
quella luce che di solito lo caratterizzava. “Allison Morgan, sei proprio tu?”
“In
carne ed ossa” lei entrò completamente e si richiuse la porta alle spalle.
“Cosa
ci fai qui? Sei venuta a vedere la mia tragica fine?”
“La
parola fine è per le persone che muoiono Joel” Allison tirò una sedia e gli si
mise a sedere davanti. “Tu non sei morto.”
“Sono
paralizzato Allison” l’uomo abbassò per un attimo gli occhi, poi li rialzò su
di lei. “Proprio io… che non sopportavo neppure di stare nella stessa stanza
per troppo tempo sono costretto su una sedia a rotelle per il resto della mia
vita. Sì, la parola fine mi si addice.”
Lasciò
cadere qualche lacrima che si affrettò ad asciugare con il palmo della mano ed
Allison non poté fare a meno di piangere insieme a lui. Come proprio lui fece,
però, si costrinse a riprendere il controllo. Tirò fuori dalla borsa una
fialetta e allungò la mano per porgergliela.
Lui
corrugò la fronte guardando il liquido rosso all’interno. “Cos’è? È… sangue.”
realizzò alzando gli occhi e fissandoli dentro i suoi. “Allison perché mi stai
dando una fialetta di sangue?”
“Voglio
che tu la beva.”
“Come
scusa?” Joel la fissò con sguardo perplesso e anche un po’ spaventato. “Sono
passati alcuni anni da quando ci siamo visti l’ultima volta, devi essere
impazzita nel frattempo.”
“Curerà
la tua schiena, potrai camminare di nuovo.”
“Come?”
“Non
ha importanza” Allison gli sorrise aprendo la boccetta. “Funzionerà e sarà
permanente. Te lo prometto.”
Joel
decise di fidarsi di lei. Non sapeva se per disperazione o reale fiducia… ma lo
fece.
****
Elijah
odiava quella sensazione che sentiva eppure non poteva fare a meno di provarla.
Rebekah gli aveva detto che era tutto in ordine ma non era mai stato possibile
parlare con Allison, nonostante avesse chiesto a sua sorella di passargliela al
telefono, nonostante avesse provato a telefonarle diverse volte. Era un brutto
segno, ne era sicuro. Non poteva biasimare la bella cacciatrice per essere
arrabbiata, perché era certo che lo fosse. Ne aveva tutte le ragioni e lui
avrebbe dovuto trovare il modo perfetto per farsi perdonare, se non voleva
perderla per sempre.
“Sei
pronto?” gli chiese Hayley distraendolo dai suoi pensieri.
L’Originale
annuì. “Prima di andare, volevo… ringraziarti per esserti offerta di partire
con me e assicurarti che stessi bene.”
L’Ibrida
si schiarì la voce. “Ma?”
“Prendersi
cura di qualcuno è una premura e un privilegio in qualche modo. E in quanto
tale dovrebbe spettare a…”
“Alla
persona che si ama di più al mondo” concluse Hayley per lui. “In questo caso
alla donna che ami di più e che non sono io.”
Elijah
rimase un attimo in silenzio, poi respirò a fondo. “Ti amo in un certo qual
modo e una parte di me ti amerà per sempre. Sei la madre di mia nipote e sei
parte della famiglia. Ma amo Allison di più, più di ogni altra cosa e voglio
avere il privilegio di prendermi cura di lei.”
“Allora
fallo Elijah. Anche una parte di me ti amerà per sempre, ma voglio che tu sia
felice, io lo sono… con Jackson.”
Il
vampiro respirò a fondo, poi fece un gesto lento col capo. “Andiamo a casa.”