I due Principi

di queenjane
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“Come vi chiamate?”

“Andres Fuentes, in russo Andrei"

“Avete un nome buffo”

“Mio padre era spagnolo, mia madre russa”

“ E che ci fate qui?” Andres fece appello a tutta la sua pazienza.
Il ragazzino petulante che gli si rivolgeva era il figlio dello zar di tutte le Russie, Nicola II, e si chiamava Alessio, alias zarevic e atamano di tutti i cosacchi e via dicendo. Nato nel 1904, a dieci anni dalle nozze tra Nicola e una tedesca, Alix von Hesse, dopo quattro figlie femmine, aveva una salute cagionevole.
Un eufemismo, il bambino era apparso ben di rado in pubblico, era sovente malato o indisposto, tanto che si vociferava che fosse epilettico, deforme o ritardato.

Per Andres, era normale, curioso e chiacchierone, sempre dietro agli adulti, almeno a giudicare da come gli si stava rivolgendo.

“Ci lavoro, il mio capo è il principe Rostov-Raulov” Ovvero un personaggio dai vari talenti, amico di gioventù di Nicola II, aveva fatto una strepitosa carriera nell’esercito, era membro della polizia segreta del regime, la terribile Ocharana, un Giano bifronte e Andres era tra i suoi migliori elementi, per non tacere del resto.

“ E che fate?”
“Di tutto un poco”  una cauta definizione, era un agente, un baro e una spia, un camaleonte, varie e poliedriche erano le definizioni che si prestavano, alcune gentili, altre meno, come per Rostov Raulov, R-R per gli amici.
Scapolo, libertino e gaudente, era di una spiccia saggezza, ben inserito, come la principessa Ella, sua sorella, la cui prima figlia, Catherine, alla francese era un intima amica delle figlie dello zar Nicola, specie della prima Olga.

Catherine. Quel nome, un palpito. Si concentrò sul ragazzino, domandandosi dove fossero le sue guardie del corpo, pardon infermieri che lo seguivano in ogni dove, due marinai che lo controllavano a vista, come due tate.
Mistero, magari li aveva seminati, non era di sua spettanza, e sarebbe stato idiota a trattare male il figlio dello zar. Poi, alla fine gli ricordava vagamente come era stato alla sua età, ansioso, teso e con grandi occhi.
“E ora?”

“Vado ad allenarmi ai bersagli, prego..” Andres rasentava il metro e novanta, aveva gli occhi verdi e quando voleva, aveva molto tatto, sapeva riconoscere la fame di attenzioni.   

“Vengo con voi”
Lo zar aveva assunto il comando delle truppe imperiali ed era a Mogilev,il quartier generale dell'esercito.

Il patriottismo più sfrenato aveva portato ad assaltare l’ambasciata tedesca della capitale, che mutò nome in Pietrogrado, molto più slavo,  ai concerti vennero espunti i musicisti come Bach e Beethoven, era stato abolito l’albero di Natale, che era una usanza teutonica.
Le ostilità erano iniziate il primo agosto 1914, ormai era trascorso un anno abbondante dal gioco di domino, un effetto catena delle alleanze e delle promesse
Una  guerra, rapida e vittoriosa, celere.
Doveva essere così.
Come no.

Erano cominciate le perdite, i lutti e i morti, mancavano le munizioni e i fucili, al principio del 1915 vi era tale carenza di cappotti, stivali e uniformi che i soldati erano costretti ad aspettare la caduta dei nemici per prendere le armi e  i cappotti e via dicendo.
Si parlava di corruzione e ammutinamento, di spie che ridicevano i piani, i primi a essere chiamati in causa la zarina e il suo starec innominato, ovvero Rasputin, lascivo, senza misura, spiato e che spiava.
Le truppe russe combattevano le forze della  Germania e dell’Austria Ungheria sul fronte orientale, patendo perdite immani.
Il generale Denikin, ritirandosi dalla Galizia, aveva scritto che l’artiglieria pesante spazzava via intere file di soldati, che i reggimenti erano finiti a colpi di baionette, che i ranghi dei soldati diminuivano e le pietre tombali si moltiplicavano. Chi sopravviveva, era a rischio per le infezioni  e chi non riportava lesioni fisiche aveva incubi duraturi.
Tra la primavera e l’estate del 1915, vi furono un milione e quattrocentomila tra morti e feriti, 976.000 i prigionieri.
E poi il 5 agosto era caduta Varsavia.
Ultimo omaggio della Grande Ritirata.
A quel punto lo zar aveva deciso di assumere il comando delle truppe, recandosi al quartiere generale di Mogilev, esautorando suo cugino, il granduca Nicola, già comandante supremo delle dette.
Un grave errore, che in caso di altre perdite, sarebbe stato associato ai disastri e, peggio ancora, lontano dalla capitale, la zarina avrebbe sparso i suoi malefici effetti, coadiuvata da Rasputin.
I tedeschi erano nemici, lei era la Nemka, l’infida, la tedesca, la spia di suo cugino Guglielmo, Kaiser di Germania.
Quella l’opinione accreditata, gli ambasciatori di Francia e Inghilterra avevano cercato di dissuadere Nicola II da quella determinazione, tutti i ministri del suo governo si erano dimessi per protesta e non era servito, che era lì.
Rasputin, che aveva combinato un altro dei suoi scandali, al ristorante Yar di Mosca, aveva importunato pesantemente un gruppo di donne, provocando una zuffa e, non contento, aveva urinato in pubblico. Alle rimostranze del gestore del locale, aveva ribattuto che era intoccabile, la vecchia (la zarina?) gli permetteva di fare tutto.
Pensava  a quelle cose,mentre il ragazzino lo seguiva.
Nel 1912 si era sentito male, lo davano per morto, ricordava i dispacci ufficiali, i giornali listati a lutto, poi si era ripreso, pareva per un telegramma consolatorio di Rasputin.
L’anno dopo avevano pubblicato un libro, "Behind the Veil of the Russian Court", asserendo che lo zarevic fosse malato di emofilia, morbo trasmesso dalla madre, che a sua volta lo aveva ereditato dalla propria genitrice, Alice, figlia della regina inglese Vittoria. Di sicuro erano emofiliaci due dei figli del re di Spagna, la cui moglie era una nipote della regina Vittoria.
La Corte dello Zar non aveva risposto, né in senso positivo o negativo a quella insinuazione.
Andres scrutò gli occhi azzurri dello zarevic, che ricambiò senza timore.
“Volete venire?”
“Sì.” Un soffio.
Che Dio sia con me, riflettè.
 




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