Comprensione
Il
sole era in procinto di cadere a ovest e il cielo cominciava ad
aranciarsi e ingiallirsi, perdendo gradualmente la sua colorazione
azzurra. Mari ormai allo stremo continuava però a correre
intorno al cortile, con sulle spalle uno zaino carico di mattoni. Una
punizione simbolica per permetterle di comprendere il peso che portava
sulle spalle, ma che al momento l'unica cosa che stava stremando era il
fisico. Ludwing la guardava e si assicurava che eseguisse gli ordini,
con ancora sul viso lo sguardo furibondo che aveva mantenuto tutto il
pomeriggio. Se c'era una cosa al mondo che detestava era proprio chi si
comportava stupidamente e Mari si era appena aggiudicata il podio nel
suo libretto dei nomi da ricordare e detestare. I respiri affannosi
avevano costretto Mari a tenere le fauci spalancate ormai da un po' e
l'aria stava cominciando a seccare così tanto la sua gola da
recarle dolore. Ogni muscolo bruciava e le spalle si sarebbero potute
spezzare da un momento all'altro per il peso che trascinavano e
sopportavano.
Ma
non fiatava e obbediva. L'aveva sempre fatto, certo non avrebbe smesso
in quel momento.
Alzò
lo sguardo, osservando l'entrata al canyon dove era stato allestito il
campo di addestramento e tenne gli occhi puntati ad essa, fintanto che
il giro non la costrinse a voltargli le spalle. Arrivò in
fondo al cortile e si voltò per cominciare un altro giro
ancora. Nuovamente gli occhi andarono all'entrata e lì vi
restarono fintanto che non fu costretta a voltarsi ancora una volta.
Trascinò il piede destro in avanti, ma non riuscì
a piantarsi a terra in tempo, troppo stanco ormai per star dietro al
suo passo, e Mari cadde a terra. Il peso dei mattoni contro la sua
schiena la fecero lamentare per il dolore e fu costretta a prendersi
qualche secondo, per aspettare che se ne andasse e potesse provare a
rialzarsi.
«In
piedi!» ordinò Ludwing. Mari poggiò i
palmi a terra e si sforzò di sollevare le ginocchia,
alzandosi piano piano.
«In
piedi!» gridò con più forza Ludwing e
digrignando i denti Mari riuscì finalmente a rialzarsi. Fece
due enormi respiri, riprendendo fiato, poi riprese a correre, o meglio:
a trascinarsi. Altri giri, altri tentennamenti e stava ancora una volta
per cadere a terra ormai stremata quando finalmente vide un carro
scendere lungo l'entrata che portava al cortile. Davanti e dietro di
esso Levi e tre reclute lo scortavano a piedi. Una di queste si reggeva
una mano con un fazzoletto insanguinato, ma nessun altro sembrava aver
riportato danni di nessun genere, tantomeno il carro.
Arrivati
nel cortile, i cavalli con il carico si diressero verso il magazzino
autonomamente e Levi si fermò invece a dare qualche
disposizione ai ragazzi che l'avevano seguito. Il ragazzo con la mano
ferita venne accompagnato in infermeria dai compagni e presto il
capitano fu di nuovo solo. Mari si portò le mani alle
bretelle dello zaino e cominciò a sfilarselo
frettolosamente, mentre i piedi la stavano già portando da
lui.
«Dove
credi di andare?» urlò Ludwing con tale forza da
far voltare perfino Levi, dall'altro lato del cortile. «Torna
immediatamente a correre!»
Mari
esitò, ma gli occhi erano ancora puntati su Levi, desiderosi
di raggiungerlo, ignorando ogni sorta di impedimento. Doveva parlargli,
aveva desiderato farlo per tutto il giorno e ora finalmente ce l'aveva
davanti. Intercettò il suo sguardo severo, che parve
indurirsi ancora di più non appena la vide. Era ovvio che
fosse ancora furioso con lei e questo spingeva la ragazza a desiderare
ancora di più un confronto.
"Ha
ragione Levi! Non hai disciplina!" rimbombò la voce di
Ludwing nella sua mente, ricordandosi della sgridata che aveva subito
quel pomeriggio. Davvero il capitano Levi pensava questo di lei?
Davvero la giudicava tanto male perché a volte faceva di
testa sua? Strinse le spalline dello zaino tra le dita,
abbassò lo sguardo corrucciandosi e infine riprese a
correre. Levi la squadrò qualche secondo, indecifrabile nel
volto, poi se ne andò, diretto al capanno di Keith per fare
rapporto.
Ancora
una volta lo vide passare poco dopo, diretto al suo casolare,
probabilmente per rinfrescarsi e cambiarsi, e ancora una volta non
poté raggiungerlo per colpa della punizione. Quando
finalmente Ludwing decise che era abbastanza e la lasciò
libera di riposarsi, il sole ormai era calato. Mari si
liberò velocemente del peso sulle spalle, sentendo
necessario prendersi qualche istante per godersi la bellissima
sensazione di leggerezza e libertà. Le spalle facevano un
male indicibile e le gambe non smettevano di tremare. Probabilmente ci
avrebbe pensato due volte, la prossima occasione, prima di fare
qualcosa di tanto folle davanti a un superiore. Era stato orribile e
non ne voleva più sapere di mattoni per un bel po'.
Corse
verso le mense, dove si stavano riunendo compagni e superiori per la
cena. Entrò, guardandosi attorno freneticamente, in cerca di
un volto specifico. Levi non era lì, ma arrivò
pochi istanti dopo, accompagnato da Erwin e Hanji. Mari
esitò di fronte a quell'espressione così dura:
saperlo furibondo con lei le faceva così male.
Nell'istante
in cui le passò davanti, senza degnarla di uno sguardo,
capì che non poteva far altro che tentare di avvicinarlo.
Allungò una mano nel vuoto, cercando di attirare
l'attenzione e chiamò: «Capitano Levi!»
Il
trio si fermò nel sentirla e sia Hanji che Erwin si
voltarono a guardarla, ma non Levi che invece si ostinò a
volgerle le spalle. Mari arrossì lievemente per l'imbarazzo
di dover tentare di parlargli di fronte agli altri due ufficiali, che
sembravano più interessati di quanto si fosse aspettata.
«Potrei
parlarle un minuto?» balbettò, abbassando lo
sguardo. Era così imbarazzante! Perché gli altri
due si ostinavano a guardarla in quel modo?
«Non
ora» rispose secco Levi e si allontanò. Hanji e
Erwin esitarono un istante, prima di seguirlo, lasciando sola la
ragazza con la sua delusione e il suo rammarico.
«La
poveretta ce la sta davvero mettendo tutta per riuscire ad attirare la
tua attenzione» ridacchiò Hanji, affiancando
l'amico.
«Questa
mattina era sveglia all'alba per fare esercizio» disse Erwin,
lanciando uno sguardo divertito a Hanji.
«E
subito dopo è andata a pulire le attrezzature»
annuì Hanji. «Non sarai un po' troppo duro con
lei?»
«Non
mi pare che il nostro addestramento sia avvenuto in un clima gioviale e
amichevole» rispose Levi, lanciando uno sguardo scocciato a
Hanji. «E comunque non sono affari che ti
riguardano» aggiunse, prima di sedersi al tavolo per mangiare.
Hanji
volse automaticamente lo sguardo a Erwin, cercando risposte o forse
conferma alle sue osservazioni. Ma il comandante al suo fianco non
sembrò trasmetterle niente, benché il suo sguardo
fosse vagamente divertito, forse soddisfatto. Come se capisse meglio la
situazione di quanto in realtà lo facessero gli altri.
Per
il resto della serata non venne più fatto cenno
all'argomento Mari e gli ufficiali si limitarono a discutere di lavoro
o di quanto quella sera la cena fosse particolarmente ricca, forse per
le scorte appena arrivate con successo.
Dall'altra
parte della sala, Mari era impegnata a giocherellare con una carota
galleggiante nel suo brodo, pensierosa. A ogni respiro che faceva
corrispondeva una fitta all'altezza delle spalle e del petto, ma dava
loro la minima importanza.
Un
paio di mani sottili si posarono su quelle spalle doloranti e fecero
una leggera pressione, muovendo le dita in senso circolare, e al tocco
Mari si irrigidì, mugolando di dolore.
«Ne
sei uscita viva per miracolo» disse Angelica alle sue spalle,
rivelando che fosse lei a tentare quel massaggio che in
realtà non faceva che peggiorare la situazione.
«Non ho mai visto l'istruttore Ludwing così
furioso, si può sapere che hai combinato?»
«Mi
sono buttata dalle mura per guardare i giganti da vicino»
disse Mari con voce rotta dal dolore. Angelica scoppiò a
ridere divertita, ma non disse altro, restando a guardare il volto di
Mari.
Solo
dopo pochi secondi di silenzio, strabuzzò gli occhi e
chiese: «Aspetta! Non era una battuta?»
«No,
l'ho fatto sul serio» disse Mari. La presa di Angelica sulle
sue spalle si fece più stretta e questo per poco non la fece
urlare.
«E
non ti hanno divorata?» chiese rauca.
Mari
restò inebetita a lungo, prima di dire con una strana
serietà: «Sì, dalla vita in
giù.»
«Sul
serio?» strillò Angelica, lanciandosi sotto al
tavolo per vedere personalmente il corpo sventrato di Mari. Si
rialzò con una strana delusione nel volto, quando
constatò che l'amica l'aveva solo presa in giro.
«Perché
l'hai fatto?»
«Non
lo so» sospirò Mari, allontanando il proprio
piatto da sotto al naso e accasciandosi al suo posto, avvolgendo la
testa tra le braccia. «Ma è stata la cosa
giusta.»
«Che
dici? Potevi morire!»
«Adesso
lo comprendo meglio» sospirò Mari, sollevando la
testa e poggiandola sulle braccia avvolte, così da non
sentire direttamente sulla pelle il ruvido e il freddo del legno.
Voltò la testa di lato, riuscendo a intravedere il capitano
Levi attraverso le ciocche smosse dei suoi rossi capelli.
«Comprendere
cosa?» chiese Angelica con curiosità, ma Mari
decise questa volta di non rispondere.
«Stasera
c'è la luna piena» mormorò tra
sé e sé, socchiudendo gli occhi in un sospiro.
Angelica non potè far a meno di farsi ancora più
domande, ma a malincuore si rese conto che avrebbe dovuto aspettare per
avere delle risposte. La sua amica sembrava essersi appisolata.
NDA.
Era
da un po' che non ne scrivevo uno. Come avete potuto intuire dalla
sporadica presenza che ho mostrato negli ultimi tempi, questo
è stato un periodo particolarmente difficile per me e
riuscire a pubblicare con puntualità non è stato
semplice (tant'è che non sempre lo facevo...).
Volevo
solo chiedere scusa per la semi assenza dimostrata ultimamente,
rinnovare la speranza di riuscire a riprendermi presto e tornare attiva
come sempre e ringraziare soprattutto chi ancora legge la storia di sta
poveraccia di Mari xD
Il
prossimo capitolo si intitolerà "Erwin
Smith"
e sarà un altro tuffo nel passato... A voi le supposizioni
su ciò che accadrà :P. Io non accenno altro ehehe
Vi
aspetto!
Cià
cià!
Tada
Nobukatsu-kun
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