Can't wait to go home.
1.
Tasted the sweet perfume of the
mountain grass.
Prompto
non s’era accorto di nulla. Quando s’era svegliato s’era guardato intorno con
un misto di sorpresa ed ingenuità, chiedendosi come fosse finito a dormire
sotto le stelle: ricordava perfettamente di aver preso camera in un motel poco
distante da Altissia…
Si
guardò intorno, distendendo i muscoli delle braccia e quelli delle gambe con
qualche esercizio. Lo stava facendo più per abitudine che per un reale bisogno:
stranamente, a differenza delle volte in cui dormiva in tenda, non sentiva
dolore, non aveva la schiena a pezzi e nessun arto tirava in modo particolare
per una qualche strana posizione in cui aveva dormito e che il terreno duro
aveva accentuato.
Si
sentiva, invece, riposato e tranquillo, sebbene fosse nel bel mezzo di una
caccia, sebbene dormire in tenda non gli permettesse di riposare quanto avrebbe
voluto. Prese un grosso respiro e accese il fuoco: quando cacciava da solo non
aveva il lusso di poter avere una colazione degna di quel nome, quindi riscaldò
una confezione di nuddles che aveva portato con sé e
mangiò in silenzio – poteva quasi sentire la voce di Ignis rimproverargli una
scelta così poco salutare a quell’ora della mattina e ridacchiò, ricordando
quanto fosse buono tutto ciò che preparava lui.
Andare
a caccia con Ignis gli mancava. E gli mancava anche la voce grossa di Gladio,
ad essere sincero, ma ormai erano pochissime le missioni che accettavano
insieme. Se avesse dovuto dare una risposta sincera, Prompto non avrebbe saputo
dire perché loro tre avessero smesso di vedersi tanto spesso: da quando la luce
era tornata e l’Impero era stato praticamente stroncato, anziché restare più
uniti s’erano persi di vista, come nei dieci anni in cui avevano atteso il
risveglio di Noctis.
Le
poche volte in cui si vedevano, pareva che il tempo non fosse passato dal
momento in cui il principe aveva sconfitto Ardyn e
ripreso la Cittadella: parlavano e scherzavano quasi si fossero lasciati la
sera precedente; poi, però, passavano anche mesi prima di vedersi ancora. Era
semplicemente diventata una routine quella, e per quanto a Prompto non
piacesse, forse alla fine era arrivato ad accettare che le cose stavano così
adesso, che non c’era possibilità di tornare indietro, a quando non avevano
barbe o cuori infranti.
Sospirò
– non era da lui lasciarsi andare a tanta malinconia, e dopotutto non ne aveva
motivo: il Regno era sempre più prospero, il nuovo Re pareva aver intrapreso il
giusto cammino ed era amato dal popolo – che comunque non dimenticava Noctis o Lunafreya – quindi poteva dirsi soddisfatto. Restavano le
caccie, restavano dei manipoli di soldati dell’Impero, restava la sensazione
che i demoni non fossero stati del tutto sconfitti e anche a distanza di anni
ormai nessuno era disposto ad abbassare la guardia. Ma Prompto poteva dire di
aver visto giorni peggiori e ringraziare per quella tranquillità.
Quando
ebbe sistemato l’attrezzatura da campo, qualcosa nello scenario che aveva
davanti tornò ad infastidirlo. Non si trattava più solo di essersi sbagliato
riguardo a dove aveva deciso di dormire; ora più fissava la sua tenda e la sua
sedia pieghevole, più si chiedeva come fosse arrivato lì con tutta quella roba.
Da qualche tempo, aveva preso a muoversi in motocicletta: gli piaceva la
sensazione di adrenalina che gli dava la velocità e trovava che fosse molto più
comoda di una macchina. Ma proprio per questo, portarsi dietro una tenda era
diventato problematico e sempre più spesso, quando doveva stare fuori più
notti, cercava una camera nella città più vicina.
Prompto
si guardò intorno – ad ogni modo, che fine aveva fatto la sua moto? Sospirò,
lasciando cadere a terra tenda e sedia. Dannazione,
Argentum, che diavolo hai bevuto ieri sera?
Possibile che non ricordasse nulla di quella situazione? La cosa stava
cominciando a prendere una piega stranamente seria ed un brivido gli percorse
la schiena scuotendolo.
«E
dire che, alla fine, credevo fossi il più intelligente tra di noi».
La
voce lo prese alle spalle e lo fece sussultare. Prompto rimase fermo sul posto
per qualche istante, congelato, senza riuscire a muovere un muscolo.
No, pensò, chiudendo gli occhi. Non è possibile. Sto perdendo la testa.
«Anni
che non ci vediamo e neanche la più piccola delle reazioni? Sono ferito».
No, vattene vattene,
per favore… Noct.
Perché
la voce che sentiva, la voce alle sue spalle che gli parlava con tranquillità e
confidenza, era quella del Principe Noctis. Ma era assurdo, impossibile: Noct
era morto anni prima, s’era sacrificato perché la luce tornasse, aveva
sconfitto Ardyn e i demoni, non c’era alcuna
possibilità che fosse lì con lui.
Prompto
lo aveva sognato. No, a voler essere precisi lo aveva visto, più di una volta,
ed aveva sentito la sua voce. Era stato subito dopo la sua morte ed era
continuato per mesi, forse un anno intero: quando era solo, quando stava male,
ecco che Noct gli faceva visita e lui gli parlava come fosse ancora lì, come se
non se ne fosse mai andato. Lo aiutava a superare il dolore che sentiva, lo
aiutava a far pace con tutto quello che era successo in quegli anni, con tutto
ciò che aveva visto. Quando anche Ignis o Gladio lo lasciavano dietro, Noctis
era lì; quando Prompto si sentiva solo e non aveva il coraggio di chiamarli,
Noctis era la presenza che lo teneva in piedi.
Il
primo a rendersene conto, ovviamente, era stato Ignis: gli era bastato uno
sguardo per capire che qualcosa in Promtpo non
andava. Farlo parlare, ovviamente, era una questione completamente diversa e
Ignis non era il tipo di persona da invadere la privacy altrui con tanta
facilità. Gladio, ad ogni modo, aveva un concetto completamente diverso di
privacy ed era bastato mezzo commento di Ignis perché si sentisse autorizzato a
mettere Prompto con le spalle al muro.
«Non
ti dirò di smetterla», aveva detto, dopo la confessione del biondo ed un lungo
silenzio, Ignis, sedendosi e sospirando «Perché capisco come ti senti e quanto sia difficile. Solo… non perdere
contatto con la realtà delle cose. Tu sai
che cosa è successo al principe: figurarlo ancora accanto a te non cambierà le
cose».
Da
quel momento, Noctis era apparso a Prompto sempre più raramente. E Prompto
aveva odiato Ignis e Gladio con tutta la forza della disperazione: perché non
riuscivano a starsi accanto di più, perché s’erano ridotti così eppure, allo
stesso tempo, le loro parole avevano ancora valore di verità assoluta per lui;
perché era bastato un unico confronto con loro e le sue fantasie erano state
distrutte.
Col
tempo s’era abituato a fare a meno di quella presenza – alle volte l’aveva
mandato via, piangendo, altre volte era stato in grado di fermare la propria
mente prima che Noct comparisse. Altre volte lo aveva accolto ed era rimasto
con lui. S’era reso conto, alla fine, che quello era il suo modo per dirgli
addio: sebbene quando lo aveva salutato sui gradoni della scala, sotto la
pioggia, fosse stato consapevole di quello che sarebbe successo, Promtpo aveva semplicemente avuto bisogno di un po’ più di
tempo per salutarlo, anche se solo nella sua mente.
Quindi
perché ora, dopo anni, era tornato? Perché stava sentendo di nuovo la sua voce?
Faceva male, doveva ammetterlo; faceva male come avevano fatto male le parole
di Ignis, come aveva fatto male il modo in cui Gladio lo aveva preso per le
spalle, scuotendolo, e dicendogli che semplicemente doveva smetterla prima di
impazzire del tutto.
«Possibile
che tu non abbia ancora capito?». C’era una strana nota nella voce di quel
Noctis, un misto di tristezza e gioia, qualcosa che nella sua voce aveva
sentito solo alla fine, solo quando aveva accettato il suo destino.
«Credevo
di aver smesso di sentirti, Noct».
Prompto non si era ancora voltato, non voleva.
«Sì,
avevi smesso».
«Quindi
perché-».
Oh.
D’un tratto tutto fu chiaro a Prompto. Perché se aveva smesso di vedere Noctis
da vivo…
«Sono
morto, non è così?».
Non
fu triste chiederlo quanto fu strano: avere consapevolezza della propria morte
era qualcosa che Promtpo non aveva mai immaginato, su
cui non si era mai interrogato davvero. Parlavano di una vita dopo la morte,
una vita in cui si raccoglieva ciò che si aveva seminato nella precedente, in
cui gli dei dispensavano doni o maledizioni, ma Prompto non aveva mai davvero
creduto che qualcosa lo aspettasse dopo la morte; piuttosto, aveva sempre
pensato ad essa come alla fine di ogni cosa, semplicemente il nulla e questo lo
aveva sempre terrorizzato.
Dopotutto,
esisteva davvero un posto dove andare per uno come lui?
«Stavi
cacciando. È successo così velocemente che quasi non te ne sei accorto».
«E
quella bestia è ancora viva?».
Noctis
sorrise – era davvero questa la prima domanda che voleva fargli?
«Puoi
voltarti, sai? La terra non crollerà sotto i tuoi piedi: qui sei al sicuro,
Prompto».
Qualcosa
in quel tono di voce avrebbe voluto far gridare. No, no, era tutto sbagliato,
era tutto confuso, non c’era nulla di sicuro in quel momento, in quella scena,
in Noctis. Perché gli parlava in quel modo? Con quella calma e quella dolcezza
e quell’affetto e quella saggezza e- Dei, si sentiva male a pensarci.
«Non
posso stare qui, Noctis. Mandami via».
Quando
aveva preso a piangere? Non se n’era accorto finché non aveva parlato, finché
le parole non avevano sciolto le lacrime, lasciandole cadere lungo le guance e
poi sull’erba che aveva sotto i piedi. Tremava, improvvisamente invaso da una
tristezza opprimente, da un dolore soffocante che lo stringeva all’altezza del
collo. No, no, lui non doveva essere lì, non doveva, non poteva.
«Mandarti
via? Io ti stavo aspettando…». Anche nelle parole di Noct qualcosa s’era
incrinato.
Ignorò
la volontà di Prompto di non guardarlo e lo superò per metterglisi davanti: il
suo migliore amico, il ragazzo che conosceva dal liceo, anzi dalle elementari,
era finalmente davanti a lui e gli appariva semplicemente distrutto. Noctis si
chiese se fosse questa l’espressione che aveva, la condizione in cui era
l’ultima volta che s’era seduto attorno al fuoco con i ragazzi, prima della
battaglia: percepiva lo stesso sordo dolore di qualcosa di inevitabile e tante,
tantissime cose non dette.
«Non
posso stare qui, Principe, non è il
mio posto».
«Credi
che qui conti se sei un principe o un semplice ragazzo?». Era questo a
disturbarlo tanto? E da quando?
«Conta
se sei umano».
Noctis
sussultò: la voce di Prompto era triste come quando gli aveva rivelato di non
essere umano, di essere in qualche modo legato ai Magitek,
di essere nato nella base dell’impero, a Gralea, di
essere un esperimento. Ora come allora, il ragazzo stringeva con una mano il
polso su cui un codice a barre marchiava per sempre la sua esistenza. Oh,
bellissimo, dolcissimo, fragile Prompto, quanti anni erano passati da allora? E
quanto ancora tremava, quanto ancora era vinto dall’insicurezza?
Si
lasciò cadere a terra Prompto, crollando sulle ginocchia e Noctis seguì con il
corpo la sua stessa traiettoria, avvicandosi a lui,
stringendolo infine tra le sue braccia. Gli era mancato, gli era mancato più di
quanto avrebbe pensato, più di quanto avesse mai potuto concepire quel
sentimento. Gli era mancato e lo aveva atteso.
«Sei
una delle persone migliori che conosca, Prompto Argentum
e non permetterò mai a nessuno di dire il contrario, neanche a te. Sei dove
meriti di stare e, per gli Dei, ti ho
atteso così tanto».
Il
ragazzo alzò la testa a guardare l’amico, senza più timore di mostrare il suo
viso bagnato; quanto era bello Noctis: ora che lo guardava davvero per la prima
volta dalla sua morte, poteva vedere i capelli lunghi che davano fierezza al
suo viso, reso più sottile dagli anni e senza barba; lo sguardo fiero e dolce,
gli occhi brillanti e vivi. Pareva un miracolo e allo stesso tempo era la cosa
più reale che Prompto avesse mai visto. E gli era mancato, gli era mancato come
può mancare l’aria dopo un’immersione più lunga del previsto. Come al Regno era
mancata la luce.
«Posso
restare con te?», gli chiese con voce sottile, con timore, con speranza.
Noctis
gli scompigliò i capelli con una mano, come facevano da ragazzi e rise.
2.
Miss the way you make me feel.
Gladio
lo aveva capito da subito. Probabilmente, aveva capito che sarebbe successo dal
momento in cui aveva ricevuto il colpo, dritto all’addome, che lo aveva fatto
crollare a terra. Lo aveva sentito in
qualche modo e sebbene la sua indole e il suo ruolo lo avessero spinto a
lottare, una parte di lui aveva pensato che quella era la fine.
Non
ne era sorpreso, in fondo. Sapeva da sempre in che modo sarebbe morto. L’ultima
cosa che ricordava era Ignis, al suo capezzale – era stato fortunato, perché
erano riusciti a portarlo in città e Ignis, in quel periodo, era spesso alla
Cittadella. Probabilmente era corso da lui non appena aveva saputo, forse per
rimediare al modo in cui Prompto era morto, anni prima. Da solo.
Lo
aveva guardato, ne aveva appena distinto i contorni a causa della vista
appannata ed aveva semplicemente sussurrato che lasciava il resto a lui. Il
resto del Regno, il resto del Re, il resto della vita. Il resto del passato.
Poi
era stato buio. Buio ed inconsapevolezza.
Quando
Gladio aveva finalmente scorto qualcosa, non s’era illuso per un solo momento
che fosse stato un sogno, che in realtà stesse bene. Aveva semplicemente
accettato il fatto di essere morto e che quello che aveva davanti, qualunque
cosa fosse, doveva essere ciò che c’era dopo la morte. Gli dei erano stati
clementi con lui? Se lo chiedeva, mentre muoveva i primi passi intorno a ciò
che lo circondava.
Riconobbe
quasi subito il posto: la palestra in cui si allenava quando era alla
Cittadella, la palestra in cui aveva allenato anche Noctis quando, da piccolo,
gli era stata affidata la sua custodia e difesa. Erano anni che non la vedeva,
non così piena di luce e tranquilla, come quando la usava per schiarirsi le
idee e restare da solo. Certo, c’era stato di recente per tenersi in allenamento,
dopo aver compiuto il giuramento ed essersi legato al nuovo Re della famiglia
Lucis Caelum come suo scudo – un compito che portava
avanti come ultimo erede degli Amicitia, sebbene la
successione si fosse spostata ad un ramo collaterale della famiglia reale; un
ruolo che ora sarebbe spettato ai figli di Iris.
Eppure,
qualcosa in quella stanza gli ricordava il tempo passato con Noctis – non era
diversa per qualche oggetto nello specifico, non poteva dire con sicurezza che
quella stanza appartenesse a quel preciso passato per un motivo evidente,
eppure non aveva nulla del nuovo Re ed ogni cosa gli ricordava il principe.
«A
quel tempo, tu mi odiavi».
La
voce di Noct lo fece sorridere.
«A
quel tempo eri svogliato e lento ad imparare. Non ci mettevi impegno».
Gladio
si voltò a guardarlo e sentì una morsa stringergli il petto: quanto tempo era
passato? Quanto lo aveva fatto attendere? Uno scudo non avrebbe mai dovuto
allontanarsi tanto da ciò che difendeva.
«Però
alla fine sono venuto su bene, no?».
Gladio
non era tipo da piangere con facilità. O almeno, gli piaceva pensare che la sua
forza fisica fosse anche emotiva, che i suoi muscoli potessero tornargli utili
anche quando aveva il cuore gonfio di dolore e gioia, anche quando le lacrime
minacciavano di scendere lungo le guancie barbute senza alcun pudore. Ma la
realtà Noctis la conosceva bene ed era che Gladio lo aveva amato profondamente,
per cui non fu sorpreso di vederlo piangere. Anche a lui era mancato molto.
«Forse…»,
disse quello «Forse se avessi saputo che eri ad aspettarmi, sarei morto prima».
La voce era più profonda del solito, sporcata dal groppo che era salito alla
gola, strozzata dalla difficoltà che provava nel far uscire le parole.
Noctis
sapeva come si sentiva: era la stessa sensazione che aveva provato l’ultima
volta che erano stati tutti e quattro attorno al fuoco. Essere sopraffatto da
quello che si provava a tal punto da non sapere come esprimerlo, da rendersi
conto che non esistevano parole in lingua umana abbastanza grandi da contenere
tutto.
Gli
si avvicinò con lentezza e solennità. Gladio poté guardare il Re che era
diventato con orgoglio. Si fermò ad un passo da lui, così vicino che Gladio non
poté staccare gli occhi dai suoi: in quegli occhi c’era ancora qualcosa del
ragazzo che era stato, della gioia che aveva provato a viaggiare con lui e con
gli altri, della bellezza del loro legame.
«Non
avrei mai voluto che la tua vita durasse meno di quanto è durata. Ti avrei
aspettato comunque, ti avrei aspettato anche se avessi protetto i prossimi tre
Re di Lucis», disse Noctis con solennità e Gladio lo strinse a sé – i loro
abbracci forse erano stati rari in vita, ma gli Dei sapevano quanto Gladio
avesse atteso quel momento, quel contatto.
«Non
ci sarebbe mai stato un Re che avrei voluto proteggere quanto ho voluto
proteggere te, Noctis Lucis Caelum. E se avessi
potuto… se avessi potuto prendere sulle mie spalle il fardello che era stato
posto sulle tue, lo avrei fatto. Ti avrei protetto come avevo giurato di fare,
fino alla fine dei tempi».
Noctis
s’era aggrappato alla giacca della divisa dell’amico e per un attimo era
tornato ragazzino: stava in quelle forti braccia che avrebbero voluto
difenderlo da qualunque condanna o maledizione, da qualsiasi cattivo destino e
si sentiva finalmente a casa, a casa davvero. Capiva, ora più che allora, ciò
che Gladio provava, capiva perché lo aveva spinto sempre in avanti, perché
aveva cercato di essere forte per lui e allo stesso tempo di renderlo forte, di
scuoterlo, di farlo camminare a testa alta.
Gladio,
da parte sua, realizzava davvero solo in quel momento cosa era successo negli
anni in cui era sopravvissuto a Noctis: non aveva vissuto appieno. Aveva
continuato a lottare, aveva continuato a servire la famiglia reale, aveva
continuato ad amare Ignis e Prompto e le volte in cui era con loro le cose
sembravano quasi essere completamente
a posto. Eppure, mentre stringeva a sé il suo principe, si rendeva conto che
non sarebbe mai dovuto sopravvivere a chi doveva proteggere, che la sua era
stata sopravvivenza senza una vero scopo.
«Credi
che gli Dei saranno clementi con me?».
Noctis
ruppe l’abbraccio per poter guardare Gladio negli occhi: non capiva quella
domanda.
«Temi
il loro giudizio?».
«Temo
che non sarei in grado di separarmi nuovamente da te, Noctis. Non adesso, non
per sempre». Gladio avrebbe davvero voluto sembrare più forte, più duro, ma non
riusciva a trattenere ciò che provava.
Si
schiarì la voce e si mise dritto, col petto in fuori e le gambe tese – se
glielo avesse ordinato Noctis, tuttavia, sarebbe andato anche all’Inferno.
«Sono
contento di non essere stato l’unico ad essere confuso su questo punto».
La
voce allegra di Prompto spezzò la solennità di quella scena: il ragazzo era
stato a guardarli da lontano, in un angolo della stanza, senza essere notato –
aveva voluto concedere ai due amici tutto il tempo che il loro incontro
richiedeva, perché sapeva che cosa avrebbero provato non appena si fossero
rivisti.
«Dovevo
immaginarlo che fossi qui anche tu, ragazzino», lo salutò Gladio, guardandolo
al di sopra della spalla di Noctis.
«Credevi
di esserti liberato di me?». Nonostante fosse arrivato da tempo, Prompto non
aveva perso l’allegria o lo spirito che lo avevano caratterizzato in vita.
«Credevo
avresti tormentato i miei sonni».
Gladio
ricordava il giorno in cui aveva avuto notizia della morte di Prompto. Era
stato Ignis a parlargli – aveva chiesto che fosse lui a riferirgli una cosa del
genere e Gladio lo aveva apprezzato, perché Ignis aveva un tatto particolare
quando parlava con affetto, non era né troppo sentimentale né troppo diretto e
sempre sempre
gentile. Erano rimasti da soli e Ignis gli aveva raccontato di come un
cittadino di Altissia lo avesse trovato e portato alla città, di come subito le
autorità lo avessero riconosciuto ed organizzato il trasporto alla capitale per
i funerali.
Gladio
aveva pianto ed aveva gridato – Prompto era morto da solo, come Noctis. Di
nuovo, erano stati in grado di lasciarsi nei momenti di maggiore bisogno. Ignis
aveva annuito con colpevolezza, gli aveva messo una mano sulla spalla e gli
aveva chiesto di tenerlo informato su ogni sua futura missione. Da quel
momento, loro due s’erano riavvicinati. Ma Prompto era morto da solo e Gladio
non sapeva darsi pace: lo stesso dolore e la stessa assenza che aveva sentito i
giorni dopo la morte di Noctis, erano tornati a tormentarlo e neanche i
massacranti allenamenti in palestra riuscivano a distogliere la sua attenzione
dal fatto che si sentiva nuovamente responsabile. Si era sentito responsabile
per la ferita di Ignis, per la sua cecità e in qualche modo anche per la morte
di Noct. Ora si sentiva responsabile per quella di Prompto, per non essere
stato con lui, per essere sopravvissuto ad un altro dei suoi fratelli.
«Ti
ho visto», confessò il biondo, avvicinandosi «Ed avrei voluto confortarti…».
Gladio
gli sorrise: anche in quel momento, Prompto manteneva qualcosa di terribilmente
innocente e puro, qualcosa di umano che non credeva possibile trovare ancora,
nei suoi occhi, in un posto del genere.
«Quindi?
Siete le mie guide? Ci sarà… un giudizio degli Dei? Una sentenza?».
Prompto
guardò Noctis senza sapere che cosa dire – cercò di non essere tanto divertito,
perché percepiva l’insicurezza e l’irritazione dell’attesa nella voce di
Gladio.
«Sì,
siamo le tue guide, ma c’è già stato un giudizio. È stato difficile da far
capire a Prompto e vedo che anche con te non è la più semplice delle cose.
Questo… questo è il posto che gli Dei hanno designato per noi».
«La
Cittadella?».
«A
te è andata bene, il mio posto era la terra brulla fuori Altissia!», si finse
seccato Prompto, incrociando le braccia.
«Imparerai
col tempo che cosa significa, Gladiolus Amicitia. Ciò che conta è che siamo insieme. Non hai nessun
posto dove andare, dove io debba
mandarti. Sei il mio scudo, dopotutto, non è così?».
Gladio
aveva sperato in quella riposta più di quanto fosse in grado di ammettere a se
stesso. Il modo in cui Noctis col tempo gli aveva rubato il cuore e lo aveva
legato a sé era qualcosa che nessun giuramento avrebbe mai racchiuso, nessun
patto avrebbe mai messo per iscritto. Era un amore sincero ed incondizionato,
probabilmente la parte migliore di se stesso.
Forse
poteva capirlo, quel giudizio degli Dei. Dopotutto, gli Amicitia
erano stati da sempre legati ai Lucis Caelum e forse,
in quel posto, suo padre era ancora al fianco del Re Regis,
come era stato in vita.
Per
quel che riguardava lui, non avrebbe potuto chiedere qualcosa di migliore.
3.
On my way, driving at ninety.
Ignis
non era sorpreso: sognare era qualcosa che gli capitava più spesso di quanto si
sarebbe creduto e nei sogni poteva ancora vedere – aveva vissuto per più di
vent’anni in un mondo fatto di forme e colori e sebbene fossero tanti anche gli
anni che aveva passato nell’oscurità quasi totale, quando dormiva e gli Dei gli
permettevano di sognare, poteva ancora accarezzare con gli occhi ciò che lo
circondava.
Non
era neanche sorpreso dal fatto che stesse guidando: aveva passato molto tempo a
farlo, prima di perdere la vista e gli piaceva molto – non era la prima volta
che nei sogni si metteva alla guida di qualche vettura e girava tra le strade
di Lucis fino ad uscire dalla città e perdersi nelle vie di campagna.
Ad
essere strano era che stesse guidando la Regalia. Nelle volte che sognava di
essere al volante di qualche vettura, raramente compariva la vecchia Regalia:
non avrebbe saputo spiegarsi il perché, ma quella macchina era stata tanto
importante nella sua vita quanto assente dai suoi pensieri mentre dormiva e
avere il suo volante tra le mani portava ad Ignis una sensazione strana, un
agrodolce che non voleva sentire, almeno non nei suoi sogni.
Perché,
a ben pensarci, la vita di Ignis era stata tutta un continuo sapore di
agrodolce, di belle esperienze dagli esiti tristi, di persone che aveva amato e
perduto. Ignis si sentiva solo, solo come non era mai stato, come non aveva
pensato di essere neanche quando il mondo s’era ridotto a gradazioni di
oscurità. Da quando anche Gladio lo aveva abbandonato, non era stato più se
stesso e se prima, esternamente, sarebbe potuto apparire solo più freddo di un
tempo, ora cominciava a trascurarsi, ad essere stanco.
Fermò
la macchina e scese – era notte, pioveva, e la luna non sembrava aver la forza
di trapassare le pesanti nuvole che riempivano il cielo. Ad Ignis ricordò la
notte in cui era finito tutto, la notte più lunga della sua vita. Lasciò che la
pioggia lo bagnasse: sembrava tutto così vero, così reale che anche la sua
malinconia si fece forte. Nei sogni scappava, Ignis, nei sogni cercava la pace,
eppure in questo sogno non c’era altro che la realtà della sua vita. E nessuna
pace.
Ma è più di questo…
Sì,
sì era più di questo. La voce di Noctis sussurrava qualcosa nella sua testa che
Ignis già sapeva. Probabilmente se n’era reso conto quando aveva fermato la
Regalia. Non era un sogno – era tutto troppo brillante, troppo statico e troppo
logico per essere un sogno.
Quindi cosa farai?
«Ho
qualche scelta?». La morte andava accettata a prescindere, a priori. Non c’era
certamente possibilità di replica ad essa e Ignis lo aveva imparato a sue
spese, quando era rimasto solo. Quello doveva essere il suo posto: una
interminabile notte buia e piovosa, in compagnia della sua solitudine e del suo
dolore, lui che non aveva mai dato impressione di essere infastidito da quella
vita vuota, lui che in fondo s’era fatto sempre bastare poco.
«Ma
questo è troppo poco», sussurrò – oh,
era stanco, così stanco di perdere. Anche nella morte gli pareva di aver perso
qualcosa.
Allora smettila. Sta a te…
Ignis
sbarrò gli occhi – il dolore divenne fisico e poi si trasformò in un grido che
salì lungo la gola fino alle labbra. Doveva ribellarsi? Ribellarsi alla morte?
…Non ci si poteva ribellare alla morte, Noctis
– e per che cosa poi? La sua vita era misera in ogni caso. La morte sarebbe
stata semplicemente misera in eterno.
Ignis
non era tipo da lamentarsi; Ignis sopportava, metteva sempre le esigenze degli
altri e la logica davanti a ciò che provava. Ignis non era solito commiserarsi,
non era solito piangersi addosso, non era solito arrendersi. Il tempo gli aveva
fatto più male di quanto avesse pensato. Il tempo lo aveva corroso da dentro e
di lui restava solo uno scheletro. Uno scheletro senza forza che si
commiserava, che-
L’uomo
trasse il fiato e guardò davanti a sé. Il profilo oscuro di Lucis si illuminò
improvvisamente di un bagliore azzurro, un bagliore che poteva provenire da un
solo posto.
«La
Cittadella».
Noctis…
Ignis
salì in macchina e si sentì vivo come non era stato da anni. Quel bagliore, il
bagliore del cristallo, poteva significare solo una cosa: Noctis era lì, Noctis
in qualche modo era riuscito ad entrare nel suo sogno, nella sua vita dopo la
morte. E Ignis avrebbe guidato come mai nella vita per l’occasione di vederlo
ancora una volta, anche solo per qualche istante.
La
strada era oscura, tutto sembrava farsi sempre più oscuro ed Ignis aveva paura
di star diventando ancora una volta cieco – la sua ribellione gli sarebbe
costata la vista? Noctis gli sarebbe costato di nuovo la vista? Tuttavia non gli importava: doveva andare da
lui, doveva raggiungerlo e capire, sentirlo e stare di nuovo bene. Gli era
mancato – gli era mancato nei dieci anni in cui erano stati separati, gli era
mancato negli anni successivi alla sua morte e ancora di più quando era rimasto
solo. Aveva sempre immaginato che avrebbe finito la sua vita accanto a lui,
come suo consigliere, come era sempre stato: Ignis non era fatto per restare da
solo.
Quando
entrò nella capitale, il bagliore del cristallo divenne più forte, la sola luce
nell’oscurità di ciò che lo circondava – Ignis si avvicinò come una lucciola
che si avvicina alla calda lampada, a rischio di scottarsi ma con la necessità
di vederla da vicino.
Scese
dalla Regalia e fu ai piedi delle scale su cui aveva visto il principe, il Re,
per l’ultima volta. Ora come allora, il suo cuore era gonfio di gioia e dolore,
gli abiti appesantiti dalla pioggia.
«Ci
hai fatto aspettare».
La
sua voce era bella come la ricordava, forte come era diventata quando Noct era
assunto al suo ruolo di salvatore e appena sporcata da una tonalità di
confidenza.
«Non
che lo volessi», sussurrò in risposta, in un dejà vu al contrario che gli
strappò un sorriso.
«Ti
stavamo per perdere».
Noctis
era comparso davanti a lui, scendendo lentamente i gradini: il mantello regale
che gli copriva le spalle dava fierezza e formalità ai suoi movimenti, così
come i tratti decisi del viso che aveva perso ormai la dolcezza dell’età
infantile – dopotutto, non aveva alcun ricordo dell'aspetto di Noctis da adulto, sicché
Ignis poteva vederlo davvero ora per la prima volta. E lo trovo bellissimo.
«Perdermi?».
«Ti
eri fermato. Non potevo raggiungerti». La voce di Noctis pareva preoccupata, ma
Ignis faticava a capire che cosa avesse fatto di sbagliato o tale da causare
paura nel Re.
«Ci
siamo passati tutti, in fondo».
La
voce di Prompto lo sorprese e distolse momentaneamente l’attenzione da Noctis e
da tutto quello che rappresentava. Era comparso dietro il Re, accompagnato
dalla grossa figura di Gladio, entrambi in uniforme regale, entrambi fieri come
nella notte in cui tutto era finito. Ignis non se n’era ancora accorto, ma
anche lui aveva la stessa divisa di allora.
«In
un modo o nell’altro, ci siamo chiesti se fosse davvero questo il posto in cui
eravamo destinati a stare», continuò Gladio, fermandosi accanto a Noctis.
«Tu
però ti stavi arrendendo prima ancora di farla, quella domanda», anche la voce
di Prompto sembrava triste, come in poche altre occasioni era stata. Ignis
cominciava a capire.
«Se
mi fossi arreso… sarei stato perso?».
Ignis
non era morto durante una caccia. Ignis non era morto per una ferita al petto.
Ignis s’era spento lentamente, consumato dalla vita. S’era lasciato morire –
semplicemente, aveva smesso.
«Saresti
semplicemente finito. Nessuna esistenza, nessun’anima dopo la morte. Ho
aspettato tutti voi per così tanto tempo, ma non riuscivo a raggiungerti, Ignis
– ho dovuto farmi vedere in un altro modo».
Ignis
sapeva che la luce del cristallo era quella di Noctis, l’aveva seguita per
questo. Si chiese, mentre fissava i suoi fratelli, perché avesse deciso di
arrendersi, perché si fosse sentito tanto solo e disperato anche nella morte.
Forse per lo stesso motivo in cui aveva sempre cercato di non dar problemi, di
non essere un peso, di essere ligio al dovere e far venire se stesso come
ultimo. Per lo stesso motivo per cui era stato pronto a tirarsi indietro se avesse
rallentato il gruppo dopo aver perso la vista; per lo stesso motivo per cui,
alla fine, era stato l’ultimo a morire.
Noctis
azzerò la distanza che lo separava da Ignis e gli pose un bacio sulla fronte,
aiutato dai gradini su cui stava. Un bacio dolce e pieno d’amore: Ignis tremò a
quel contatto, un tocco così intimo che in vita non aveva mai pensato o sperato
di poter ottenere. Non stette a pensarci e lo strinse a sé quasi fosse un
riflesso incondizionato, non appena il Re si staccò da lui. Lo strinse e sentì
l’altro fare lo stesso e nascose il proprio viso nell’incavo del suo collo,
prendendosi un momento per sé, un momento in cui essere solo con Noctis.
«Sei
stato tanto triste, Ignis, e tanto solo», sussurrò quello, in lacrime «E non
meritavi tutto questo».
«Sceglierei
di vivere il doppio di quegli anni nella solitudine e nell’oscurità pur di
poterti avere di nuovo qui adesso, Noct. Pur di poter stare di nuovo con voi»,
sussurrò Ignis, sciogliendosi nelle stesse lacrime. Lo aveva amato tanto, ed
ogni giorno senza di lui era stato una condanna che ora finiva di scontare.
Noctis era la grazia per cui tanto aveva pregato.
«Perché
qui?», chiede Prompto, quando i due si furono lasciati e Ignis ebbe salutato
anche lui e Gladio con un abbraccio «Perché questo posto?».
Noctis
si guardò intorno – non era solo Lucis di notte, non era solo la Cittadella
bagnata dalla pioggia: il posto in cui si trovavano era specchio dell’ultima
notte che aveva vissuto; l’arrivo di Ignis aveva modificato quel posto in uno
dei luoghi in cui l’uomo aveva lasciato di più se stesso.
«Ignis
ha lasciato se stesso in questo posto, come la maggior parte di Gladio era
nella palestra della Cittadella e la maggior parte di te, Prompto, nelle caccie
che abbiamo fatto insieme. È il momento che più vi ha definito nella vita, in
cui avete provato le emozioni più forti e a cui siete maggiormente attaccati».
Prompto
annuì: Noctis gli aveva spiegato come funzionava quando s’erano rivisti per la
prima volta – il modo in cui erano vestiti, invece, indicava il momento più
alto che avevano raggiunto in vita.
Ignis
si guardò intorno – aveva smesso di piovere ma era ancora tutto così buio…
«Quindi,
posso restare qui con voi?».
«Hai
paura di essere tu causa di questa notte?». Noctis poteva leggere così bene
dentro di lui che Ignis si sentì sopraffatto ed annuì appena, senza riuscire a
parlare.
«È
semplicemente notte», lo rassicurò il Re, sfiorandogli il viso con dolcezza –
quanto dolore avrebbe dovuto portar via da lui, quanto in basso erano finite la
speranza e la gioia… «Ignis Scientia, la luce tornerà presto, perché ora siete
tutti qui con me e la mia attesa è finita. Ora, posso davvero scoprire che cosa
ci attende in questa vita dopo la morte».
Ignis
sorrise, baciando la mano che lo aveva accarezzato e guardando Noctis con un
affetto che non aveva più dato a nessuno dopo la sua morte. Qualunque dubbio
avesse avuto, gli era bastato guardare il suo Re, guardare i suoi fratelli, per
sentirsi finalmente a casa.
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Quindi…
che dire? Questo gioco mi ha lasciato tantissimo, non sono ancora sicura di
essere riuscita ad elaborare a pieno la sua fine o tutto quello che è riuscito
a trasmettermi, ma ho sentito il bisogno di scrivere queste righe, di dare al
tutto una conclusione palpabile. So che in molti pensano che Ignis, Prompto e
Gladio siano morti nella stessa battaglia di Noct, ma ho voluto vedere il tutto
sotto un’altra luce, visto che di conferme effettive non ne abbiamo; ho provato
ad immaginare la loro morte in contesti ed emozioni diverse e spero di essere
riuscita, almeno un po’, a comprendere questi complessi personaggi e a rendere
loro giustizia con queste tre piccole storie.
Un
ringraziamento speciale ad Ame che ha letto in anteprima e, più in generale, mi
ha introdotta in questo baratro di feels, ragion per
cui le sono estremamente grata. Un grazie inoltre a chiunque presterà
attenzione a questa shot!
A
presto,
Alch ♥