Amare
troppo
Abbandonare
questa casa è un colpo amaro, doloroso. Il profumo
particolare, un
misto tra panni puliti e biscotti appena sfornati, mi solletica le
narici arrestando i miei passi in direzione della porta. Lascio
vagare lo sguardo sulle pareti azzurrine, immacolate e spoglie, sul
candido divano in pelle su cui abbiamo condiviso innumerevoli
sigarette, noi due soltanto, avvolti da una nuvola di fumo con i
muscoli stanchi e i corpi ancora macchiati dal sudore di una passione
appena consumata.
Sospiro
rumorosamente perché ripensare a quei ricordi riapre una
ferita
ancora fresca, che sanguina ogni volta che un profumo, un suono, un
tocco mi riporta indietro ai giorni in cui ero felice.
Mi
mancheranno quei muri solidi, un po' paterni, che ancora custodiscono
l'eco delle nostre risate, lo schiocco di baci agognati, di quelli
che consumano le labbra fino a renderle così gonfie e rosse
che
persino parlare risulta difficile.
Sotto
la luce protettiva della Gran Madre, in una gelida serata di inverno
torinese, avevamo promesso che avremmo combattuto contro tutto e
tutti per non lasciarci travolgere dagli eventi, dalle malelingue o
peggio ancora dagli errori del passato. I biglietti di un viaggio mai
intrapreso mi sfidano dall'alto della credenza, se soltanto li
avessimo sfruttati prima chissà cosa sarebbe cambiato. Ma la
vita
non si costruisce con i "se" e con i "ma", men
che meno con i "forse". Bisogna saper affrontare gli eventi
a pieno petto, sfidare la stessa vita in uno stato di natura dove non
esiste pace. A volte, però, non si è abbastanza
forti per mettersi
alla prova, non si è pronti a mettersi in gioco fino in
fondo ed io
e te, caro Giovanni, siamo giunti al momento sbagliato.
Mi
chiudo la porta di legno alle spalle, la mano destra trema
visibilmente nel dare quel giro di chiave che ai miei occhi appare
come un punto alla fine di un paragrafo, l'ultimo prima della
conclusione. Quel paragrafo che si legge trattenendo il fiato
perché
già delinea quale strada seguirà il finale ma fa
troppo male
pensare che la conclusione sia priva di un lieto fine, di una pagina
ancora che ci faccia sorridere e magari sognare.
La
campana portachiavi tintinna nella mia presa mentre gradino dopo
gradino esco da casa tua, dalla tua vita, le stesse che soltanto
poche settimane fa ho creduto potessero diventare "nostre".
Se qualcuno potesse vedermi in questo momento, noterebbe senza dubbio
la schiena protesa in avanti che ben poco ha a che vedere con lo
zaino carico di vestiti che porto sulle spalle, vestiti su cui
è
ancora impresso il profumo di noi. Come la felpa nera macchiata
vicino alla cerniera in una sera come tante in cui, preso dalla foga,
hai rovesciato un intero calice di vino rosso.
Nessun
rumore mi accompagna, soltanto il silenzio in una Torino ancora
assonnata. Percorre via Lagrange stringendomi maggiormente nel
piumino monocolore, nessuno mi presta attenzione e non potrei esserne
più felice. Un anziano signore fuma un sigaro su una
panchina in
pietra, dal panettiere all'angolo si diffonde nell'aria il profumo
dei cornetti che tanto ami, ma lo percepisco appena così
come i
rumori che vengono attutiti dal un ronzio sordo nelle orecchie che
da giorni non mi lascia scampo. Pochi passi, una decina al massimo,
mi separano dalla tua tabaccheria, il punto fermo alla fine della
pagina, duro, irremovibile, definitivo. Mi sembrano i dieci passi
più
lunghi di sempre, ne sento la fatica nelle gambe e per quanto il
cuore mi implori di tornare indietro so che non posso, sono stata fin
troppo codarda. Stringo i denti e rafforzando la presa sullo zaino
trascino i piedi sulla ghiaia fino alla vetrata da cui riesco a
intravedere due tuoi dipendenti assonnati ma indaffarati, come al
solito in tua assenza. La porta stride distogliendo la loro
attenzione dallo scaffale dei tabacchi.
<<
Buongiorno, posso esserle...>> la voce del commesso,
Luca, si
affievolisce alla mia vista e nei suoi occhi leggo una pena e una
compassione che non posso sopportare, non se il ricordo degli scherzi
e delle risate insieme dopo la chiusura è ancora
così fresco.
Capisco che vorrebbe dire qualcosa, forse un "mi dispiace",
inutile, come qualsiasi parola di uno spettatore che ha assistito
alla nostra disfatta da un giorno all'altro. Ci siamo amati in
silenzio e in silenzio abbiamo scelto di dirci addio, tra di noi, con
uno sguardo e una carezza più tagliente di mille lame. Io e
te
soltanto, dal primo all'ultimo secondo.
<<
Ciao Luca. Ti ho portato le chiavi, consegnale a Giovanni quando
arriva, per favore >>. Mi mordo le labbra per non
lasciarmi
scappare l'abituale "a presto" con cui fumavamo un'ultima
sigaretta prima che partissi per l'aeroporto, la domenica sera.
<<
Ci vediamo! >> gli dico invece abbozzando un sorriso e
lasciandogli cadere tra le mani quel mazzo di chiavi che avevo
desiderato, idealizzato, e infine trovato impacchettato sotto
l'albero di Natale. Le mie mani non sono mai state così
vuote.
Accarezzo un'ultima volta il bancone con lo sguardo e fuggo via a
testa bassa per paura che qualcuno possa notare la lacrima che
dispettosa mi macchia la guancia, prima che il freddo arresti la sua
corsa vicino alle labbra.
Tra
la nebbia del mattino e il freddo pungente penso, penso che nella
vita si dicano un mare di stronzate. Non è vero che l'amore
basta in
una coppia, che finché c'è amore una relazione
non finirà mai.
Qualche volta l'amore è così burrascoso e potente
da rompere
qualsiasi argine, si trascina dietro i detriti, straschichi di cuore
che non siamo stati capaci di proteggere.
Io
e te Giovanni ci siamo amati, forse troppo, e quel troppo silenzioso
è esploso distruggendoci. Non sono nemmeno stata capace di
confessarti un "ti amo" a parole ma sono sicura che i miei
gesti abbiano parlato al mio posto.
Da
bambina qualcuno mi disse "Ama, ama e non stancarti mai,
perché
nella vita non si ama mai troppo", ed io, testarda e orgogliosa
fino al midollo, ho scelto di seguire il consiglio. Ti ho amato,
amato fino a non sentire più alcuna differenza tra la sua
anima e la
mia, ho amato senza riserve e senza respiro credendo che l'amore
fosse un degno sostituto dell'ossigeno.
A
dispetto delle dicerie, delle leggende popolari, ho sbagliato e ha
sbagliato anche chi stringendomi la spalla mi ha consigliato. Ho
amato, amato troppo, e alla fine ho perso tutto.
Cassandra:
Ogni riferimento a
persone, cose, luoghi, è puramente casuale.
Un piccolo sfogo in
una sera di inverno, quando la casa diventa silenziosa e le emozioni
iniziano a fluire implorandoti di essere liberate. Mi scuso per avervi
sottratto del tempo, spero comunque di essere riuscita almeno a
distrarvi per qualche minuto. Grazie a tutti voi che
leggerete, a presto.
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