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Visions
Consiglio
l'ascolto di questa canzone durante la lettura. Magari non c'entra
niente, ma a me inquieta! Cliccate sul titolo per accedere
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Equinoxe
(pt. 4)
Buona
lettura!!! ;)
“Aspettate
ragazzi, aspettate, non fatevi prendere dal panico!” esclamò
Mark, mettendosi in piedi di fronte ai suoi amici, dando le spalle
allo schermo del pc.
“Come
te lo spieghi? Stiamo combattendo contro un morto!” sibilò
Nathan aggrottando la fronte.
“Non
è detto, c'è una spiegazione logica. Sapete quanto si
sente parlare di profili facebook hackerati? Il tizio che ci sta
giocando questi brutti scherzi potrebbe semplicemente aver utilizzato
l'account di Anthony, dato che nessuno lo usava più da tempo”
spiegò il chitarrista con una scrollata di spalle.
“È
un bastardo, impossessarsi del profilo di qualcuno che è
venuto a mancare è un gesto di pessimo gusto!” commentò
Jade, indignata.
“Jee,
queste cose capitano purtroppo.”
“E
noi come facciamo a capire se stiamo combattendo con una persona o
con uno spettro?” intervenne Tom, ancora leggermente tremante
per lo spavento preso. La sua razionalità e quegli eventi
inquietanti non andavano d'accordo; riusciva sempre a dare una
spiegazione logica a tutto e quando non aveva tutto sotto controllo
veniva sopraffatto dall'agitazione.
“Mmh,
allora... dovrei innanzitutto risalire al luogo e al dispositivo da
cui viene gestito il profilo. Nulla di più facile!”
“E
perché non l'hai fatto prima allora?” lo apostrofò
la ragazza in tono irritato.
“Perché
con una pagina è più difficile” tagliò
corto Mark, sedendosi nuovamente al suo posto.
“Vedi
di darti una calmata, Jade! Siamo tutti agitati, non sei l'unica!”
si rivoltò Nathan.
“Ma
cosa vuoi?” sbottò lei, fulminandolo con
un'occhiataccia.
“Smettila
di rispondere così e usare quel tono, il fatto che sei
spaventata non ti dà il diritto di comportarti da stronza! E
che cazzo, Mark si sta facendo in quattro per scoprire cosa sta
succedendo e tu sai solo lamentarti!”
“Nathan,
fatti i cazzi tuoi! Mark non si è arrabbiato e tu comunque non
sei il suo avvocato! Quello nervoso qui sei tu!” ringhiò
Jade, incrociando le braccia al petto.
“Io?
Ma ti rendi conto di come mi stai rispondendo? Hai le tue cose
per caso?”
“Ma
vaffanculo Nathan, ognuno ha il suo modo di reagire!”
“Oh,
insomma, la volete finire di gridarvi contro o volete far sapere a
mezza America i fatti vostri? Sembrate due bambini dispettosi, ma
quand'è che crescete? Tra l'altro le orecchie di Mark sono a
un metro e mezzo da voi, non so quanto possa fargli piacere questo
vostro squallido teatrino!” intervenne Tom, infastidito dal
comportamento dei suoi amici.
“Tu
stai zitto, ne ho anche per te!” lo attaccò la ragazza.
“Voi
mi farete impazzire prima o poi... Jade, esci da qui e vai a prendere
una boccata d'aria per calmarti. Non è proprio il momento per
litigare” ordinò il batterista avvicinandosi agli altri.
“Sì,
è meglio se esco. Siete una mandria di idioti, non vi
sopporto” concluse la cantante, avviandosi a passo di marcia
verso l'uscio.
“Oh,
finalmente un po' di calma! Benissimo, ora cerco di rintracciare
questo Keys o come diamine si chiama” affermò Mark e,
come se nulla fosse, riprese a picchiettare sulla tastiera.
Gli
altri due gli si accostarono, curiosi.
“Cosa
stai facendo adesso?” s'informò Tom.
“Risalendo
all'indirizzo IP.”
“E
cos'è?”
“In
parole povere, un codice collegato al dispositivo da cui il nostro
amico hacker accede a internet.”
“E
a cosa serve?” domandò Nathan confuso.
“A
scoprire dove si trova l'hacker. Non è detto che funzioni,
magari utilizza un dispositivo diverso ogni volta per non farsi
rintracciare.”
“Ma
tu come fai a essere sempre così... tranquillo? Sembra quasi
che non te ne importi niente di tutta questa storia” osservò
il bassista, prendendo a camminare avanti e indietro.
“Gli
esperti di tecnologia, quelli bravi veramente, possono fare qualsiasi
cosa: mandarci virus, proiettare immagini nei nostri schermi, farci
credere di vedere cose che non ci sono, far impazzire cellulari e
computer... ma a noi non possono fare tutto, il loro potere si ferma
alla tecnologia. Quindi perché preoccuparci?”
La
spiegazione del ragazzo effettivamente non faceva una piega ed ebbe
anche il miracoloso effetto di tranquillizzare gli altri due.
Trascorsero
circa due minuti di silenzio. Nathan, Mark e Tom cominciarono a
chiedersi dove fosse finita Jade, ma nessuno espresse ad alta voce
quel pensiero.
“Uff,
e adesso cos'è questa cosa?” sbuffò Mark,
battendosi una mano sulla fronte.
“Una
finestra di internet... nera. Sembra quasi una videochiamata di
Skype, ha la stessa grafica. Ma tu non hai Skype aperto, giusto?”
disse Tom, esaminando con lo sguardo il nuovo dilemma della serata.
“Certo
che no! E ovviamente non si chiude. Non può essere una
chiamata di Skype, la spia della videocamera è spenta.”
“E
quelli?” mormorò Nathan, fissando i suoi occhi in quelli
bianchi e brillanti che erano apparsi nel buio di quella nuova
finestra.
I
tre trattennero il fiato e Tom indietreggiò con uno scatto,
andando a sbattere contro il bracciolo della poltrona.
Gli
occhi improvvisamente si mossero, come se la persona a cui
appartenevano avesse inclinato la testa da un lato. Erano sbarrati,
assurdamente grandi, e le ciglia non sbattevano mai; le iridi non
avevano un colore indefinito, si fondevano con il nero delle pupille.
Quei
due occhi guardavano davvero i ragazzi, sembravano volerli perforare
con lo sguardo. E loro si sentivano incapaci di compiere qualsiasi
movimento, paralizzati, congelati e saldati al pavimento.
D'un
tratto un lampo di luce inondò il riquadro nero e solo per un
istante al suo interno si delineò una figura umana, un volto
deturpato da dei lividi o da delle ferite, con un rivolo scuro che
sgorgava dalle labbra.
Gli
occhi erano sempre lì, con la loro fissità.
Poi
quella strana finestra scomparve e la schermata del computer tornò
quella di prima.
“E-era
un... un...” balbettò Tom con gli occhi sgranati.
“Era
un fake, un fottuto fake. Avranno preso quell'immagine da un film per
giocarci un brutto scherzo” affermò Nathan, più
per convincere se stesso che gli altri.
“Non
capisco... secondo voi era un ragazzo o una ragazza? Voi l'avete
notato? È durata solo un attimo...” farfugliò
Mark, cercando di fare chiarezza. In realtà cominciava ad
avere paura anche lui: quella faccenda non gli piaceva e aveva paura
di perdere il controllo su ciò che stava accadendo. Tuttavia
mascherava questo suo timore perché i suoi amici avevano
bisogno di un punto di riferimento, qualcuno che fornisse loro una
spiegazione e li tranquillizzasse in ogni momento, e a ricoprire quel
ruolo era sempre stato lui.
Sentiva
quegli occhi ancora addosso, come se si nascondessero dietro il suo
computer.
“Non
sono riuscito a capirlo, comunque non credo serva a qualcosa saperlo”
constatò Nathan.
“E
le ferite... cos'erano? Aveva delle cose scure, ma non ho visto se si
trattava di lividi, tagli o...” rifletté il batterista,
incrociando le braccia per nascondere il tremito delle mani.
“Ustioni?”
completò Mark al posto suo, ricollegando le ferite
all'incendio in cui aveva perso la vita Anthony Keys.
Un
grido proveniente dal piano di sotto interruppe la conversazione e
fece sobbalzare i tre.
Jade.
Jade
sentiva la rabbia montare dentro di sé, ma allo stesso tempo
sapeva che quel nervosismo era dovuto esclusivamente all'ambigua
situazione in cui lei e i suoi amici si erano cacciati. Non ce
l'aveva con Nathan, il suo era stato solo uno sfogo.
Decise
di uscire per fumare una sigaretta; si diresse verso la porta
d'ingresso e, una volta all'aria aperta, armeggiò con
accendino e pacchetto. Il fumo ebbe subito il suo effetto calmante e
la ragazza credette di poter ragionare più lucidamente dopo
aver aspirato le prime boccate.
Non
aveva idea di che ore si fossero fatte. Constatò dal suo
cellulare che mancava poco più di un quarto d'ora a
mezzanotte; lei e il resto della band avrebbero dovuto concludere le
indagini al più presto perché presto i genitori di Tom,
fuori per una cena con amici, sarebbero rincasati.
Il
suo telefono prese a vibrare dopo appena qualche secondo che lei
l'aveva riposto in tasca. Lo afferrò nuovamente con la
convinzione che uno dei ragazzi le avesse scritto un messaggio;
invece si trattava di una notifica della chat di facebook.
Il
suo cuore perse un battito quando lesse il nome del mittente:
Mayanetsuradoki.
Le
pagine non possono inviare messaggi ai profili,
rifletté. Intanto esitava di fronte al messaggio ancora
chiuso, indecisa se aprirlo o meno. Il cellulare aveva già
dato dei problemi il giorno precedente, non voleva rischiare di
installare qualche nuovo virus; tuttavia la curiosità era
troppa e Jade non poté resistere.
Io
mi sto divertendo, voi? È un bel gioco questo!
La
ragazza aggrottò la fronte e decise di rispondere a
quell'hacker che aveva finalmente deciso di palesarsi. Sarebbe dovuta
salire dai suoi amici e consultarsi prima con loro, ma la sua
impulsività le suggerì di proseguire subito quella
conversazione.
Voglio
sapere chi sei e cosa vuoi da noi.
Con
calma, scoprirete tutto... forse. Non è detto che io voglia
qualcosa da voi.
E
allora perché ci hai preso di mira?
Intanto
aveva spento la sigaretta e si accingeva a tornare in casa; l'ansia
che le provocavano quei messaggi la spingeva ad accendersene subito
un'altra, ma non le andava di stare là fuori al buio da sola.
Non
lo so, mi sembrava una cosa divertente! Siete pronti a continuare il
giochetto?
Salutami
tanto il tuo amico nerd a cui piace fare il detective!
E
tu che ne sai? Lasciaci in pace e noi lasceremo in pace te!
Jade
si trovava nell'andito mentre digitava quel messaggio e stava proprio
per imboccare la rampa di scale per tornare in soffitta, quando
l'apparecchio che stringeva convulsamente tra le mani prese a vibrare
insistentemente come fosse impazzito e il display divenne
completamente bianco, di un bianco accecante capace di rischiarare la
penombra della casa.
La
ragazza cominciò a sentire una stretta attorno al collo,
sempre più forte e pressante, che le toglieva il respiro
sempre più; prese ad ansimare e boccheggiare in preda alla
disperazione, l'aria le mancava e si dibatteva con gli occhi
sgranati. Non sapeva spiegare cosa la stesse imprigionando, ma
sentiva chiaramente il contatto di una corda sulla pelle del suo
collo.
Jade
cominciò a piangere. La stretta aumentava ogni secondo di più
e lei sapeva che, se fosse andata avanti di questo passo, non avrebbe
resistito ancora a lungo.
Un
terrore cieco la assalì e lei scoppiò in lacrime,
barcollando e urtando ciò che la circondava senza quasi
rendersene conto. Il panico ormai si era impossessato di lei; si
portava le mani al collo per cercare di allentare quella corda, ma le
sue dita non afferravano nulla: la sua pelle in realtà era
scoperta.
Quando
ormai credeva di essere arrivata al suo limite di resistenza,
un'immagine rischiarata da un'aura brillante esplose all'improvviso
davanti ai suoi occhi: si trattava di un viso dai tratti appena
accennati, come se fosse costituito da schizzi di carboncino,
deturpato da enormi macchie scure dai margini sfumati. L'unica cosa
ben delineata erano gli occhi sbarrati e neri, che davano
l'impressione di avere vita propria.
Jade
riuscì solo in quel momento a lanciare un grido carico di
terrore. Incapace di osservare quel fotogramma, serrò gli
occhi con tutta la sua forza.
Non
seppe bene come accadde, ma si ritrovò distesa sul pavimento,
inerme. Si rese conto di aver perso i sensi solo quando questi si
riattivarono; sentiva il pavimento freddo e duro sotto il suo corpo,
le voci dei suoi amici intrise di preoccupazione che si scambiavano
battute frenetiche e una mano posata sulla sua spalla. Socchiuse gli
occhi e la luce della lampadina accesa glieli ferì,
impedendole di mettere subito a fuoco i volti dei tre ragazzi che le
ronzavano attorno.
“Jade,
ci sei? Mi riconosci? Stai bene?” le domandò lentamente
Mark, fissandola dritta negli occhi e ostentando una calma che di
sicuro nemmeno lui possedeva in quel momento.
“M-Mark...
oddio, ho preso una botta in testa” biascicò lei in
tutta risposta, portandosi una mano sulla tempia. Sentiva il battito
di cuore pulsare fastidiosamente in essa.
“Non
so cosa sia successo, ti abbiamo sentito gridare e quando siamo
arrivati eri svenuta” spiegò lui.
“Jade,
ci hai fatto prendere un colpo! Cosa diamine ti è saltato in
mente?” intervenne Nathan, palesemente preoccupato.
“Penso
di dovervi raccontare qualcosa.” Detto questo la cantante degli
Evil Hunters tentò con successo di mettersi seduta, nonostante
la debolezza.
Mark
le posò le mani sulle spalle per aiutarla a stare dritta e
sostenerla. “Fai piano, non ti sforzare.”
“Jee,
oddio... come stai? Ecco l'acqua! Ti fa male qualcosa in particolare?
Hai sbattuto? Ci conviene portarla sul divano, aiutatemi!”
strepitò Tom, accorrendo con una bottiglietta d'acqua in mano
e una grossa dose di preoccupazione.
Tra
tutti lui era il più emotivo: se in molte situazioni poteva
risultare impassibile, entrava subito in ansia quando capitava
qualcosa a una persona cara.
“Grazie
Tom, grazie a tutti” disse la ragazza con riconoscenza, una
volta preso posto sul divano. Sembrava essersi ripresa quasi del
tutto ed era pronta a raccontare ciò che aveva vissuto.
Passò
una mezz'ora in cui i ragazzi raccontarono ogni minimo dettaglio
delle loro esperienze e cercarono un nesso tra tutti. Anche il
batterista, inizialmente restio, raccontò della foto che gli
era apparsa nello schermo del cellulare solo qualche ora prima.
Attribuirono
tutto ciò che era logicamente spiegabile al lavoro del loro
nemico informatico, mentre interpretarono il resto come semplice
suggestione dettata dal coinvolgimento in quella faccenda. Erano
pronti ad accettare di essere pazzi pur di escludere qualsiasi evento
sovrannaturale.
“Io
non ho voglia di lottare contro un idiota che ci vuole spaventare”
affermò Mark con convinzione.
“Fa
tanto lo spiritoso dietro uno schermo, ma che farebbe se lo andassimo
a trovare?” saltò su Nathan con fervore.
Tom
e Mark si scambiarono un'occhiata complice: stavano pensando la
stessa cosa.
“Allora
andiamo a trovarlo!” propose Jade, dando voce all'idea di
tutti.
“D'accordo,
devo fare solo un'ultima indagine per capire dove si trova
esattamente questo tizio e poi si parte! Tenetevi pronti per domani,
dobbiamo assolutamente farlo in questo weekend!” concluse il
chitarrista, passandosi una mano tra i capelli scompigliati.
Era
l'unità a dare loro la forza. Rassicurarsi a vicenda era
l'unico modo per restare in piedi in mezzo a una battaglia che non
erano certi di poter vincere.
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