La Gola del Mondo. La cima più alta di Skyrim, nonché la cima più alta
di Tamriel, un tempo seconda solo alla Montagna Rossa. Secondo la
tradizione Nord, la razza degli uomini fu generata sulla montagna quando
il cielo respirò sulla terra, per questo motivo fu chiamata "Gola del
Mondo".
Era l'incarnazione stessa di Skyrim: aspra, letale, bellissima. Era
come un punto di contatto, tra il cielo e la terra, tra il mortale e il
divino. Si diceva che una volta arrivati in cima, si potesse sentire il
respiro di Kynareth sulla pelle.
La montagna era situata all'interno del feudo di Whiterun, ma il modo
più conveniente per salirla era passare per Ivarstead, a meno che non si
volesse scalare la roccia nuda. Dalla città di Whiterun si aggirava la
montagna da nord e, percorrendo il lato est, si arrivava ad Ivarstead.
Ivarstead era un piccolo insediamento sul confine occidentale del Rift,
convenientemente posizionato tra le sponde del lago Geir e del fiume
Acquescure. Il fiume, emissario del lago, provvedeva a muovere
l'impianto della segheria locale, allo stesso tempo rendeva il terreno
fertile e coltivabile.
Il posto non era molto frequentato, era fuori dalle rotte commerciali,
e Wilhelm lo sapeva bene. In tutti gli anni che aveva gestito la locanda
Vilemyr, l'unica locanda del villaggio, aveva imparato che i forestieri
di passaggio per Ivarstead avevano tutti lo stesso scopo: arrivare in
cima alla Gola del Mondo.
In realtà capitava solo ogni tanto di incontrare questo tipo di
viaggiatori, ma Wilhelm li riconosceva subito. Erano viaggiatori
esperti, questo lo si capiva dai modi e dall'aspetto, e gli rivolgevano
sempre le stesse domande sulla montagna e su Hrothgar Alto, il monastero
dei Barbagrigia. Wilhelm non ne sapeva molto, in realtà. I Barbagrigia
erano degli eremiti, perciò non uscivano mai dal loro monastero
arroccato sul fianco della montagna.
Tutti i pellegrini si incamminavano per il celebre sentiero dei 7000
gradini, ma quelli che speravano di arrivare fino in cima tornavano
sempre delusi. La verità era che nessuno era mai andato oltre il
monastero, infatti il sentiero che conduceva alla vetta era custodito
dai Barbagrigia, ma non permettevano a nessuno di accedervi. Oltretutto,
la cima della montagna era perennemente avvolta in una nube
impenetrabile che la nascondeva alla vista, il che contribuiva ad
aumentare la curiosità sul quel picco inaccessibile.
Ultimamente i curiosi erano molto aumentati da quando i Barbagrigia
avevano parlato al mondo, e quando i Barbagrigia parlavano al mondo li
si sentiva da ogni angolo di Skyrim. Era stato un evento epocale,
l'ultima volta che era successo risaliva ai tempi di Tiber Septim, circa
sei secoli addietro. Correva voce che fosse comparso un Sangue di Drago,
e che i Barbagrigia lo avessero convocato per addestrarlo nell'uso della
Voce, così come era accaduto per Tiber Septim.
Quella mattina Wilhelm aveva appena iniziato la sua giornata con le
solite attività, stava ripulendo i boccali quando il primo cliente varcò
la soglia della locanda. Anche stavolta non impiegò molto tempo ad
inquadrare il nuovo avventore. Innanzitutto era un forestiero, questo si
capiva facilmente, dato che era coperto dalla testa ai piedi con pesante
mantello da viaggio. Nella mano destra impugnava un lungo bastone in
legno chiaro, con una elaborata decorazione in metallo che ne adornava
la cima. Mentre lo sconosciuto si avvicinava al bancone, Wilhelm poteva
sentire il rumore dei suoi passi accompagnato dal leggero e regolare
battere del bastone sul pavimento.
«Benvenuto alla locanda Vilemyr, cosa posso fare per te?» il saluto di
Wilhelm giunse puntuale come sempre.
Lo sconosciuto, avvicinatosi al bancone, si scoprì il volto.
«Buongiorno» salutò con un lieve sorriso, «ho bisogno di provviste,
cos'hai in vendita?»
Wilhelm osservò il suo volto ed ebbe un senso di familiarità. Era
giovane, sicuramente non aveva raggiunto i trent'anni, e quasi
sicuramente non era originario di Skyrim. I tratti del viso non erano
molto indicativi della sua provenienza: capelli neri, occhi piuttosto
chiari, grigi di colore, e carnagione scura; forse era un sangue misto.
L'accento invece sembrava quello degli imperiali, anche se non molto
marcato. Wilhelm era sicuro di averlo già incontrato, sicuramente era
già venuto alla locanda, ma c'era qualcosa in più che al momento non
ricordava.
«Tutto quello che vedi» rispose Wilhelm, indicando con un gesto ampio
gli scaffali vicini. «Ma, se posso darti un consiglio, ho un'ottima
carne di cervo che mi è arrivata giusto ieri, fossi in te ne
approfitterei».
Il forestiero valutò l'offerta per qualche momento, mentre guardava il
cibo in mostra. «Vada per il cervo, allora. Vorrei anche mezza forma di
pane, e un trancio di salmone affumicato».
«Certo» l'oste posò il boccale e lo straccio e incominciò a preparare
le ordinazioni.
Nel frattempo, una donna comparve nella sala della locanda, uscendo da
una delle camere. Tra le mani reggeva un liuto.
«Buongiorno Wilhelm» salutò.
«Buongiorno Lynly» rispose l'oste, mentre tagliava una forma di pane.
Poi la donna volse lo sguardo al forestiero. «Oh!» Fece, sorpresa. «Mi
ricordo di te! Il nome è... Daric, giusto?»
«Giusto» sorrise. «Hai buona memoria».
Wilhelm guardò la donna con leggero stupore. «Lynly, lo conosci?».
Lynly alzò gli occhi al cielo. «Certo che lo conosco, e lo conosci
anche tu, Wilhelm. Ci ha aiutato con quella faccenda del fantasma nel
tumulo, ricordi?»
«Ah, ecco!» Fece Wilhelm, battendo il coltello sul tagliere. «Ora
ricordo. Scusami amico, ma quando l'età avanza la memoria non ci assiste
così bene».
«Non è l'età che avanza, Wilhelm, è l'idromele di ieri sera» commentò
la donna, prima di sedersi su una sedia.
Il locandiere rise. «Lo prendo come un complimento, vuol dire che non
sono vecchio, giusto?»
«No, vuol dire che non c'è bisogno di essere vecchi per sembrare
rimbambiti» Lynly stava trattenendo le risate, cercando di apparire
seria.
«Hai sentito che lingua tagliente?» disse Wilhelm al suo cliente, che
guardava divertito la scena. «Si vede che ha studiato all'Accademia dei
Bardi, eh?»
Lei non replicò, ma sorrise e incominciò a pizzicare le corde del
liuto, canticchiando tra sé un motivo.
«Anche stavolta sei diretto a Hrothgar Alto?» mentre Wilhelm preparava
la porzione di carne, cercò di intavolare una conversazione.
«Sì» rispose Daric, «ho bisogno di un po' di pace».
«Ah, ti capisco» fece Wilhelm, «Se è la pace che cerchi, allora non
esiste posto migliore di quello» Gli porse sul bancone due involti ed
una mezza forma di pane. «Ecco a te».
Daric estrasse un sacchetto dal mantello e porse una manciata di monete
al locandiere.
«Ti ringrazio» disse questi, prendendo il pagamento. «Se quando
discenderai dalla montagna vorrai passare qui, sarei lieto di offrirti
un boccale di idromele, per farmi perdonare la mia cattiva memoria».
«Grazie, non mancherò» il sacchetto con il denaro ritornò sotto il
mantello, insieme alle provviste. Salutò e fece per uscire, ma la voce
dell'oste lo fermò sulla soglia.
«Fai attenzione quando imbocchi il sentiero, ultimamente Temba
Braccio-Spesso si lamenta continuamente delle zampate d'orso che trova
sui tronchi d'albero per la segheria. Non credo che tu abbia problemi a
difenderti da un orso, ma spesso colgono i pellegrini di sorpresa».
«Ne terrò conto, grazie per l'avvertimento».
Quando uscì dalla locanda, Daric si accorse che il sole stava per fare
capolino dalle cime dei Monti Velothi, mentre la luce dell'aurora
sbiadiva velocemente i colori dell'alba. Il cielo era terso, da ogni
direzione non si profilava neanche una nube all'orizzonte. Non era
un'ottima condizione per scalare la montagna, in una giornata così
luminosa il bianco della neve diventava quasi accecante. Daric si rialzò
il cappuccio sul capo e si incamminò verso l'uscita orientale di
Ivarstead. Passando per il sentiero principale, si lasciò alle spalle la
segheria di Temba Braccio-Spesso e la fattoria Fellstar. Appena uscito
dal villaggio, deviò a sinistra e percorse un ponte di pietra che si
protendeva sul fiume Acquescure; al di là del ponte, iniziava il lungo
sentiero dei 7000 gradini.
L'aveva percorso così tante volte negli ultimi giorni, che la
prospettiva della interminabile scalata lo lasciava indifferente; anzi,
considerata la magnifica vista che si godeva dalla montagna, ci aveva
persino preso gusto. Purtroppo il pensiero di ciò che lo aspettava a
Hrothgar Alto contribuiva ad aumentare l'aspetto negativo della
faccenda. Daric si fermò ai primi gradini del sentiero, ripensando a
quello che aveva detto a Wilhelm. Aveva detto che cercava la pace, ma al
Sangue di Drago non era concessa la pace, non se l'ombra di Alduin era
emersa dalle spire del tempo, minacciando di divorare il Mondo. Daric si
era ritrovato ad affrontare un problema molto più grande di lui, sulle
sue spalle ora gravava un enorme peso che era continuamente sul punto di
schiacciarlo. Gli dèi gli avevano riservato un compito arduo, ma lui non
si sarebbe tirato indietro. Era per questo motivo che ora si apprestava
a raggiungere Hrothgar Alto, non per cercare la pace. Eppure Wilhelm
aveva ragione, la pace di quel luogo era davvero rara da trovare
altrove, e i Barbagrigia la difendevano come fosse il più prezioso dei
tesori; tuttavia, Daric era riuscito a convincerli a rompere il loro
eremitaggio per ospitare un consiglio di pace tra il Generale Tullius e
lo jarl Ulfric Manto della Tempesta. Era indispensabile che i due
convenissero ad una tregua temporanea, altrimenti non sarebbe riuscito
nella sua impresa.
Incominciò a percorrere la salita, cercando di godersi il panorama
senza pensare a nient'altro. Dopo pochi minuti, si fermò e aguzzò lo
sguardo su alcuni cespugli al lato del sentiero, che fremevano in modo
vistoso, a circa dieci passi di distanza. Dai cespugli emerse la figura
massiccia di un orso che, camminando a quattro zampe, raggiunse il mezzo
del sentiero. Si voltò verso Daric, quindi si levò sulle zampe
posteriori e gli rivolse alcuni ruggiti minacciosi. Lo stava avvertendo
a non procedere oltre, evidentemente era sul confine del suo territorio.
Purtroppo non c'erano altre vie, perciò strinse nervosamente il bastone
e mosse due passi avanti, sfidandolo apertamente. L'orso reagì nel modo
aspettato, si rimise sulle quattro zampe e incominciò a corrergli
incontro, intenzionato ad aggredirlo.
Daric inspirò profondamente e urlò: «Kaan!»
L'aria sembrò tremare, e l'orso si fermò ad un passo da lui. Alzò il
muso e lo annusò per qualche istante, infine si girò e tranquillamente
se ne tornò indietro. Daric rilassò la stretta sul bastone e si sbrigò
ad allontanarsi prima che l'effetto del Thu'um svanisse.
In poco tempo raggiunse la prima tappa del sentiero: una tavoletta in
pietra all'interno di una cornice scolpita, anch'essa in pietra; lungo
il percorso verso Hrothgar Alto, erano presenti altre nove sculture
uguali. Le tavolette recavano incisa la storia della Voce, dagli albori
di Skyrim, quando i draghi regnavano sugli uomini, fino alla fine della
Seconda Era, quando il giovane Tiber Septim era stato convocato dai
Barbagrigia. Daric le conosceva a memoria oramai, ma si fermava comunque
a leggerle, approfittandone per riprendere il fiato e godersi il
panorama. Dato che il sentiero percorreva tutti i versanti della
montagna, la vista riusciva ad abbracciare Skyrim completamente, fino a
raggiungerne i confini.
Mano a mano che saliva, la neve ed il ghiaccio reclamavano sempre più
spazio, e l'aria si faceva sempre più tagliente. Aveva appena superato
il sesto emblema, quando qualcosa sul sentiero attirò la sua attenzione.
Era come se il gelo avesse preso vita e si fosse condensato in una
figura evanescente, la forma che ricordava quella di un grosso pesce.
Uno Spettro del Ghiaccio fluttuava come un drappo agitato dal vento,
disegnando cerchi nell'aria. Con una creatura del genere la Pace di Kyne
non avrebbe funzionato, doveva approfittarne ed attaccarlo subito.
Attinse alle sue riserve di magicka per evocare una palla di fuoco,
quindi la scagliò in direzione dello Spettro. La palla di fuoco colpì in
pieno il bersaglio ed esplose all'impatto. Lo Spettro sibilò infuriato
e, con una giravolta a mezz'aria, scomparve dalla vista. Daric conosceva
questa abilità degli Spettri del Ghiaccio, si rendevano invisibili per
poi attaccare di sorpresa, ma non scomparivano del tutto. Alzò il
bastone in aria e dalla punta scaturì un cerchio di fuoco che si espanse
tutt'intorno. Come aveva previsto, lo Spettro si era avvicinato
approfittando dell'invisibilità, ma il suo incantesimo era riuscito
comunque a colpirlo, ed ora era tornato ad essere visibile. Tuttavia,
lungi ancora dall'essere sconfitto, lo Spettro sorprese Daric
avventandosi fulmineo su di lui. Riuscì a spostarsi appena in tempo per
non farsi colpire in pieno, ma lo Spettro riuscì comunque a prendergli
il braccio sinistro. Sentì il gelo mordergli la carne e penetrare fin
nelle ossa. Cercando di ignorare il dolore, Daric si voltò verso lo
Spettro, che già si stava preparando ad un altro attacco, e urlò: «Yol
Toor Shul!»
Il respiro di fuoco investì in pieno la creatura, che si dissolse
lasciando al suolo un mucchietto di plasma azzurro.
«Ahi!» Mugugnò Daric, massaggiandosi il braccio completamente
paralizzato dal gelo. Evocò una magia curativa e sentì il braccio
formicolare e riprendere velocemente la sensibilità. Fece qualche
movimento di prova e si accertò che era tornato come prima.
Si avvicinò ai resti dello Spettro e si chinò. Trovò due denti della
creatura, che ripose in un sacchetto per gli ingredienti alchemici, poi
raccolse come meglio poté l'essenza dello Spettro in un'ampolla.
Riprese il cammino, e quando arrivò al settimo emblema decise di
fermarsi. La vista era semplicemente magnifica, quindi si sedette su una
roccia per mangiare qualche boccone dalle sue provviste.
Terminato il pasto frugale, stava per rialzarsi quando si accorse che
una capra gli si era avvicinata, e lo stava fissando. Probabilmente
mentre mangiava, e distratto dal panorama, non ci aveva fatto caso.
Daric sorrise, «Scusami, ho preso il tuo posto preferito?»
La capra gli rispose con un belato, ma non si mosse.
«Vorresti qualcosa da mangiare? Purtroppo temo di non avere nulla di
adatto a te».
La capra belò ancora, irremovibile nella sua posizione.
Daric rise di gusto, «Sei proprio testarda e sfacciata, eh? Forse ho
qualcosa che potrebbe piacerti...» estrasse il sacchetto del sale da
sotto il mantello e ne versò un mucchietto sul palmo della mano, quindi
la porse all'animale. Questi si avvicinò alla mano e, dopo una breve
annusata, cominciò a leccare il sale. Dopo che ebbe leccato anche
l'ultimo granello dal guanto di Daric, la capra strofinò il muso sulla
mano in segno di ringraziamento. Si fece anche fare docilmente qualche
carezza, ma poi fu attirata via da qualcosa di più interessante: un
cespuglio carico di succose Baccheneve.
Daric ridacchiò e scosse la testa, mentre guardava la capra mordere le
bacche. «Vorrei sapere chi si è inventato che le capre sono stupide»
disse tra sé.
La pausa era finita, purtroppo. Con malavoglia si alzò, e ricominciò a
camminare. Quando ebbe superato l'ottavo emblema, sormontato da una
statua di Tiber Septim, si trovò davanti alla scalinata di ingresso al
monastero di Hrothgar Alto. Vicino, trovò il nono ed ultimo emblema. Le
incisioni recitavano: "La Voce è venerazione. Segui la Via interiore.
Parla solo per la Vera Necessità."
Quelle parole riassumevano in modo essenziale e conciso la filosofia
della Via della Voce, ideata da Jurgen Windcaller molti secoli addietro.
Salì le scale ed entrò nel monastero. Il silenzio di quel luogo era a
dir poco mistico, sembrava che le pareti stesse emanassero una saggezza
vecchia di secoli.
Nella sala principale trovò uno dei monaci, inginocchiato a terra in
meditazione.
«Bentornato, Sangue di Drago» salutò il monaco, dopo essersi alzato.
«Salute, Maestro Arngeir» Daric chinò brevemente il capo. «Mi dispiace
avervi dovuto disturbare, spero che oggi si riesca ad ottenere qualcosa
di buono».
Arngeir scosse il capo. «Non devi dispiacerti. Se, nei nostri limiti,
potremo aiutarti, non ci tireremo indietro» gli fece cenno di seguirlo e
i due si diressero verso il cortile esterno.
«Devo avvisarti però» una volta fuori Arngeir riprese a parlare, «non
sarà un compito facile. Non pensare che quelle persone abbandoneranno
facilmente la loro belligeranza. Questo consiglio potrebbe diventare una
guerra combattuta a parole, e tu ti ritroveresti in mezzo, tuo
malgrado».
«Lo so, cercherò di mantenere il controllo».
Il vecchio Barbagrigia annuì, «Ora dobbiamo solo aspettare che arrivino
tutti. Puoi aspettare qua, se vuoi, verrò a chiamarti al momento
opportuno».
Daric sorrise. «Grazie, Maestro Arngeir».
Questi ritornò dentro il monastero, Daric invece si issò su un muretto
e si mise a sedere a gambe incrociate. Si mise a guardare il cielo
limpido, cercando di replicare quello stato nella sua mente,
sgombrandola da ogni pensiero.
Questa era una pratica che aveva imparato anni fa, quando aveva
iniziato lo studio approfondito della magia. La sua sete di conoscenze
sempre nuove lo aveva portato spesso ad esagerare con lo studio,
ritrovandosi con la testa così piena di idee e nozioni, che
semplicemente non riusciva a smettere di pensare e rimuginare. Per
questo motivo aveva cominciato a soffrire di mal di testa e insonnia, al
punto tale che la sua stessa salute aveva cominciato a risentirne. A
nulla erano valsi i consigli di darsi una calmata, fu quindi suo nonno
ad insegnargli a sgombrare la mente. Con un po' di pratica, non aveva
avuto più problemi. Anche lo studio ne aveva tratto giovamento, perciò
aveva iniziato a farlo abitualmente, che ne sentisse o meno il bisogno.
Ultimamente si era ritrovato sempre più spesso a rimuginare sulla
Guerra Civile di Skyrim. Per quanto si sforzasse di comprendere le
ragioni che animavano i due fronti, rimaneva sempre convinto che una
guerra civile fosse una cosa ignobile. Ecco perché non aveva mai preso
parte nella vicenda, perché era sbagliata in principio. In verità c'era
anche un altro motivo: da quando aveva scoperto di essere il Sangue di
Drago si sentiva doppiamente responsabile delle sue azioni. Per quanto
lo riguardava, la Guerra Civile a conti fatti si riduceva ad una
questione meramente politica, per cui non voleva averne nulla a che
fare. Soprattutto non voleva che il suo essere Sangue di Drago, una
figura importante nella cultura di Skyrim, fosse usato come mezzo di
propaganda da una fazione contro l'altra.
Ora più che mai, aveva bisogno di una mente lucida e concentrata, e
mentre la liberava da ogni pensiero, perse la cognizione del tempo.
«Sangue di Drago» una voce alle sue spalle lo riscosse dalla
meditazione, si girò e vide che Arngeir era tornato. «Tutte le parti
sono arrivate, stiamo aspettando te».
Daric annuì, scese dal muretto e riprese il suo bastone, quindi seguì
Arngeir dentro il monastero. Quando arrivarono alla sala d'ingresso, vi
trovò due ospiti inaspettati: Delphine, fiera nella sua armatura
akaviri, ed Esbern, il vecchio archivista delle Blade.
Daric si fermò di botto, sorpreso, e lo stesso fece Arngeir,
evidentemente erano arrivati proprio in quel momento. Ovviamente Daric
li aveva avvisati che si sarebbe tenuto il consiglio, ma non aveva
pensato che si sarebbero presentati.
«Sangue di Drago» Delphine lo salutò con un cenno del capo, poi si
rivolse al monaco: «Arngeir, giusto?»
«Non siete i benvenuti qui» rispose, glaciale. «Cosa volete?»
«Vogliamo partecipare al consiglio, è merito nostro se il Sangue di
Drago è arrivato fino a questo punto» fu la replica, altrettanto fredda,
di Delphine.
«Merito vostro? Quanta arroganza».
«Vorresti negarlo? Se fosse per voi, il Sangue di Drago dovrebbe
starsene qui tutto il giorno a fissare il cielo!»
Prima che il battibecco potesse proseguire, intervenne Esbern:
«Delphine, non siamo venuti qui per scambiarci recriminazioni» poi si
rivolse ad Arngeir: «Siamo qui perché vogliamo la sconfitta di Alduin,
se la volete davvero anche voi, allora lasciateci partecipare. Le
informazioni che abbiamo possono essere di importanza vitale per il
Sangue di Drago».
Il monaco lo fissò in silenzio per qualche secondo, poi sospirò. «Va
bene, seguitemi».
Le due Blade si unirono quindi al seguito di Arngeir. Imboccarono un
corridoio a destra, e in breve si ritrovarono in una sala con un grande
tavolo, vuoto al centro, dalla forma quasi ellittica. Tutti gli ospiti
erano attorno al tavolo, ancora in piedi. Da un lato c'era Ulfric Manto
della Tempesta, capo dei ribelli e jarl di Windhelm, insieme al suo
braccio destro Galmar Pugno di Pietra. Dall'altro c'era il Generale
Tullius, capo delle forze imperiali a Skyrim, con il Legato Rikke; poi
c'era Elisif la Bella, jarl di Solitude, che probabilmente era venuta
per rappresentare la parte filo-imperiale di Skyrim, e c'era anche
Balgruuf il Grande, jarl di Whiterun, che avrebbe dovuto essere il
principale beneficiario della tregua tra le due fazioni. Con una punta
di irritazione, Daric notò che c'era anche l'Ambasciatrice Elenwen,
rappresentante dei Thalmor in Skyrim. Anche Delphine ed Esbern rimasero
interdetti alla vista di una dei loro acerrimi persecutori, ma se anche
rimasero spaventati, non lo diedero a vedere, e si diressero ai posti
vuoti vicino ad Ulfric. Anche Elenwen non mostrò di averli riconosciuti,
ma si limitò a fissarli mentre prendevano posto.
Daric deglutì a vuoto e strinse nervosamente il bastone, quindi camminò
fino all'altro capo del tavolo, dove c'era un posto vuoto. Avvertiva
molti sguardi che lo scrutavano, ma non doveva assolutamente mostrarsi
intimidito. Arrivò al suo posto ed abbassò il suo cappuccio, non aveva
senso nascondere il volto ora.
Arngeir, dal lato opposto, esordì: «Mi auguro che tutti sappiate il
motivo per cui siamo riuniti qui. Ora, se volete sedervi, possiamo dare
inizio a questo consiglio».
La replica di Ulfric fu immediata: «Non ci siederemo allo stesso tavolo
con quella serpe viscida dei Thalmor, ci stai provocando Tullius?»
«Ecco, ha già cominciato» mormorò Rikke.
«Sono qui per controllare che vengano rispettati i termini del
Concordato Oro-Bianco» rispose Elenwen, impassibile.
«Decido io chi portare nella mia delegazione, Ulfric» replicò
seccamente Tullius.
Daric alzò gli occhi al cielo. «Divino Stendarr, mandaci un briciolo di
buonsenso» mormorò tra sé.
«Per favore, se incominciamo a trattare sui termini della trattativa
non ne usciremo più» intervenne Arngeir, «Vogliamo interpellare il
Sangue di Drago, per avere un parere neutrale?»
Nessuno si oppose apertamente, e Daric si trovò di nuovo al centro
dell'attenzione.
Sospirò per calmarsi. «Jarl Ulfric, con il dovuto rispetto, non credere
di essere l'unico qui a non apprezzare i Thalmor. Il fatto che l'Impero
si accompagni ad individui discutibili non è l'oggetto di questo
consiglio» Elenwen lo fulminò con lo sguardo, Galmar invece ridacchiò.
«Quindi, per favore, vogliamo sederci per affrontare il vero motivo per
cui siamo qui?»
Ulfric riportò lo sguardo su Tullius. «Va bene, può restare, ma non
ammetto intromissioni da parte sua. Noi non trattiamo con lei, è
chiaro?»
«Non capisco la tua ostilità, Ulfric» lo canzonò Elenwen, «non sono i
Thalmor quelli che uccidono i tuoi uomini».
«Ma non dovrebbe essere dalla nostra parte?» mormorò Rikke.
«Non ammetto intromissioni» sibilò Ulfric minaccioso, «non farmelo
ripetere ancora».
Arngeir riprese la parola: «Ora che questa faccenda è sistemata,
vogliamo procedere?»
Gli attendenti al consiglio si sedettero.
«Bene, procediamo allora» disse Ulfric. «Il nostro termine per
l'accordo è inderogabile: vogliamo Markarth».
La richiesta sollevò una sequela di proteste dalla delegazione
imperiale.
«Con quale sfrontatezza avanzi una richiesta del genere?» fece Elisif,
oltraggiata. «Questo è un insulto all'ospitalità dei Barbagrigia».
«Mantieni la calma, jarl Elisif» intervenne Tullius, «ci penso io a
gestire questa faccenda».
«Generale, questo è inaccettabile!» Protestò lei. «È forse questo il
modo di iniziare una trattativa di pace?»
«Elisif!» il richiamo di Tullius fu controllato ma fermo. «Ho detto che
ci penso io» quindi si rivolse ad Ulfric: «Cosa stai cercando di fare,
Ulfric? Ti sei accorto che non riuscirai a vincere questa guerra, e
quindi ora cerchi di favorire la tua posizione con questo negoziato?»
«Sono sicuro che non sia l'intenzione dello jarl Ulfric» intervenne
Arngeir. «Se ha deciso di avanzare questa richiesta, immagino che si
aspetterà di cedere qualcosa in cambio».
«Oh sì, me lo immagino anch'io» borbottò Rikke, sarcastica.
«Se ti aspetti che cediamo Markarth a questo tavolo, allora tu
dovrai cedere qualcosa di altrettanto valore» disse Tullius. «In cambio
vogliamo Riften».
Ulfric sembrò soppesare la contro-richiesta, quindi si rivolse a Daric:
«Qual è la tua opinione su questo scambio?»
Daric scrollò le spalle «Non so, mi sembra equo?» una risposta che
suonò tutt'altro che convinta.
«Ci stai prendendo in giro?» ringhiò Ulfric. «Vedi di mostrare più
serietà, qui non stiamo giocando!»
Quel rimprovero fece scattare Daric come una molla. Furibondo, vibrò un
colpo al pavimento con l'estremità inferiore del suo bastone, e una
singola fiammata guizzò dal braciere al centro del tavolo.
«Questo dovrei dirlo io» sibilò Daric. «Vi state scambiando feudi come
se fossero banali pezzi di terra, ma vi importa qualcosa delle persone
che ci vivono?»
«So che sembra ingiusto, ma in una guerra le trattative si fanno anche
in questo modo» disse Tullius. «Non pretendo che tu capisca»
«No, non lo capisco!» sbottò Daric. «Non capisco perché in un consiglio
di pace si debba comunque parlare di guerra, non capisco perché portate
ancora avanti questo strazio che voi chiamate Guerra Civile, e non
capisco perché deporre le armi debba per forza essere una faccenda così
dannatamente complicata!» le parole uscirono dalla sua bocca in
un crescendo di frustrazione, finché si ritrovò in piedi ad urlare le
ultime due, battendo il pugno sul tavolo «Io qui vedo due cani pastori
che si azzannano, mentre c'è un lupo che sta divorando il loro gregge, e
non capisco perché!» ripeté quelle parole con veemenza per
l'ennesima volta «E che Julianos mi perdoni, ma preferisco non capire,
preferisco l'ignoranza» mormorò, sconfitto.
Nel silenzio attonito che seguì, Daric si sedette di nuovo, una mano a
coprire gli occhi, già pentito di essersi lasciato andare in quel modo.
Tutti sembravano ammutoliti, quindi fu Arngeir a prendere la parola:
«Purtroppo la situazione è questa, Sangue di Drago, che ci piaccia o no.
Respira e concentrati, devi tenere a mente l'obbiettivo che ti sei
posto».
Daric fece due profondi respiri, quindi annuì. «Vi chiedo scusa» disse,
con la rinnovata calma, «a quanto pare siamo partiti tutti con il piede
sbagliato, quindi permettemi di ricominciare» prese un altro profondo
respiro. «Innanzitutto, vi ringrazio per essere qui, mi rendo conto che
non è piacevole per nessuno».
«Puoi dirlo forte» borbottò Galmar.
«Non avrei insistito se non fosse così importante. Come saprete, i
draghi sono tornati a Skyrim. Anzi, in realtà non se ne sono mai andati,
sono sempre rimasti qui, sepolti nella terra e nella memoria. Ciò che
veramente è tornato a Skyrim, è un pericolo ancora più grande. Esbern,
vorresti parlarcene per favore?» in un qualche modo sentiva che nessun
altro, più di lui, aveva diritto di parlarne.
«Certo, certo» il vecchio si schiarì la voce. «Alduin, il Divoratore
del Mondo, è tornato» annunciò gravemente, «Helgen è stato solo un
assaggio di ciò che è capace. È stato Alduin a risvegliare i draghi
dalle loro tombe, gli stessi draghi che ora vagano per Skyrim seminando
terrore e distruzione. Il Sangue di Drago lo ha costretto a ritirarsi a
Sovngarde, ma abbiamo solo guadagnato un po' di tempo. Ora sta
recuperando le forze, mentre noi parliamo qui, e sta divorando le anime
dei soldati che avete mandato a morire in questo inutile fratricidio».
L'ultima frase sembrò irritare sensibilmente Ulfric. «Delphine, lui è
con te?» chiese, e la donna annuì.
«Se è così, allora avvisalo di tenere a freno la lingua. Non sono qui
per ascoltare i suoi giudizi personali».
«Io invece avviso tutti voi di starlo a sentire» replicò lei. «Per
troppo tempo abbiamo ignorato i suoi avvertimenti»
«Non i miei avvertimenti» specificò Esbern con veemenza, «ma gli
avvertimenti dei nostri antenati! Siamo stati noi stessi ad attirare
questa calamità, abbiamo deciso di dimenticare e ci siamo cullati in una
falsa sicurezza. La profezia era chiara, dovevamo sapere che prima o poi
Alduin sarebbe tornato, e ora la nostra ultima speranza è il Sangue di
Drago».
Vedendo che aveva finito, Daric riprese a parlare. «Gli dèi ci hanno
concesso la possibilità di scegliere. Qui avete uno strumento per
fermare Alduin» allargò le braccia, come se volesse offrirsi ai suoi
interlocutori, «ora sta a voi decidere se utilizzarlo».
Breve ma diretto, il suo discorso aveva ottenuto l'effetto sperato. La
belligeranza delle due parti sembrava essersi in parte sgonfiata, ora
che erano stati messi davanti alla loro responsabilità.
«Non avete nulla da perdere e avete tutto da guadagnare» continuò, «al
momento la vostra guerra è in stallo, avete quattro feudi ciascuno.
L'unico feudo rimasto fuori è quello di Whiterun, ed è normale che jarl
Balgruuf si senta minacciato. Io, però, ho assolutamente bisogno di
catturare un seguace di Alduin, e Dragonsreach potrebbe essere la nostra
unica opzione. Quello che vi chiedo quindi, è che voi cessiate le
ostilità per qualche giorno, così che si possa catturare un drago in
sicurezza, ho la vostra parola?»
Ulfric scoppiò in una risata amara. «Apprezzo lo sforzo, davvero, ma
non mi fiderò mai più della parola dell'Impero».
«Lo stesso vale per noi» ribatté Elisif. «Non potremmo mai fidarci
della parola di un assassino».
«Vi prego, lasciate che mi spieghi» Daric intervenne subito prima che
scoppiasse un alterco. «Vi chiedo di fidarvi della mia parola,
farò io da garante per questo mutuo accordo. Se voi mi giurate
che non muoverete attacchi, io vi giuro che non ne riceverete».
L'ultima frase lasciò spiazzati un po' tutti, ma fu Tullius a dare voce
alla domanda che probabilmente si chiedevano anche gli altri: «Per
quanto sarei propenso a crederti, come puoi assicurarmi che non vengano
attaccati i feudi leali all'Impero? Non sei tu a controllare i suoi
uomini» indicò Ulfric con un cenno del capo.
Daric alzò le spalle con noncuranza. «Hai ragione, in realtà non posso
assicurarvi che non riceviate attacchi. Posso però assicurarvi che
chiunque di voi si dovesse rimangiare la parola data, avrebbe poi di cui
pentirsene amaramente».
Nonostante il tono tranquillo, la minaccia non tanto velata cadde con
l'impatto di un macigno. La verità era che nessuno di loro aveva
pienamente idea di cosa fosse capace, ma già il fatto che fosse un
Sangue di Drago lasciava un'impressione abbastanza convincente.
Dopotutto, si diceva che quelli che possedevano un grande potere non
avevano bisogno di utilizzarlo per incutere timore, ma gli bastava solo
minacciare di utilizzarlo.
«Vi faccio un esempio» continuò con lo stesso tono leggero, «come
pensate che reagirebbero gli uomini e le donne di Skyrim, qualora
venissero a sapere che mentre il Sangue di Drago rischiava la sua vita
per fermare Alduin, mentre la sorte del Mondo stesso era in bilico, voi
ne avete approfittato per avvantaggiarvi in questa guerra? Sapete,
queste voci si spargono in fretta, e la brava gente di Skyrim non ama
questo tipo di vigliaccherie».
Un certo senso di disagio cominciò a serpeggiare tra i presenti, e
Daric decise di rincarare ancora la dose: «Voglio rassicurarvi
pienamente» il tono si fece improvvisamente freddo e spietato, «chi
romperà questo accordo ne risponderà a me. Se nel periodo di
tregua uno di voi si dovesse azzardare a sottrarre anche un semplice
pozzo per l'acqua all'altra fazione, mi occuperò io stesso di
restituirlo a chi lo possedeva prima. Ho affrontato le fauci e il fuoco
del Divoratore del Mondo, non pensate che abbia paura dei vostri
soldati».
Forse Daric era riuscito a far valere quella metà di sangue imperiale
che gli scorreva nelle vene, il suo discorso era stato abbastanza
convincente da lasciare gli altri di stucco.
Galmar emise un fischio basso. «Sei piccolo ma fai paura, dico sul
serio».
«Non è piccolo, Galmar, sei tu che sei troppo cresciuto» commentò
Rikke.
Daric riprese a parlare, stavolta in modo più pacato: «Jarl Ulfric,
Generale Tullius, questa è la terza volta che vi incontro. La prima
volta è stata ad Helgen, la seconda è stata quando vi ho chiesto di
venire qui. Vi dico questo perché vorrei che sia chiaro un fatto: in
questa guerra io non sto né con i ribelli né con l'Impero» scandì
lentamente l'ultima frase. «Se pensate che l'esito di questa guerra sia
più importante della sorte del mondo, allora forse meritiamo di essere
divorati tutti da Alduin. Se invece, come dite, tenete veramente alla
sorte di Skyrim, allora aiutatemi a salvarla».
Ora stava a loro decidere, lui non poteva certo obbligarli ad essere
aiutati, sarebbe stato a dir poco ridicolo.
«Voglio crederti, Sangue di Drago» disse Ulfric. «Ho visto cosa è
successo ad Helgen, e mai vorrei che succedesse in un'altra città, fosse
anche schierata con l'Impero, non sono così meschino. Quanto tempo ti
serve?»
Daric soppesò la domanda per qualche secondo. «Dieci giorni, a partire
dalla prossima settimana. Avrete cinque giorni per avvisare tutte le
vostre truppe e i vostri accampamenti».
«E sia, hai la mia parola» disse Ulfric.
Daric si rivolse quindi verso Tullius, aspettando la sua risposta.
L'imperiale sospirò: «Tocca a me, immagino. Ebbene, alcuni potrebbero
sostenere il contrario, ma l'Impero ha da sempre a cuore la sorte di
Skyrim. Se questo è l'unico modo per impedire che i draghi la mettano a
ferro e fuoco, allora hai il mio appoggio, Sangue di Drago».
«Molto bene» Arngeir si alzò in piedi, «Generale Tullius, jarl Ulfric,
giurate voi di cessare le ostilità, per dieci giorni a partire dalla
prossima settimana?»
Entrambi risposero a turno con un «Lo giuro».
«Sangue di Drago» il monaco si rivolse a lui, «vuoi essere tu il
garante di questo giuramento, e assicurarti che ognuna delle due parti
mantenga la sua parola?»
«Lo voglio».
«Che la dèa dei cieli e del vento vi sia testimone» concluse Arngeir
con solennità. «Questo consiglio è sciolto».
«Andiamo, Galmar» Ulfric si alzò, ansioso di andarsene.
«Sì, mio signore» il suo huscarlo lo seguì. Arrivato all'uscita, Ulfric
si rivolse a Daric per un'ultima volta: «Ritiro quello che ho detto
prima, Sangue di Drago. Hai cuore e passione, e la tua serietà ti fa
onore. Ti auguro di avere successo, che Talos ti accompagni» e se andò
senza aspettare una risposta.
La delegazione imperiale però non se andò subito.
«Ti faccio i miei complimenti» gli disse Balgruuf, genuinamente
impressionato. «Il mio palazzo è a tua disposizione. Basta una tua
parola, e i miei uomini prepareranno la trappola».
«Grazie, jarl Balgruuf».
«Quale metodo avete escogitato per attirare un drago?» domandò Elisif.
Domanda legittima, pensò Daric. Esbern gli aveva promesso, durante il
loro ultimo incontro, che avrebbe trovato un modo, quindi lo guardò
speranzoso di una risposta.
Per fortuna colse il significato del suo sguardo. «Oh! Sì, in questo
posso aiutarvi io» intervenne. «Sono riuscito a trovare i vecchi
registri della Guardia del Drago Akaviri, su cui tenevano nota di tutti
i draghi che uccidevano. Confrontandoli con la mappa dei tumuli
tracciata da Delphine, sono riuscito a trovare il nome di un drago che è
stato riportato in vita da Alduin».
Daric rimase interdetto per un momento. «Il nome? In che modo il suo
nome può esserci utile?»
«Ah, forse non lo sai» Esbern spiegò pazientemente, «il nome di ogni
drago è formato da tre parole di potere, esattamente come se fosse un
Urlo. Se urlerai il nome di un drago, questo ti sentirà da ogni angolo
di Skyrim».
«Sei sicuro che verrà?»
«Non sottovalutare l'orgoglio di un drago. Quando capirà che sei stato
tu a chiamarlo, non resisterà alla tentazione di sfidarti, soprattutto
dopo la tua recente vittoria contro Alduin».
«Suppongo che lo scopriremo solo provandolo. Qual è il nome di questo
drago?»
«Dammi solo un momento» Esbern frugò nella tracolla che aveva con sè,
tirò fuori un libro e lo aprì ad un segno. «Dunque, il nome penso che si
traduca in 'Cacciatore alato delle nevi', ma per la pronuncia corretta
mi rimetto a chi è più esperto di me» si rivolse ad Arngeir, che gli era
vicino, e gli porse il libro.
Il monaco prese il libro, e dopo aver letto il nome in questione lo
restituì.
«Il nome è Odahviing. Tienilo bene a mente: Od-Ah-Viing»
Arngeir scandì bene le tre parole di potere.
Daric ripeté più volte il nome sottovoce, per imprimerlo al meglio,
quindi annuì. «Grazie, a tutti voi».
Mentre la delegazione imperiale si apprestava da andarsene, fu
avvicinato dal Legato Rikke. «A nome mio, ma anche della mia terra,
volevo dire grazie a te, per tutto quello che fai» gli disse
discretamente, a mezza voce. «Detto da me potrà sembrarti strano, ma
sono contenta che tu non ti sia schierato in questa guerra. Skyrim è
lacerata, e ora più che mai ha bisogno di un eroe che la unisca».
«Sventurata è quella terra che ha bisogno di eroi» rispose amaramente
Daric. Poi, vedendo l'espressione confusa sul volto di Rikke, sospirò e
si passò una mano sul viso. «Scusami, sono un po' stanco. Apprezzo la
fiducia, veramente».
La voce di Tullius mise fine al loro breve dialogo: «Andiamo, Rikke.
Dobbiamo tornare immediatamente a Solitude». Poi si rivolse a Daric: «Ti
auguro di riuscire nella tua missione, che gli Otto possano guidarti e
sostenerti».
Rikke lo salutò con un cenno, quindi seguì Tullius fuori dalla sala,
insieme ad Elisif e Barlgruuf. Elenwen, prima di andarsene, gli scoccò
un ultimo sguardo tagliente, e lo stesso fece con Esbern e Delphine.
Daric si abbandonò sulla sedia. La tensione lo aveva sfiancato, e il
peggio doveva ancora arrivare.
Quando anche Arngeir lasciò la sala, Delphine si avvicinò. «Dobbiamo
parlare, è importante» gli disse.
Sentì la tensione tornare, il tono non prometteva buone notizie. «Ti
ascolto».
«Abbiamo scoperto chi è Paarthurnax, il maestro dei Barbagrigia».
Daric si rabbuiò, temeva che questo momento sarebbe giunto. «Avete
scoperto che è un drago? Sì, l'ho scoperto anch'io».
«Paarthurnax non è un semplice drago, è stato uno dei luogotenenti di
Alduin, uno dei suoi seguaci più fedeli e spietati. Durante la Guerra
del Drago si è macchiato di diverse atrocità compiute a danno degli
umani» la voce di Delphine si fece sempre più dura. «È arrivato il
momento che paghi per i suoi crimini, è arrivato il momento che muoia.
Questo compito ricade su di te, Sangue di Drago, solo tu puoi
ucciderlo».
Per Daric fu come ricevere uno schiaffo in pieno volto. Quando si
riprese dallo stupore, semplicemente rispose: «Non lo farò».
Delphine assottigliò gli occhi. «Ti avverto, se ti rifiuterai di
ucciderlo, non potremo più aiutarti. Noi Blade abbiamo un giuramento a
cui tenere fede».
«Questo lo comprendo e lo rispetto, ma se non mi darai una buona
ragione per ucciderlo, io non lo farò».
«Quale ragione ti serve? È un drago! I draghi sono una minaccia per
tutti, per questo devono essere uccisi».
Daric scosse la testa. «Stai ragionando come quei Vigilanti di
Stendarr, è una logica totalmente priva di discernimento. Paarthurnax è
un drago, è vero, ma allo stato attuale non è una minaccia per nessuno».
«Come fai a dirlo? È nella natura dei draghi comandare e sottomettere i
mortali, e lui non fa eccezione».
«Ne sono consapevole, e ne è consapevole anche Paarthurnax. Ciò
nonostante, non posso condannarlo a morte per qualcosa che potrebbe
fare».
«E quello che ha fatto invece? Il suo passato non conta nulla?»
«Tutti noi abbiamo un passato, Delphine, e non sempre ne andiamo fieri.
Paarthurnax ha compreso i suoi errori molto tempo fa, ha insegnato il
Thu'um agli uomini, li ha aiutati a sconfiggere Alduin, e ha aiutato
anche me».
«Oh, sì, molto nobile da parte sua» disse Delphine con evidente
sarcasmo. «Il fatto che abbia tradito Alduin non lo rende migliore, lo
rende solo capace di tradire di nuovo, e stavolta potrebbe tradire te!»
«Stai di nuovo parlando di ipotesi. Non dico che mi fido ciecamente di
lui, ma nemmeno ne dubito a tal punto da considerarlo una minaccia».
La pazienza di Delphine sembrava essere a dura prova. «Come fai a
trattare questa questione con così tanta leggerezza? Quel drago ha
commesso atrocità così terribili da essere ricordate per secoli! Tutte
quelle vittime meritano giustizia!»
Anche la pazienza di Daric si stava iniziando a consumarsi. Si alzò
dalla sedia: «Non ammetto che mi si accusi di leggerezza» disse con tono
fermo. «Non arrogarti la facoltà di parlare a nome dei morti, Delphine,
soprattutto per elargire giudizi e sentenze. Senza compassione non c'è
giustizia, ma solo una sterile vendetta».
Lei chiuse gli occhi e fece due profondi respiri per calmarsi. «Bene,
vedo che è inutile insistere, ma se quel drago creerà di nuovo dei
problemi, la responsabilità sarà tua».
«Certo, è così per chiunque. Tutti noi siamo responsabili delle nostre
azioni e delle nostre mancanze, ma preferisco essere responsabile di ciò
che io scelgo di fare o non fare, piuttosto di ciò che gli altri
scelgono per me. Mi dispiace che debba finire così, ma la mia posizione
è questa».
Esbern, che aveva sentito il loro diverbio, si avvicinò. «Dispiace
anche a noi, Sangue di Drago» disse, prima di rivolgersi a Delphine:
«Non possiamo pretendere che lui si prenda carico delle nostre battaglie
e dei nostri principi, i nostri giuramenti non sono i suoi giuramenti.
Se il Sangue di Drago dice che rispetta la nostra posizione, noi
dobbiamo rispettare la sua».
Un'ombra di tristezza scese sul volto della donna, che abbassò lo
sguardo. «Sì, hai ragione» disse, poi tornò a guardare Daric dritto
negli occhi. «Mi auguro che non ti debba mai pentire di questa
decisione, ma, nel caso dovessi ripensarci, sai dove trovarci. Ti
ringrazio per ciò che hai fatto per noi, non lo dimenticheremo» gli
rivolse un saluto militare, quindi girò i tacchi e se ne andò.
Esbern, rimasto solo con lui, rovistò nella sua tracolla, quindi gli
porse un libriccino dall'aria anonima, senza alcun titolo, «Vorrei che
tu avessi questo, Sangue di Drago».
Daric lo accettò, titubante, ma quando fece per aprirlo, il vecchio gli
afferrò le mani e lo fermò, «Non adesso. Il tuo compito ora è fermare
Alduin, e con tutto il cuore ti auguro di riuscirci. Purtroppo però,
Alduin non è l'unica minaccia per questo mondo, ce n'è una ben peggiore
che da tempo avvelena Tamriel con discordie e menzogne. Sai a cosa mi
riferisco...» Daric annuì, «ho seriamente paura che la ragioni che la
muovono siano ben più terribili di quanto appaiano ora. Ho scritto io
questo libro, leggilo solo quando ti sentirai pronto, nel frattempo
tienilo segreto» gli lasciò le mani e quindi gli strinse una spalla,
rivolgendogli un raro sorriso. «Se mai ci incontreremo ancora, spero che
saremo dalla stessa parte».
«Lo spero anch'io».
Infine anche Esbern se ne andò, e Daric rimase solo, con quel
libriccino in mano. Senza pensarci due volte, lo fece sparire sotto il
mantello. Come aveva detto Esbern, al momento non aveva bisogno di altre
preoccupazioni.
⁂
La sera era scesa su Ivarstead, e la locanda Vilemyr si era riempita
dei soliti avventori. Wilhelm era al banco, e da bravo oste qual era,
stava chiacchierando con i suoi clienti. Jofthor, uno dei due coniugi
che possedevano la fattoria Fellstar, gli stava raccontando qualcosa di
interessante.
«Dico sul serio, Wilhelm» gli disse Joftho. «In un solo giorno non mai
visto così tante persone salire per la montagna». Scosse la testa e
bevve un sorso dal boccale che aveva in mano.
«Le hai riconosciute? Chi erano?» chiese Wilhelm, ansioso di avere
qualche notizia succulenta da condividere con i suoi clienti. Di solito
succedeva ben poco ad Ivarstead. Le uniche voci interessanti che sentiva
arrivavano dalle altre città più movimentate.
«Non so chi fossero. Ne ho visti tre vestiti con roba di classe,
costosa, altri due invece avevano l'armatura della Legione Imperiale, ed
erano assieme ad uno di quegli elfi Thalmor. Poi ho visto una donna con
un'armatura esotica, mai visto niente di simile».
Era talmente strana come comitiva, che Wilhelm cominciò a dubitare del
racconto. «Jofthor, sei sicuro che il sole non ti abbia giocato brutti
scherzi?»
«Per la barba di Ysmir, giuro che è vero!» Batté il
boccale, fortunatamente quasi vuoto, sul banco. «Ho visto anche un uomo
con una pelliccia d'orso addosso».
Wilhelm rise sonoramente. «Già me li immagino i Barbagrigia, che danno
una festa con le persone più strane di Skyrim. Ci mancava solo la focosa
servetta argoniana».
«Ah, e ho anche visto un tipo completamente coperto con un mantello»
continuò Jofthor, imperterrito.
«Quello lo so chi è, forse...» Wilhelm alzò lo sguardo e ghignò.
«Daric, giusto?» domandò alla figura incappucciata che, proprio in quel
momento, si era avvicinata al banco.
«Giusto» rispose e si abbassò il cappuccio. Riconobbe il volto del
ragazzo che aveva visto quella stessa mattina.
«Sì, sì eri proprio tu quello con il mantello» disse Jofthor,
guadagnandosi un'occhiata interrogativa da parte di Daric.
«Il buon Jofthor mi stava raccontando di aver notato un po' di gente
strana incamminarsi per la montagna, tu l'hai vista?» Wilhelm riempì un
boccale alla botte alle sue spalle, e lo porse a Daric.
«Oh sì, ne ho vista di gente strana» rispose, mentre sedeva ad uno
sgabello.
Bene, questo è un rospo che mi tenevo in gola da molto tempo. Secondo
me, questa missione non dà sufficiente considerazione a quei giocatori
che, per una ragione o per un'altra, vogliono rimanere neutrali nella
Guerra Civile. Quello che proprio non mi va giù, nella missione
originale, è che Ulfric e Tullius si mettano a scambiarsi feudi di
Skyrim come fossero figurine. In questo capitolo ho cercato di
raccontare una versione che fosse più vicina alle mie corde, spero che
vi sia sembrata credibile. Ho cercato il più possibile di mantenere
l'essenza dei dialoghi originali, e spero di non aver snaturato nessuno
dei personaggi. Ne ho anche approfittato per inserire alla fine quel
dialogo tra Delphine e il Sangue di Drago, che tecnicamente farebbe
parte di una missione separata. Non avevo mai pubblicato qualcosa di
così lungo, spero che non sia stato pesante da leggere. Se vi va, fatemi
sapere cosa ne pensate. Ciao e alla prossima :)