2- Lo spirito dell'inverno
Lo spirito dell’inverno
L’idea
brillante che Hinata aveva avuto la portò, non appena
poté riprendere a camminare, nell’Ufficio Anagrafe della
propria cittadina.
Conosceva l’uomo che
vi lavorava: sapeva che il figlio doveva avere più o meno la sua
età, e se lo ricordava bene. Era l’unico ragazzino
silenzioso e schivo in quella gazzarra vociante costituita da tutti i
suoi coetanei.
Hinata sentiva che
avrebbero anche potuto andare d’accordo se si fossero frequentati
di più, ma gli eventi non lo avevano mai permesso: lei era
sempre in collegio, e lui dedicava tutto il suo tempo libero alla
collezione degli insetti per cui nutriva tanta passione. Era quasi
impossibile riuscire a trovarlo.
Con quella famiglia tanto
bizzarra Hinata si sentiva comunque a proprio agio: e non si
stupì, quella mattina, quando vide che il signor Aburame
indossava un giaccone chiaro in piena estate e degli occhialini da sole
anche se non si trovavano all’aperto. Malgrado tutto ciò
che le avevano sempre insegnato, non lo trovò maleducato.
Non appena entrò, si
rese subito conto che la quantità di mosche presenti era
leggermente superiore al normale, ma non vi fece caso più di
tanto. Sollevata nel constatare che al momento non c’erano altre
persone, si diresse verso il bancone, salutando gentilmente.
Il signor Aburame la riconobbe subito:
- Oh, la
piccola Hyuuga – disse, con una voce atona che a Hinata
suonò invece molto cordiale – Di che cosa hai bisogno?
- Ecco,
io… - cominciò la ragazzina, un po’ titubante,
mentre sentiva il rossore salirle fino alle orecchie.
All’improvviso le vennero un sacco di dubbi: quello che voleva
fare era legale? E comunque non avrebbe dovuto disturbare il signor
Aburame, che aveva sicuramente molto lavoro da sbrigare…
Gli lanciò
un’occhiata veloce, ancora timorosa. Lui era lì ad
aspettare, tranquillo, senza alcuna traccia di impazienza. Se avesse
avuto dell’altro da fare non sarebbe certo rimasto lì a
guardarla, giusto?
Quindi Hinata si fece coraggio e piano piano, tra un balbettio e l’altro, espose la propria richiesta.
Alla fine
Hinata dovette constatare che era stato tutto molto più semplice
di come se l’era immaginato. Il signor Aburame le aveva spiegato
che non era esattamente permesso
fare quello che voleva, ma per lei avrebbe fatto un’eccezione.
L’aveva guidata nella saletta vicino, dove stavano stipati tanti
antichi documenti, e le aveva tirato subito fuori la scartoffia di cui
aveva bisogno.
Dopodiché
l’aveva lasciata sola, tornandosene al proprio lavoro, al
computer il cui ronzio somigliava vagamente a quello di un insetto.
Hinata si era seduta ad un
tavolo, studiando con reverenza ciò che teneva in mano. Si
sentiva quasi in colpa a ficcare il naso così, sapeva che a
rigor di logica era profondamente sbagliato, eppure… eppure una
vocina, da qualche parte, le stava dicendo che quella era la cosa
giusta. L’unica.
Quindi iniziò a
leggere il foglio che aveva davanti, e scoprì tante cose
interessanti. Innanzitutto, che il giovane Inuzuka portava come primo
nome Kiba- poteva sembrare assurdo, ma nessun giornale si era degnato
di inserire il suo nome in uno dei tanti articoli a lui dedicati- e che
era nato nella casa in cui viveva quasi venticinque anni prima.
Fu quel quasi
ad accenderle una lampadina in testa. O, nel suo caso, forse si
trattava solo di una timida candelina, ma era sufficiente. Tornò
nell’ufficio, restituì il documento al signor Aburame e lo
ringraziò calorosamente, con un sorriso sincero.
Lui le fece solamente un
cenno con la mano, il cui significato poteva andare dal
“Ciao” al “Felice di esserti stato utile”. E
tornò al proprio lavoro.
Visto
però che le cose non vanno mai come dovrebbero, la mattina del
sette luglio una vecchia zia fece visita a Hinata, sua madre e sua
sorella. Perciò dovette rimanersene buona e tranquilla tutta la
mattina, sorridendo gentile e rispondendo solo se interpellata. Cosa
normalmente non troppo difficile, perlomeno per lei, ma quella volta
Hinata fremeva.
Per fortuna nel pomeriggio, quando la zia andò a fare il suo pisolino, fu finalmente libera.
Si diresse quasi di corsa
verso la casa e, giunta di fronte al famoso muro coperto d’edera,
dovette fermarsi un momento a riprendere fiato. Il fiatone avrebbe
potuto tradirla, doveva stare attenta.
Si tolse ancora una volta i
sandali e si arrampicò, per poi saltare direttamente sul ramo
una volta arrivata in cima. Era diventata una vera esperta, ormai.
Tuttavia si era talmente
impegnata a fare tutto nel maggior silenzio possibile che aveva
dimenticato di dare un’occhiata al giardino, tanto per essere
sicura che non ci fosse nessuno o che nessuno la vedesse. Di solito lo
faceva, ma quella volta lo scordò.
E- accidenti!- quando se ne ricordò fu troppo tardi.
Perché il pittore
misantropo se ne stava tranquillo sotto il suo ramo prediletto, con le
braccia incrociate, i capelli spettinati e un ghigno beffardo stampato
in faccia.
Quando lo vide, Hinata
rimase talmente sbalordita che dimenticò di spaventarsi. Forse
avrebbe dovuto voltarsi e andarsene all’istante, ma non
riuscì a fare altro che rimanere lì a guardarlo,
totalmente stupefatta.
Per qualche momento nessuno
dei due aprì bocca. Ad interrompere il silenzio pensò il
minuscolo cagnolino color panna, che arrivò trotterellando con
il suo festoso “yap!” e si sistemò scodinzolante
sotto il ramo su cui se ne stava Hinata, ancora immobile.
Il ragazzo gli rivolse
un’occhiata bieca, sospirando rassegnato, per poi rialzare lo
sguardo verso la ragazzina e commentare:
- Bene, mocciosa, sei decisamente fortunata.
Visto che ad Akamaru stai così simpatica,
non ti beccherai né una denuncia per violazione di domicilio
né qualche altro metodo più
drastico… anche se sappi che in sala da pranzo c’è
ancora una baionetta del Settecento… -
alzò leggermente un sopracciglio, assottigliando gli occhi, per
vedere se la minaccia
stesse facendo effetto. Sembrava una ragazzina impressionabile, non ci
doveva volere
molto per spaventarla a dovere. Anche se, in realtà, pensava che
la prima volta sarebbe
bastata, e invece…
- Comunque sia – riprese - mi auguro solo che
tu non vada in giro a vantarti di essere l’unica ad entrare nella
proprietà della “Bestia”… come a quanto pare hanno cominciato a chiamarmi.
Hinata avrebbe voluto
chiedergli come facesse a conoscere questo dettaglio delle voci che
correvano su di lui, dato che era sempre chiuso lì dentro, ma
naturalmente si sarebbe seppellita viva piuttosto di farlo.
Si impose invece di non pensare- almeno per qualche secondo- giusto il tempo di riuscire a fare ciò per cui era venuta.
Inspirò
profondamente e, prima di avere il tempo di vergognarsi o anche solo di
pensarci due volte, disse d’un fiato, pronunciando con cura ogni
parola a voce alta:
- Buon compleanno.
Lui la guardò
decisamente sorpreso e, dopo qualche secondo, per la prima volta
sorrise. O perlomeno quella fu l’impressione che Hinata ne ebbe,
anche se esteriormente sembrava soltanto un ghigno un po’ meno
aggressivo del solito.
Trascorse qualche istante di silenzio, che il ragazzo ruppe chiedendo:
- Tu quando sei nata, invece?
La ragazzina rimane un po’ sbigottita, ma rispose in fretta:
- Il ventisette dicembre.
Il giovane sembrò studiarla un attimo, per poi asserire convinto:
- Ci
avrei scommesso. Effettivamente un fantasma pallido come te sullo
sfondo dell’estate è decisamente fuori posto… di'
un po’, che classe fai?
- Ho f-finito le medie…
- Sei una
mocciosetta di tredici anni, allora. Ti facevo più
piccola… - commentò il ragazzo con un sorriso obliquo.
Il volto di Hinata prese fuoco.
- Io… veramente quest’anno ne compio quattordici…
Lui rimase ad osservarla,
non commentando l’ultima affermazione della ragazzina e senza
dare adito di averla nemmeno sentita.
-
Sì… effettivamente hai proprio l’aspetto
dello spirito dell’inverno – articolò piano, quasi
assorto.
Hinata non era sicura di aver capito bene:
- C-come? Io…
Ma il giovane sembrò
essersi improvvisamente stancato di quella conversazione che lo
costringeva a stare perennemente a testa in su, e in due parole la
liquidò:
- Bene, immagino tu abbia compiuto la tua missione. Adesso puoi anche andartene.
La ragazzina avrebbe voluto
aggiungere qualcosa, ma quando l’altro girò sui tacchi,
diretto verso l’immancabile cavalletto, si rese conto che per
quel giorno aveva già avuto abbastanza fortuna.
Rivolse un sorriso al
cagnolino e saltò sul muro, per poi tornare verso casa. Per una
volta non a rotta di collo e senza il cuore in gola.
Passò qualche giorno, durante i quali Hinata rimuginò a lungo per decidere se tornare o no alla casa.
Lì nella cittadina,
in quell’estate senza compiti, non aveva praticamente niente da
fare, ma sentiva che non era la semplice noia a spingerla laggiù.
Per quasi una settimana
cercò di distrarsi: si offrì di andare a fare la spesa al
supermercato, per esempio. Ci pensava già la loro domestica, ma
un po’ di frutta poteva sempre andare a prenderla. Il fatto che
ogni volta tendesse le orecchie per riuscire a cogliere qualche
commento sul miglior cliente del negozio, però, era solo un
dettaglio.
Un pomeriggio andò
anche a trovare il figlio del signor Aburame. Trascorse con lui delle
ore davvero interessanti, in giro per la campagna attorno alla
cittadina, alla ricerca di insetti.
Potrebbe sembrare noioso,
ma per lei non lo fu affatto: passeggiarono per ore, Shino ben attento
al minimo movimento- malgrado i piccoli occhiali da sole- Hinata che si
godeva il paesaggio che li circondava.
Quando trovavano qualcosa
il ragazzino glielo mostrava come fosse il suo più grande
tesoro, era in grado di parlarle di uno scarabeo come della creatura
più stupefacente dell’universo. A Hinata piaceva
ascoltarlo, ed era contenta che quando parlava con lei scegliesse tutti
i dettagli più interessanti da raccontarle.
Andava molto
d’accordo con lui, ma sapeva anche che non avrebbe dovuto
disturbarlo più di tanto. Forse qualche volta avrebbe potuto
accompagnarlo ancora nei suoi giri, tuttavia si sarebbe trattato di
episodi sporadici. Perché in fondo erano l’unica cosa che
potevano condividere; Hinata sapeva che lei non sarebbe mai riuscita a
proporgli niente che lo interessasse. Forse avrebbe potuto accettare
per farle piacere, ma la ragazzina sentiva che non era così che
doveva andare.
Lei non aveva mai avuto una
passione per qualcosa, e forse per questo le piacevano le persone il
cui animo s’infervorava per una qualche attività. Persone
che riuscivano a trascorrere ore ed ore del loro tempo più
prezioso- il tempo libero- a fare all’incirca sempre la stessa
cosa. Lei non aveva mai provato nulla del genere.
Le piacevano le persone che coltivavano le proprie passioni. Fossero esse gli insetti o la pittura.
L’occasione,
se vogliamo chiamarla così, le si presentò in un tardo
pomeriggio di luglio, il cui cielo violaceo minacciava un temporale
imminente.
Hinata stava dando una mano
al giardiniere a ritirare le sedie e il tavolino da esterno sotto il
portico, al riparo, quando fra l’erba sferzata dal vento vide una
macchia color panna che saltellava.
- Akamaru! – esclamò sottovoce, per non farsi udire dall’uomo.
In pochi passi lo raggiunse e lo prese tra le braccia.
- Che ci
fai qui? – gli chiese stupita. Come faceva a sapere dove abitava?
C’era finito per caso? O aveva seguito la traccia del suo odore?
Hinata alzò gli
occhi al cielo: si faceva sempre più scuro, con saettanti lampi
che di tanto in tanto lo illuminavano per un istante, o per meglio dire
evidenziavano quanto fosse livido.
Sicuramente erano entrati tutti in casa. Lei invece strinse Akamaru a sé e corse fuori.
Corse a perdifiato lungo
tutta la strada, che conosceva ormai a memoria. Cercò di fare
più in fretta che poté, ma la pioggia la sorprese
comunque: iniziarono a cadere le prime gocce quando era ancora a
metà strada. Grasse gocce d’acqua che la inzupparono fino
al midollo, mentre i tuoni si scatenavano. L’unica cosa che
Hinata sperava era che non si mettesse a grandinare.
Sapeva che non era sicuro
ripararsi sotto gli alberi durante i temporali, perciò non lo
fece. L’unica cosa che trovò fu una pensilina ad una
fermata dell’autobus, che fu sufficiente perché lo
scroscio più violento non li investisse in pieno.
Non appena i rovesci
d’acqua si quietarono a sufficienza, Hinata lasciò il
rifugio. Cadeva ancora una pioggerellina leggera, che sembrava aver
risvegliato tutti gli odori delle piante e della terra.
Giunta a destinazione, la
ragazzina fece il giro del muro attorno alla casa. Se ricordava bene,
doveva esserci un buco da qualche parte...
Eccolo! - esclamò, non appena l'ebbe trovato.
Fece scendere Akamaru e lo
spinse gentilmente verso l’apertura. Lui sembrò capire,
perché si infilò rapidamente nel pertugio, il didietro
all’insù, e in breve sparì dall’altra parte.
Hinata strappò un po’ d’edera dal muro e ve la infilò, giusto per coprire il buco.
Dopodichè si diresse
verso la sua entrata personale, salì sul muro e saltò
sull’albero, giusto in tempo per sentire Akamaru abbaiare
festoso. Sembrava divertirsi un mondo, sotto la pioggia.
Hinata vide il giovane
uscire di casa senza ombrello e correre incontro al cane, chinandosi
per accarezzarlo. Mentre l’animale gli faceva allegramente le
feste, il ragazzo esclamò sorridendo:
- Ehi, ma dov’eri? Mi hai fatto preoccupare, lo sai?
Hinata sorrise. Niente ghigni, stavolta. Sul suo viso c’era solo un sorriso sincero e sollevato per il proprio amico.
- Chissà come fai a scappare… forse passi attraverso le sbarre del cancello…
- No, non è così.
Il giovane si voltò,
decisamente sorpreso, verso il punto da cui proveniva la voce. E
stavolta rimase veramente senza parole. Perché la solita
ragazzina era lì, sullo stesso ramo dello stesso albero,
indifferente alla pioggerella che continuava a scendere, incurante dei
vestiti zuppi e dei capelli madidi appiccicati al viso. I suoi occhi
avevano lo stesso colore della pioggia, se la pioggia ha un colore.
- Ma si può sapere chi sei? – articolò piano.
Hinata arrossì un po’, imbarazzata.
- C’è un buco nel muro – riprese – Proprio là.
Indicò col braccio una direzione alle spalle del ragazzo.
- Credo
che manchi un mattone. Ci ho infilato dentro un po’
d’edera, ma non basta. Se non viene chiuso continuerà a
scappare.
Il giovane si era lentamente avvicinato, evitando movimenti bruschi per non spaventarla.
- Come ti chiami? – chiese, quando si trovò sotto il ramo.
Sorpresa soprattutto per il suo tono né minaccioso né ringhiante, Hinata ci mise un momento a rispondere.
- Ehi! Guarda che non mordo mica, anche se abbaio! – scherzò il ragazzo accennando a un sorriso.
Quel tentativo di metterla a suo agio la rincuorò, e rispose:
- Hinata.
- Hinata… - ripeté il giovane, come assaporandone il suono – Io sono Kiba.
-
Sì, lo so – rispose d’istinto Hinata,
mordendosi la lingua l’istante dopo vedendo che il viso del
ragazzo si era rabbuiato.
- Già, lo immagino – fece lui.
La ragazzina fece per
andarsene, sicura di aver tirato troppo la corda anche quella volta, ma
fu fermata dalla voce dell’altro che le disse:
- Visto che quest’albero sembra piacerti molto, puoi anche tornarci. Non ti caccerò.
Hinata non rispose, incredula per quello che aveva appena sentito.
- V-vuol dire che… - balbettò.
- Che
puoi venire quando vuoi. Non ti accoglierò con lo schioppo in
mano, stai tranquilla. E sistemerò anche quel buco. Se i tuoi
venissero a sapere che pur di riportarmi il cane sei disposta ad
inzupparti come un pulcino, mi beccherei un’altra denuncia.
Detto questo si congedò, dirigendosi verso la casa tallonato da Akamaru.
Hinata ancora non riusciva a credere quelle parole.
Non riuscì a
crederci nemmeno quando rimise i piedi per terra, neanche quando si
incamminò a passo lento verso casa.
Ma a metà strada,
quando la pioggia smise e il cielo iniziò a rischiarare,
mostrando un accenno di arcobaleno tra le nuvole, fu finalmente certa
di ciò che aveva sentito.
Poteva tornarci! Ora sì che il problema della noia estiva era finalmente risolto.
sushiprecotto_chan:
il primo capitolo ha fatto più che altro da introduzione alla
storia. Vedrai che i personaggi verranno maggiormente approfonditi man
mano che la fic va avanti. ^^
Nemmeno
a me, da piccola, piaceva molto “La Bella e la Bestia” (il
mio mito è sempre stato “Il Re Leone”!), ma grazie a
questo contest l’ho riscoperto. Mi sono resa conto che quelli
della Disney sono dei geni, perché da una storia insipida quale
è “La Bella e la Bestia” originale (la fiaba) hanno
tirato fuori un film dai particolari magistrali.
Mi sono ricreduta, insomma!
Clahp:
in realtà a me “La Bella e la Bestia” non è
mai piaciuto particolarmente (preferivo di gran lunga “Il Re
Leone”… XD), ma grazie a questo contest l’ho
riscoperto. E mi sono accorta che è bellissimo!
Grazie a Lalani per aver inserito il giudizio del contest.
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