Finalmente
ce l'ho fatta. Da questo in poi, i capitoli saranno più
brevi, per il semplice fatto che così posso almeno sperare
di riuscire a pubblicare una volta a settimana. Questo
capitolo è di passaggio, getta le basi per ciò
che verrà. Stiamo per entrare nel vivo della storia.
Cominceremo a vederne delle belle, quindi abbiate fede.
Grazie
di essere qui a leggere. Se vi va, lasciate un segno del vostro
passaggio, per me i vostri pensieri sono importanti. :)
Alla prossima.
Capitolo
6. Run
[Snow Patrol]
4
Luglio 2016
Le prigioni norvegesi erano tra le più umane e confortevoli
al
mondo. Noora, seduta sul sedile posteriore dell'auto di Chris,
continuava a ripeterselo, mentre fuori dal finestrino il mondo
sfrecciava veloce e la distanza tra loro e il carcere di Ila si
accorciava.
Il sole era comparso da poco, ma la sua luce le sembrava già
accecante.
Erano da poco passate le sette e
mezza del mattino. William avrebbe dovuto consegnarsi entro le nove,
ma avevano preferito muoversi con anticipo per essere sicuri di
arrivare in tempo.
Noora e William avevano trascorso
il fine settimana a prepararsi per quel momento, rimanendo insieme
tutto il tempo ed ignorando quasi totalmente il mondo esterno.
Soltanto sabato sera si erano concessi di uscire qualche ora
perché
William potesse salutare i suoi amici.
Adesso se ne stava appollaiato in
silenzio sul sedile del passeggero, un piede appoggiato al cruscotto
e una sigaretta fumata a metà tra le dita. Non era qualcosa
che
faceva spesso, ma il nervosismo era troppo da sopportare e aveva
bisogno di un modo per continuare a mostrare la solita
impassibilità
a beneficio di Noora.
Dal canto suo, lei era ben lungi
dal farsi ingannare dalle dissimulazioni del suo ragazzo. Da sabato
mattina non faceva che mostrarsi sereno e in pace col proprio
destino, ma era capitato più volte che lei lo avesse
sorpreso con lo
sguardo perso nel vuoto o con le spalle curve e la testa tra le mani,
preso in un vortice di pensieri angoscianti che lei poteva solo
immaginare.
Il finestrino aperto per lasciar
uscire il fumo permetteva ad un fiotto di aria fresca di entrare a
tagliare l'atmosfera densa che aleggiava all'interno dell'abitacolo,
tuttavia non era sufficiente a rendere più facile respirare.
Noora, dal suo posto dietro a
Chris, vedeva la spalla sinistra di William contrarsi un po' di
più
ogni volta che portava la sigaretta alla bocca, le sue labbra
chiudersi intorno al filtro, la mascella scolpita resa più
evidente
dalle guance che si incavavano. Quando soffiava fuori il fumo, il suo
corpo non si rilassava, tratteneva tutta la nuova tensione
incanalata, rendendo la sua posa sempre più rigida. Il suo
sguardo
era rivolto davanti a sé, ma era chiaro che non stesse
realmente
vedendo nulla.
Da un lato, lei avrebbe voluto
rimanere a casa, salutarlo sulla porta come se stesse uscendo per
ritornare qualche ora più tardi e fingere fino all'ora di
andare a
letto di non essere rimasta da sola per l'ennesima volta nella sua
vita, sebbene si trattasse di una solitudine temporanea.
Anche in quel momento, provava
l'istinto di spalancare la portiera e lanciarsi fuori dall'auto in
corsa. Le ferite avrebbero fatto meno male dell'angoscia di William,
che sentiva come se fosse la propria. Non era da lei fuggire senza
affrontare i problemi, ma il peso che le gravava sul petto minacciava
di schiacciarla e non sapeva più come gestirlo. Tutto
ciò che
desiderava era che William stesse bene.
Come se avesse percepito il suo
smarrimento, William allungò il braccio sinistro verso di
lei e la
invitò a prendergli la mano. Noora intrecciò
immediatamente le dita
alle sue, ed entrambi strinsero la mano dell'altro come se non
esistesse un altro modo per arrivare vivi fino in fondo a quel
viaggio.
“Puoi telefonare una volta a
settimana, giusto?”, chiese Chris, spezzando il silenzio.
William aspirò un'ultima boccata
dalla sigaretta e poi la spense nel posacenere dell'auto.
“Sì, devo solo comunicare
l'intestatario del numero che chiamo. Posso ricevere visite in giorni
prestabiliti, ma dovete registrarvi e chiedere un permesso”,
spiegò
meccanicamente, usando quasi le stesse parole che l'avvocato gli
aveva detto per telefono sabato.
Chris non disse più nulla, si
limitò ad annuire continuando a guidare.
Allora William si voltò verso
Noora. Per lei fu un colpo sentire di nuovo i suoi occhi addosso,
quella mattina non era riuscito a trovare la forza di guardarla negli
occhi neanche una volta. Il rischio, se lo avesse fatto, era di
perdere il controllo, ma ora era necessario.
“Se hai bisogno di qualunque
cosa, rivolgiti a Chris. Okay?”. Era cosciente che Noora non
fosse
incline a chiedere aiuto a nessuno, meno che mai al suo migliore
amico, che aveva dimostrato più volte di non provare una
profonda
simpatia nei suoi confronti. Per questo usò il suo tono
autoritario,
quello da capo del Riot Club, che non ammetteva repliche. Aggiunse
una vena di supplica al suo sguardo, sapeva che Noora non avrebbe
saputo che cosa ribattere di fronte a quella piccola dimostrazione di
vulnerabilità.
Infatti rimase in silenzio, così
come Chris, che era impietrito, dal momento che William non aveva mai
accennato al suo ruolo da babysitter in quella faccenda. Strinse i
denti ed evitò qualsiasi commento. Era troppo arrabbiato con
la
biondina per dare corda al suo amico.
William capì l'antifona e non
insisté ulteriormente, sapeva che Chris non sarebbe stato in
grado
di negargli nulla. Doveva solo farsi passare quell'astio del tutto
irrazionale nei confronti di Noora.
“Il numero dell'amministratore
del condominio e tutti i numeri che ti potrebbero servire sono
segnati su un biglietto che ho lasciato sul bancone della
cucina”,
continuò, sempre rivolto alla sua ragazza.
Noora lo guardava di rimando,
tentando di non trasmettergli la tempesta che aveva dentro.
“Okay”, si limitò a
rispondere, con voce incerta.
Qualcosa si stava lentamente
sgretolando all'interno della sua gabbia toracica, non avrebbe saputo
dire se si trattasse del cuore o dei polmoni. Ogni metro macinato
dalle ruote della station wagon teneva per sé un po' del suo
coraggio.
“Noora”, la incalzò William,
vedendola sull'orlo delle lacrime.
Noora non piangeva mai, lui non
avrebbe permesso che cominciasse proprio ora.
Lei si morse le labbra per un
istante e scosse il capo. Non sarebbe crollata, non in sua presenza.
“Posso tenere il bracciale del
Tryvann?”, gli chiese, rigirandoglielo intorno al polso.
William sorrise e le lasciò la
mano per poterlo sfilare. Noora allungò il braccio destro
nello
spazio tra i due sedili anteriori, in modo che lui potesse infilarlo
al suo polso e stringerlo affinché non lo perdesse.
Quel bracciale era un ricordo del
suo periodo Russ che avrebbe dovuto depositare in matricola insieme
agli altri oggetti personali una volta messo piede in carcere. Per
questo motivo aveva lasciato sul comodino della camera da letto il
cellulare, l'orologio e il portafogli, ma di quella fascetta si era
dimenticato, dal momento che non l'aveva mai tolta da quando l'aveva
ottenuta all'ingresso del festival. Il pensiero che avrebbe passato i
successivi tre mesi al sicuro, indossata dal polso sottile di Noora,
invece che in una bustina trasparente, lo aiutò a sentire di
meno il
distacco da lei che aveva iniziato a patire da quando si era
svegliato.
Senza curarsi della presenza di
Chris, che probabilmente avrebbe alzato gli occhi al cielo, William
avvicinò la mano di Noora al proprio viso e le diede un
bacio
leggero, prima di lasciarla andare.
Gesti come quello sarebbero stati
impensabili per lui fino a qualche mese prima. Da qualche tempo aveva
cambiato prospettiva su tutto.
Pochi minuti dopo raggiunsero la
strada antistante l'entrata del penitenziario di Ila. Alla loro
destra una fila di alberi li separava da una distesa d'erba verde,
mentre alla loro sinistra un'alta recinzione correva a partire dai
lati di una piccola costruzione di un beige sporco e sbiadito, con
due finestre e una porta rigorosamente blindate, andando a
racchiudere al suo interno tutte le strutture e i terreni che
componevano il centro di detenzione.
Chris parcheggiò l'auto in
un'area indicata come posteggio per i visitatori, ma quando il motore
fu spento nessuno dei tre si mosse.
William si passò una mano tra i
capelli, Noora lo guardò come se avesse dovuto dirgli addio.
Associare William al concetto di
prigione le era ancora impossibile. Le sembrava di essere in un
incubo. Ancora una volta le lacrime si affacciarono ai suoi occhi, ma
le ricacciò indietro.
In quel momento il suo telefono
iniziò a squillare. All'inizio pensò di
ignorarlo, ma l'insistenza
con cui continuò a suonare la convinse a rispondere.
Inoltre, se
qualcuno la chiamava alle otto del mattino, doveva essere una cosa
importante. Lo estrasse dallo zainetto e rispose senza fare caso al
numero sul display.
“Parlo con Noora Sætre?”,
chiese la voce profonda di un uomo all'altro capo della linea.
“Sì, sono io”.
“Sono Erik Dahl,
dell'Aftenposten”,
si presentò l'uomo. “Come sai, l'articolo che hai
scritto per il
diciassette maggio ha fatto sì che venissi inserita tra i
candidati
per lo stage estivo. Tu ed un altro studente della tua scuola siete
stati selezionati. Se accetti, inizierai la prossima settimana e fino
alla fine delle vacanze estive lavorerai con noi in
redazione”.
Era incredibile quanto sapesse
essere crudelmente ironico il destino.
Quando il suo professore di
norvegese le aveva proposto di scrivere l'articolo era emotivamente a
pezzi, si sentiva colpevole e violata allo stesso tempo, sola come
mai prima, nonostante avesse una schiera di persone su cui contare.
Ora, quello stage arrivava
proprio nel momento in cui non pensava di poter gestire ulteriori
pressioni. Tuttavia, quasi senza esitazione, dichiarò di
essere
disponibile e prese accordi per presentarsi in redazione il
lunedì
successivo.
Chiuse la telefonata in fretta,
sentendosi gli occhi di William addosso.
“Mi hanno presa per lo stage
all'Aftenposten”, gli spiegò.
Avrebbe dovuto essere
entusiasta, invece lo disse come se fosse una notizia di poca
importanza, la voce incolore, gli occhi rivolti verso le mani che
teneva in grembo.
William la guardò di sottecchi,
un sorrisetto stampato sulle labbra. Non gli piaceva che Noora
sminuisse ciò che le stava accadendo per colpa sua.
“Oh, la mia piccola
giornalista”, finse di prenderla in giro, sperando di
strapparle un
sorriso.
Gli angoli della bocca di Noora
si flessero leggermente verso l'alto e lui le sfiorò una
guancia con
le dita per farle alzare lo sguardo.
“Andrà tutto bene, Noora”,
la rassicurò, facendosi serio.
Noora annuì poco convinta e posò
la propria mano su quella di lui.
Chris, che era rimasto in
silenzio per tutto il tempo, aprì lo sportello e scese dal
veicolo.
Non che si sentisse in imbarazzo – non era nella sua indole
–, ma
sapeva capire quando il suo amico aveva bisogno di spazio, e
ultimamente era successo spesso.
Appena lo sportello si richiuse,
William fece segno a Noora di raggiungerlo sul sedile anteriore. Lei
si intrufolò nello spazio tra i due posti e si
sistemò sulle sue
gambe, passandogli le braccia intorno al collo. William prese a
scorrere le mani su e giù lungo i suoi fianchi.
“Guardami”, le intimò,
vedendo che lei fissava un punto oltre la sua testa.
Noora chiuse gli occhi e quando
li riaprì si ritrovò immersa nel calore di quelli
di William. In
quell'istante lui non era l'arrogante diciannovenne che si aggirava
per la Hartvig Nissens come se fosse il re del mondo, né il
teppista
che sarebbe divenuto un detenuto non appena avesse varcato la porta
blindata a poca distanza da dove avevano parcheggiato. Era solo
William, il ragazzo intelligente e sicuro di sé di cui si
era
innamorata, il ragazzo che l'amava tanto da preoccuparsi per lei
anche adesso che era lui quello che stava per iniziare una delle
esperienze più difficili della propria vita.
L'intensità del suo sguardo era
più insostenibile del solito.
“Adesso scendo dalla macchina e
tu rimani qui, okay?”.
Lei si riscosse, scioccata. “Non
posso neanche accompagnarti alla porta?”.
“No, Noora. Questa cosa devo
farla da solo, davvero. Ti chiamerò e ci vedremo non appena
avrai il
permesso. Ora hai bisogno di andare a casa”.
Lei fece per protestare, ma
William la zittì con un bacio.
Entrambi lasciarono andare la
paura, per trovare in quel gesto tutto il coraggio e la
determinazione di cui avevano bisogno. Si aggrapparono l'una
all'altro come se non dovessero vedersi mai più, con una
dolcezza di
cui avevano scoperto di essere capaci soltanto dopo essersi trovati.
In ogni carezza delle loro
lingue, in ogni sfiorarsi e sfregarsi delle labbra e in ogni piccola
pressione dei loro denti, era presente una promessa: niente di quello
che sarebbe accaduto avrebbe potuto allontanarli. Mai.
Suggellata quella promessa, si
staccarono e ripresero fiato, l'uno nella bocca dell'altro.
“Ti amo”, sussurrò lei.
“Ti amo anch'io”, ricambiò
lui, perso nel verde liquido delle sue iridi.
Pochi istanti dopo, aprì lo
sportello e scivolò via da sotto di lei. Quando fu in piedi,
si
chinò un'ultima volta per darle un altro bacio veloce,
premendo
forte le labbra sulle sue, poi si tirò indietro e richiuse
lo
sportello con forza.
Noora lo osservò allontanarsi e
andare a recuperare il borsone dal bagagliaio. Lo seguì con
lo
sguardo mentre andava a salutare Chris con un abbraccio, per poi
premere un pulsante vicino alla porta del piccolo edificio, la quale
si aprì automaticamente pochi secondi più tardi.
William non si voltò indietro
prima di varcare quella soglia.
Non appena lui scomparve alla
vista, Noora fece ciò che non si era concessa di fare per
molto
tempo.
Una lacrima le solcò il viso.
Lei l'asciugò e, come sempre, strinse i denti e
andò avanti.
La vita correva e lei aveva
intenzione di stare al suo passo.
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