Note
iniziali: La
coppia, anche se solo accennata è decisamente insolita (e
crack, me
ne rendo conto!). A questo punto della storia è
già creata e non
spiego come sia nata o perché, semplicemente è
lì che fa da
contorno ad alcune scene. Il primo incontro di Mick e Cisco nella
serie non è stato dei migliori, scrivendo di loro (e non
è la prima
volta) ho sempre immaginato come ambientata nell’ultima linea
temporale creata da Barry dopo Flashpoint e magari in questa linea le
cose sono andate in modo diverso. Tutto qui. Spero possa piacere in
ogni caso, fan o meno della coppia (ah, perché esistono dei
fan??)
Falling
Through Time.
Quando
aveva acconsentito a seguire Snart in quella folle corsa
nel tempo non sapeva ancora a cosa stava andando incontro, nessuna
delle persone presenti sulla nave lo sapeva, forse nemmeno Rip
Hunter. Ogni volta che sembravano fare un passo avanti si ritrovavano
a farne altri tre indietro, la frustrazione era talmente palpabile
che chiunque sarebbe riuscito a percepirla. Il fatto che tra tutti
solo lui fosse esploso non era una sorpresa, tra tutti era il
più
instabile, ed essere chiuso in quella scatola di metallo dove se
osava accendere il fuocherello innocuo di un accendino avrebbe
probabilmente causato un disastro di proporzioni inimmaginabili, o
almeno così gli avevano detto, non aiutava per niente. Aveva preferito non
commentare nulla
quando Hunter stava cercando di spegnere, con molta calma, un
fuocherello causato da un cortocircuito quando erano stati colpiti
dal pazzoide che dava loro la caccia.
Quando
era tornato nella squadra dopo che avevano sistemato
qualunque cosa pensassero ci fosse da sistemare nella sua mente dopo
il trattamento dei Signori del Tempo, come se davvero sapessero cosa
aveva dovuto passare, come se sapessero cosa aveva visto, cosa aveva
fatto, cosa gli
avevano fatto, come
se sapessero sul serio dove guardare e come, non sapeva più
se
quello era davvero il suo posto. Non lo sapeva nemmeno quando erano
partiti ma a quel punto era tutto ancora più in dubbio, la
sua mente
era avvolta da costanti dubbi, da nebbia, da ricordi che reprimeva
sempre di più e da conoscenze che desiderava non avere ma
che ora
erano parte di lui e a volte tentavano di uscire con la stessa voce
tranquilla e controllata di Chronos. Di colui che Mick non era. Ma
l’ultima volta che aveva chiesto di essere riportato nel loro
tempo
era stato abbandonato nel nulla, nessuno gli poteva confermare che
non lo avrebbero fatto di nuovo, per proteggere le loro famiglie, per
proteggere sé stessi, la loro missione,
per la missione qualunque uomo, o donna, era sacrificabile nella
visione delle cose che aveva Hunter, non che Mick lo biasimasse, non
più, non per quello. Ma quel posto, quella nave,
lì non c’era
posto per lui, a casa invece c’era qualcuno che lo aspettava.
A
parte Leonard nessuno ne era a conoscenza, forse era anche meglio
così, di sentirsi una paternale e svariate proteste e
commenti non
aveva poi così voglia, ricordava anche troppo bene come il
team dei
Laboratori STAR si era espresso a riguardo riferendosi
alternativamente a lui e Leonard. Piuttosto che trovarsi lì
in quel
momento avrebbe preferito dover affrontare la loro disapprovazione,
non era un eroe, non lo sarebbe mai stato, né tanto meno una
Leggenda.
Quando
erano giunti alla fine del viaggio Mick era incerto sulle dinamiche
che l’avevano portato a tenere abbassata la levetta di
sicurezza
dell’Oculus, era indeciso se si trattava di un improbabile
senso di
lealtà verso quel gruppo, se era una decisione che i Signori
del
Tempo avevano già messo in conto controllando ogni mossa
fino a quel
momento, anche quella, se era l’unico modo di essere libero.
Mick
non sapeva, non capiva, non era un eroe, non era una Leggenda, non
voleva davvero morire,
voleva tornare a casa come aveva promesso. E invece aspettava che
fossero lontani sulla nave, fuori dalla portata dell’onda
d’urto
che si sarebbe scatenata, fuori dall’esplosione che avrebbe
distrutto quel luogo di tortura in cui aveva vissuto per decine e
decine di vite. Improvvisamente una parte di lui desiderò
aver
raccontato ogni cosa che era successa, ogni missione, ogni volta che
aveva creduto di fare davvero la cosa giusta come Chronos, raccontare
la verità,
a Leonard magari, lui avrebbe ascoltato, Rip forse avrebbe capito,
forse avrebbe addirittura ricordato, Cisco,
ma lui già sapeva probabilmente, lui forse sapeva anche di
quel
momento.
Ma
non c’era stato tempo per i racconti. Che immensa ironia quel
pensiero in quel momento, mentre teneva ferma la leva che avrebbe
aperto scatenato l’intero Flusso Temporale, non
c’era stato
abbastanza tempo. I Signori del Tempo si erano raccolti lì,
con le
loro armi, le loro minacce, le promesse ormai vuote, Zaman Druce
ancora si sforzava di avere una voce calma e gentile. Mick li
guardò,
uno a uno, riconoscendo volti, nomi, storie, poi sorrise, la mente
sgombra da ogni pensiero inutile, libera come mai la era stata in
passato. Sotto i suoi piedi i vortici del Flusso Temporale si
muovevano placidi, i filamenti dorati si intersecavano gli uni con
gli altri, Mick aveva smesso di temere il Tempo da molto, da quando
lo aveva toccato la prima volta come Chronos, da quando gli aveva
sussurrato quel nome che sarebbe stato suo, il Tempo lo aveva scelto,
amava pensarla in quel modo, o lui non sarebbe mai sopravvissuto al
suo tocco. No, non lo temeva. E non lo temette quando
sollevò la
mano dalla leva e ogni cosa attorno a loro esplose in un bagliore
verde.
Fu
un solo istante, le voci che urlavano vennero inghiottite dal
silenzio, il dolore venne cancellato da un morbido tepore, come un
neonato che viene cullato dalla madre la prima volta, la luce
accecante si affievolì mentre
l’oscurità e il vuoto la prendevano
con sé. Vista dall’esterno poteva sembrare quasi
una stella che
nel giro di qualche attimo era morta, esplosa e divenuta un buco nero
senza passare da alcuna fase intermedia. Dall’esterno.
Ma Mick era al centro di quella stella divenuta buco nero, e cadeva,
cadeva, cadeva.
Tutti
dicono sempre che quando sei ad un passo dalla morte la vita che hai
vissuto ti scorre davanti e rivedi ogni cosa che hai fatto, le cose
belle, quelle brutte, le scelte giuste, quelle sbagliate, ogni cosa.
Non dicono mai se c’è modo di scegliere quale
vita vedere, ma nessuno ne ha mai vissute così tante, se
potesse
scegliere Mick sceglierebbe la prima, la vita di Mick,
quella vera e nessun’altra. Sceglierebbe di rivedere la sua
famiglia felice prima dell’incendio, il fratello,
l’incontro con
un giovane e anche troppo loquace Snart, Lisa, il primo colpo,
l’anello, l’incendio, il secondo grande incendio
che gli cambiò
la vita, l’arrivo di Flash, l’arrivo
di Cisco, il
momento in cui era davvero cambiato pur non essendosene mai reso
conto.
Len,
Cisco,
Len, Cisco,
Cisco, Cisco,
Barry, Len, Len, Cisco,
Cisco, Cis –
Ciò
che vide invece fu un uomo esattamente come lui, no,
era lui ma al tempo stesso non lo era,
in una cella singola, piccola, su una branda, lo sguardo fisso su un
punto indefinito davanti a sé e un rosario tra le mani,
mentre
accarezzava i grani scuri e sussurrava a mezza voce quella che doveva
essere una preghiera.
«Sono
entrato qui da uomo, ti prego Signore dammi la forza di uscirne da
uomo.»
Mick
lo osservò, così simile a lui, così
dannatamente simile, come un
gemello, come…
«Si
sono aperte 52 brecce su 52 Terre come la nostra. 52 versioni di noi
con vite completamente diverse eppure sono sempre e comunque
noi.»
Era
lui, per qualche scherzo del destino nella morte era destinato a
vedere quella che era la sua vita su un’altra Terra. Si
portò una
mano davanti al volto scoprendo di vedersi come se fosse di carta
velina, trasparente, ma non del tutto, quasi un fantasma, se avesse
creduto in quel genere di cose. Ma non vi credeva.
Eppure
era lì, silenzioso, semitrasparente e intento a fluttuare a
qualche
passo dal suolo.
Spostò
lo sguardo attorno a sé alla ricerca di un indizio,
qualunque Terra
fosse non se la passava bene.
«Sono
entrato qui da uomo, ti prego Signore dammi la forza di uscirne da
uomo.»
La
litania di quel Mick, sempre se quello era sempre il suo nome, non si
era mai interrotta, continuava a ripeterlo ancora e ancora e ancora,
con tono sempre più basso, confuso, disperato. Non serviva
un genio
per capire cosa sarebbe accaduto di lì a poco, era stato in
prigione
quanto bastava da riconoscere un condannato a morte. Un barlume di
curiosità si fece strada nella sua mente.
“Cos’hai
fatto per meritare questa sorte?”
Si domandò, provava una sorta di pietà per
quell’uomo.
Fisicamente erano uguali, Mick si sedette a terra contro il muro, se
avesse avuto un corpo in quel momento l’altro Mick si sarebbe
accorto di lui tanto erano vicini da toccarsi, lo osservò
come si
osserva il proprio riflesso allo specchio. Quello che aveva davanti
era uno specchio incrinato irrimediabilmente, distrutto e aggrappato
solo ad una vana preghiera. Quel riflesso non era un assassino, Mick
lo sapeva, lo sentiva dentro, non era nemmeno un criminale, era solo
un uomo che per qualche ragione era finito in mezzo ad una serie di
eventi che avevano portato a quello, gli assassini, anche quelli
pentiti, non avevano quegli occhi.
Lo
seguì in silenzio quando venne scortato fuori dalla cella,
non
avrebbero potuto sentirlo comunque eppure non emise suoni. Len era
lì, non il suo Len, quello di quella Terra, lo
abbracciò, sembrava
così giovane, sembravano entrambi così giovani
rispetto a lui. Per
un attimo quando venne assicurato alla sedia lo sguardo
dell’altro
Mick si posò su di lui, lo guardò dritto negli
occhi, sembrò
scavargli dentro per conoscere ogni segreto, cercare di capire chi
fosse, cosa facesse lì, perché era uguale a lui.
Ma non poteva
vederlo e Mick chiuse gli occhi.
Barry
afferrò Cisco prima che si lanciasse come una furia su Rip
Hunter,
Leonard aveva posato la pistola di Mick su uno dei tavoli e stava
dietro di loro a pochi passi, avrebbe detto che sarebbe intervenuto
per aiutare se serviva ma sarebbe stata una menzogna anche troppo
palese, se il giovane scienziato voleva dare un pugno a Hunter non
sarebbe stato lui a impedirlo. Barry non era della stessa idea e
tratteneva il ragazzo con entrambe le braccia. Quando Cisco
sbuffò,
arrivato in fondo alla sequela di insulti e si voltò a
guardare
l’amico allora, e solo allora, lo lasciò andare.
Cisco osservò il
lanciafiamme sul tavolo, non lo sfiorò per non rischiare di
vedere
cose che non desiderava vedere, non una seconda volta.
Eppure,
ore dopo, a mente più lucida e calma, mentre sedeva immobile
con lo
sguardo nel vuoto un pensiero fece capolino nella sua mente e si
sedette a fargli compagnia.
Forse…
«Forse…»
Ripeté immobile.
La
prima sensazione che Mick provò fu di essere sceso da delle
montagne
russe particolarmente movimentate, aveva riaperto gli occhi in un
parco a Central City, una Central City ben più futuristica
della
loro. Una Terra diversa, una vita diversa, un Mick diverso.
«Oh
buon cielo! Era davvero necessario?» Esclamò una
voce poco
distante, una voce che Mick aveva imparato a riconoscere durante quei
mesi, mesi?,
a bordo della Waverider.
«Hai
visto le loro facce, Martin? Si sono illuminati come tanti piccoli
alberi di Natale!» Si mosse verso il lato del parco da cui
arrivavano le voci per trovare il professor Stein, lui e una
ragazzina bionda.
«Michael!»
Sbuffò Stein a metà tra l’esasperato,
come se avessero avuto
quella discussione già un centinaio di volte, e il paterno,
un tono
che Mick aveva dimenticato come fosse da molti anni.
«Beh
i bambini adorano quando lo fate.» Cinguettò
allegra la ragazzina
ottenendo un verso di approvazione da Mick.
«L’ha
notato anche lei, visto? E comunque non vedo cosa ci sia di
male.»
«Usare
le abilità di Firestorm per far divertire dei bambini? Oh
cosa potrà
mai esserci di --»
Mick
scoppiò a ridere passandogli un braccio sulle spalle
ignorando
l’esclamazione dell’uomo.
«Sempre
così serio il nostro Martin, vero Kara?»
Domandò alla ragazza con
un sorriso mentre il professore si liberava della presa e assumeva
un’espressione infastidita. Mick addolcì
lievemente il sorriso e
il Mick spettatore si domandò se anche lui potesse essere in
grado
di avere una simile espressione, era ancora più simile a lui
rispetto alla versione che aveva visto prima, magari…
«Quei
bambini erano spaventati, se fare un trucchetto e creare un uccellino
di fuoco mentre siamo Firestorm può aiutarli a non avere
più così
tanta paura allora sono pronto a rifarlo ancora con te che strilli
come una donnina isterica nella mia testa.» Martin
sembrò soppesare
qualche istante la cosa.
«Non
strillo come una donnina isterica Michael.» Disse poi,
piccato,
arricciando appena le labbra in un’espressione che Mick non
aveva
mai visto sul professore. L’altro Mick parve ignorare quel
commento
o metterlo da parte.
«È
come quando li facciamo salire sull’auto di servizio in un
momento
di tranquillità e facciamo il giro del quartiere e loro
chiedono
sempre di accendere la sirena. Non dovremmo farlo in teoria
ma…»
«Ma
non si riesce a dire di no ad un bambino.» Annuì
Martin con un
sospiro arreso e un sorriso.
C’era
una sorta di familiarità nel loro modo di rapportarsi
notò Mick, il
professore non lo stava rimproverando, non veramente, era
più il
tono di un padre, a volte esasperato, a volte orgoglioso, a volte
entrambe le cose insieme come in quel momento.
Mick
aveva cercato di avvicinarsi al professore e al ragazzino sulla
Waverider, il fatto di essere Firestorm era la ragione principale,
erano letteralmente la torcia umana, Mick non poteva non esserne
attratto. Non era solo quello però. Cisco rispettava e
stimava
quell’uomo, una parte di lui voleva conoscerlo meglio per
vedere
quel che il ragazzo vedeva in lui, era solo curiosità e
null’altro.
Ma non c’era mai riuscito veramente. Nel periodo che aveva
seguito
il suo ritorno sulla nave, dopo Chronos, un pomeriggio, o almeno
così
Gideon aveva detto, aveva preso da parte, o per meglio dire
sequestrato, il professore ed erano rimasti a parlare per delle ore
sul suo lavoro su Firestorm. Quando Chronos era stato messo alle
calcagna della squadra aveva imparato ogni cosa imparabile su tutti
loro, le loro abilità, le armi, l’origine dei loro
poteri, aveva
studiato Firestorm da cima a fondo eppure restare seduto ad ascoltare
il professore spiegare come fosse passato da un’idea ad una
teoria
ad un nucleo effettivo, sentirlo parlare dell’esplosione e di
come
si era fuso al nucleo e al giovane Ronnie era diverso che leggere un
file di centinaia di pagine su di lui. Era stato reticente
all’inizio, non capiva il perché di quella
richiesta insolita da
parte sua, da parte
di quello non abbastanza intelligente,
ma dopo un paio di minuti aveva messo da parte ogni cosa e si era
lanciato nella più dettagliata delle spiegazioni, la
passione per il
suo lavoro e per quel risultato trasudava da ogni singola parola che
diceva. Non ne avevano fatto più parola, era stato solo un
pomeriggio e nient’altro.
Su
quella Terra l’altro Mick non aveva avuto bisogno di
spiegazioni,
su quella Terra lui
era Firestorm. Mick si ritrovò ad invidiarlo almeno un
po’.
Poi
così come era arrivato in quel parco, dopo la folle corsa su
un
ottovolante impazzito, la scena davanti a lui si dissolse come fumo,
un fumo azzurrino e verde, Mick si sentì mancare la terra
sotto i
piedi di colpo e si ritrovò a cadere con gli occhi sgranati
dalla
sorpresa.
Nel
giro di un paio di secondi il cielo sopra di lui e la terra sotto
erano nuovamente diversi e lui stava cadendo dal cielo in una nuova
Terra. Atterrò sgraziatamente su un prato verde smeraldo che
si
estendeva ovunque si voltasse, con un gemito si rimise in piedi, non
era certo di sentire davvero dolore per la caduta o se era solo il
ricordo del dolore che avrebbe provato, non aveva tempo di fermarsi a
pensare a quello, o di cercare di capire cosa stava succedendo,
perché continuasse a visitare
altri lui
su altre Terre, ricordava chiaramente l’Oculus,
l’esplosione, il
dolore, la sensazione che ogni singola cellula del suo corpo si
dividesse da esso e venisse sbalzata via finché di lui non
restava
più nulla se non un corpo impalpabile che cadeva nel nulla.
Si
guardò intorno disorientato da tutto quel verde e dal
silenzio, se
funzionava come le due volte precedenti allora avrebbe dovuto vedere
sé stesso, ma lì non c’era nessuno.
Lentamente iniziò a
camminare senza una meta precisa, senza sapere dove si trovasse o
dove stesse andando, nessuno era in grado di vederlo e lui non aveva
fretta, per una volta nella vita non stava fuggendo da nulla. Fu dopo
quelle che parvero ore di cammino, non che il suo non-corpo
ne risentisse, che trovò poco lontano davanti a
sé un manipolo di
quelli che a prima vista parevano soldati usciti dal medioevo, o
qualcosa del genere.
Uno
di loro, capelli biondo scuro alle spalle e una cotta di maglia
all’apparenza molto usata, si avvicinò ad un uomo
più giovane,
immobile a qualche metro da loro, fissava l’orizzonte e Mick,
in un
moto di curiosità guardò nella stessa direzione,
in lontananza,
gran lontananza, si intravedevano delle mura e una torre che svettata
sul resto.
«Lord
Mikael.» Chiamò il più anziano con una
strana gentilezza.
Mikael.
Mick si affiancò a lui, inclinò la testa di lato
abbassandosi
appena per osservarlo meglio, quella volta le differenze erano ovvie,
se non fosse stato per il nome non vi era nulla ad accomunarli,
eppure era lui, Mick ne era certo, se lo sentiva, in qualche modo.
«Lord…»
Tentò nuovamente l’uomo, il giovane
inspirò seccato
dall’interruzione, si voltò con un movimento
repentino e Mick lo
vide finalmente in viso.
«Ti
ho sentito Eobard.» Sibilò fissandolo negli occhi
finché l’altro
non chinò il capo, la voce era sottile, a tratti
c’era ancora
qualcosa di infantile, era giovane, incredibilmente più
giovane di
Mick, non poteva avere nemmeno vent’anni quel ragazzino, i
capelli
erano rasati e ora Mick comprese che quella non era una scelta del
giovane quanto più una conseguenza. Il lato destro del suo
viso era
stato divorato dalle fiamme riducendolo ad un ammasso di cicatrici in
un’intricata trama, si estendeva lungo il collo, la nuca e
giù
sulle spalle, Mick non sapeva di quanto, poteva essere il busto,
poteva essere ferma alle spalle, magari scendeva sulle gambe.
«Dobbiamo
riprendere il cammino, raggiungere l’Altopiano Bianco prima
del
tramonto, non è una strada sicura da percorrere, ne
converrete anche
voi.» Lo spronò nuovamente l’uomo,
Eobard. Mikael lo guardò
brevemente con l’unico occhio ancora in grado di vedere e
l’uomo
nuovamente fallì nell’intento di sostenere il suo
sguardo e chinò
riverente il capo, Mick non era sicuro se fosse per rispetto o
perché
non riusciva a guardare quel volto così sfigurato, aveva
visto molti
distogliere lo sguardo dalle cicatrici sul suo corpo.
Mikael
voltò un’ultima volta lo sguardo triste verso la
città lontana e
con un sospiro si voltò raggiungendo il resto degli uomini.
«C’è
una cosa che non comprendo, Eobard.» Mick aveva preso a
seguirli, se
funzionava davvero come la volta precedente allora sarebbe
precipitato su un’altra Terra senza un preavviso, tanto
valeva
seguire sé stesso, non che avesse di meglio da fare.
Cavalcavano
lentamente lungo la distesa verde, il sole ancora alto in cielo e, da
un lato, era da poco comparsa una lunga catena montuosa che andava
via via alzandosi maestosa gettando ombra sul loro cammino.
«Sono
così orribile che il mio stesso marito, la persona a cui ho
acconsentito di unirmi, che ho imparato ad amare, che
credevo mi amasse,
ha preferito allontanarmi?» Aveva esitato appena sulle prime
parole,
la voce si era rotta quando si era dichiarato orribile,
ma aveva subito ripreso il controllo e la fiducia per proseguire.
Eobard era rimasto spiazzato dalla domanda e da come gli era stata
posta, scosse il capo con un piccolo sorriso.
«Il
nostro Re, vostro marito, non vi ha allontanato per questo, lo sapete
anche voi.» Disse gentilmente, i cavalieri alle loro spalle
non
fiatavano, si limitavano a seguire obbedienti. «Fino a quando
le
cose non si saranno calmate è meglio che voi stiate lontano,
al
sicuro.» Precisò quando lo vide rabbuiarsi.
«Siete fortunato ad
essere sopravvissuto al fuoco, Lord Mikael, non potete tentare la
sorte una seconda volta. Lo so io, come lo sapete voi, come lo sa
vostro marito. Non dovreste dubitare di questo.» Mikael
rallentò
brevemente l’andatura del suo cavallo, a Mick parve di aver
visto
qualcosa attraversargli lo sguardo quando aveva parlato del fuoco,
qualcosa di pericoloso. Voltò il cavallo per fronteggiare
l’uomo,
la schiena dritta e lo sguardo fiero e deciso tanto che in un momento
non sembrava più un ragazzino come pochi attimi prima
bensì un uomo
fatto e finito. E orgoglioso.
«Ah!»
Asserì sprezzante sollevando il mento per accentuare
l’espressione,
un sorriso beffardo si aprì sul suo viso mentre guardava
negli occhi
Eobard che, per la prima volta da quando Mick li seguiva, sostenne lo
sguardo. «Come se il fuoco potesse uccidere quelli come noi.»
Strinse le redini saldamente nelle mani, con un leggero colpetto del
piede indirizzò nuovamente l’animale verso la via
che
percorrevano. «Non siamo chiamati Draghi
solo perché è un bel nome.» Disse prima
di partire al galoppo
seguito a ruota da Eobard e dai cavalieri.
Mick
fece un passo per continuare a seguirli ma quando appoggiò
il piede
la terra svanì e nuovamente prese a cadere.
Per
la prima volta ebbe la prontezza, e il coraggio, di non chiudere gli
occhi e guardare cosa lo circondasse, magari c’era il modo di
fermare quello strano viaggio tra le sue altre vite, magari
c’era
il modo di scegliere dove atterrare. Invece ciò che vide fu
uno
spettacolo ben più familiare di quel che si aspettava,
vortici
scuri, tendenti al blu, a volte all’azzurro, altre con vaghe
o meno
sfumature verdi e una miriade di filamenti dorati che si
intrecciavano. Secondo dopo secondo Mick continuò a cadere
attraverso il Tempo.
Atterrò
goffamente per la seconda volta e rimase disteso a terra immobile a
riprendere fiato prima che il pensiero che non aveva bisogno di fiato
lo attraversasse.
“Sono
morto.” Si disse
mentalmente, come a volerselo ricordare, era un po’ assurdo
continuare a dimenticare un particolare del genere ma forse era
quell’assurda situazione a farglielo dimenticare. Il Tempo
stava
facendo del suo meglio per beffarsi di lui.
“Ah
ah!” Poteva quasi
sentirlo ridacchiare. “Guarda
tutte le vite che non vivrai mai. Tutte sempre e comunque migliori
della tua.” E lui
che aveva pensato che il Tempo potesse essere suo amico.
Si
sedette scandagliando i dintorni alla ricerca di sé stesso,
ormai
aveva capito come funzionava quella cosa, qualunque essa fosse. Il
corridoio bianco sterile fu l’unica cosa che vide davanti e
dietro
di sé, un lungo, lunghissimo corridoio. Sospirando si
alzò e dopo
un momento di esitazione si voltò iniziando a camminare. A
prima
vista poteva dare l’idea di un ospedale, tutto quel bianco
asettico, le porticine con i cartellini e i vetri con le tapparelle
abbassate, ma era troppo silenzioso, nessun dottore, nessuna
infermiera, nessuno.
Ad un secondo esame il corridoio era troppo stretto per essere di un
ospedale, le porte su entrambi i lati, nessun rumore. Mick si
fermò
di colpo, tese l’orecchio ma ne ebbe la conferma, non
c’era
niente.
Pur incorporeo gli parve di avvertire un brivido percorrergli la
spina dorsale a quel silenzio. Era irreale, sbagliato, il perfetto
inizio per quei film horror che Cisco tanto si ostinava a voler
guardare. Senza pensare, spinto dall’istinto,
iniziò a correre nel
corridoio fino ad un’anonima porta grigia, allungò
la mano sulla
maniglia per aprirla ma si ricordò di non avere
più un corpo quando
la mano passò attraverso e un istante dopo lo stesso fece il
suo
corpo. La stanza in cui era finito era ampia, aveva tutta
l’aria di
essere un laboratorio di ricerca. Ogni cosa si faceva più e
più
inquietante e Mick non vedeva l’ora di andarsene da quella
nuova
Terra eppure aveva la sensazione che finché non avesse
trovato
l’altro sé di quel luogo sarebbe rimasto
lì bloccato. Il Tempo
doveva proprio odiarlo.
Osservò
nuovamente la stanza, spaziosa, bianca, con delle luci al neon sul
soffitto, una di quelle tremolava lasciando che le ombre
intermittenti che gettava rendessero la stanza e quel silenzio ancora
più sinistri. C’era un tavolo in metallo grigio
lucido al centro
della stanza, un mobile di metallo anch’esso con delle
gabbiette
aperte e una scrivania su un lato con una piccola lampada ricurva, in
fondo alla stanza un’altra porta stavolta socchiusa.
Nient’altro.
Niente finestre, la sola luce arrivava dai neon sopra la sua testa.
Si avvicinò alla scrivania e osservò brevemente i
fogli sparsi su
di essa, formule, equazioni, parole e sigle che per lui non avevano
senso, stava per andarsene verso la porta socchiusa che una frase
scarabocchiata su uno dei fogli attirò la sua attenzione e
nuovamente il silenzio si fece gelido e inquietante.
“Sono
scappati tutti.”
Lesse, la parte razionale della sua mente, quella che tendenzialmente
veniva ignorata, gli disse che si trattava solo di una scritta senza
significato, magari dettata dalla frustrazione di qualcuno che
lavorava lì e che, non avendo risultati aveva visto i
colleghi
andarsene. Il resto della mente e del corpo la ignorò come
aveva
sempre fatto e ruotò su di sé puntando gli occhi
sulle sette
gabbiette aperte.
“Sono
scappati tutti.”
Non era razionale, non aveva senso, ma d’altronde quante cose
lo
avevano da quanto aveva iniziato a viaggiare nel tempo? Non erano i
colleghi ad essere scappati. Era qualunque animale fosse in quelle
gabbie, e se erano scappati non poteva essere un buon segno.
Deglutendo e ripetendosi mentalmente che nulla poteva fargli del male
da morto oltrepassò la porta socchiusa imboccando
l’ennesimo
corridoio cercando di ignorare le minuscole impronte sul pavimento e,
proseguendo sempre più verso un’altra porta, anche
sul muro.
Impronte
di sangue.
Oltre
la porta, anch’essa socchiusa, c’erano delle scale
che Mick
sperava ardentemente lo avrebbero portato fuori nonostante
continuasse a desiderare di essere altrove in quel momento, vivo o
morto che fosse quel posto era inquietante. Normalmente non avrebbe
avuto paura ma i film sono solo fantasia, sono attori, scene, sono
inventati. Quando arrivò fuori il silenzio si
trasformò in
frastuono, non assordante ma comunque forte, gutturale. I film erano
una cosa, quello che aveva davanti Mick sapeva che era reale,
quantomeno su quella Terra, a patto che fosse rimasto ancora molto.
“Portami
via. Portami via di qua! Ti prego, ti scongiuro portami via!”
Non potevano vederlo, non potevano ferirlo, trasformarlo in uno di
loro, certo, ma quello non cambiava le cose per Mick, la
consapevolezza che su una delle tante Terre quella era la
realtà non
rendeva la sua situazione migliore. Si appiattì contro un
muro
attento a non passarvi attraverso nel mentre, si stava guardando
intorno, smarrito e shockato, quanto un rumore di spari
sovrastò i
versi delle creature, seguito dal motore di una macchina che si
fermava, e altri spari. Si voltò osservando un gruppetto di
cinque
persone farsi largo a suon di proiettili, due aprivano la strada, gli
altri tre di volta in volta entravano nei negozi, nelle case, in
qualunque spazio in cui qualcuno avrebbe potuto cercare riparo. Uno
dei due avanti era Mick, l’altro indubbiamente Leonard, i tre
dietro non aveva avuto modo di vederli bene ma quello bastava.
“Almeno
non sono diventato uno di quei cosi.”
Pensò in un moto di sollievo avvicinandosi restando
all’erta, non
voleva passare troppo vicino a una di quelle creature nemmeno in quel
mo—
«Oh,
dai! Non anche questo!» Sbottò alzando le mani al
cielo quando una
raffica di colpi gli passò attraverso diretta verso gli
zombie, non
sentire dolore non significava che fosse piacevole trovarsi
attraversati dalle cose, nemmeno attraversarlo come aveva fatto con
le porte, se doveva essere sincero.
«La
prossima volta che tu e quella banda di scienziati pazzi decidete di
fare esperimenti, Mick…» Mick si voltò
verso Snart con un
ringhio.
«Ne
facevi parte anche tu se ben ricordo.» Controbatté
irritato, una
manica strappata e una spessa fasciatura sporca di sangue sul
braccio.
«Cercate
di non creare altri morti viventi.» Concluse Leonard come se
non lo
avesse sentito.
«Cazzo
Len! Lo sai bene che non era questo che volevamo! E come ho detto
anche tu ne facevi parte!» Esclamò scuotendo
l’arma che portava a
tracolla, i tre uomini si erano affiancati nuovamente e stavano
proseguendo verso il resto della città.
«Me
ne sono tirato fuori quando ho capito che quel Wells era
completamente fuori di testa.»
«Scientificamente
parlando la sua teoria era corretta.» Proruppe un ragazzino
occhialuto. «Diciamo che poi c’è stato
un… imprevisto.» Esitò
cercando la parola più corretta.
«Imprevisto!»
Lo scimmiottò la ragazza di colore scuotendo le mani e
alzando gli
occhi al cielo. «Se questo lo chiami imprevisto non voglio
sapere
come sarebbe andata se fosse stato tutto deciso.» Mick aveva
già
sentito una storia simile, l’esplosione
dell’acceleratore di
particelle ad opera di Harrison Wells non era stato un incidente,
forse nemmeno quello che era accaduto su quella Terra lo era. O
magari era davvero solo un tragico caso.
«West,
pensi davvero che stavamo cercando di creare un’arma
biologica?»
«A
dire il vero sì.» Disse lei senza fermarsi a
pensare alla risposta.
«Tutto di quei famigerati Laboratori STAR urlava guai. E
infatti…»
Indicò svogliatamente attorno a loro.
«Stavamo
cercando…» Iniziò a ribattere ancora il
giovane.
«Silenzio.
Tutti e due.» Li interruppe una terza voce che Mick era certo
di non
conoscere a differenza delle altre.
«Cosa…?»
Borbottò Hartley, stizzito per essere stato interrotto.
«Shhh
shhh…» Fece ancora, passandosi l’indice
sulle labbra per
convincerlo di più mentre si guardava attorno. Mick
indietreggiò di
qualche passo portandosi accanto a lui mentre Leonard controllava la
strada davanti a loro.
«Cosa
succede Thomas?» Domandò a mezza voce, il ragazzo
continuò a
osservare in silenzio finché non fermò lo sguardo
sul tetto di un
edificio a diversi metri da loro, entrambi i Mick seguirono il suo
sguardo ma, mentre quello incorporeo che non vedeva l’ora di
svanire da quella Terra non capì cosa stessero vedendo,
l’altro
Mick emise un verso strozzato.
«Non
va bene. Non va bene per niente.» A quel punto anche gli
altri si
erano voltati a guardare. «Correte.» Disse soltanto
spingendo la
ragazza davanti mentre Snart e Hartley avevano già iniziato
a
correre verso la macchina, Thomas avvicinò
l’occhio al mirino
puntando qualunque cosa vedesse nell’oscurità e
sparando un colpo.
Il verso sofferente che si alzò seguito da un ringhio non
sembrava
promettere nulla di buono, Mick lo afferrò da un braccio
seguendo
gli altri senza lasciarlo andare.
«Bel
colpo Tommy.» Disse ironico mentre salivano sulla macchina e
metteva
in moto accelerando senza pietà per mettere quanta
più distanza
potesse dalla strana creatura che dopo essere stata colpita era
saltata dal tetto a quattro zampe e aveva iniziato a rincorrerli
veloce facendo saettare la lingua assurdamente lunga. «Ora
l’hai
fatto incazzare!»
Mick
rimase immobile incapace di comprendere quello che stesse vedendo, la
creatura stava raggiungendo la macchina, la lingua saettò
verso di
loro, poi il Tempo decise che aveva visto abbastanza.
Cisco
prese il lanciafiamme e se lo rigirò in mano un paio di
volte, era
arrivato presto al laboratorio, quando gli altri erano ancora a casa
e le luci spente, le aveva lasciate soffuse quel che bastava a vedere
dove stesse camminando. Era rimasto immobile con la pistola nelle
mani senza riuscire a carpirne nulla, non era certo avrebbe
funzionato ma non poteva saperlo senza provare. Si appoggiò
allo
schienale prendendo gli occhiali che teneva nel cassetto, erano
ancora un prototipo ma sembravano funzionare a dovere, li
indossò
tornando a rilassarsi contro lo schienale chiudendo gli occhi e
stringendo l’arma con entrambe le mani.
«Mick…»
Sussurrò lentamente, assaporando quasi il nome che negli
ultimi
tempi era diventato così familiare nella sua mente. A parte
Barry
gli altri non avevano preso molto bene la notizia, non che fosse una
cosa da troppo scalpore.
«Mick.
Mick dove sei?» Non si sentiva ancora forte abbastanza da
usare il
solo pensiero per rintracciare qualcuno attraverso le dimensioni, non
era nemmeno sicuro che Mick si trovasse lì, ma come era
accaduto a
Barry allora poteva essere accaduto a lui e Cisco non poteva lasciar
perdere prima ancora di aver provato.
Si
guardò attorno trovando solo uno spazio in continuo
movimento,
inconsciamente nella realtà strinse con più forza
la pistola, non
sapeva quanto tempo aveva prima di rischiare di perdersi, al tempo
stesso in quel momento poco gli importava di perdersi se non riusciva
a trovare Mick.
«Mick!»
In lontananza, in mezzo ad un vortice azzurro, qualcuno si
voltò ma
non fece in tempo ad aprir bocca che il vortice lo ingoiò
trascinandolo con sé in un’altra dimensione.
«Cisco!»
Mick allungò una mano col solo risultato di passare
attraverso
l’asta di una lampada in metallo. Cisco lo cercava, si era
proiettato nel Flusso Temporale e lo cercava, doveva tornare
indietro. Ispezionò la stanza, larga, ben illuminata e piena
di
cavi. Al centro non lontano da una pulsantiera c’era una
piattaforma scura, Mick la conosceva, l’aveva già
vista seppur
spesso in dimensioni ridotte, forse quello era un prototipo di quello
che conosceva. La porta laterale si aprì e richiuse nel giro
di
pochi secondi, i passi erano leggeri.
«Ehi
Mick.» Mick si voltò incredulo, convinto che per
la prima volta
qualcuno fosse in grado di vederlo, e non un qualcuno a caso
ma…
«Professor
Ramon.» Ruotò
la
testa verso la piattaforma osservando l’ologramma azzurrino
che era
comparso. Era lui,
in tutto e per tutto, solo meno reale.
«Non
ti ho già detto che mi puoi chiamare per nome?»
Rise Cisco posando
una tazza colma di caffè accanto alla pulsantiera e
accendendo uno
schermo vicino.
«Non
sarebbe rispettoso Professore.»
Mick credette per un attimo di aver visto l’AI sorridere in
rimando
al giovane che scosse la testa divertito.
«Come
vuoi, come vuoi Mick.» Diede un paio di comandi e
l’ologramma
sfarfallò qualche istante prima di stabilizzarsi nuovamente.
«Informami se ci sono dei cambiamenti sulla frequenza
inter-dimensionale. Per il resto fa che nessuno mi disturbi.»
«Come
desiderate Professore.»
«Cisco.»
Lo corresse sollevando brevemente lo sguardo dallo schermo,
l’AI lo
guardò di rimando, esitò inclinando il capo da un
lato prima di
sollevare un angolo delle labbra.
«Cisco.»
Ripeté prima di svanire e lasciare la stanza nel silenzio,
Mick si
voltò a guardare il ragazzo. Si era seduto davanti allo
schermo e
ora che l’AI era scomparso lo stesso era stato per il suo
sorriso,
sospirò abbandonandosi sulla sedia osservando non
più lo schermo ma
una cornice accanto ad esso. Mick fece il giro del tavolo, ancora non
abituato alla sensazione che provava passando attraverso le cose, e
la osservò.
«Oh
Micky…» Sussurrò con voce rotta
passandosi una mano sul viso.
«Troverò il modo di riportarti a casa.
Io… Io ti troverò.
Dovessi scandagliare ogni singola dimensione esistente.» Mick
lo
guardò allungando una mano verso di lui per toccargli la
spalla. Tra
tutte le Terre che aveva visitato quella era la più simile
alla sua,
quantomeno per la sua sorte. La mano passò attraverso la
spalla e
lui la ritrasse immediatamente quando vide Cisco sussultare e
voltarsi verso di lui senza vedere nulla. Il giovane scosse la testa
tornando a concentrarsi sullo schermo e sulle stringhe di codice che
aveva davanti.
«Voglio
tornare a casa.» Sussurrò, era una frase che aveva
ripetuto così
tante volte che era diventata familiare quanto respirare. Chiuse gli
occhi pensando più intensamente che poté al luogo
da cui iniziava
tutto, il Flusso Temporale, l’Incrocio di infinite vie.
Quando lì
riaprì non stava più cadendo, era immobile
sospeso tra vortici e
filamenti. Lentamente alcuni vortici attorno a lui si allargarono
divenendo veri e propri passaggi, incerto Mick fece un passo
rendendosi conto che finché riusciva a mantenere la calma
non
sarebbe precipitato come le volte precedenti.
«Cisco?»
Chiamò tentativamente senza ottenere una risposta,
girò su sé
stesso un paio di volte cercandolo con lo sguardo. Stava dando la
schiena ad uno dei vortici quando avvertì un soffio freddo
sulla
nuca, si voltò di scatto mentre vortici più
piccoli uscivano dal
maggiore e lo avvolgevano trascinandolo con sé.
Quando
ne uscì lo fece con calma, in piedi, prese alcuni secondi
per
osservare l’ambiente attorno a lui, ovunque fosse era caldo e
un
palazzo estremamente ricco. Si avviò verso un balcone su uno
dei
lati e quando uscì venne accolto da uno scenario che aveva
visto di
sfuggita in alcuni film la sera tardi quando non riusciva a dormire
ma non era abbastanza sveglio da andare in giro e lasciava il
televisore acceso come compagnia. O forse somigliava
all’antico
Egitto, l’unica volta in cui aveva tentato di uccidere Savage
prima
che diventasse immortale, col solo risultato di essere raggiunti da
Chronos. Qualunque fosse la situazione che gli ricordava quel
paesaggio non cambiava il fatto che si trovasse affacciato al balcone
davanti ad una distesa semi desertica dai colori aranciati,
indubbiamente lo scenario più bello che avesse visto in
molto tempo.
«Nobile
Dagon.» E non era solo su quel balcone. Doveva avere diverse
porte,
una quella da cui era arrivato lui, poi altre tre che non sapeva dove
entrassero. Ad alcuni metri da lui un uomo vestito di
un’armatura
dai toni sabbiosi era fermo a osservare il panorama come stava
facendo anche lui fino a poco prima, una spada all’apparenza
pesante era posata accanto a lui in piedi contro la balaustra,
voltò
la testa con lentezza verso il soldato che era apparso alle sue
spalle.
«Non
siete costretto a farlo, possiamo fermarli prima ancora che arrivino
alle mura.» Disse con sicurezza, la schiena dritta e la testa
alta,
una mano posata sull’elsa della spada al suo fianco.
«Non c’è
bisogno che voi, nobile Dagon, scendiate in battaglia.» Dagon
sorrise appena, se c’era qualcuno di cui si fidava ciecamente
nella
corte quello era Hadad, la sua determinazione era qualcosa di
difficilmente eguagliabile, così come il coraggio in
battaglia, mai
l’aveva visto farsi da parte. Aveva pensato spesso, Dagon, di
renderlo come lui in un moto di egoismo, per non rimanere da solo
nella sua immortalità. Ogni volta quel pensiero veniva
accantonato
da un getto d’acqua fredda, era egoista certo, ma non fino a
quel
livello.
Mick
si affiancò ai due uomini, inarcò un sopracciglio
osservando Dagon
e ciò che li circondava.
«Se
quello là era il medioevo questa è
preistoria.» Borbottò.
«Saranno anche dimensioni diverse ma almeno il tempo non
poteva
essere lineare?»
“Proprio
tu chiedi la linearità nel tempo, Chronos?”
Domandò una vocina nella sua mente, canzonatoria quanto
bastava
perché Mick la riconoscesse. “Come
siamo pretenziosi. Cos’altro vuoi, che si aggiusti le
anomalie
temporali da solo?”
Scosse la testa, infastidito da quel tono saputello che Jolyn era
solito usare quando lui si lamentava sommessamente di alcuni
incarichi.
«E
invece scenderò in battaglia, Hadad.» disse con
voce calma e calda
riscuotendo Mick dai suoi pensieri. «Così che
questa sia l’ultima
che dobbiamo affrontare.» Allungò la mano
prendendo la spada e
assicurandosela in vita, gli occhi avevano una sfumatura dorata
surreale, Mick non sapeva se era davvero quello il colore o se era
solo un riflesso della luce, eppure erano magnetici, sembravano
costringerti a continuare a guardare, senza vie di scampo.
«Possiamo
fermarli.» Insistette l’uomo ma Dagon lo
guardò sorridendo.
«Fermali,
amico mio, e loro torneranno ancora e ancora.» Gli
posò una mano
sulla spalla, un gesto fraterno, quasi intimo. «Ma non questa
volta.» L’altra mano si fermò chiusa
sull’elsa della sua spada
mentre rientravano nella stanza con Mick invisibile al loro seguito.
«Saremo noi a vincere una volta per tutte.»
Poi,
come se Mick avesse inavvertitamente premuto il tasto per velocizzare
il video, la scena davanti ai suoi occhi iniziò a scorrere e
vorticare lasciandolo disorientato, e nauseato, in mezzo ad un
cruento campo di battaglia. Quando riprese fiato e la testa smise di
girare si rese conto di essere esattamente nel mezzo di una distesa
apparentemente sconfinata di corpi mutilati senza pietà,
qualcosa
che nemmeno nella più realistica riproduzione
cinematografica di una
guerra si sarebbe mai immaginato di vedere. Nel mezzo proprio come
lui, solo più calmo, si trovava anche Dagon, non aveva
impiegato
molto a capire che fosse lui la vita che aveva su quella Terra, per
quanto assurda e apparentemente ben rispettata potesse essere. Quando
si girò e Mick poté vederlo in volto aveva lo
sguardo più afflitto
e tormentato che avesse mai visto. E arrabbiato. Era furioso al punto
che gli occhi sembravano aver preso una sfumatura ancora più
chiara,
gialla quasi, mentre il sangue gli sporcava il viso, quando
aprì la
bocca per dire qualcosa che Mick non riuscì a comprendere,
la
parlata troppo veloce, la lingua troppo antica che nemmeno i
traduttori dei Signori del Tempo sarebbero stati in grado di
tradurla, qualunque cosa dicesse suonava in tutto e per tutto come
una serie di maledizioni per gli antichi Dei, la prima cosa che
saltò
agli occhi furono i denti. I canini sporgevano aguzzi e pericolosi. E
sporchi del sangue di ogni singolo uomo a terra, la spada era ancora
assicurata alla cintura, immacolata. La spada era solo un ornamento
così come l’armatura, era solo un modo per
mostrarsi umano o
quanto più simile a loro, quando invece non lo era.
«Mai
più.» Sibilò tra le maledizioni agli
antichi. «Mai più. Mai più
per questa inutile, mortale umanità. Mai
più.» Tremò
sulle ultime parole, i sussurri si trasformarono in un urlo disumano,
nessuno accorse, come se nessuno esistesse più su quel campo
di
battaglia. Al calar del sole Dagon si alzò, si diresse lento
e
solitario verso il palazzo e nei sotterranei. Un corridoio, due
corridoi, poi tre, Mick lo seguì in silenzio. La stanza in
cui si
fermò sembrava una di quelle soprastanti, riccamente
decorata e
accogliente, chiuse la porta e fece scattare un meccanismo che dal
rumore che arrivò dall’esterno doveva aver
bloccato completamente
le vie sotterranee. Si distese sul letto fissando il soffitto.
«Mai
più.» Mormorò un’ultima volta
prima di chiudere gli occhi in un
sonno che sperava fosse eterno, troppo disgustato dalle manie di
potere degli uomini, e dalla loro mortalità.
Di
fianco a Mick comparve un piccolo vortice di luce bianca,
l’uomo lo
guardò un attimo, tornò a osservare il vampiro
poi si voltò e vi
entrò facendo pochi passi prima di ritrovarsi ancora una
volta nel
Flusso Temporale avvolto in una calma irreale mentre il Tempo
vorticava intorno a lui. Le parole del sé immortale gli
erano
rimaste in mente e non riusciva a spiegarsi la ragione. “Mai
più.” Aveva
provato una solitudine tale da provar pena per lui, per sé
stesso.
Scosse la testa per liberare la mente e si guardò attorno,
di Cisco
non c’era alcuna traccia e un vortice poco distante aveva
preso ad
allargarsi facendosi di secondo in secondo più vicino, un
chiaro
invito ad attraversarlo. Mick non se lo fece ripetere una seconda
volta, stanco di essere agguantato e sputato fuori senza modo di
scegliere, si voltò, guardò il vortice fermarsi a
pochi passi da
lui e lo attraversò di sua spontanea volontà.
Un
ambiente familiare si aprì davanti a lui, per un attimo
pensò di
essere arrivato sulla sua Terra, a casa, poi si ricordò che
sarebbe
stato comunque invisibile a chiunque, mosse qualche passo incerto
nella stanza circolare dei Laboratori STAR, osservò i
macchinari che
coprivano ogni spazio libero, i cavi che nascondevano il pavimento ad
eccezione di poche piccole isole libere, una navetta temporale
trasparente in un angolo, lo stesso tipo che alcuni Signori del Tempo
usavano, non adatta a viaggi lunghi o pericolosi, completamente priva
di armi e con uno scudo che resisteva esclusivamente al viaggio,
simile a quella che Cisco aveva detto di aver dovuto costruire.
«Sei
sicuro Michael?» Si voltò quando la porta si
aprì e tre figure
entrarono, familiari, così incredibilmente familiari al
punto da
lasciargli uno strano senso di nostalgia nello stomaco.
«Noi
non bastiamo, Myria.»
«Siamo
stati abbastanza fino ad ora.»
«E
poi?» Mick, quel
Mick, si voltò
verso la donna ferma qualche passo indietro, un cappotto lungo in
pelle nera che tentava di farla sembrare più imponente dello
scricciolo che era in realtà. «Siamo noi
tre.» Indicò con un
cenno l’altro uomo che stava lavorando ad uno dei macchinari.
«Se
accadesse qualcosa resteremmo in due. No, Myria, siamo troppo pochi,
abbiamo bisogno di più persone.»
«E
come pensi di fare?» Lei incrociò le braccia al
petto. «Metterai
un annuncio sul web come se si trattasse di un lavoro come un
altro?»
Mick sorrise a quella proposta sarcastica, come se quello fosse
davvero ciò che aveva intenzione di fare.
«Sono
anni che non operiamo più nell’ombra.»
Prese a camminare mentre
parlava, sfiorando piano con le mani i macchinari accanto cui
passava, attento ai cavi che calpestava. «Il mondo sa che le
Anomalie esistono, sa che gli Alieni esistono e non sono tutti
pacifici. Sa che le due cose possono finire col combinarsi.»
Si
portò al centro della stanza e si voltò a
guardarli entrambi.
«Inizieremo a proporlo a quelli con cui abbiamo lavorato,
metaumani,
alieni, persone normali che vogliono proteggere la storia. Le cose
saranno lente all’inizio, li addestreremo, li istruiremo su
tutto
ciò che c’è da sapere.»
«Potremmo
evitare di coinvolgere anche Flash?» Domandò
l’uomo sollevando il
capo dalla pulsantiera su cui era chino. «Perché
sai… ha un
talento speciale per incasinare la linea temporale ed è la
ragione
principale per cui abbiamo sempre così tanto
lavoro.» Myria roteò
gli occhi con un mezzo sorriso, per quanto l’avesse posta in
modo
semplicistico nessuno poteva negare che fosse vero, Flash era un vero
e proprio danno per ciò che riguardava il Tempo. Mick rise
annuendo
brevemente, attivò uno schermò touch accanto a
lui e aprì alcuni
file.
«Questi
sono solo alcuni dei nomi, delle possibili reclute.»
«Vuoi
creare una vera e propria società a difesa del
Tempo…» Commentò
Myria facendo scorrere rapidamente una dopo l’altra le schede
da
uno schermo più vicino. «Questo è
carino.» Commentò
soffermandosi su uno facendo alzare uno sbuffo da Mick.
«Non
li ho scelti perché sono carini.»
Si lamentò facendola sorridere. «Sto solo cercando
di assicurare un
futuro a quello che abbiamo iniziato. Nessuno conosce il Tempo come
noi.»
«Nessuno
come lo conosci tu.» Precisò l’uomo.
«Certo, se non ti fossi
infilato in qualunque cosa fosse quella in cui ti sei infilato sette
anni fa con la navetta…»
«Karsa!»
Sbottò scuotendo in aria le braccia.
«Sto
solo dicendo che è stata una fortuna.» Si difese
ritornando al suo
lavoro. Myria si avvicinò, il cappotto svolazzava alle sue
spalle
elegante.
«Dunque
addestriamo un manipolo di eroi, li trasformiamo in difensori
del Tempo e noi
andiamo in pensione?» Sorrise ammiccante fermandosi davanti a
lui
con una mano sul fianco e la testa lievemente inclinata, Mick parve
offeso da quell’insinuazione.
«Stai
dicendo che sono in età da pensionamento?»
Borbottò arricciando le
labbra, lei rise spostandosi indietro una ciocca di capelli corvini.
«Non
saranno difensori,
come li hai chiamati tu però, e non opereremo da questa
base.»
Myria alzò un sopracciglio a quelle parole, avendo
riottenuto la sua
attenzione Mick sfiorò lo schermo spostando le schede in un
angolo e
aprendo un altro file di quella che sembrava un’immensa
stazione
spaziale, disegnata sulla falsa riga della Colonia Olympus.
«Appariscente.»
Fu il solo commento di Karsa che aveva alzato gli occhi per osservare
il progetto.
«Non
sarà nella orbita terrestre, sarà nello spazio di
confine.»
«L’Incrocio.»
Il Mick fantasma che si era appoggiato, al meglio delle sue
capacità
in quella situazione, ad una delle scrivanie, drizzò le
orecchie a
quella parola. Sembrava che qualcun altro oltre a lui chiamasse in
quel modo il Flusso Temporale che attraversavano abitualmente, e quel
qualcun altro era lei,
inconsciamente sorrise a quel pensiero.
L’altro
Mick annuì.
«È
il posto più sicuro.»
«E
il Tempo è praticamente quasi fermo.» Aggiunse
Karsa lasciando
perdere la pulsantiera e avvicinandosi a loro al centro della stanza.
«Non
è una colonia, è il Punto di Non
Ritorno.» Spiegò
Mick e per poco all’altro Mick non venne un colpo, aveva
capito che
loro tre era Signori del Tempo, o qualcosa che doveva somigliarvi ma
non aveva capito fino a quel momento l’estensione della cosa.
«E
noi, i nostri allievi e chiunque verrà in futuro che
prenderà il
nostro posto non saranno dei difensori
ma dei Signori.»
Myria teneva ancora le braccia incrociate e il capo leggermente
inclinato, un sorriso divertito e in parte compiaciuto si
aprì sul
suo viso, Karsa era al suo fianco, le braccia abbandonate lungo il
busto e una posa totalmente rilassata.
«Signori
del Tempo.» Ripeté
come se volesse saggiare il suono di quelle parole, di quel titolo.
«Devo ammetterlo, Chronos,
stavolta ti sei superato.» Disse con un sorriso ferino
scoprendo i
denti leggermente più appuntiti del normale.
Mentre
sia Karsa che Myria tornavano al lavoro Mick si voltò verso
un lato
della stanza, osservò la scrivania poi sollevò le
labbra in un
mezzo sorriso.
«Ti
conviene andare.» Disse in un sussurro e Mick
sobbalzò guardandolo
dritto negli occhi con la bocca leggermente aperta.
«Cos—Come?»
Biascicò sbattendo le palpebre.
«Sei
un’Anomalia, e sei il genere di Anomalia che sa cosa succede
a
quelli come te.» Poi si voltò seguendo gli altri
due colleghi al
lavoro, avevano così tante cose da fare che non poteva
certamente
mettersi a chiacchierare con lui.
Mick
dal canto suo ruotò su sé stesso,
individuò il debole vortice da
cui era arrivato e vi si infilò dentro in un baleno
ritornando nel
Flusso Temporale, ancora sconvolto dal fatto che qualcuno fosse
riuscito a vederlo.
«Quindi
dopo tutto quello che è successo, quello che hanno fatto, causato,
tu sei ancora sicuro di voler continuare a… qualunque cosa
facciate.» Cisco incrociò le braccia osservando
Len per un attimo.
«Ne
ho già parlato a Barry se è questo che ti
preoccupa.» Disse
azzardando poi un ghigno divertito. «E comunque non serve che
ti
preoccupi per me, sono adulto e vaccinato, so cavarmela da
solo.»
Cisco emise solo un versetto non troppo convinto prima di dargli le
spalle osservando il Laboratorio così innaturalmente vuoto
dopo il
breve passaggio delle Leggende. Leonard sapeva cosa intendeva il
ragazzo, in quel momento riusciva a leggerlo come un libro aperto.
“Anche
Mick sapeva cavarsela da solo.”
Ecco
cosa diceva.
«Rip
ha detto che è impossibile andare indietro, che quel momento
è
fisso, qualcosa di inaccessibile, o qualcosa del genere.»
Iniziò
bloccandosi quando Cisco sembrò prendersi gioco di lui
facendogli un
infantile verso con le mani sempre dandogli le spalle, a quella vista
Len alzò un sopracciglio.
«È
inaccessibile perché non esiste, è una cosa un
po’ diversa.»
Disse piano voltando la testa verso di lui, il corpo lo
seguì un
attimo dopo e si incamminò verso uno dei tavoli su cui il
lanciafiamme e i suoi occhiali erano posati uno accanto
all’altro.
«Se
già lo sai allora non capisco cosa cerchi.» Snart
diede una veloce
occhiata all’orologio, non mancava molto all’ora
stabilita del
ritrovo. «È morto.» La voce si
spezzò più di quanto avrebbe
voluto, dirlo era tutta un’altra cosa che pensarlo.
«Non tornerà…
non – »
«Tu
non hai questo.» Sollevò gli occhiali senza
però indossarli per il
momento. «Non l’ho visto
morire.» Sussurrò. «L’ho visto
dissolversi nel mezzo di
un’esplosione di energia.» Snart deglutì
a quelle parole,
conosceva i poteri di Cisco, Barry gli aveva spiegato, quantomeno a
grandi linee la situazione, non ne conosceva l’estensione
però.
«Non
vedo la diversità tra le due cose.» Disse
perentorio. «Sentì
ragazzino, lo capisco ok? Vorrei anch’io credere in qualcosa
di
diverso ma non è così che funziona. Non sempre
una vittoria è
felice.»
Cisco
era rimasto fermo sul posto, gli occhiali stretti in mano e
un’espressione sicura sul viso, rabbuiandosi solo leggermente
alle
parole di Leonard. Contrasse la mascella facendosi più
determinato e
convinto nelle sue idee, aveva deciso che non si sarebbe arreso
finché non avesse trovato una soluzione, qualunque essa
fosse.
«C’è
differenza.» Sibilò assottigliando gli occhi in
un’espressione
che di rado era vista sul suo viso. «È successo
una volta e abbiamo
sistemato le cose. Posso farlo di nuovo.» Snart non ebbe il
tempo di
domandare cosa intendesse, di cosa parlasse o quale fosse la
fantomatica differenza in cui si ostinava a credere perché
Barry
arrivò ad informarlo che era ora di andare e che lo avrebbe
portato
lui. Un istante dopo, con un saluto troncato sul nascere Cisco era
solo nel Cortex. Con un sospiro osservò il lanciafiamme, si
sedette
accanto alla scrivania e indossò gli occhiali.
«Forza.»
Si disse piano mentre davanti a sé si apriva uno spazio
immenso
fatto di vortici e filamenti e fulmini di tanto in tanto.
«È ora di
tornare a casa.» Si incamminò davanti a
sé alla ricerca dell’uomo.
Il
nuovo vortice colse Mick alla sprovvista, non contava di entrarvi
nemmeno quando lo vide ingrandirsi ma quello scattò verso di
lui
attraversandolo, o forse fu Mick ad attraversarlo crollando su un
pavimento lucido e pulito.
«Sembra
quasi che trovi divertente trovare ogni volta un modo per eludere la
mia presenza.» Mick si mise in piedi con un gemito, ancora
non si
capacitava del come e perché provasse dolore,
l’uomo ad alcuni
metri da dov’era atterrato era indubbiamente lui, solo
vestito in
modo più elegante, professionale oserebbe dire. Accanto, con
un
sorriso compiaciuto e un vestito talmente elegante da sembrare
assurdo, era Cisco. Mick alzò un sopracciglio a quella
vista, non
aveva mai visto il giovane così elegante in vita sua.
«Se
tu non fossi sempre così noioso da seguirmi come
un’ombra non
dovrei farlo, non credi?» Cisco lo guardò dal
basso con un
sorrisetto e un occhiolino.
«No
– Noioso?» Borbottò Mick, frenandosi
dall’allentare ancora una
volta la cravatta. «È il mio lavoro essere la tua
ombra!» Esclamò
seguendolo alcuni passi indietro misurandoli in modo da non arrivare
mai ad affiancarlo né tanto meno superarlo, Cisco
ridacchiò
soltanto. «Se mi trovi così noioso dovevi pensarci
prima di
assumermi.»
Mick
lasciò vagare lo sguardo nell’androne del palazzo
curioso di
sapere dove si trovasse, Ramon
Industries
attirò subito la sua attenzione, non esattamente quello a
cui Cisco
aveva sempre aspirato ma quella non era la sua Terra, non poteva
sapere quali altre differenze c’erano.
«Non
è il mio lavoro essere divertente.»
Puntualizzò con uno sbuffo,
Mick li seguì in silenzio ascoltando
quell’inusuale battibecco che
tutti gli altri attorno parevano ignorare o accogliere con modesti
sorrisi, come se fesse all’ordine del giorno.
«Proteggerti, questo
lo è.»
Cisco
entrò in una stanza in fondo al corridoio dopo essere uscito
da
un’ascensore privato con Mick al seguito.
«Con
te in giro nessuno si azzarderebbe mai ad avvicinarsi, sei grande,
grosso e intimidatorio, direi che questo basta.» Disse senza
mai
perdere il sorriso voltandosi e appoggiando le mani alla scrivania
alle sue spalle. «E se anche ci provassero –
»
Istintivamente
quando il vetro si frantumò Mick si ritirò su un
lato appiattendosi
contro il muro, morto o no essere attraversato dai proiettili non era
per niente divertente, l’altro Mick invece era scattato
avanti
quando Cisco stava ancora parlando. Cisco aveva visto il cambiamento
nella sua espressione ma ogni cosa era stata talmente repentina da
non dargli il tempo di riflettere. Mick lo afferrò
abbassandolo e
schiacciandolo contro la scrivania in metallo mentre astraeva una
pistola e puntandolo verso la finestra facendo spuntare solo le mani
e gli occhi da dietro il mobile mentre Cisco era bloccato a terra con
gli occhi sgranati dalla sorpresa, incastrato tra la scrivania e il
corpo di Mick. l’allarme era scattato immediatamente e altre
due
guardie erano entrate nella stanza controllando a loro volta da dove
potesse essere arrivato il colpo senza troppi risultati.
«Cosa
stavi dicendo poco fa?» Sibilò a denti stretti
Mick guardandolo per
un istante prima di riportare lo sguardo sulla finestra. Cisco
balbettò qualcosa muovendosi inquieto a terra,
posò una mano sulla
giacca scura di Mick come a convincerlo a spostarsi.
«Sei
ferito?» Domandò con tono più alto e
sorpreso di quel che avrebbe
dovuto, a metà tra la domanda e un’esclamazione,
Mick dismise la
cose con un gesto vago e si alzò quando assicurarono che non
vi era
nessun pericolo.
«Non
fare il vago con me.» Disse deciso il giovane alzandosi
rapidamente
in piedi cercando di convincerlo a togliere la giacca per esaminare
la ferita.
“Mick!”
Mick impiegò diversi secondi prima di capire che la voce non
arrivava da quella Terra, era più lontana e ovattata. “Mick!!”
Si guardò intorno freneticamente, si voltò
abbandonando la scena
che aveva davanti e correndo verso il piano inferiore da cui era
arrivato alla ricerca di un qualche segno del vortice che lo avrebbe
portato fuori. Man mano che scendeva due a due le scale la voce
sembrava farsi più vicina e al tempo stesso una strana e
spiacevole
sensazione si mosse dentro di lui.
“Mick…?”
Sentì nuovamente la voce chiamarlo ora più
esitante e lui accelerò,
prese una curva alla fine della rampa passando attraverso un
impiegato con le braccia piene di fogli e di caffè e riprese
a
scendere.
“Mick
dove sei?”
“Sono qui!” Avrebbe voluto urlare,
arrivò in fondo all’ennesima
rampa e quando iniziò a scendere gli ultimi gradini che
mancavano
sentì la terra mancargli sotto i piedi, non era come la
prima volta
che aveva abbandonato una di quelle Terre, era più reale,
come se
fosse banalmente inciampato e stesse per accorciare la distanza tra
la rampa e il piano a cui era diretto, venti gradini in un colpo
solo. D’istinto serrò gli occhi preparandosi
all’impatto, per
una volta felice di non poter morire di nuovo.
«Mick!»
La voce lo accolse calda e vicina, confortante in molti più
versi di
quanto avesse mai creduto possibile. Quando si decise ad aprire gli
occhi scoprì di essere nuovamente all’interno del
Flusso
Temporale, spalmato sgraziatamente a terra. Cisco era chino su di
lui, la preoccupazione dipinta in modo fin troppo evidente sul suo
volto ma si rilassò un poco quando lo vide aprire gli occhi,
sorrise
sospirando sollevato e allungo una mano sul suo viso quando Mick si
mise a sedere.
«Non
sai quanto ti ho cercato.» Sussurrò con gli occhi
che si facevano
via via più lucidi prima di gettargli le braccia al collo
continuando a biascicare parole che a Mick non arrivavano, fievoli
contro la sua spalla, lentamente gli passò un braccio sulla
schiena
stringendolo a sé e stupendosi di poterlo fare.
«Cosa
ci fai qui?» Domandò dopo un paio di minuti in cui
erano rimasti
entrambi fermi a terra, Cisco ancora inginocchiato con la testa
contro la sua spalla e i capelli che solleticavano la guancia e il
collo di Mick ogni volta che si muoveva.
«Pensavi
davvero che ti avrei lasciato qui?» Domandò
shockato spostandosi e
guardandolo in viso. «Sono venuto per portarti a
casa.» La
decisione e la dolcezza con cui pronunciò quelle parole
fecero
sorridere appena Mick. «L’ho fatto una volta con
Barry, posso
farlo anche con te.» esitò un attimo abbassando lo
sguardo.
«Soprattutto con te.» Mormorò poi prima
di staccarsi guardandosi
intorno preoccupato. Alcuni dei vortici si erano fatti più
vicini,
scuri e minacciosi, i filamenti dorati che Mick riconosceva come
linee temporali si muovevano inquieti, riusciva quasi a sentirli
mentre soffiavano
contro Cisco, contro l’Anomalia.
«Devi
andare.» Decretò alzandosi in piedi, Cisco scosse
la testa con
forza.
«Non
senza di te.» Si lamentò aggrappandosi a lui, uno
dei filamenti
saettò tra loro come a volerli separare. «Ah!»
«Vai.»
Disse perentorio spingendolo indietro. «Sarò
ancora qui quando
torni.» Usò il tono più calmo che
trovò e lo guardò svanire
lentamente, dissolversi come fumo chiaro.
«Sarò
ancora qui.» Ripeté a sé stesso come a
convincersi, ora animato da
una nuova speranza di non essere costretto a passare il resto
dell’esistenza saltando da una Terra all’altra, una
vita
all’altra. Se c’era un modo per tornare Cisco lo
avrebbe trovato,
ne era più che sicuro, e una volta tornato aveva un
po’ di cose da
dire alla felice compagnia di eroi.
Alle
sue spalle un filamento dorato che si avvolgeva placido attorno ad un
vortice blu oltremare si allungò scendendo lungo la sua
spalla e sul
braccio come a voler attirare la sua attenzione in modo discreto.
Mick guardò per un attimo il punto in cui era svanito il
giovane
metaumano poi sospirò, non sarebbe tornato subito e lui non
sapeva
quanto tempo passasse quando entrava su un’altra Terra. Il
filamento picchiettò brevemente sul suo braccio e Mick si
voltò.
«Ho
capito, ho capito. Vengo con te.» Come se lo avesse capito, e
Mick
iniziava a sospettare che fosse proprio così, il sottile
filo si
spostò muovendosi sinuoso a mezz’aria tornando a
riavvolgere il
vortice quando Mick lo oltrepassò.
Il
rumore della nave era tranquillo e basso, simile alle fusa di un
gatto nella mente di Mick, rilassante. Era un suono a cui si era
abituato da tempo, somigliava in modo incredibile a quello
dell’Hypérion, ma il corridoio in cui si trovava
era un luogo mai
visto prima, indubbiamente appartenente ad una nave Temporale, o
spaziale che fosse, ma non una di sua conoscenza. Si avviò
in una
direzione casuale lasciandosi guidare dall’istinto e sperando
di
non ritrovarsi in qualche vano insolito senza via d’uscita. I
corridoi erano stretti, un un freddo colore metallico ma la nave
sembrava comunque spaziosa.
Sbucò,
dopo una serie di ripidi scalini che scese con attenzione e senza
fretta, ancora memore della caduta sulla Terra precedente, in quella
che doveva essere la stiva. Il portellone sigillato su un lato
lasciava intravedere attraverso un vetro spesso, la pedana di uscita
e una serie più piccola di finestrelle rettangolari
schermate.
all’esterno, per quel poco che si poteva intravedere
c’era una
distesa nera.
«Non
riesci a dormire?» Una voce gentile arrivò alle
sue spalle, si
voltò notando in quel momento un uomo seduto su uno dei
ponti
superiori con le gambe a penzoloni e le braccia incrociate sulla
ringhiera più bassa della balaustra, il mento appoggiato su
di esse.
In piedi al suo fianco c’era una ragazza con indosso una
salopette
verde sporca di olio e i capelli raccolti in una coda disordinata e
in parte sfatta. Si appoggiò alla balaustra guardando
dall’alto
mentre lui aveva mosso appena la testa per voltarsi verso di lei
mugugnando una risposta. Lei sorrise rigirandosi una ciocca fuggiasca
tra le dita. Più Mick li osservava e più li
trovava diversi, come
se fosse quasi impossibile che potessero stare nella stessa stanza a
parlare, come se lei dovesse per qualche ragione temere
l’uomo che
se fosse stato in piedi l’avrebbe sovrastata di parecchio.
Solo a
vista erano diametralmente opposti eppure lei sembrava totalmente a
suo agio al suo fianco, sorrideva gentile, mentre lui non la
allontanava e Mick era quasi certo di aver visto come le spalle si
erano rilassate quando lei si era avvicinata. Erano
opposti un po’ come lui e Cisco.
«Sono
quei dannati Reaver.» Disse con voce roca continuando a
fissare un
punto della stiva. «Non riesco a togliermeli dalla
testa.» Si batté
il palmo della mano sulla fronte come a voler accentuare quelle
parole, strinse gli occhi poi tornando con le braccia incrociate e
posandovi la fronte.
«Allora
anche il grande Jayne ha paura di qualcosa.» Disse con tono
scherzoso la ragazza, quando vide che lui non rispondeva si sedette
lentamente sul ponte accanto a lui posando una mano sul suo braccio.
«Non c’è niente di male, lo sai
vero?»
«Io
avevo detto a Mal che quella nave era una trappola.»
Borbottò senza
alzare la testa. «Ma non mi ha voluto ascoltare. Per una
volta che
dico qualcosa di sensato… Potevano mangiarci.» La
voce uscì
strozzata, una nota di terrore in quelle parole e negli occhi quando
si voltò verso la ragazza. «Violentarci e poi
mangiarci.» Ripeté
deglutendo, Mick dalla stiva sotto di loro si domandò che
razza di
pazzi potesse fare una cosa del genere, non ne aveva mai sentito
parlare, e come Chronos di cose assurde ne aveva viste anche troppe.
«Hun dan!
Potevano farlo a te,
bâo
bèi.»
Sbottò voltandosi di colpo verso di lei, Mick non era
riuscito ad
afferrare l’ultima parola, sapeva solo che la prima
equivaleva ad
un’imprecazione, qualunque cosa l’altra
significasse però doveva
essere qualcosa che alla ragazza piaceva. La vide sorridere
dolcemente, piegare la testa posandola contro il suo braccio e venire
poi avvolta in un abbraccio sicuro.
«Non
con te al mio fianco.» Disse dolcemente schiacciandosi contro
di lui
e chiudendo gli occhi felice che a quell’ora fossero tutti
nelle
rispettive camere e che nessuno potesse scoprirli. Non che avessero
qualcosa da nascondere, però Mal sapeva essere anche troppo
protettivo, e non era sicura che avrebbe preso bene quello che si
andava creando tra lei e Jayne. «Non con te.»
Ripeté con tono
rassicurante.
Mick
fece qualche passo indietro come per lasciare sé stesso e
quella
ragazza che per certi versi gli ricordava Cisco, da soli,
inciampò
in qualcosa e si ritrovò di colpo seduto nel Flusso
Temporale. Aveva
perso il conto di quante Terre avesse visitato, le prime ormai
faticava anche a ricordarle. Solo e senza saper cosa fare rimase
seduto in quella posizione osservando il Tempo e i suoi filamenti
dorati dispiegarsi tutto attorno a lui avvolgendolo in un inusuale
stato di tranquillità come se lo riconoscessero come parte
di quel
luogo.
«Cisco
cosa stavi facendo?» La voce di Barry sembrò
spaccargli in due la
testa, mugolò un’implorazione muovendosi sul
lettino
dell’infermeria senza aprire gli occhi. «Questo non
risponde alla
mia domanda.» Sospirò il velocista passandosi una
mano sul viso
stanco. Quando era arrivato nel laboratorio aveva trovato Cisco
riverso su una delle sedie privo di sensi, aveva un’idea su
quello
che stava facendo, o quantomeno cercando di fare, per quanto fosse
una stupida da fare da solo.
«Dovevo
provare.» Disse piano socchiudendo un occhio e richiudendolo
un
attimo dopo con un gemito. «E devo tornare
indietro.»
«Rallenta,
rallenta Cisco. Non puoi.» Barry scattò in piedi
accanto al letto,
Cisco lo guardò con espressione sofferente e
tentò di mettersi
seduto senza risultati.
«Non
posso lasciarlo là.» Ribatté deciso.
«Ho tirato fuori te dalla
Forza della Velocità, posso fare lo stesso con lui. E lo
farò.» Si
impuntò testardo.
«Ti
ha quasi ucciso farlo.» Ma Cisco aveva smesso di ascoltarlo,
si mise
a sedere e lo guardò mentre lentamente la stanza intorno a
lui si
faceva più stabile invece di girare come una trottola
impazzita.
«Per
questo ho bisogno del tuo aiuto.» Barry gemette mettendosi le
mani
nei capelli, non c’era verso di fargli cambiare idea, lo
sapeva
bene, e se non avesse acconsentito ad aiutarlo Cisco lo avrebbe fatto
comunque.
Mick
rimase immobile seduto a gambe incrociate per quella che parve
un’eternità, aveva iniziato a farlo quando era
Chronos, a metà
della prima vita quando ancora cercava di adattarsi alla
rapidità
delle missioni, ai continui salti temporali, alle sessioni di
addestramento e apprendimento e al tocco leggero dei Nuclei
Temporali. Tutte quelle sensazioni lo avvolgevano in uno stato
caotico in cui anche solo sentire i propri pensieri era impossibile,
così aveva iniziato a sedere immobile nell’area
motori
dell’Hypérion, chiudeva gli occhi e si concentrava
esclusivamente
sul calmo ronzio della nave. In quel momento, bloccato nel Flusso
Temporale, si rese conto che non era solo il suono della nave a
rilassarlo, ma era il Nucleo che le dava energia, il frammento di
energia temporale che permetteva loro di viaggiare. Il Tempo
era ciò che calmava il caos nella sua mente.
“Ormai
tu ci appartieni.” Gli
sussurrò una voce melliflua nelle orecchie. “Sei
parte
di Noi e Noi siamo parte di te.”
Mick tenne gli occhi chiusi quando sentì un filamento
avvolgersi
attorno al suo corpo con delicatezza e trascinarlo indietro con
sé,
non oppose resistenza.
La
stazione di polizia di Central City lo accolse col suo consueto via
vai.
«Pensi
di riuscire a farlo di nuovo?» Mick riconobbe la voce del
poliziotto
che tempo prima era riuscito a prendere lui e Leonard, non conosceva
il nome ma la voce era familiare.
«Chiedo
scusa?!»
La sua voce era più
acuta del solito forse dovuto al fatto che avesse appena trattenuto
un urlo, Mick li guardò avvicinarsi e imboccare le scale
verso gli
uffici al piano superiore e li seguì.
«Se
ti concentri dovresti riuscirci di nuovo.» Ripeté
l’uomo mentre
Mick scosse con forza la testa. «Una volta che ti abitui
diventa
semplice, sia farlo che ignorarlo.»
«Non
potrei solo ignorarlo?» Domandò Mick speranzoso.
«Ignorare
cosa?» Joe West uscì da uno degli uffici in quel
momento fermandosi
ad osservare i due, salutò brevemente il collega poi
osservò Mick.
«Eddie…?»
Si avvicinò al collega passando lo sguardo interrogativo tra
i due.
Eddie lo salutò di rimando sorridendo di più a
quell’espressione.
«È
una Sentinella Joe.» Disse entusiasta, a differenza di Mick
al suo
fianco, confuso e disorientato. «Potrebbe aiutarci.»
Mick
a quelle parole scosse la testa con veemenza e lo stesso fece West.
«È
un criminale.» Si limitò a dire, Mick
passò dal confuso
all’indispettito guardando il detective.
«Ero
un criminale.» Puntualizzò incrociando le braccia.
«E se vi fa
stare più tranquillo non ho alcuna intenzione di aiutare.
Sarò
anche dalla parte della giustizia ma ora non ingigantiamo le
cose.»
Eddie parve ignorarlo, si voltò e iniziò a
parlare spedito con
West.
«Avrà
bisogno di una Guida.»
«Ho
bisogno che qualcuno mi dica cosa diavolo sta succedendo.»
Tentò di
interromperlo senza successo.
«Eddie,
non guardare me. È già difficile aiutare te
quando ti estrani da
tutto, non posso farlo con due persone.»
«Ehi!»
Mick mosse la mano alle spalle di Eddie sperando che il detective lo
notasse. «Sono ancora qui io.»
«Possiamo
chiedere al professor Ramon.» Azzardò
l’uomo con una scrollata di
spalle trovando l’approvazione del collega.
«Prof
– Ehi!»
«È
la persona che per prima ha studiato questo fenomeno.»
Disse spiccio West tirando fuori da una tasca un biglietto da visita
stropicciato che il giovane professore gli aveva dato alcuni anni
prima. «Lui ha tutte le risposte che ti servono.»
«Joe
non puoi lasciarlo così!» Eddie ruotò
su sé stesso quando il
collega si diresse verso le scale alle loro spalle.
«C’è
del lavoro da fare, posso eccome.» Fece un cenno con la mano
per
farsi seguire e non si fermò. Eddie si mosse incerto sul
posto, lo
sguardo saettò tra le scale e l’uomo fermo col
bigliettino in
mano.
«Ok,
facciamo così. Tu vai lì»
Indicò l’indirizzo sul biglietto
riportante la facoltà in cui il professore insegnava.
«Di’ che ti
mando io, che sei come me, una Sentinella.
Al resto penserà lui.» Sorrise incoraggiante
battendogli una mano
sulla spalla e inseguendo West giù dalle scale di corsa.
«È
fantastico!» Il giovane professore si passò una
mano nei capelli
che scendevano sulle spalle, li tirò indietro e una volta
che li
lasciò andare quelli tornarono nella posizione iniziale. Era
Cisco
in tutto e per tutto, aspetto, carattere, modi di fare, entusiasmo,
Mick sorrise.
«È
fantastico!» Ripeté girandogli attorno studiandolo
sotto ogni
aspetto. «Sapevo che c’era la
possibilità che altri oltre Eddie
potessero sviluppare queste capacità ma non mi aspettavo di
incontrare qualcuno.» Prese un libro dallo scaffale dietro la
scrivania, così stipato di libri che era un miracolo fosse
ancora in
piedi.
«Questa
è stata la mia tesi. Certo è basata su quello che
ho potuto
studiare da Eddie ma è abbastanza. Tieni.» Gliela
mise davanti. «Ti
aiuterà a capire quello che è successo.»
«Voglio
solo sapere come fermarlo.» Cisco inclinò la testa
confuso.
«Perché
dovresti?» Domandò. «Un dono come questo
potrebbe cambiare così
tante cose nel mondo.» Sgranò gli occhi come se
fosse stato colpito
da un fulmine, oltrepassò la scrivania con una corsetta e si
mise
davanti a Mick prendendogli le mani prima che potesse ritrarsi.
«Ti
insegnerò come fare. Sarò la tua Guida.»
Esclamò con un rinnovato entusiasmo confondendo sempre di
più Mick.
«Forza, forza! Mettiamoci subito al lavoro!» Con un
sorriso di cui
Mick avrebbe voluto preoccuparsi lo trascinò fuori dalla
stanza.
«Sei
sicuro di volerlo fare?» Domandò Barry
dall’altro lato della
stanza, Cisco sbuffò leggermente senza rispondere a quella
domanda
che arrivava puntuale ogni dieci minuti nelle ultime due ore, e nei
tre giorni precedenti che Barry l’aveva convinto a prendere
prima
di farlo, per rimettersi in forze.
«Se
fosse Snart avresti già cambiato la linea
temporale.» Aveva
risposto una delle prime volte, non era servito a zittire del tutto
Barry ma aveva sortito i suoi effetti almeno in parte.
«Hai
mezz’ora Cisco. Se entro allora non sei tornato da solo
spengo
tutto.» Il giovane avrebbe voluto impedirglielo ma quello era
stato
l’unico compromesso che erano riusciti a trovare, lui avrebbe
avuto
mezz’ora di tempo e Barry lo avrebbe aiutato, non un secondo
in
più. Indossò gli occhiali e stringendo il
lanciafiamme si lasciò
immergere nel Flusso Temporale.
Impiegò
meno di quanto aveva pensato a trovarlo, in piedi come lo aveva
lasciato, per un attimo si domandò se per Mick non fossero
passati
che un paio di minuti, sorrise allungando la mano verso di lui.
«Forza,
vieni.» Disse speranzoso. Mick lo guardò per un
attimo,
inespressivo, poi raddrizzò la testa lievemente inclinata e
gli
occhi scintillarono dello stesso colore dorato dei fili che
fluttuavano tutt’intorno a loro.
«Lui
appartiene a Noi.» La voce
apparteneva a Mick eppure c’era qualcosa di diverso e
pericoloso e
non centrava col fatto che avesse appena parlato al plurale. «Il
suo posto è qui.»
«Il
suo posto è con noi.» Rispose dopo un attimo di
esitazione Cisco.
«Con me!»
Puntualizzò stendendo la mano verso Mick pregandolo di
afferrarla ma
l’uomo rimase immobile.
«Vuole
portarti via da Noi.» Mugolò
rivolto a Mick. «Vuole separarci.
Vuole strapparci da te.
Portarti via dall’unico posto in cui sei al sicuro. Noi ti
abbiamo
salvato, Noi non ti abbiamo mai tradito come gli umani, e Noi non ti
lasceremo mai solo. Sei parte di Noi adesso e lui vuole
–»
Mick chiuse gli occhi riaprendoli un attimo dopo, allungò la
mano
afferrando il braccio di Cisco mentre i filamenti di Tempo presero a
vorticare attorno a loro furiosi.
Non
fu paragonabile a nessuno dei viaggi che aveva fatto sulle altre
Terre e nemmeno ai salti temporali, tornare nella loro dimensione,
nel loro tempo sulla loro Terra fu qualcosa di violento in tutti i
sensi. Mick non si chiese se fosse dovuto al fatto che una volta
uscito aveva nuovamente un corpo e ne avvertiva la pesantezza e ogni
singolo dolore, se fosse colpa del viaggio in sé o di
qualcos’altro
di esterno. Crollò in ginocchio sul pavimento freddo del
laboratorio, la stanza continuava a girare e il corpo sembrava
immensamente più pesante di quanto non fosse mai stato in
precedenza, si rannicchiò fino a toccare terra con la fronte
e
rimase immobile ignorando la voce di Barry che chiedeva come stessero
e cosa fosse successo e altre decine di cose che Mick non riusciva a
sentire. Avvertì lo spostamento d’aria e il
cambiamento di
materiale sotto il suo corpo, non era più rannicchiato con
la fronte
a terra ma disteso su un materasso con un cuscino sotto la testa, il
cuscino più morbido su cui si era posato negli ultimi anni
probabilmente. In breve ogni cosa svanì in un tepore calmo e
rilassante, avvolto da una gradita oscurità e non
più da vortici e
fili.
«Sei
sicuro che non vuoi fare in modo di informarli?» Chiese Cisco
voltando la testa dal computer verso l’uomo seduto poco
distante.
«Pensano tutti che tu sia morto.» Gli
ricordò.
«Appunto.»
Ghignò facendo un cenno con la testa a Caitlin che entrava
in quel
momento. «Vuoi togliere il divertimento delle loro facce
sorprese
quando mi vedranno?»
«Sei
terribile!» Sbottò Barry senza cattiveria.
«Len è stato il tuo
partner per trent’anni. Non puoi fargli questo.»
Mick si appoggiò
allo schienale scivolando appena avanti per mettersi più
comodo, le
gambe allungate sotto la scrivania.
«Proprio
per quello so che non c’è bisogno di dirglielo. Mi
conosce meglio
di chiunque al mondo.» Picchiettò con un dito
contro la tempia
destra. «Abbiamo sempre avuto entrambi degli assi nelle
maniche.»
«Quindi
io ero il tuo.» Annunciò divertito Cisco scuotendo
una mano, Mick
sorrise appena senza confermare né negare la cosa. Cisco non
era
stato il primo piano di fuga
che aveva in mente quando era rimasto a distruggere l’Oculus,
se
doveva essere sincero non aveva un vero e proprio piano, solo qualche
idea, ma questo non serviva che loro lo sapessero. Non serviva
sapessero che non aveva avuto il tempo di metterle insieme.
Tempo.
Guardò
un attimo il suo riflesso sullo schermo spento del computer davanti a
lui, gli occhi scintillarono per un breve istante di un bagliore
dorato.
«Ora
sei Noi.»
Angolino
dell’autrice: * che
non è morta come si poteva pensare * se siete arrivati fino
a qui,
prima di tutto, GRAZIE!
Come
ho detto all’inizio è una coppia strana e
probabilmente siamo in 3
a shipparla, ma fa niente, di questo ho parlato prima. Qui voglio
solo fare qualche piccolo chiarimento riguardo la storia e le varie
Terre, sul
mio blocchetto le ho divise con ordine segnandomi anche i rispettivi
numeri. Non è una novità che il fandom di Legends
crei le AU più
disparate (l’ho detto e lo ripeto, ci sono i draghi in questo
fandom! DRAGHI!!!
(e sia benedett@ chi l’ha creata!) così mi sono
potuta
sbizzarrire, contando poi che si parla di multiverso,meglio di
così.
Alcune
AU sono abbastanza ovvie e banali, insomma, impossibile non usare
Prison Break in questo caso no? O una cosa classica come
l’apocalisse?
Altre
mi hanno fatta penare di più per trovarle. Guardando Firefly
ho
sempre pensato che Mick e Jayne si somigliassero (non a caso sono i
miei preferiti in entrambe ;) )
- Hun dan: Dannazione
- bâo
bèi: Tesoro
L’ultima Terra di cui
ho scritto invece è
qualcosa un po’ più di nicchia temo (ma che temo!
Non si trova
nemmeno in italiano -.-) The Sentinel, una
serie di 20 anni fa che ho scoperto tardi e di cui mi sono
innamorata.
Poi
poi poi… La visione a vortici e filamenti del Flusso
Temporale me
la sono auto presa in prestito da Rebirth, così come certi
piccoli
dettagli. Così come il finale, che più aperto di
così non potevo,
ma si ricollega tutto, promesso!
Quindi,
ancora grazie se siete arrivati in fondo, ogni errore che trovate
è
mio, e mio soltanto, l’ho riletta ma come minimo ho perso
qualcosa
per strada che troverò alla prossima rilettura. E se volete
farmi
sapere cosa ne pensate siete i benvenuti >3<
Aki
out
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