Alcesti - ῾O τῶν γυναικῶν ἔρως

di Milla Chan
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Alcesti
῾O τῶν γυναικῶν ἔρως

Era accaduto in fretta, ma non aveva idea di quanto tempo avesse passato in quel modo, in quel posto, in quella posizione.

Piccolissima quella giovane donna, stesa sul palmo di una mano enorme. Un’altra la copriva e lei, chiusa lì dentro, non poteva godere del minimo spiraglio di luce.
Il buio era tale da non permetterle di vedere dove finiva il suo corpo, e tanto denso da non sentirlo nemmeno: se si concentrava, poteva visualizzare nel vuoto una minuscola linea verticale, che coincideva con la sua gola, sottile come uno spillo, attraverso la quale passava solo aria gelida e pungente, in quantità troppo esigua perché potesse riempire adeguatamente i polmoni. Nel sentirsi così sola, col silenzio che premeva contro le orecchie, iniziò a cantare a bassa voce, tremante per la mancanza d’aria, ma non fu affatto una soluzione. Al contrario, sembrava sentirsi ancora più sola e vuota, senza sonno, senza fame, senza sete. Riprese fiato, per quanto possibile, e chiuse gli occhi.
 
-Thanatos, Thanatos.- gemette cercando di sciogliere i nodi nei suoi capelli, muovendo inutilmente le dita nel buio più pesto. -È quindi questa la morte? E questa è la mia tortura eterna? Devo sospirare per sempre, sgarbugliare i miei capelli come faceva Penelope ogni notte col sudario del vecchio Laerte?- e così dicendo, reclinò il capo sulla sua spalla.
-Siamo solo in viaggio verso l’Ade, ma già tu ti penti?- 
la schernì una voce profonda e senza una chiara provenienza, seguita da una risata bassa.
-Non mi pento, Thanatos: morirei per amore ancora, e ancora, e ancora un’altra volta. Ma ti prego, dimmi se lui manterrà la sua promessa! La fiducia che ripongo in mio marito è sconfinata, ma più il tempo passa in questo luogo buio, più mi assalgono orrendi dubbi, e non posso passare la mia morte senza saper nulla di ciò che succede.-
Una smorfia le increspò il viso pallido, mentre le mani si abbandonavano sulle ginocchia coperte dalla veste di lino.
-Oh, non prendere altra donna, Admeto. Non prendere altra donna!- 
-Derisa dalla voce della Morte! Alcesti infelice!- si indignò la ragazza, piegando le gambe vicino al petto.
-Alcesti cara! Non puoi disperarti per l’eternità, né compiangerti per la tua scelta.-
-Oh Thanatos, che ne sai tu dell’amore?- rispose allora Alcesti, il tono più alto e stizzito. -Ho scelto la morte per salvarlo, ero pronta al regno delle ombre, ma non alle tue mani gelide. Nessuno ha mai detto che la morte fosse un limbo tanto atroce.-
-La morte non è un limbo! Sei tu che hai scelto il limbo, chiedendo l’eterna e cieca lealtà del tuo uomo.-
 
E allora Thanatos aprì le mani e rise, molto più fragorosamente di quanto avesse fatto prima. Un’inaspettata luce accecante investì Alcesti, che si coprì istintivamente gli occhi con le dita sottili. Un lungo gridò uscì dalla sua gola quando, un attimo dopo, si ritrovò a precipitare nel vuoto, nella nebbia.
 
Non esisteva più, ma non importava, non importava perché se ancora aveva una coscienza allora poteva ancora farsi male, sia cadendo che pensando.
Era sola e morta e per questo apparteneva a nessuno e contemporaneamente a tutti coloro che la pensassero, come una di quelle foglie che attraversa tutto il bosco in un giorno ventoso, scontrandosi ripetutamente contro cespugli e cortecce.
 
-Ma cosa posso fare, con queste mie foglie? Cosa sono diventata per sfuggirti, Apollo? Rido mesta per il mio destino.-
Alcesti aprì gli occhi, ed era davvero in un bosco.
Davanti a sé una pianta di alloro, i cui rami venivano mollemente mossi dal vento leggero.
Ai suoi piedi, una donna era china su se stessa, come rinchiusa in un guscio, ma non era lei ad aver parlato.
-Dimmelo Medea, dimmelo ancora, quanto hai sofferto, quanto odio hai coperto col tuo sorriso di donna?-
-Quanto rancore, quanto odio! Ingannai la mia patria per stare insieme a lui, Giasone dannato! L’ho salvato, l’ho riportato a casa, ma dopo? Tradita senza pudore, nient’altro che una straniera additata come strega! Ho pensato: lo uccido. Lo uccido, tanto la mia rabbia è grande- ma sai una cosa, Dafne? Lui doveva soffrire, doveva soffrire di più, più del vedere la morte discendere su di lui. E così ho fatto! Ho detto addio ai miei figli mentre li sgozzavo; ho sentito il cuore di Giasone spezzarsi e mai, mai sono stata più felice del dolore altrui. Sono fuggita sul carro del Sole col sorriso, e le lacrime, e il sangue del mio sangue sulla veste. A che prezzo, Dafne mia! A che prezzo siamo ora qui a parlarci!-
-Se solo potessi piegare i miei rami come braccia, certo ti abbraccerei.-
-Dafne, se solo conoscessi un incantesimo per riportarti alla tua forma di Ninfa!-
-Se solo avessi gli occhi, piangerei con te!-
Alcesti sentì il cuore tremare alla vista di quella scena pietosa e strinse le mani. Aprì le labbra secche per ribattere, per rivelare la sua presenza, ma fu interrotta da qualcosa tra le fronde degli alberi.
-Gli dei immortali e gli uomini senza vergogna.- iniziò aspra una voce. -Lasciateli perdere, e lasciate perdere l’amore, donne! Che tanto male genera quanto più fa godere.-
Una rondine e un usignolo si andarono a posare sui rami del lauro.
-Quanto ti capisco, Medea. Ho ripagato la violenza di un marito degenere dandogli in pasto nostro figlio! L’ho fatto a pezzi e cucinato come il migliore dei pasti, e le mie viscere ribollivano nel vederlo addentare la carne nata da lui, nel vedere il suo volto distorto dall’orrore quando gliel’ho rivelato! Ma ahimè, quanta sofferenza accompagnò la mia follia.- cinguettò la rondine con un veloce battito d’ali.
-Se sentite il verso di un’upupa, vi prego, tendete un arco e scoccate una freccia in quel suo petto piumato che un tempo abusò di me e mi tranciò la lingua per farmi tacere!- aggiunse l’usignolo.
-Miei piccoli uccelli, devastazione coperta da morbide piume, trovate pace! Tu, Procne, torna a disegnare sagome febbrili nei cieli di primavera, e tu, Filomena, delizia l’intero bosco col miglior canto che la natura possa offrire.-
Una ragazza dalla veste lucente superò Alcesti come se non l’avesse vista e si avvicinò all’albero, guardando con compassione prima i volatili posati sui rami, poi la donna accovacciata sulle sue radici.
-Tu hai conosciuto Eracle, Medea cara!- sorrise stanca, andandosi ad inginocchiare accanto a lei e scostandole le ciocche nere dal volto.
-Era su Argo assieme a Giasone, quel semidio valoroso.-
-Valoroso come pochi altri! Ebbene, per chi dice che l’odio di una donna è innocuo, tu sei l’esempio per controbattere. Per chi dice che l’amore di una donna è innocuo, l’esempio sono io. Eracle è morto, morto per mano mia, mano di una debole e fragile donna, mano di Deianira sventurata.-
-Come, per Zeus?-
-Inganno! Non era mia intenzione, la mia unica volontà era che si innamorasse ancora di me, ma quella tunica fatale era intrisa del veleno dell’Idra: morì tra atroci dolori, e la disperazione mi portò ad affondare il pugnale nel mio ventre.-
-Perché ci racconti storie di questo genere, Deianira?- sospirò l’alloro con amarezza.
-Perché dico, amiche mie: astio e mestizia si intrecciano in questi nostri racconti, e non sono affatto emozioni così diverse, allo stesso modo in cui l’odio e l’amore sono la stessa identica sensazione, provata con la medesima intensità. Perciò quando chiedete “Quanto odio hai provato? Quanto rancore hai serbato?”, io non riesco a non sentire “Quanto amore hai provato?”. E allora, ecco il mio pensiero: abbandonate l’amore! Qualsiasi cosa facciate, qualsiasi intenzione abbiate, non farete altro che morire di dolore o rabbia.-
Alcesti provò una fitta fastidiosa nell’ascoltare quelle parole.
-Io ho scelto le mani di Thanatos di mia spontanea volontà, prendendo il posto di mio marito per far sì che continuasse a vivere tra i mortali e a governare su Fere.- commentò con voce debole, ancora in disparte. Le donne si voltarono all’unisono verso di lei con gli occhi sbarrati. L’alloro sembrò scuotersi, gli uccelli gonfiarono le loro piume.
-Tu menti.- asserì Medea. -Nessuna magia può intralciare in tal modo il lavoro delle Moire.-
-Il merito è di Apollo.-
-Apollo!- tuonò l’albero di alloro, come se fosse sull’orlo delle lacrime.
-Il merito!- gli fece eco la rondine.
Alcesti annuì con veemenza: -Mio marito Admeto fece un favore al dio, il quale gli promise che quando sarebbe giunta la sua ora, qualcun altro sarebbe morto al posto suo. Quel giorno è arrivato, ma nessuno ha voluto morire per lui, quindi mi sono offerta io, che verrò ricordata come la cara e fedele Alcesti.-
-Assolutamente nulla ti turba, Alcesti? L’idea che possa cadere nelle braccia di qualcun’altra, come il mio Eracle stava cedendo agli occhi languidi di Iole?-
-Gli ho fatto promettere che non avrà altra donna.-
La risata di Medea fu sguaiata e triste.
-Onorare i voleri di un morto è nobile, ma alla carne non interessa la nobiltà. L’amore si logora stando vicini, ingenua Alcesti, immagina stando lontani. Non c’è nessun filo a legare gli amanti divisi. Il presunto amore non si preserva come credi, al contrario: ristagna. Benché tu creda che stia sempre lì, da laghetto cristallino diventa palude prima che tu te ne accorga.-
-Puoi fidarti di tuo marito quanto vuoi, ma non hai alcun modo per essere sicura che manterrà la sua parola.- aggiunse l’usignolo. -E se anche esistesse, non potresti punirlo nel caso non la mantenesse.-
-Sei condannata all’Ade per l’eternità, povera disgraziata.- piansero le foglie del lauro.
-Accetta il destino che hai scelto per te, Alcesti.-
Alcesti contrasse la fronte e gli occhi si fecero grandi e umidi di lacrime. Fece suoi gli insegnamenti di quelle donne lontane dal tempo e macchiate di magia, morte e metamorfosi: ad ogni lettera, la già vacillante sicurezza di un Admeto eternamente innamorato di lei si tramutava in desiderio, e ad ogni parola il desiderio diventava più fervente e incontenibile, e il pensiero che potesse essere tra le braccia di un’altra -e non poterlo vedere- la faceva andare a fuoco.

Due mani le si posarono sulle spalle e quella sussultò, voltandosi. La Morte, con le sue ali nere spalancate, allontanò una mano per indicare uno specchio d’acqua che, Alcesti ne era sicura, non c’era prima. Tornò a guardare davanti a sé, ma non c’era più traccia del lauro, né degli uccelli, né delle donne.
 -Thanatos, dove sono? Questo non può essere il regno di Ade.- chiese seguendolo a passo celere, sorpresa di poter parlare al dio che fino a poco prima era tanto grande da tenerla tra le mani.
-Qualcuno sta venendo a prenderti per riportarti da Admeto.- la avvisò Thanatos con un sorriso dalle sfumature lugubri. Le indicò l’acqua per spronarla a guardarci dentro.
-A prendermi? Chi?-
Nel laghetto poteva distintamente scorgere un uomo che camminava lungo una strada.
-Eracle.-
-Eracle!- ripeté lei, trattenendo il respiro. -Ma Deianira ha detto che è morto.-
-Eracle non ha ancora incontrato Deianira.- spiegò Thanatos.
Alcesti lo fissò stupita e confusa, ma non ebbe il coraggio di controbattere.
-Qui siamo fuori dal tempo, Alcesti cara.- sorrise paziente il dio dai capelli corvini, lasciando che una farfalla si posasse ignara sulla sua mano gelida. -Non siamo ancora arrivati da Ade, tu stessa hai riconosciuto che questo non è il suo regno.-
-Dove mi hai portata dunque?-
-Questa era la mia risposta, Alcesti. Io so questo dell’amore, so i discorsi svenevoli di ogni donna e ogni uomo, ogni creatura e divinità; e non ho altra scelta se non ascoltarli ad ogni viaggio.-
La risposta di Thanatos non fu esaustiva, ma nel cuore di Alcesti ciò non aveva grande importanza, in quanto dentro di esso risuonavano ancora le parole di poco prima:
-Sta venendo a prendermi dunque? Tornerò in vita? Tornerò dal mio Admeto?- chiese ancora, incredula, tornando a scrutare l’acqua senza increspature. Poi, però, un pensiero più razionale si fece spazio nella sua mente: -Portata via dalla morte? È possibile questa cosa?-
Puntò i suoi occhi in quelli imperscrutabili e color pece del dio davanti a sé. Non vi si leggeva alcuna risposta, né speranza, né disillusione.
-Non lo so Alcesti. È possibile?-
Parole gelide, senza alcuna inclinazione.
E il bosco si oscurò e si sciolse, si tramutò in fango, calò la nebbia e l’acqua si fece melmosa, verdastra: il laghetto divenne palude, e Alcesti spaventata ricordò le parole di Medea e scivolò ancora tra le mani gigantesche di Thanatos.
-Dove mi porti, Thanatos? Mi lascerai tra le braccia di Persefone o tornerai sui tuoi passi? Non farmi attendere!-
 
Ma Thanatos non concesse risposta e continuò a camminare, in quale direzione Alcesti non lo capì.
 
La donna velata stava davanti ad Admeto, le mani congiunte sul ventre.
Admeto poteva allontanare quella donna, ma se fosse stata la sua amata Alcesti?
Poteva sollevare il velo, ma se non fosse stata la sua defunta sposa sarebbe venuto meno alla sua promessa -poteva davvero rispettarla per sempre, si chiedeva nel profondo?
Alcesti era morta? Era viva? Perché quella donna non gli parlava? Magari non era lei. Oppure sì, e stava testando la sua fedeltà! Oppure lo stavano solamente ingannando?
Non poteva più sopportare il dubbio che lo divorava dall’interno. Quanto valeva l’amore per Alcesti? In quel momento, valeva contemporaneamente tutto e niente- paradossale e duro e forse, certo, ipocrita; ma tant’era.
Sporse le mani tremanti per sollevare quel velo, ammirare quel volto.

La donna che si sarebbe celata al di sotto della stoffa sarebbe stata sua.
Ma chi sei, donna muta?

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Note
Buonasera!
Questa storia è perlopiù un esperimento. È da un po' che non scrivevo e avevo bisogno di sbloccarmi, quindi ho deciso di prendere la mia tragedia greca preferita, l'Alcesti di Euripide, e di concentrarmi sulla parte che non ci viene raccontata, trasformandola poi per qualche motivo -forse, per pura volontà di spicciolo intellettualismo fine a stesso- in una breve riflessione sull'amore con diverse figure mitologiche femminili come protagoniste.

Ho deciso di lasciare il finale come nella tragedia, ovvero senza rivelare se la donna velata fosse davvero Alcesti o meno: semplicemente, rimarremo in dubbio per l'eternità. È una delle caratteristiche che più mi hanno fatto apprezzare la tragedia e dà all'opera una carica unica, e ho trovato che fosse ben in linea con il "mood" della mia revisitazione.
Se la donna non fosse Alcesti, lo scetticismo delle donne si rivelerebbe fondato, ma se quella fosse Alcesti, allora sarebbe sicuramente un'Alcesti profondamente diversa da quella che Admeto ha lasciato, a causa dei discorsi a cui ha assistito. Ciò permetterebbe ad Admeto di amarla comunque?
Per chi non conoscesse il greco antico, il sottotitolo significa semplicemente "l'amore delle donne".

Per concludere, credo che questa breve storia possa essere apprezzata meglio da chi ha già presente i miti citati, visto che nessun dettaglio è casuale, ma comunque spero che sia stata una lettura piacevole!




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