Oerba Dia
Vanille.
Riconobbe il cielo, candido e splendente della luce fredda di un sole
distante.
Riconobbe la consistenza granulosa e cristallina del suolo, tanto fine
da sembrare sabbia, tanto freddo da essere stata la neve con cui
giocava da bambina.
Vanille la fece scricchiolare sotto le scarpe, la usò per
disegnare con la punta, come faceva da piccola, quando aveva appena
imparato a scrivere e aveva marchiato con il suo nome tutti i
centimetri di neve disponibili.
Oerba
Dia Vanille.
-Oerba...Dia...Vanille!-.
La lingua fra i denti,
le ginocchia affondate nella neve, una piccola ed entusiasta Vanille
scriveva qualcosa con il ditino, a caratteri grandi e svolazzanti.
Dalla cima della sua
altura preferita, appena fuori dal villaggio, si intravvedeva appena
l'immensa distesa di mare che lo circondava, così come era
difficile riuscire a scorgere la sinuosa autostrada, a quell'ora
chiusa, che si snodava nel vuoto, sopra l'acqua, attraverso l'aria.
La nebbia albina sfumava
i colori e le forme più lontani, smorzando persino la
già flebile luce del sole e quasi appesantendo il lento
movimento dei mulini, che tuttavia continuavano instancabili il loro
moto circolare.
La piccola Vanille
inspirò forte l'aria fresca proveniente dal mare e dal
ghiaccio che la circondava, senza badare alle mani e alle ginocchia
rosse per il freddo, tanto era concentrata sui simboli di cui solo da
poco aveva scoperto il significato.
Dentro di essi si
trovava la sua identità, la sua personalità, la
sua forma. Quelle lettere erano i suoi capelli rossi, i suoi occhioni
splendenti, le sue espressioni scavate nel viso, la sua voce acuta, la
sua esuberanza.
Erano lei, semplicemente
lei.
Era così
affascinante...
-Ehi, sei ancora qui,
eh?-.
Oerba Yun Fang.
Oerba era diverso, com'era ovvio che dovesse
essere.
Nonostante se lo fosse ripetuto così tante volte da
essersene duramente convinta, Fang avvertì lo stesso la
stretta al cuore che proverebbe chiunque torni nel suo luogo natio e lo
trovi privo di vita.
Quel villaggio era completamente vuoto, in balìa del tempo
che man mano se lo divorava, dello spazio che lo conquistava, della
natura che si riprendeva ciò che era proprio, scavalcando
l'opera dell'uomo.
Abbandonate le case, con i pavimenti tappezzati di polvere e sabbia,
con gli infissi chinati e sfondati dal peso degli anni, con i tetti
scoperchiati dagli agenti atmosferici.
Abbandonate le barche, depredate da chi faceva di un viaggio la propria
fortuna, spolpate di ciò che poteva servire e con solo lo
scheletro della loro inutilità. Fang non riuscì a
biasimare nessuno mentre le guardava giacere immobili sulla sabbia, il
mare a pochi metri ma nessuna ragione per tornarci. Probabilmente
avrebbe fatto lo stesso dei razziatori, se si fosse trovata nelle loro
condizione.
Abbandonate le strade, calcate solo dal piede del vento, dal vagare
degli oggetti abbandonati e sensibili alla brezza del mare, dalle ombre
irregolari delle case e dei segnali, che ormai indicavano la via al
nulla che si stava impadronendo di quel luogo.
Il cuore gonfio di ricordi, scorse l'ennesima ombra semovente
allungarsi davanti a lei, due braccia si protesero verso il cielo in un
gesto disperato, per poi orientarsi nella sua direzione. Con immensa
tristezza, Fang guardò il Cie'th davanti a sé,
cercandone lo sguardo in quelle fattezze mostruose.
Una volta quello era un uomo, una donna, un...bambino che abitava
lì, che poteva aver incrociato per strada fra una
commissione e l'altra, con cui poteva aver riso, litigato, condiviso un
momento importante o anonimo.
Allo stesso modo, quel popolo di Cie'th una volta era una
comunità che si supportava, prendeva decisioni insieme su
ciò che era giusto e sbagliato, amava la natura cercando di
vivere in simbiosi con essa.
Immobile, preda dei ricordi, la ragazza non si accorse che il mostro
era passato all'attacco e sarebbe stata ferita se qualcuno non fosse
intervenuto in suo aiuto, scagliando via il pericolo.
Non disse niente Snow, si limitò a posare una mano sulla sua
spalla e a scrollarla appena, come per districarla dal groviglio
formato dall'intrecciarsi fra realtà e ricordi.
"Qui nulla è
più vivo" - pensò Fang e subito fu
presa da una strana rabbia, il furore di chi è saturo di
disperazione e cerca uno sfogo in cui annichilire i pensieri, ritrovare
un equilibrio - "Oerba
non rivivrà".
La sua lancia fendette l'aria, poi fu solo strage di mostri, di anime
disperate che ora cercavano solo pace nella morte, di persone disperate
che allora cercavano solo pace nella vita. Una strage ben diversa da
quella silenziosa operata dal tempo, una strage compiuta con il viso
solcato dalle lacrime e insulti misti a grida di dolore, invece che con
il volto impassibile degli anni, susseguitisi tutti uguali ma
così assassini al mondo.
Una strage che avrebbe portato il suo nome, in un villaggio che con il
proprio nome l'aveva già ribattezzata.
Oerba
Yun Fang.
-Come mi
hai chiamata?!-.
I capelli al vento,
alcuni incollati alle labbra, i vestiti spiegazzati e la pelle
crivellata di graffi, la piccola Fang strepitava nel piazzale di Oerba.
Il tramonto aveva calato
un velo indaco su tutto il cielo e un vento gelido stava spirando dal
mare e dai monti, circondando il villaggio e stringendolo in una morsa
di gelo. Nonostante questo, nonostante le raffiche la investissero da
capo a piedi, nonostante la pelle d'oca su tutto il corpo, quella
bambina rimaneva salda e fiera in mezzo alla folla attorno a lei,
piegata per resistere al freddo.
-Sei ancora una bambina
- ripeté una voce dolce, seppure con una nota di
preoccupazione - Non puoi andare all'avventura in questo modo,
rischierai di farti...-.
-Qui nessuno
è mai troppo piccolo! - la interruppe con violenza Fang,
stringendo nella mano destra un artiglio di fiera, coraggiosamente
strappato al proprietario - Il mondo è crudele con tutti
allo stesso modo, se non ti sai proteggere!-.
Detto questo, si
voltò sprezzante verso la spiaggia e lanciò
l'artiglio con tutte le proprie forze, mandandolo a conficcarsi
debolmente nella sabbia, dove un'onda lo sommerse e lo
trascinò con sé, chissà dove.
-Non basta aggrapparsi
ad una certezza e smettere di lottare - disse a bassa voce, come se
parlasse a se stessa - Bisogna diventare noi stessi una certezza e io
voglio iniziare da ora!-.
Prima che qualcun altro
potesse replicare, stava già correndo lungo la via
principale di Oerba, verso l'esterno del villaggio. Sfrecciò
accanto a molta gente, domandò scusa a chi veniva colpito,
raccattò qualcosa da terra per chi l'aveva perduto, ma non
si fermò fino a quando non passò accanto a
un'altra bambina, che sedeva sola sul muretto esterno.
-Ho sentito
ciò che hai detto - mormorò quella, scrollando i
capelli rossi ma tenendo il capo chinato - A me qualche volta dicono
che sono strana, ma io non gli dò retta - a quel punto
Vanille sollevò lo sguardo e intercettò quello
dell'altra bambina, che l'aveva appena superata ma la stava ancora
guardando di sottecchi - È questo che significa "essere una
certezza per noi stessi"?-.
Fang si fermò.
Vanille.
Fang.
Tornare a Oerba da solo lo fece scontrare con un carico
emotivo notevole. Effettivamente in quella circostanza non si sentiva
in dovere di proteggere nessuno, non doveva essere un sostegno morale,
quindi era più vulnerabile.
Eppure, Snow non capì subito perché quel
villaggio abbandonato, ancora più corroso dal tempo
impietoso, gli addossasse una malinconia che pesava sulle spalle
più di ogni altra preoccupazione.
Camminò sperduto per le strade, scavalcando piani sconnessi
e crepe profonde come voragini. Entrò nelle case chiedendo
rispettosamente permesso, facendosi poi strada tra veli di ragnatele,
attraverso la patina polverosa illuminata dal sole morente del
pomeriggio. Passeggiò sulla spiaggia e lasciò
vagare lo sguardo sul luccichio danzante del mare, fino ai mulini a
vento più lontano, fino a Cocoon, che splendeva ancora nel
cielo, sorretto dalla colonna di cristallo.
Fu allora che il sentimento di malinconia si fece più
opprimente, gravando sulla sua coscienza e lasciandolo senza fiato,
arrabbiato, amareggiato da un'ingiustizia che non riusciva a sopportare.
Fang.
Snow
guardò Fang, lo sguardo di lei perso nella sofferenza di
vedere il Cie'th cadere in ginocchio davanti a lei, prima di
stramazzare a terra immobile.
Sapeva cosa stava
provando, lo sapevano tutti quanti. Capiva, fino a un certo punto, il
timore che uno di quei mostri potesse essere una persona cara, oppure
semplicemente qualcuno con qui si aveva interagito in passato.
Quante volte, durante le
notti insonni, aveva pensato all'eventualità che Serah
diventasse una Cie'th e spettasse a lui il compito di liberarla dalla
sua sofferenza. Il pensiero lo tormentava persino ogni volta che ne
affrontava uno: "E se fosse lei...?", "Se fosse lei...?", "E se
fosse...".
La sua mano
scattò in avanti a strattonare Fang, per liberarla
dall'incubo che lui viveva troppo spesso perché potesse
augurarlo ad altri, men che meno ad un'amica.
Forse un giorno
avrebbero potuto abbandonarsi ai ricordi e viverli in tutta la loro
asprezza e crudeltà, ma non era quello il giorno e non lo
sarebbe stato nemmeno domani o dopodomani. Forse avrebbero vissuto
abbastanza a lungo per arrivare al giorno in cui ciò non
sarebbe più stato necessario. Oppure avrebbero vissuto
talmente poco da non raggiungere mai tale bisogno.
Tutto ciò che
sapeva, dopotutto, era che la disperazione rendeva gli uomini dei
mostri.
Guardando Fang farne
strage, disperata allo stesso modo delle sue vittime, Snow convenne che
era meglio sfinirsi per aver agito, piuttosto che per aver rimpianto.
Vanille.
Si chinò sui fiori e
inspirò profondamente il loro profumo familiare, affondando
le dita nella terra mista a frammenti di cristallo.
Vanille sorrise: era incredibile come fossero sopravvissuti al tempo,
nutrendosi solo dell'occasionale sostentamento offerto loro dalla
natura. Forse quelle piante erano ancora lì proprio
perché parte della natura stessa. Essa non abbandonava mai i
propri figli, no...ma allora perché si sentiva
improvvisamente così...orfana, estranea?
Era tornata su Pulse ed era stata accolta come una figlia, nello stesso
modo crudele in cui era stata salutata alla sua nascita, fino alla sua
prima dipartita.
Era tornata a Oerba e ciò che aveva trovato erano stati solo
dei miseri resti, brandelli di ricordi, gli stessi che navigavano
sperduti nella sua mente, cercando disperatamente di intrecciarsi per
non perdersi.
Era tornata a Oerba e la dolcezza della vita vissuta lì
aveva dischiuso le porte all'amara consapevolezza che tutto
ciò che ricordava non sarebbe mai stato più lo
stesso, senza che lei potesse irrimediabilmente far qualcosa.
Aveva fatto strada ai suoi amici in quel mondo a loro sconosciuto, a
lei estraneo, dolorosamente alieno, tanto da coglierla impreparata e
contaminare il suo entusiasmo, fino a renderlo forzato.
Sorrideva Vanille, ma il suo desiderio più grande era
affondare il viso nelle corolle di quei fiori e inspirare quel profumo
che il tempo aveva lasciato inalterato, almeno quello.
-Ti ricordi, Vanille? Le lezioni nella serra...- sospirò
Fang, in piedi accanto a lei a guardare il paesaggio, in cui era
così facile perdersi per ore. Anche Hope e Sazh se n'erano
innamorati e lo contemplavano entusiasti, lasciando Lightning a
contemplarlo sola e assorta, un'espressione indecifrabile sul viso.
Vanille sorrise nostalgica, abbassando le palpebre sulle prime lacrime
che facevano capolino, scivolando infine fra le ciglia fino alle
guance, dove furono prontamente asciugate dal vento.
-Mi ricordo. Ricordo tutto-.
Fang.
Vanille.
"Ti
ricordi, Fang? Sembra passata un'eternità".
"Mi ricordo, Vanille. Lo
sogno in continuazione".
Sostenere il peso di
Cocoon era semplice, se paragonato al gravante peso dei ricordi.
Il loro compito aveva
reso i loro cuori di cristallo, ma le emozioni ardevano ancora nella
loro anima, localizzata chissà dove in quella colonna
scintillante alla luce del sole morente.
"Vanille, quella che
ricordi tu non è la prima volta in cui ci siamo incontrate".
L'interpellata rise, la
sua risata si ripercosse cristallina lungo tutta la colonna, scorrendo
fluida come acqua.
"Lo so bene, Fang. Ma
quella fu la prima volta in cui non ebbi bisogno di difendermi.
Dopotutto, tu non mi hai mai detto che sono strana".
Fang soffiò
divertita, in quel verso era chiaro che stava sorridendo.
-Se vuoi rimedio subito,
non vorrei offenderti-.
E la colonna di
cristallo, colpita da raggi rossi come il fuoco, per un breve momento
tremò di due giovani risate.
***
-Ehi, sei ancora qui,
eh?-.
Vanille
sollevò lo sguardo, incrociando quello di una bambina scura
di capelli, vestita trasandata. Si sentì braccata, una
sensazione sgradevolissima che si sovrappose immediatamente a quella di
soddisfazione che l'aveva invasa appena un attimo prima.
Poi si decise a
rispondere, dal momento che l'altra la stava guardando con
un'espressione interrogativa.
-Ho scritto il mio nome
nella neve tutta la notte - ammise, con una punta di orgoglio - Ho
imparato solo ieri e ora lo so fare alla perfezione!-.
Non ce l'aveva fatta,
aveva dovuto dirlo, era troppo entusiasmante.
Vanille
osservò il viso dell'altra distendersi e temette di
suscitare una risata canzonatoria, a cui era peraltro abituata, ma che
avrebbe rovinato tutto.
-Sì, lo so di
essere strana, non è necessario che tu me lo dica- si
arrese, abbassando il capo.
A quel punto, l'altra
schioccò la lingua e si chinò al suo fianco,
cancellando una delle scritte di Vanille. Prima ancora che potesse
provarne delusione, l'altra tracciò dei segni nella neve,
velocemente e con una calligrafia spigolosa.
Al termine, si
voltò verso di lei e con un suo solo sguardo interrogativo
Vanille capì che doveva leggere quanto scritto.
-Oerba...Yu..n...Fa...ng...-
articolò, ancora in difficoltà con alcuni
caratteri. La mano sicura di Fang la guidò alla scoperta
delle nuove lettere e poi, ricavato altro spazio nella neve, alla
replica delle stesse.
-Visto? Hai imparato a
scrivere anche il mio nome - commentò infine soddisfatta
Fang, rialzandosi e contemplando soddisfatta il proprio nome in mezzo
ai tanti uguali della rossa - La vera stranezza è non essere
disposti a imparare, di certo non esserne orgogliosi-.
Detto questo, le tese la
mano e fece un cenno con il mento per invitarla a rialzarsi.
Fu in quel momento che
Vanille la riconobbe, ricordandosi di quando le aveva chiesto, tempo
fa, se non riconoscersi strana fosse un passo verso il diventare una
certezza per se stessa.
La sua risposta non era
arrivata in quell'occasione: Fang allora si era fermata, si era voltata
e l'aveva fissata intensamente, prima che qualcuno chiamasse Vanille e
la facesse rientrare a casa.
Tuttavia, ciò
che Fang le aveva detto pochi giorni dopo, in mezzo alla neve che
riportava i loro nomi, era stata il suo mantra, il pretesto per
impostare il proprio carattere come le suggerivano il proprio cuore e
il proprio istinto.
Quella risposta l'aveva
accompagnata per tutta la vita, così come lei e Fang erano
diventate inseparabili da quel giorno, indipendentemente da tutto,
perfino dal loro luogo natio; e quel rapporto era l'unico pezzo di
Oerba rimasto vivo, pulsante in una colonna di cristallo che il tempo
non avrebbe mai scalfito. |