Canone inverso - Behind enemy lines [PRIMA STESURA]

di Duncneyforever
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Stretta tra i sedili posteriori dell'auto di quegli uomini, posso certamente affermare che " imbarcare il veicolo " non è stato per nulla semplice: essendo io la persona di troppo, mi è toccato decidere su quali ginocchia sedermi e, non volendo poggiarmi su quelle del rosso, ho deciso di accartocciarmi tra le braccia dell'uomo appena conosciuto, Andrea. Francamente trovo la situazione molto imbarazzante, anche perché trovarmi in un'auto piena di nazionalsocialisti è alquanto paradossale... Una ragazzina del ventunesimo secolo, carica di giudizi negativi e stereotipi ( accertati veri ) sulle ginocchia di un fascista? Trovarmi immischiata in fatti non miei, nella Roma dei primi anni quaranta, non era esattamente nei piani...

- Rilassati. Sei troppo tesa - mi sussurra Andrea in un'orecchio.

- tu non stringermi così tanto, o mi spezzerai - cerco di allentare la sua presa sulla vita, guardandolo con occhi pieni d'odio. 

- Sono abituato alle membra robuste dei partigiani, non al corpicino di una bambina - mi tira di nuovo verso di lui, non sapendo come tenermi. Quanto mi da rabbia! Sto continuando a slittare avanti e indietro e, dopo tre giorni di treno, ho la schiena a pezzi.

- Per prima cosa, non mi interessa sapere con quanta forza stritoli quei poveretti per cavargli le informazioni; per seconda cosa, non sono una bambina: ho quattordici anni compiuti; per terza... - mi alzo di scatto e mi volto verso di lui, sedendomi sul suo grembo - sarà anche una posizione ambigua, ma è il solo modo per stare comoda. - 

Egli deglutisce per un momento, prima di rivolgermi uno sguardo indecifrabile; nonostante gli sia praticamente seduta a cavalcioni, i suoi occhi non sono colmi di lussuria o desiderio, semplicemente mi guarda sorridendo, quasi fosse intenerito e, al contempo, sorpreso del mio tentativo di risolvere il problema.

- Perché mi guardi così? - Chiedo, abbassando un poco lo sguardo.

- Sei graziosa, non nasconderti in questo modo - scosta una ciocca di capelli dal mio viso, accentrando la conversazione su un altro aspetto, evitando così di rispondere alla domanda. 

Prima ancora di riuscire a ribattere mi sento afferrare da dietro e spostare malamente dalle ginocchia di Andrea; mi ritrovo sdraiata sui tappetini posteriori dell'auto, compressa tra il sedile anteriore e i piedi dell'interprete. - Fanculo - sibilo, rivolgendomi a Schneider, che sghignazza malefico celando la gelosia con il suo solito fare da sbruffone.

Ora siamo davanti ad un grande edificio in centro, probabilmente l'albergo in cui alloggeremo io, Rudy e l'altro tedesco di cui non so ancora nulla: il rosso non si cura di me; è talmente assorto nella conversazione da non essersi neppure accorto del senso di inquietudine che io percepisco aleggiare nell'aria dal momento in cui abbiamo lasciato la stazione fin adesso. Io continuo a guardarmi intorno, quasi mangiandomi le unghie dall'ansia, mentre questo non fa altro che borbottare battute razziste e ti cattivo gusto, incurante di ciò che gli sta intorno... Pensare che mi pareva un uomo intelligente! 

- Andrea...? - Voltandomi ancora verso destra scorgo degli uomini, i quali fissano astiosi ( seppur con discrezione ) gli uomini al mio fianco; di un odio carico di dolore e sofferenza, di chi non ne può più di un governo sbagliato, assoggettato da un'altra nazione ancor più mal governata della nostra. Un odio come il mio, puro e giusto, di chi, come me, non vuol veder ridurre il proprio paese alla stregua di una marionetta. Intanto continuo a guardarli di soppiatto, attenta a non farmi notare né da loro, né dai fascisti; il mio cuore perde qualche battito allo scorgere del luccichio di una pistola, nascosta tra le braghe e la camicia di un uomo sulla quarantina ( probabilmente il " leader " del gruppo ). Indietreggio spaventata, mi guardo intorno e non vedo altre autorità, italiane o tedesche che siano, se non nel raggio di una cinquantina di metri, sfocate come macchiette in un grosso quadro. Sudo freddo per qualche istante poi, disgraziatamente, uno degli uomini seduti attorno ad alcuni tavolini del dehors nota la mia presenza: un ragazzo, giovane, non deve avere vent'anni ancora, incrocia il mio sguardo, mentre gli occhi dei suoi compari si fanno glaciali. Inizio a tremare, nonostante ci siano quasi quaranta gradi, e istintivamente scuoto leggermente la testa, come a far capire di non avere nulla a che fare con i crucchi. Confabulano qualcosa tra di loro, ovviamente troppo lontani per essere uditi; sembrano essere contro di me, poiché sento il peso della vergogna sulle mie spalle, il disprezzo dei miei stessi concittadini perforarmi il corpo. Un dolore lancinante, senza pietà.  

D'un tratto i cinque sembrano tranquillizzarsi, forse persuasi dalle parole del ragazzo. Quest'ultimo fa segno di spostarmi con la mano e, in una frazione di secondo, la tranquillità del momento viene interrotta dal suono sordo di uno sparo. Io quasi cado a terra per lo spavento, ma prendo subito a correre, il più lontano possibile da quel luogo. Sento il rumore di altri spari in lontananza, delle urla, ma non ho idea di chi sia stato colpito poiché sono scappata all'istante. Con il cuore in gola sfreccio veloce tra le strade sconosciute di una città che ho già visitato seppur, in realtà, non sappia neppure dove stia andando: non ho nessuno qui, perché sto scappando? Da cosa sto scappando? La paura si è impossessata di me, tanto che ad un certo punto inciampo sui miei stessi piedi e cado a terra, fortunatamente sulle ginocchia e non di faccia. Con gli occhi ancora appannati dalle lacrime provo a rialzarmi, ma date le dolorose ( seppur lievi ) sbucciature sulle gambe, mi viene difficile: vengo aiutata da una signora di buon cuore, che tampona le mie ferite con un pannetto umido, come farebbe una madre. Sinceramente non mi interessa sapere se lo straccetto sia stato bagnato con la saliva o cosa, mi interessa solo abbracciare e ringraziare questa donna per la sua bontà. 

- G-grazie di cuore - mormoro, con una strana vocetta spezzata dai singhiozzi.

- Oh cara... E di che cosa? - Sorride dolcemente, appoggiando il panno sulle mie ginocchia e facendo pressione. Alzando il viso, noto che la donna ha occhi verdi, buoni e ancora molto vispi, nonostante siano contornati da qualche ruga dovuta all'età. Ha dei capelli castani, leggermente brizzolati e raccolti in una semplice crocchia, e uno scialle leggero sul vestito a fiori. Mi da proprio l'idea di essere una donna simpatica e gentile... E sono certa che ricorderò per sempre questo suo gesto di gentilezza. 

Perciò, dopo averla ringraziata per l'ennesima volta, mi rimetto a vagabondare finché non trovo un angolino tranquillo nel quale rifugiarmi. Appoggio la schiena muro e socchiudo gli occhi per un istante, senza fare a meno di pensare a ciò che ho fatto... Sono corsa via come una codarda. 

Divorata dal senso di colpa decido di tornare indietro; cammino per le strade affollate con la testa bassa e lo sguardo perso nel vuoto, trascinando i piedi come fossi un fantasma. Calcio dei sassetti a passo lento, fin quando non vedo un sovrannumero di persone accalcate sul luogo della sparatoria.

- Rüdiger?! - Come rianimata, grido il suo nome, facendomi largo a spintoni tra la folla. Cerco di spingermi in avanti, cadendo a terra per l'ennesima volta, ma rialzandomi subito dopo: mi blocco, pietrificata, alla vista di cinque corpi riversi per terra. Gli occhi neri dell'interprete sono privi di vita, ha un foro in testa, le tempie, le basette e i baffi sporchi di sangue... È indubbiamente morto, proprio come tre degli uomini che sedevano al tavolo, gli uni sugli altri, abbracciati tanto da sembrare ancora vivi, ma immobili e pallidi come statue di marmo. Il tedesco, invece, è anch'egli a terra, con una ferita piuttosto grave all'altezza dell'addome. Colto dagli spasmi, respira affannosamente, mentre alcuni medici premono sulla sua ferita, cospargendola di morfina e cercando di arrestare l'emorragia. Seppur tedesco percepisco una stretta al cuore nel vedere gli occhi smeraldo schizzare da una parte all'altra per il dolore... È pur sempre un essere umano! 

- Helft mir! Helft mir! - Le sue urla disperate squarciano la calma atmosfera romana, mentre un rivolo di sangue cola copioso dalla bocca impastata dal liquido rosso. Io mi volto dall'altra parte, non potendo vedere un uomo soffrire in questo modo sotto il mio sguardo... Prendo a cercare Schneider e finalmente lo sorprendo dall'altro lato della strada, vivo, a calciare selvaggiamente i due superstiti. Andrea è proprio di fianco a lui, impassibile, non sembra nemmeno sia stato ferito, non fa nulla se non guardare i due uomini implorare pietà sotto gli scarponi di Rudy. Nel disperato tentativo di proteggere quel giovane ragazzo, sono io a mettermi in mezzo, prendendo accidentalmente un calcio nello stomaco, un calcio tanto forte da farmi piegare in due per il dolore. 

- Non ucciderlo - pigolo, soffocando il male che provo con un sospiro piuttosto pesante. Il tedesco si arresta sul colpo, impassibile, non tanto per le mie parole ma per il fatto che io stia praticamente crollando a terra ai suoi piedi. Solo guardandolo dal basso verso l'alto, noto che anch'egli è stato ferito al braccio. È sì ferito, ma in questo momento ha un volto così algido ed inespressivo che quasi sembra non provare alcun dolore. 

- Idiota! Perchè cazzo ti sei messa in mezzo, eh?! Non siamo in vacanza, riesci a capirlo o quell'ebreo di merda ti ha fatto il lavaggio del cervello? Non osare infierire un'altra volta, o il prossimo colpo non sarà più accidentale... - Mi rimprovera duramente, sbraitando come un ossesso, incurante del fatto che io sia caduta al livello del povero sventurato, con le mani strette allo stomaco. A quanto ricordo non sono mai stata picchiata, se non qualche occasionale scappellotto ricevuto dai miei genitori, quando rispondevo o non facevo ciò che dovevo fare. 

Ho la pelle delicata come un petalo di rosa, perciò sono quasi certa che mi verrà un livido enorme... Spero solo che non mi abbia incrinato qualche costola, quel maledetto.

I suoi occhi non esprimono altro che indifferenza. Non prova nulla. Nulla.

- Stai esagerando adesso. Non vedi che non riesce nemmeno a rialzarsi? - Andrea interviene in mia difesa, probabilmente più per compassione che per reale interesse. Si piega sulle ginocchia e mi porge entrambe le mani: io non oppongo resistenza, solo mi volto verso il poveretto che ho cercato di difendere e gli sfioro una mano, unica parte di lui rimasta candida. - 

- G-grazie - singhiozza, sputacchiando un po' di sangue per poi ripulirsi la bocca con la manica della camicia bianca, tinta di rosso vivo. 

- No... Grazie a te. - Con occhi lucidi e pietosi lo lascio andare, sapendo che Schneider non lo avrebbe ucciso subito. Pochi secondi dopo, tuttavia, Rudy appoggia lo stivale sul collo del ragazzo per poi premere con forza facendolo dimenare come un dannato ma senza dargli alcuna possibilità di scampo; preme fino a quando, per la troppa pressione, l'osso del collo cede, spezzandosi ed emettendo un leggero " crack ". Dopo aver assistito alla scena più agghiacciante che avessi mai visto, strillando fino a perdere completamente la voce, dimentico di respirare per un attimo e quasi senza vita smetto di percepire ciò che mi sta intorno: ciò fa preoccupare l'italiano che, inaspettatamente, mi prende di peso in spalle, mi appoggia dove poco prima aveva giaciuto il tedesco - adesso portato d'urgenza in ospedale - e mi fa persino visitare dallo stesso dottore. Vedo solo sagome, sagome e macchiette colorate sparse intorno, come se avessi bevuto o assunto droghe.

- Dottore...? - Domanda, impaziente, prendendomi il volto tra le dita. 

- Non è grave. Non vi agitate. - Afferma, ispezionandomi e puntandomi una lucetta negli occhi. -  È dovuto ad un forte turbamento emotivo, nulla più. Lasciatela riposare e si riprenderà da sola. - 

- Non sente nulla? - 

- Signore, è traumatizzata, non in coma. Lei percepisce ogni cosa, semplicemente non vuole sentire. - Conclude il medico, prima di riprendere le sue cose e andarsene. 

Intanto, in sottofondo, un nazista dai capelli rossi ancora infieriva sui corpi degli uomini uccisi, gridando " Na und? / E allora? " ad ogni sguardo di troppo da parte della folla romana, ancora presente nella piazza. 

 

Tre giorni dopo sono ancora a letto: mangio, bevo, mi alzo per andare in bagno e dormo. Il volto distrutto di quel giovane tormenta i miei sogni; la persona che mi ha salvata è stata uccisa dall'uomo con cui ho convissuto per settimane, che ho tanto odiato ma che, alla fine, avevo quasi imparato a sopportare. In tutta la mia permanenza ad Auschwitz mai lo avevo visto così, mai avevo visto il mostro. Credevo davvero ci fosse del buono in lui... A volte mi chiedo proprio cosa gli sia successo in passato per essere diventato la persona che è oggi. Magari nulla. Magari lui è così e basta. Nessun sistema a giustificarlo. Il male. Magari in lui vi è solo male. 

- Non sei ancora tornata alla vita? - 

- Sono in casa tua? - Domando, osservando la stanza dalle pareti bianche.

- Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda - sorride leggermente, carezzandosi la testa bruna. 

- Se ti ho risposto evidentemente mi sono ripresa, no? - Scosto le coperte, ancora assonnata e triste; appena cerco di mettere giù un piede un dolore lancinante allo stomaco mi costringe di nuovo a letto. 

- Tre giorni di antidolorifici e ancora niente risultati? - Dopo essersi avvicinato, siede sul letto accanto a me; appoggia una mano sul punto in cui ho una fasciatura e lo massaggia con premura, come farebbe un fratello con la sorellina minore. 

- Provi ancora molto dolore? - 

- Sì, abbastanza. - Rispondo, tastando la pancia con una smorfia sofferente sulle labbra. Ovviamente al di sotto della benda ci sarà un livido violaceo grande come una casa... Sorvolando su questo punto, mi guardo intorno, ma appena scorgo uno specchio abbasso subito lo sguardo. 

- L'autostima è sotto la suola delle scarpe vedo - Andrea lo ha notato subito... Solitamente nessuno ci fa troppo caso: a casa Schneider, ad esempio, Ariel ha sempre evitato il contatto visivo con i numerosissimi specchi appesi alle pareti, perché troppo spaventato - terrorizzato oserei dire - all'idea di poter vedere il suo riflesso e poter notare i cambiamenti che il suo corpo aveva subito dopo mesi e mesi, di torture e soprusi, trascorsi nel lager di Auschwitz-Birkenau. Io, invece, evitavo il contatto visivo per paura di riscontrare l'imperfezione, i difetti e tutte quelle piccole cose fuori posto nel corpo che non ho mai amato. 

- Non dovresti odiarti in questo modo... Hai un certo fascino, in fondo. - 

- Non sapevo fossi cieco - alzo gli occhi al soffitto, ridacchiando ironicamente. 

- Attenta ragazzina, non ho nemmeno menzionato la qualità fisica. Avere fascino vuol dire anche sapere come farsi desiderare, saper piegare gli altri con la potenza di un solo sguardo, saper invogliare ad averti vicina. - 

- Trovi che io sia un uomo particolarmente bello? - Interrompe il discorso per farmi questa domanda, inattesa e piuttosto soggettiva. Farfuglio versi onomatopeici ed insensati, prima di rispondere nel modo più diplomatico possibile: 

- beh.. uhm.. Nella media direi. - Sbotto, arrossendo per via dell'imbarazzo. 

- Perché mi guardi così allora? - 

- Hai un buon carattere - sussurro - sai come trattarmi. - 

- Ho conosciuto molte donne incredibilmente belle e tristemente vuote, involucri da usare e buttare via senza che esse provino il minimo dispiacere. Sei molto giovane, ma sei coraggiosa e intelligente come poche altre... E hai gli occhi più espressivi che io abbia mai visto. - Conclude, facendomi finalmente sorridere, dopo giorni di pianti e silenzi. Lui mi scompiglia i capelli, prima di porgermi il vassoio che aveva portato, con sopra la colazione. 

Voglio dire... Carbonara alle otto della mattina? Sinceramente non so se sia più scioccante il contenuto o la quantità.

- Carboidrati per darti energia: sembri una morta vivente per quanto sei pallida! - 

- Ehi! - Ribatto, con una forchettata di pennette già in bocca e la fronte corrucciata per l'offesa. 

- Scherzo, ragazzina... Vedi di rimetterti però. - 

 

Dieci minuti dopo, con un piatto di pasta tra le mani e la testa da tutt'altra parte, penso ancora al mortale che, credendosi un dio, ha voluto sottrarre la vita ad un ragazzo che più di ogni altro, in quel momento, non meritava la morte. Penso allo sguardo che egli mi ha rivolto prima che le tenebre se lo portassero via. 

Non disse nulla. Il suo silenzio valse più di mille parole. 

" Salvami " 

Questo non riuscì a gridarmelo però...

 

 

 





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