Era storia

di Pixel
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"Era storia"

 

Capitolo 1.

 

20 Dicembre 1833, Genova.

 

Il profumo di mare e pietra bruciata avvolgeva il porto di Genova. Quel profumo e quel porto che erano le sole cose che Stefano non avrebbe mai voluto cambiare. Nelle notti insonni, dopo giornate irrequiete, dopo estenuanti riunioni con i compagni,era lì che andava sempre. Amava guardare le onde schiantarsi contro le fiancate delle navi armeggiate come se il mare sbeffeggiasse quei grandi mostri metallici incatenati sul fondale.

Quell'instancabile infrangersi era sempre più di ispirazione per il giovane. Sognava un popolo come quelle onde, libero e implacabile, senza timore di distruggersi nell'impatto contro qualcosa che sembra essere così grande ma che non è nulla nell' immensità del mare.

Era solo un ingenuo studentello Stefano, così diceva sempre suo padre, che avrebbe fatto meglio a prendere subito un buon lavoro invece di riempirsi la bocca con certi discorsi che prima o poi lo avrebbero messo nei guai. Era un figlio amato Stefano, per questo non si sarebbe mai sentito compreso fino in fondo dai suo genitori.

Lui non capiva che senso avesse, quell'amore irrazionale canalizzato nei confronti di poche persone. A poco più di vent'anni, Stefano pensava di aver raggiunto la forma più grande di amore possibile ad un uomo. L'amore per un ideale. Progresso, conoscenza, libertà e tutto quello che l'essere umano poteva realizzare. Come potevano gli uomini rimanere indifferenti a tutto questo?

La verità è che Stefano nutriva dentro sè la speranza che il popolo fosse di natura un' entità romantica e avesse bisogno solo di una guida per conquistare ognuno di quegli ideali.

E per quanto poco umile potesse apparire, Stefano sapeva di essere mosso dal velleitario desiderio di essere uno di quei condottieri.

~

Era stato Mazzini a creare la Giovane Italia. Un movimento che perseguiva l'obiettivo di trasformare l'Italia in una repubblica unita e democratica. Un gruppo di ragazzi che sognava un paese fondato sui principi di libertà, indipendenza e unità.

Stefano ricordava la prima volta che ne aveva sentito parlare. Non era riuscito a dormire per l'intera notte, proprio come fa un innamorato, scosso da idee sconosciute ma talmente grandi da essere quasi tangibili.

Erano passati due anni da quella notte e quelle idee non erano più sconosciute ma sempre più vicine.

 

Come ogni notte si ritrovavano alla "Locanda del porto", un posto frequentato solo da marinai di passaggio, nessuno stazionava la dentro oltre il tempo del pasto, per questo era il luogo più sicuro dove tenere le riunioni.

Giovanni il locandiere era stato affiliato alla carboneria, e per quanto ritenesse incosciente la scelta di associarsi in un luogo pubblico, sposava la causa dei ragazzi come fosse ancora la sua e fin dal principio aveva lasciato che la sua locanda divenisse uno dei luoghi di ritrovo della Giovane Italia.

 

"Il moto in Savoia è fallito per delle distrazioni, vi dico. Ma il movimento è pronto, il popolo è pronto." Stefano parlava a voce bassa, avendo sempre la massima attenzione dei suoi compagni stretti intorno a lui al tavolo posto all'angolo della locanda.

 

"Distrazioni? Gli Austriaci hanno infiltrati ovunque e un movimento che non conosce le sue fila non è pronto a nulla se non a condannare i propri componenti."

 

"Lorenzo, io e te siamo in questo movimento da quando?"

"Dal principio"

"Da quando?"

"Quasi due anni"

"E davvero vuoi procrastinare ancora prima di fare qualcosa di concreto? É stata chiesta la mobilitazione di Genova da Mazzini in persona."

Intervenne Andrea a manifestare il suo appoggio a quello che lui, come molti, riconosceva come capo del gruppo "Sono d'accordo con Stefano, proprio adesso che è arrivato il nuovo maresciallo degli Austriaci è il momento giusto per attaccare. Non ci conosce, non conosce Genova, non conosce l'esercito."

"Attento a non sottovalutare gli Austriaci, non penso che quel maresciallo Radestcky sia un idiota, ho sentito storie sul suo conto, pare un tipo sanguinario oltre che reazionario. In più, avete tutti visto che è stato capace di arrestare una donna solo perchè aveva rubato un gambero dal mercato del pesce. " fece nuovamente un appunto Lorenzo.

"Meglio così, mentre il Radestcky è impegnato a riempire le carceri di Genova con dei ladruncoli, noi soffieremo la città agli Austriaci e libereremo, oltre il popolo, anche tutti quelli che Radestcky ha arrestato ingiustamente." Stefano era un minuzioso calcolatore, nonostante i suoi moti d'animo e la sua intraprendenza spesso lo facessero apparire avventato agi occhi di qualcuno.

 

"Le riempiremo di Austriaci le celle." e con questa frase e uno sguardo di intesa sottolineò la fiducia che Lorenzo riponeva in Stefano.

 

Erano amici da molto tempo, due ragazzi dalla personalità simile ma con un diverso temperamento.

Dove Lorenzo era sanguigno, in Stefano prevaleva un atteggiamento più malinconico. Ma quando Stefano veniva colpito dai suoi impeti di passione, Lorenzo sapeva dimostrarsi invece una valida mente razionale.

Lorenzo sapeva che il vero capo del movimento era il suo amico. La cosa non gli aveva mai provocato alcun tipo di problema, sopratutto perchè era lui il primo a riconoscere quanto Stefano fosse adatto a guidarli nelle loro imprese. Anche se a volte le loro idee discordanti li portavano anche a scontrarsi, le loro discussioni non erano mai un tentativo di sopraffazione, ma solo accesi scambi di colpi per migliorare un'idea comune. Per nessuno dei due era un problema ammettere che l'ago della ragione pendesse più dalla parte dell'altro che dalla propria.

 

I ragazzi affiliati alla Giovane Italia a Genova erano per la maggior parte studenti, ma non solo, il movimento raccoglieva consensi da tutto il popolo e dai diversi ceti.

 

Simone, figlio di un dentista filo austriaco. Andrea, il più promettente giovane pianista di tutta Genova. Riccardo, che qualcuno diceva che avesse sposato la causa solo per avere una storia in più da raccontare per sedurre le donne. Teo, che vendeva stoffa al mercato con suo padre da quando aveva otto anni. Pietro, detto il Pirata, per la benda che copriva l'occhio sinistro. Suo padre e suo zio erano grandi appassionati di armi da fuoco, passione che avevano trasmesso al piccolo Pietro, forse in età ancora troppo tenera per poter maneggiare quegli oggetti. Quando un colpo sparato da una pistola che doveva essere scarica rischiò di uccidere il piccolo, privandolo del suo occhio sinistro, lo zio e il padre abbandonarono per sempre la passione per le armi. Il Pirata no, lui la sua passione non l'avrebbe abbandonata mai.

Erano tra i più fidati compagni di Stefano e Lorenzo. Tra i più presenti alle riunioni e i più attivi sul campo.

 

Quella notte alla locanda erano presenti quasi tutti, non capitava spesso. Fazioni di entusiasti e di scettici discutevamo animatamente, chi dava del vigliacco e chi dello sprovveduto all'altro.

Giovanni, il locandiere, si avvicinò a Stefano "Ragazzo, farete meglio ad abbassare le voci. Ho una brutta sensazione." era sempre diffidente, ma Stefano non era un ragazzo solito ad ignorare i consigli,

"Cosa intendi?"

Giovanni puntò l'indice in direzione dell'angolo destro della sala. Il ragazzo aguzzò lo sguardo per cogliere quello che gli era stato indicato. Seduto ad un tavolo non troppo distante dal loro, stava un uomo avvolto dalla testa ai piedi da una mantella marrone.

"É lì da un po'. Mi sono accorto che quel tizio occupava un mio tavolo senza consumare niente e stavo andando a buttarlo fuori, ma poi mi è venuto in mente che poteva essere qui per voi. Gli Austriaci hanno capito che piazzare spie ovunque è il modo migliore per distruggere le rivoluzioni prima che inizino."

"Grazie Giovanni, sei un compagno fidato. Se non ti dispiace ce ne occupiamo noi"

"Dispiacermi? No, no, ragazzo. Ma cercate di non far scoppiare un polverone qua dentro, potete usare il retrobottega per sistemare la cosa, sapete dov'è."

 

Stefano chiamò all'attenzione Lorenzo, e qualche minuto dopo, mentre gli altri al tavolo ancora discutevamo, i due attraversarono per il lungo la sala. Mentre Riccardo già si dirigeva nel retrobottega.

Arrivati alle spalle della figura incappucciata, senza fare il minimo rumore, Lorenzo appoggiò la canna della sua Rivoltella contro la schiena dell'uomo.

"Vuole seguirci?"

 

Cercando di non attirare l'attenzione trasportarono la presunta spia sul retro della locanda, dove l' altro compagno era pronto ad intervenire nel caso in cui l'uomo si fosse rilevato problematico.

"Vediamo chi c'è qua sotto" disse Riccardo facendo scivolare il cappuccio che copriva il volto.

 

"Isabella. Il mio nome è Isabella. E sarebbe gentile da parte vostra non puntarmi una pistola alla schiena."

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 





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