Ametista

di gigliofucsia
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Capitolo 8

7 Novembre 1869


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Quella mattina. Le suore piombarono nella soffitta alle sei di mattina. Io ero seduta sul letto con le dita incrociate guardando la finestrella. Le mie gambe si agitavano. Feci un respiro profondo.

Quelle due suore si avvicinarono a me e dissero: «siamo venute a portarti nel dormitorio». Io annuì, «lo so». La seconda suora rispose «forza alzati non c'é tempo da perdere». Io mi alzai e con il cuore pulsante scesi le scale. La soffitta polverosa si chiuse e io mi allontanai.


 

Il dormitorio era in movimento. Mentre attraversavo la stanza in mezzo ai letti, nessuna sospettosa occhiata mi sfuggì. Ero a metà strada quando vidi Perla e Pirito voltarsi verso di me con un sorriso. Con la boccetta in mano, ricambiai il sorriso. Mi avvicinai al letto, presi la valigia e la aprii. Nascosi la boccetta sotto una pila di vestiti e mi cominciai a vestire.

Stavo abbottonando il colletto della camicia quando Pirito mi chiese come stavo. «Sono agitata» risposi, da una scatoletta tirai fuori un lungo nastro rosso «c'é un motivo se metà della gente mi guarda così male?».

«Si è parlato molto di te in questi giorni» rispose Pirito guardandomi mentre mi allacciavo il fiocco sulla camicia. «Scommetto che, adesso, tutti sanno tutto» azzardai afferrando il cappotto. Pirito rise con amarezza, «hai un intelletto fine». Io risi.

Aggiustandomi i capelli con lo specchio commentai «ed ecco che la mia maschera va a farsi friggere. A questo punto non ho più niente da perdere». Rimisi lo specchio nella valigia, la chiusi, buttandola sotto il letto.

«Allora andiamo» disse Pirito «anche io muoio dalla voglia di affermare me stesso. Sono stufo di nascondermi» il suo sguardo era deciso e io risposi «Conservati tu che hai una buone probabilità di sopravvivere».

E afferrando il libro di magia sul comodino, io e Pirito, ci dirigemmo verso la fila.

Ambra ci condusse fino alla Làcolonia. Quando le porte si aprirono, io sentì lo stomaco fare una piroetta. Mentre stormi di ragazzini entravano e Pirito rimanemmo immobili. Guardammo gli altri che entravano si voltandosi verso di noi. Rimasi con un' ansia impellente per lunghi secondi. Se in quell'orfanotrofio bastava un ritardo per passare dei guai non volevo immaginare cosa sarebbe successo se saltavamo la messa.

Quando tutti furono entrati sullo scalino di un altro edificio. Pirito mi seguì. Le porte si chiusero senza che nessuno si accorgesse di noi e una pesante quiete si abbatté su di noi. Il vento fischiava e mi investiva col suo gelo e dalla làcolonia arrivavano dei mormorii.

Io aprì il libro e mentre ascoltavo il vento mattutino investirmi col suo gelo, mi immersi nella lettura. Pirito ad un tratto mi chiese «è davvero un libro di cucina?». Io risposi «è un manuale avanzato di magia». Poi il ragazzino guardò la dorata luce dell'alba e disse «Perché è così difficile mostrarsi alla gente?».

Io chiusi il volume e risposi «Perché tu sai che tu non rientri nei canoni di perfezione degli altri e hai paura di rimanere da solo».

Lui si voltò verso di me «io non rischio molto, eppure mi sento opprimere. Quanto è difficile per te Ametista?».

Io con la voce bassa risposi «io... mi sento meglio quando so di avere il tuo sostegno». Lui sorrise e io ricambiai. Poi, sentendomi un po' più leggera, riaprì il volume.

Dopo un po' una suora sbucò dalla porta alle nostre spalle. Era suor Acquamarina, guardandoci stranita ci chiese «Come mai non siete in Làcolonia? La messa è già cominciata» sembrava quasi un rimprovero.

Io senza smuovere gli occhi dal volume alzai una mano «io per motivi di salute». Pirito imitandomi disse «io non ho voglia di perderci tempo».

Vidi con la coda dell'occhio la suora ammutolita «ma se non andate in chiesa non entrerete mai nel regno di Reve» disse.

Io risi, «scusatemi se rido, ma qui sembrate tutti convinti di sapere cosa vuole Dio senza avere uno straccio di prova che lui esista».

«Questa è blasfemia. Cosa ti è successo? Prima non eri così» disse chinandosi su di me. «Le persone non cambiano. L'unica differenza da prima è che ora mi sono stufata di nascondermi» mormorai.

Le appoggiò la mano sulla mia spalla «no! Non è vero è Sefe che ti fa dire così. Ribellati a lui!». Cominciavo ad essere stufa di quelle storie senza senso.

«Lasciatemi stare! Io non sono controllata da nessuno, io sono una strega, sono fiera di esserlo e non saranno le vostre favole a farmi cambiare idea» il mio tono divenne glaciale. Suor Acquamarina si voltò verso Pirito, stava per aprire bocca ma lui la anticipo «anche io l'ho sempre pensata come lei e non mi dica che sono sotto la sua influenza perché nessuno mi ha costretto a far nulla».

«È così! L'ho detto se non vuoi stare con me sei libero di andartene» replicai.

Lui mi diede un colpetto sulla spalla «Ormai siamo sulla stessa barca, io non ti lascio».

La suora tornò dentro. A quel punto Pirito disse «Io credo che con gente del genere non serva a niente parlarci». Io annuì «ho già pronto il piano B»

«Cosa farai?». Risposi «secondo te perché mi sono portata il libro di magia dietro?» avanzai il volume verso di lui. «Io vedo solo la ricetta per la pasta al ragù» esclamò. Risi. Attaccai il pollice al dito medio. «Ti do il permesso di vederlo» e schioccando le dita le lettere si mossero come fiamme fino a cambiare. Lui spalancò gli occhi «Come aprire la mente?» borbottò.

«Hai intenzione di aprire la mente di queste persone?» mi chiese. Io ritrassi il volume «Questo li costringerà a ragionare. Loro non ci ascoltano mai perché non vogliono sentire pareri diversi dai loro. Con una mente più aperta forse riuscirò a farmi accettare, ma è complicato ci vorrà un bel po' per impararlo» dissi.

«Come fa la magia ad intervenire sul mondo circostante?» domandò Pirito. «Prima di tutto devi sapere che la magia nel mio corpo ha la funzione di difesa ma è un tessuto che posso controllare, cioè volontario. Viene prodotta in ogni organo del mio corpo e le sue reazioni sono diverse a seconda del posto in cui viene prodotta e a cosa reagiscono. Un esempio banalissimo... ehm...la magia del mio pollice ha un effetto diverso da quella del medio, se io faccio reagire le due otterrò una reazione» Io sfregai le due dita e dal pollice uscì una fiammella.

Pirito lo guardò a bocca aperta «e non ti fa male?» io scossi la testa « no! Perché in ogni modo è fatta per proteggermi. Poi le possibilità sono molte. Non è detto che io possa farle reagire solo fra di loro ma anche con l'ambiente circostante. Se io sposto la magia del gomito alla mano e la faccio reagire con qualsiasi materiale si otterrà la reazione e il materiale attaccato... diciamo così... si disintegrerà, ma questo non voglio provarlo è pericoloso»

Lui annuì « e gli infusi? Le pozioni?»

«Quelle sono un altro paio di maniche. Ci sono sostanze in natura che possono potenziare la mia magia o indebolirla. L'antiallergico di ieri è un infuso di erbe che potenzia la mia magia in modo che essa non venga indebolita dagli oggetti sacri. La pozione invece e magia liquida, se io creo una sostanza immobilizzante sul dito e poi lo immergo in un bicchiere d'acqua, questa cambia colore e chi la berrà si ritroverà immobilizzato»


 

Le porte della Làcolonia si aprirono e file di ragazzini uscirono. Io e Pirito aspettammo che arrivasse il nostro gruppo e ci mettemmo in fondo alla fila. Perla sembrava persa nei suoi pensieri, tant'è vero che non ci salutò.

Ci portarono a colazione. Dentro di me sentivo una paura costante che non davo molto a vedere ma sapevo che era anche in Pirito, la paura di essere giudicati male dagli altri. Non parlammo molto nemmeno quando ci portarono nel frutteto a spazzare le foglie.

Le nubi bianche ricoprivano il cielo. Il vento fischiava. Il silenzio era fitto. Gli alberi si scuotevano. All'improvviso una voce familiare mi fece sobbalzare, «la strega qui ha incontrato Sefe durante il suo... soggiorno in soffitta?». Alessandrito.

Io sbuffai e con un mezzo sorriso risposi «sì ed è molto più simpatico di te». Una serie di sguardi mi raggiunsero. Vidi Pirito soffocare una risata, mentre io mi giravo per guardare il biondo negli occhi. Lui per un attimo incrociò le sopracciglia poi con un sorriso più finto di quello di una bambola disse «ah sì? E cosa ti ha detto di tanto divertente?».

Io risposi, «Che hai già il posto prenotato all'inferno». Pirito divenne tutto rosso. Gli allineamenti del biondo divennero duri e con quello sguardo avanzò di un passo, «Non ti permettere di dirmi cose del genere. Qui la strega sei tu».

«Se non lo posso fare io allora perché tu invece si? Sapientone» osai. Lui indicando se stesso rispose «Perché io sono un ragazzo modello e tu no». A quel punto, io e Pirito scoppiammo a ridere «questa è bella! Lui crede di essere un modello di perfezione, ma non farmi ridere. Se tu sei un modello di perfezione io sono la fata Rosalina».

All'improvviso la mano di Alessandrito si chiusero sul colletto della mia camicia. Lui mi guardò negli occhi ma io non voltai lo sguardo. Il cuore mi pulsava ma non mi tremavano neanche le mani.

«Parla» mormorò, guardandomi con occhi penetranti «Cosa ti renderebbe migliore di me?». Il suo alito mi investì. Arricciandomi il naso mormorai «non starmi troppo vicino sento il tuo alito fetido».

Strattonandomi gridò «rispondi!». Io guardai Elio che teneva lo sguardo fisso sulla spalla, «innanzi tutto io non me la prendo con i più deboli di me» risposi. Il biondo rimase ammutolito, « e non ho bisogno di avere l'approvazione degli altri per sentirmi superiore».

Spingendomi mi mollò. Barcollai indietro ma lui rispose «sentì come si da delle arie, pensi di potermi dare delle lezioni? Tu che ti vesti come un fenomeno da baraccone?»

«Io mi vesto come mi pare! Io mi metto la gonna soltanto se te la metti anche tu allora? Affare fatto?». Il biondo divenne rosso mela. Pirito sghignazzò. Poi vidi le mani tremare e un attimo dopo una mano si avventò su di me.

D'istinto la evitai. Afferrai il polso e lo torsi dietro la schiena. In qualche modo dovevo tenerlo fermo. Concentrai la mia magia nell'altra mano al tocco della spalla del biondo questo crollò in ginocchio ansimante.

Io sospirai di sollievo. Pirito aveva gli occhi spalancati come tutti gli altri «da dove viene quella roba?». Io non sapevo cosa rispondere «non lo so, spesso mi viene d'istinto, deve avermelo insegnato qualcuno tanto tempo fa».

Dopo pochi secondi Il biondo in piedi barcollò e allontanandosi. Elio mi guardò come se lo avessi fatto per lui mentre Gemma con le mani sui fianchi avanzo borbottando «Ti sembra il modo di comportarti?». Stavo per rispondere quando il biondo la chiamò a se. Dopo un po' di indecisioni anche Elio mi fece un leggero sorriso.

Io ci ragionai un po' e dissi «forse mi sono messa nei guai. Ma dopo tutto è lui che mi ha attaccato».

Bastarono pochi minuti. Vidi suor Ambra, attraversare file di orfani e alberi avvicinandosi a me con Il biondo e banda alle spalle. Il suo sguardo mi penetrava e quando arrivò glielo restituì nonostante i battiti cardiaci mi stessero per soffocare.

«Ametista sono molto delusa e anche Reve lo è... la legge di dio vieta qualsiasi tipo di violenza».

Io feci un passo indietro, «È stato Alessandrito il primo ad alzare le mani, io mi sono solo difesa».

La suora mi prese per il braccio «Non mi interessa adesso andiamo dal preside». Io puntai i piedi e tirai il braccio. Pirito afferrò le braccia della suora, «ma è vero! Non è stata colpa sua. Alessandrito stava per metterle le mani addosso».

Tirando gridai a denti stretti «dovevo stare ferma a subire? Mi ascolti una buona volta».

Suor Ambra mi afferrò con due mani «dai!smettila di fare i capricci! Non si alzano le mani». Perla avanzo verso Pirito che gridò «Suor Ambra non è colpa sua! Ci ascolti»

La suora mi stava tirando verso il cancello. Col sudore alla fronte io cercavo di farmi indietro « mi lasciate dire la mia?». In quel momento Suor Ambra mi mollò. Io caddi fra l'erba con il fiato pesante. Ambra mi guardò come non mi aveva mai guardato prima e disse «tu non hai il diritto di parlare».

Mi sentì lacerare. Un profondo senso di nausea mi pervase. Tutto si bloccò. Mi alzai e mi allontanai «voi state esagerando!». Lei rimase immobile. Digrignando i denti mi afferrò e mi strattonò lungo il sentiero.

La rabbia mi saliva violenta. Mentre mi trascinava lungo i viali, i corridoi e le scale mi chiedevo perché dovevo subire una cosa del genere solo perché ero diversa dagli altri. Una domanda che mi facevo da sempre e a cui non volevo rispondere perché la mia rabbia sarebbe cresciuta ancora accecandomi.

Mi ritrovai di nuovo al terzo piano. Davanti a quella porta che avevo visto solo due giorni prima. Con una certa fierezza Ambra attese il permesso e la trascinò dentro. Don Quarzo mi guardò, poi il suo sguardo si spostò sulla suora, «Cosa ha combinato questa volta?».

Io non potevo più trattenermi, se non mi sfogavo rischiavo di diventare matta. «si è azzuffata con un suo compagno» rispose la suora. Io con lo stomaco rivoltato e i pugni stretti sbottai; «non è vero!...» Ambra mi tirò indietro e io strattonai il braccio, «lasciatemi!», e mi liberai.

«È stato per legittima difesa e comunque non l'ho picchiato. L'ho solo immobilizzato prima che potesse farmi del male». Il direttore si alzò dal tavolo e mi afferrò le spalle. Mi guardò negli occhi «comunque sia non hai fatto una cosa bella. Ho saputo che non hai partecipato alla messa questa mattina» e questo cosa centrava? «Come puoi comportarti così dopo tutto quello che Reve ha fatto per te?».

Se l'erano andata a cercare. Le parole mi uscirono fuori d'impulso, «e cosa ha fatto Reve per me? Mi ha solo rovinato l'esistenza, se lui non fosse mai stato inventato io ora avrei una vita normale e invece mi tocca combattere con voi». Tanto sapevo che non mi avrebbero ascoltato.

Quarzo mantenne il suo sguardo impenetrabile. Si alzò dicendo, «se non sbaglio il corridoio del terzo piano deve essere pulito giusto?». Ambra annuì. Mi afferrò di nuovo. Mi portò dall'altra parte del piano. Dopo aver aperto una porta sul corridoio, prese dall'angolo un secchio d'acqua con uno straccio che galleggiava e me lo mise in mano. «Se non è pulito entro un'ora salti il pranzo». Uscì dalla porta chiudendosela alle spalle.

Io mi guardai mettendomi un dito sotto il naso. Quel corridoio era parecchio largo anche se non troppo lungo. Dopo un po' alzai le spalle, mi sedetti a terra e aprì il libro a pagina 42.


 

Dopo un po' la porta si riaprì. Io voltai lo sguardo verso Ambra. Lei guardò il corridoio, poi me e poi disse «Cosa mi rappresenta questo?». Chiusi il volume e mi alzai in piedi «sono stufa di essere punita per delle colpe che non sono mie, se ci tenete al pavimento pulitevelo da sola».

Suor Giada apparve dietro suor Ambra, «allora? Cosa sta succedendo qui?». Ambra si fece da parte, «Ametista si rifiuta di pulire il corridoio». Giada avanzò verso di me, io indietreggiai «la signorina non vuole sporcarsi le mani? Be vuol dire che lo farà Pirito al posto tuo».

«bene!» esclamai «tanto si rifiuterà anche lui». Il viso di Giada si concentrò.«allora salterete tutti e due il pranzo. Ti va bene così?».

«sì! Preferisco morire di fame più che sottostare a voi» dissi a denti stretti. Le suore se ne andarono sbattendo la porta. Io non mi preoccupavo, voleva dire che avremmo fatto una scappatina in dispensa a prendere qualcosina.

Perciò riaprì il volume e ricominciai a leggere. Dopo un po' cominciai a pensare al pranzo, come rimediarlo? Chiusi il volume e con l'agitazione in corpo mi diressi verso la cucina. Dentro si sentiva un gran caos. Cercare di entrare lì dentro non era difficile ma non era nemmeno furbo. Avrei fatto meglio ad andare nelle cantine lì avrei rimediato qualcosa senza dare troppo nell'occhio.

Infatti mi diressi lì. Mi guardai intorno ma non c'era nessuno. Mi sfregai il palmo della mano con la punta delle dita. In pochi secondi si formò una polverina arancione. Io la soffiai sulla serratura e da lì arrivò uno schiocco metallico. Aprii la porta e poi la chiusi alle mie spalle. Dopo aver sceso una scala e fatto quello che dovevo fare aspettai Pirito davanti alla mensa. Tutti mi guardavano male ma io non ci pensai. Aspettavo il mio migliore amico. Che appena mi vide mi venne in contro.

«Suor Giada è proprio ingiusta. Capisco tu ma io cosa centro?» esclamò. Io sorrisi «neanche io ho fatto qualcosa di male» e detto questo gli appoggiai la mano sulla spalla e lo spinsi lungo il corridoio «vieni andiamo a mangiare».

Lui si guardò intorno e indicando dietro di se disse «la mensa è da quella parte». Io portandolo verso il cortile risposi «non ho intenzione di mangiare quella poltiglia».

Una volta seduti fuori in un luogo appartato in mezzo agli edifici del monastero. Fregai una mano a terra e spuntarono dall'erba due panini e due bottiglie d'acqua. Pirito le guardò con tanto d'occhi, «come hai fatto? Le hai create dal nulla».

Io ridendo scossi al testa «li ho preparati e nascosti nella dispensa, poi li ho richiamati qui» spiegai. Pirito prese in mano il panino a strato multiplo e chiese «Non riesco a capire la dinamica di questo incantesimo». Io presi il mio «sarebbe troppo complicato, io sono già ad un livello avanzato».

Dopo aver mangiato ci chiedemmo se era necessario seguire ancora il programma «Io riterrei più... ben speso il tempo se passato ad esercitarmi sull'incantesimo che mi può tirare fuori dai guai» proposi. Poi Pirito disse «ma se ti attaccassero per metterti al rogo, non potresti usare la tua magia per combatterli?».

Un grosso peso mi ritornò sul petto « per arrivare a cosa? Non ho più un posto dove andare io e ad ogni modo il mio corpo può produrre una quantità limitata di magia e la loro durata di vita è di un giorno, io da sola non riuscirei a fronteggiare tutte le suore e gli orfani di questo convento. Infatti l'incantesimo che voglio utilizzare se lo usassi su tutti potrebbe togliermi la vita questo è certo»

«Quindi hai intenzione di usarlo su persone ben precise» disse Pirito avvicinandosi avvicinandosi a me. Io annuii «voglio usarlo prima di tutto sul direttore e sulla vicedirettrice. L'incantesimo Aprimente è complesso, se non mi stanco potrei usarlo al massimo tre o quattro volte»

Pirito annuì «Allora cosa facciamo?». Ci pensai per un po' poi decisi «i problemi vanno affrontati. Oggi direi di andare a lavorare insieme agli altri. Non sia mai che mancassi qualche occasione per farmi valere. Stasera invece andrò in soffitta ad esercitarmi»

Pirito annuì «io invece devo andare in biblioteca a fare scorte di libri» e così decidemmo.

Tutto il resto della giornata passò come al solito. La messa serale la saltammo e io finì di leggere il capitolo sul incantesimo Aprimente. Ora tutto quello che dovevo solo metterlo in pratica.


 


 

I miei problemi mi affollavano la testa insieme alle chiacchiere di chi, col piatto davanti parlottava con gli altri compagni. Più guardavo quel piatto e più mi sembrava inutile mangiare. All'improvviso però una voce isterica mi gridò dietro la schiena «Oggi non ti sei comportata bene!» io mi voltai. Gemma mi guardava con la mani sui fianchi, fiera come uno studente davanti ad un bel voto. Io sorrisi «ah! Senti un po' chi parla! Chi ti credi di essere? mia madre?» feci per girarmi ma lei, afferrandomi il polso, mi voltò «Non si parla così alla gente e non si disubbidisce alle suore. Chiedi scusa subito!». Io lo afferrai e stringendo la parte posteriore del polso obbligai la ragazza a mollare la presa. «Io non devo chiedere scusa a nessuno». Lei lo strattonò lontano dalla mia presa e, con gli occhi spalancati e immobili, se ne andò.

«Le hai fatto paura» disse Perla. Io la guardai negli occhi «sinceramente, se l'è andata a cercare». Pirito si intromise, «è probabile che domani Alessandrito torni a vendicarla» mormorò. Io ritornai sul mio piatto «fino a domani non ci penso».


 

Una volta giunta la notte, io e Pirito ci alzammo. La stanza era buia. La pallida luce della luna filtrava dalla finestra rischiarando di poco la stanza. Io mi infilai le ballerine e presi il libro sotto braccio. Pirito era in calzini e con passo leggero stava attraversando la stanza. Io guardando i rigonfiamento nei letti con l'ansia lo seguì. Lui si fermò alla porta, la aprì piano sbirciando da uno spiraglio. Oltre lo spiraglio vidi una luce di candela attraversare il corridoio mentre dei passi echeggiava nel pavimento.

«Le suore fanno i turni di guardia per vedere se c'é qualcuno che esce durante la notte, anche se sono poche bisogna fare attenzione» sussurrò Pirito aprendo di più la porta, il corridoio adesso sembrava sgombro «andiamo» disse Pirito uscendo dalla stanza. Dopo averlo richiuso la porta dietro di me ci dirigemmo veloci e silenziosi verso le scale. Una volta arrivati al terzo piano ci dividemmo. Non trovammo ostacoli lungo il percorso. Solo che mentre mi dirigevo verso le scale che portavano alla soffitta passai davanti alle celle. Ripensai agli oggetti che erano stati requisiti. Sarebbe stata una cosa carina riportarli.

Non mi aspettavo di ricevere complimenti, soltanto di far arrabbiare un po' le suore e magari spingerle a farsi qualche domanda. Aprii la serratura e corsi con passi leggeri lungo le celle finché non trovai quella che mi interessava. Aprì anche quella e con il cuore in gola entrai nella cella buia.

Sentivo respirare. Vedevo le coperte respirare nel buio. Mi feci coraggio. Non feci un singolo rumore. Aprì il cassetto con la delicatezza di una farfalla, sfregandomi le mani sparsi una polverina sopra gli oggetti. Questi si alzarono in volo e cominciarono ad andarsene fuori. Li seguì aprendo tutte le porte chiuse in modo che il loro corso no fosse vano. Una volta aperta la stanza del dormitorio gli oggetti tornarono sui comodini dei proprietari.

Dopo di quello ritornai sulla soffitta.

Creai una sagoma su cui esercitarmi ne creai con la magia, provai l'incantesimo per tre volte, poi sfinita tornai a letto. Pirito arrivò dopo.





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