Note
dell’autrice:
Questa
volta ad inizio del capitolo, perché ci sono delle cose che
voglio dire.
Prima
di tutto, questa sarà la mia prima long, quindi sono nervosissima,
anche
perché è anche una fantasy!AU, che è
uno dei miei AU preferiti e spero di
essere riuscita a descrivere tutto come volevo *sigh*
Seconda
cosa, ci saranno tante descrizioni e tante parti introspettive, ad un
certo
punto ci sarà anche dell’angst e del mild
gore/quasi splatter – e quest’ultimo
lo segnalerò nel capitolo interessato perché non
vorrei che nessuno si
ritrovasse a leggere di qualcosa che potrebbe urtare la sua
sensibilità – perché
semplicemente mi piace scriverlo :)
Il
titolo della storia è tratto da Breath of Life dei
Florence + The
Machine, che potete trovare qui!
Come
sempre, ringrazio la mia beta _Lady di inchiostro_
E
niente, vi auguro una buona lettura e spero che vorrete lasciarmi un
commento
anche critico!
Prologo
Tutti,
in quel piccolo villaggio sperduto sui monti Urali, conoscevano la
leggenda;
Otabek era cresciuto sentendo raccontare della terribile Regina di
ghiaccio e
del suo castello, nascosto tra le nebbie della montagna, oltre il bosco
innevato,
in quelle terre che il sole non riusciva a raggiungere.
Erano
ormai decenni che la Regina se ne stava rinchiusa nella propria dimora,
circondata dal ghiaccio e dalla solitudine, ma la paura dei paesani non
era
diminuita; durante l’inverno, tutti gli abitanti si
chiudevano nelle loro case,
mantenendo il fuoco sempre acceso, perché credevano
scacciasse la magia della
Regina. Era permesso uscire solo di giorno, quando il sole assicurava
un
naturale scudo contro quella stregoneria, e non era raro che non si
muovessero
dalle proprie dimore di legno per giorni e giorni, in attesa che le
nuvole
smettessero di coprire la volta del cielo e la neve smettesse di
rivestire ogni
cosa con il suo manto freddo e silenzioso.
Era
durante quei lunghi giorni di noia e torpore che venivano tramandate le
storie,
soprattutto quelle misteriose che parlavano della Regina e del suo
castello.
Pochi
l’avevano vista, e ancor meno quelli rimasti in vita, solo
l’anziano Yakov era
sopravvissuto abbastanza per narrare a tutti del suo aspetto. Otabek si
ricordava di come, all’età di sei anni, quel
racconto gli fosse rimasto
impresso a fuoco nella mente.
Era
uno di quei giorni durante i quali era proibito uscire fuori e tutte le
famiglie si erano radunate nella capanna più grande del
villaggio, che veniva
anche usate per le riunioni. I bambini, soprattutto i più
piccoli, vedevano
quella come un’occasione per giocare, e a loro poco importava
delle paure dei
genitori, intenti com’erano a rincorrersi e nascondersi.
Proprio
durante questi giochi, tutti furono chiamati a raccogliersi di fronte
al
camino, dove Yakov, stretto nella sua immancabile sciarpa di lana e
seduto su
una sedia di legno, si preparava ad intrattenere i suoi piccoli
spettatori.
I
fiocchi di neve turbinavano fuori dalla finestra, accumulandosi sui
davanzali,
e il vento soffiava impetuoso, ululando come un animale ferito e
facendo
tremare i vetri della capanna. Otabek ricordava di essersi seduto sul
tappeto
di fronte a Yakov e di come sua sorella si fosse andata a infilare tra
le sue
braccia poco dopo, impaziente come lui di ascoltare cosa avesse da dire
quello
strano uomo burbero, ma che tutti trattavano con rispetto. Quando anche
gli
altri bambini si furono seduti lì accanto, Yakov
cominciò a raccontare.
«Vedere
la Regina di Ghiaccio è una sorte che non augurerei nemmeno
al mio peggior
nemico. È terribile e ti rimane nell’anima, non va
più via. A volte riappare
nei miei sogni e mi ricorda che non potrò mai liberarmi di
quest’esperienza.
Ero
molto più giovane di adesso, quando la incontrai, ma lo
ricordo come se fosse
ieri. Mi ero perso nel bosco, fuggendo da un gruppo di fuorilegge che
volevano
derubarmi; il bosco è stregato, come sapete, e nessuno, a
memoria d’uomo, ne
era mai uscito vivo, così mi ero ormai rassegnato
all’idea che non avrei più
rivisto la mia famiglia e il mio villaggio. Vagai due giorni,
consumando le
provviste che avevo con me, in attesa che il freddo avesse la meglio
sul mio
corpo, quando all’improvviso vidi una sagoma muoversi tra i
rami carichi di
neve.
Non
sapevo chi fosse, e per un attimo dimenticai dove mi trovavo. Chiamai
quella
persona, ma mi rispose solo il lieve fruscio del vento gelido,
così cominciai
ad arrancare nella neve alta più del mio ginocchio e la
seguii.
Arrivai
di fronte ad un lago ghiacciato, tutt’intorno a me era
avvolto da una foschia
bianca e spessa, e nemmeno il sole riusciva a filtrare attraverso le
nubi; la
figura scivolò leggiadra sul ghiaccio, come se stesse
volando e non feci in
tempo a seguirla, cercando di non rompere la lastra gelida, che
scomparve
inghiottita dalla nebbia.
Continuai
ad avanzare fino a quando il mio corpo non si arrese, vinto dal freddo
e dalla
stanchezza, cadendo sul ghiaccio. Solo a quel punto mi resi conto del
mio
errore: di fronte a me, circondato da alte pareti ghiacciate ed
imponente come
niente che avessi mai visto in vita mia, si stagliava un castello
interamente
di ghiaccio trasparente.
Provai
a tornare indietro, ma non ne avevo più la forza, il gelo mi
aveva succhiato
via ogni energia rimasta e aveva terminato anche l’ultima
striscia di carne
essiccata.
Poi
la vidi. Il cuore mi trema ancora al ricordo. È la donna
più bella che io abbia
mai visto, d’una bellezza eterea, spigolosa e simmetrica come
il Ghiaccio di
cui è sovrana, una bellezza terribile. Avanzava piano, con
eleganza, scostando
il lungo vestito che sembrava filato dalla brina e
dall’argento.
“Chi
siete voi? E come siete arrivato qui?” Mi chiese. Vi
aspettereste una voce
stridula, invece era, per quanto impossibile possa sembrare, calda e
severa. Il
terrore mi aveva bloccato la lingua, ma in qualche modo riuscii a
risponderle.
“Perso.”
Lei
mi guardò e mi parve quasi che i suoi occhi affilati mi
stessero trafiggendo
l’anima. Si voltò alla propria destra, e solo
allora mi accorsi della presenza
di qualcun altro. Riconobbi la figura che avevo seguito: un ragazzino
dall’aria
fredda e infastidita.
“Yurochka,
perché hai portato qui questo umano?” Gli chiese,
e sentii un brivido
percorrermi la schiena; non era un brivido di freddo.
Il
ragazzino mi fissò con aria sprezzante, prima di
risponderle. “Era entrato nei
nostri domini, mia signora.” La sua voce era molto
più profonda di quello che
mi sarei aspettato, ma il suo tono esprimeva più emozioni
della Regina stessa.
Lei
pose nuovamente lo sguardo sul mio corpo mezzo assiderato e mi
voltò la
schiena, sollevando una mano verso il suo compagno. “Portalo
via, non voglio
cadaveri nella mia terra.”
Il
ragazzino si inchinò e volse la testa verso di me e, con un
veloce movimento
del polso, una stregoneria, senza dubbio, mi fece cadere in un sonno
profondo.
Quando
mi risvegliai mi trovavo in una capanna al limite esterno del bosco. Le
persone
che vi abitavano, una famiglia di boscaioli, mi raccontarono di avermi
trovato
privo di sensi nella neve, respiravo ancora e vollero fare un
tentativo. Sono
loro molto grato, senza il loro aiuto non sarei qui. Dopo qualche
settimana fui
pronto a tornare al villaggio, dove fui accolto dai miei cari, ma nulla
fu più
come prima. Sembrava che avessi perso la capacità di amare,
e non passava
giorno senza che sognassi il meraviglioso viso della regina, come se la
mia
anima fosse rimasta con lei. Ancora oggi, non ho mai amato alcuna
donna, e
continuo a chiedermi perché sia capitato a me, questo
destino crudele. Vivere
senza amore, senza una compagna di vita, senza conoscere ciò
di cui tutti
parlano e di cui tutti cantano, è un destino che non
augurerei neanche al mio
peggior nemico. Tenetelo bene a mente, e non inoltratevi mai nel bosco
stregato, potreste non essere tanto fortunati.»
Quella
notte, Otabek
sognò di correre, rincorso da una figura bianca e senza
volto, e di perdersi in
un fitto labirinto di alberi dai tronchi scuri e i rami spogli che
scricchiolavano al vento, come la neve sotto gli scarponi.
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