Si misero in viaggio tre
giorni dopo, alle prime luci dell'alba. Arghail avrebbe voluto che
Airis si riposasse un po' di più, ma nemmeno le proteste e
le raccomandazioni di Hallende furono sufficienti a dissuaderla dal
partire. Airis spiegò al giovane comandante quanto fosse
importante che giungessero a destinazione nel più breve
tempo possibile e, alla fine, dopo una lunga ed estenuante discussione,
Arghail non poté far altro che acconsentire, ordinando ai
suoi uomini di cominciare a prepararsi. Alle loro domande sul motivo
per cui avesse deciso di muoversi così presto, si
limitò a rispondere che la sopravvissuta aveva bisogno di
ulteriori cure, poiché la magia di Hallende non era
sufficiente a guarirla dalla febbre rossa.
Quando sorse il sole, Airis venne scortata fuori dalla tenda dalla
guaritrice e assieme a lei prese posto nel carro dove avevano caricato
i vettovagliamenti. La guerriera percepì per tutto il tempo
gli occhi dei soldati puntati addosso, le pesavano sulla nuca, ma
nessuno osò avvicinarsi o rivolgerle la parola. D'altronde,
Arghail e Hallende si erano premurati di diffondere la notizia della
sua malattia in tutto il campo, dunque Airis dubitava che durante il
viaggio qualcuno si sarebbe azzardato a darle fastidio. Doveva solo
abituarsi a camminare con quel velo sul viso.
Appoggiò la schiena al legno trasudante umidità e
sbuffò. Hallende le sorrise e si allungò per
aggiustarle lo jalibeb, il velo fissato al capo che le copriva l'intera
testa lasciando solo gli occhi scoperti. Anche quello, le aveva detto,
era tipico dei Chàyl, la popolazione nomade che viveva
nell'Oquea del sud. Inoltre, la pesante blusa nera e gli shalaar, i
pantaloni larghi stretti sulla caviglia, proteggevano il corpo dal
vento e dal caldo di quelle regioni aride. Il modello che Hallende le
aveva prestato era però di lana e cotone, adatto al clima
più rigido del nord di Esperya.
- So che non vi sentite molto a vostro agio con questi abiti.
All'inizio anche io facevo fatica, mi ostacolavano molto nei movimenti.
-
- Sì, in effetti sono un po' scomodi, ma penso sia
perché sono abituata all'armatura. - commentò
Airis in un sospiro.
- Non vi ho ancora chiesto come vi sentite oggi. -
La guerriera spostò lo sguardo alla sua destra. Il vento
ingrossava la tela che celava il contenuto del carro alla vista,
lasciando solo un triangolo di paesaggio visibile. Gli steli d'erba
roridi si piegavano al loro passaggio, per poi ricadere sfiorando il
fango che contornava i solchi scavati dalle ruote. I cavalieri, i pochi
che Arghail si era portato dietro in quella spedizione, procedevano ai
lati e dietro al carro, parlottando del più e del meno,
scambiandosi battute sul tempo, sulla moglie del loro superiore o
sull'ultima notte di baldoria in città che aveva visto un
certo Darril fare a pugni con l'amante della sua donna. Nessuno parlava
della guerra e della desolazione che avevano trovato a Luthien.
L'orrore e la paura negli occhi degli uomini che Arghail aveva mandato
in ricognizione avevano fatto morire qualsiasi domanda.
- Arlena? -
Airis impiegò qualche secondo a capire che Hallende si stava
riferendo a lei. Infatti, oltre ai vestiti, per essere sicuri che
nessuno la riconoscesse Arghail aveva proposto di usare un altro nome,
una misura preventiva che lei stessa aveva approvato, ma non si era
ancora abituata alla sua nuova identità.
- Sì, scusami, ero soprappensiero. -
- L'avevo notato. - ridacchiò Hallende.
- Sto bene, non devi preoccuparti. - le rispose sorridendo, si strinse
nelle spalle e distese le gambe, cercando una posizione comoda.
Non aveva veramente freddo, non quanto ne avrebbe dovuto avere, ma il
suo corpo agì prima del pensiero, guidato dall'istinto e
dalla consuetudine, strofinando le mani contro il tessuto ruvido della
blusa alla ricerca di un calore non necessario.
- Avete freddo? Volete che vi dia qualcosa di più pesante? -
si allarmò Hallende e già aveva messo mano al suo
scialle prima ancora che Airis le facesse un cenno di diniego.
- No, no, davvero, è stato solo un brivido. -
minimizzò e ringraziò lo jalibeb che le copriva
la bocca.
- Sicura? - si avvicinò e abbassò la voce, - Non
vi dovete fare scrupoli, io posso usare la magia per scaldarmi. -
- Non me ne faccio, semplicemente sto bene così. -
Incrociò le braccia sul petto, spostando di nuovo
l'attenzione sul paesaggio che intravedeva dallo spiraglio tra il legno
e la tenda. Se n'era aperto un altro nell'angolo a destra e Airis
adesso poteva osservare i rami degli alberi che sfilavano sui bordi del
sentiero.
Hallende la fissò a lungo con cipiglio indagatore e, dopo
svariati secondi, si convinse che non stava mentendo. Tuttavia,
continuò a guardarla per molto tempo senza curarsi di farlo
con discrezione, mettendo a disagio Airis. Quest'ultima fece del suo
meglio per ignorarla, ma a un certo punto, stanca di quelle occhiate
insistenti, abbassò le palpebre e finse di dormire. Era
grata alla donna per la sua preoccupazione, oppure trovava a dir poco
esagerata tutta quella premura. Era un Generale, un Cavaliere, non una
ragazza indifesa, senza contare che era stata in grado di cavarsela da
sola per più di un mese a Llanowar. Va bene, a quel tempo
non era stata proprio da sola.
Davanti ai suoi occhi si disegnò il viso di Ledah, preciso
in ogni dettaglio, e avvertì un'improvvisa fitta al cuore.
Ancora una volta si domandò dove fosse e se sarebbe riuscita
davvero a salvarlo. Aveva meno di cinque settimane e non sapeva ancora
se era una buona idea prendere la prima nave per andare a Sershet.
“Perché deve essere tutto così
complicato?”
Marciarono per tutto il giorno, facendo alcune soste per permettere ai
cavalli di riposare e agli uomini di sgranchirsi le gambe.
Arghail chiamò Hallende fuori dal carro un paio di volte per
chiederle come stava la sopravvissuta. Airis ebbe cura di non farsi
vedere, maledicendosi per essersi fatta lasciare solo il pugnale, che
aveva nascosto nello stivale. Con i muscoli tesi come cordoni sotto
pelle, aspettò con lo sguardo puntato sulla tela, la mano
che sfiorava l'elsa dell'arma pronta a sguainarla in caso di
necessità. Rimase immobile, pronta a scattare,
finché Hallende non tornò. Solo allora la
tensione nel suo corpo si allentò e si lasciò
ricadere con un sospiro di sollievo contro il legno.
Arghail le aveva dato la sua parola che l'avrebbe protetta, ma Airis
non poteva permettersi il lusso di credergli. Si sentiva un po' in
colpa a dubitare così della sua promessa, ma la guerra e gli
orrori che questa aveva portato con sé avevano sminuito il
valore di qualsiasi giuramento. Erano solo parole, che senza un forte
senso dell'onore non significavano niente. Il tempo della fiducia era
passato.
Quella prima notte trascorse tranquilla. Hallende le offrì
della carne essiccata da mangiare e cenò con lei.
Più volte tentò anche di intavolare un discorso,
ma Airis non era in vena di parlare, né tanto meno aveva
intenzione di spiegarle come aveva fatto a recuperare la vista. Che
pensasse pure che aveva fatto ricorso alla magia elfica, non era
un'intuizione che differisse poi molto dalla realtà.
La mattina successiva venne svegliata dalla voce di Arghail, che
ordinava ai soldati di smontare il campo e rimettersi in marcia. Il
cielo era ancora grigio e il sole rosseggiava appena sulla linea
dell'orizzonte, nascosto da un banco di nuvole minacciose. Quando si
lasciarono alle spalle il bosco e imboccarono la strada che seguiva il
Tabor, i primi fiocchi di neve iniziarono a svolazzare nell'aria, una
spolverata di batuffoli delicata ma costante, dall'intensità
di una pioggerellina estiva. In poco tempo, il freddo si fece
tagliente, la vita si ritrasse tra le radici e nei tronchi e il
paesaggio venne coperto da uno strato bianco e compatto, alto almeno
due o tre pollici.
Proseguirono fino al tardo pomeriggio, quando Arghail
comandò di fermarsi di nuovo. Nelle vicinanze non c'erano
città dove cercare riparo, la maggior parte dei centri
abitati erano stati abbandonati durante le retate degli elfi, quindi
dovettero accamparsi in una radura poco distante dalla strada maestra,
con un boschetto che l'abbracciava da sud e il nastro scintillante del
Tabor a nord.
Mentre allestivano l'accampamento, Airis si abbandonò alla
pace che albergava in quel luogo. Il vento le portava lo scroscio
gentile delle acque del fiume e, di tanto in tanto, tra le fronde
imbiancate degli abeti udiva il frenetico battito d'ali di pettirossi e
merli in cerca di un rifugio. Erano a metà marzo, eppure il
freddo non accennava ad allentare la sua morsa gelida sulla terra.
“Dev'essere una conseguenza dell'esplosione causata da
Copernico.”
Si appoggiò ad Hallende e si lasciò condurre fino
alla sua tenda, che era stata allestita vicino a quella di Arghail. Era
un padiglione leggermente più piccolo di quello del
comandante, situato al centro del campo, nel punto più
protetto. Non appena entrò, Airis abbandonò il
braccio della guaritrice e si lasciò cadere sulla branda,
togliendosi lo jalibeb dal viso.
- Avete bisogno di qualcosa? -
- Solo di un po' d'acqua. - rispose stanca, passandosi una mano sulla
fronte.
A contatto del palmo, trovò la pelle era appena accaldata,
con un leggero velo di sudore.
- Vado immediatamente a prendervela. - disse Hallende e uscì
veloce.
Airis si distese sul materasso e soffermò lo sguardo sul
soffitto della tenda, riflettendo sulla situazione. Se avesse
continuato a nevicare, avrebbero impiegato almeno una decina di giorni
ad arrivare a porto Eamone. Come se questo non fosse abbastanza, in
quel periodo i khaalesh soffiavano con più forza del dovuto,
provocando tempeste che rendevano difficile la navigazione.
- Permesso? -
La voce di Arghail la fece alzare di scatto. Lui ridacchiò
e, dopo aver congedato le guardie, entrò. Non indossava
più l'armatura. L'unica cosa che lo distingueva da un
soldato qualunque era la lunga spada con un'effige di un lupo
sull'elsa. Nonostante la sua semplicità, cozzava con la
sobria tunica di lana scura e gli stivali al ginocchio da cacciatore.
- Sembri un baldo scudiero così vestito. -
commentò Airis con un sorriso, accettando volentieri l'otre
che le offriva.
- Sono solo un comandante molto stanco. - rispose Arghail, ricambiando
il sorriso.
- Da quando un comandante si occupa dei malati? -
- Da quando la malata in questione è più alta in
grado di me. - abbassò la voce, accostando l'unica sedia
della tenda alla branda.
Airis bevve un lungo sorso d'acqua, lanciandogli qualche occhiata di
sottecchi. La durezza del pugnale contro la coscia la rassicurava,
anche se era ben consapevole che scappare da lì si sarebbe
rivelata un'impresa suicida. Posò l'otre a terra e si
asciugò le labbra col dorso della mano.
- Grazie. -
- Ve l'ho già detto, è un onore avervi qui con
me. - un sorriso sincero gli increspò le labbra, - Mi
dispiace farvi viaggiare nel carro, spero non sia troppo scomodo. -
- Assolutamente. Hallende è un po' apprensiva, ma alla fine
è il suo lavoro. Piuttosto, a cosa devo la vostra visita? -
Arghail intrecciò le dita sotto il mento e si fece assorto.
I suoi occhi viola la studiavano con attenzione.
- Perché tutta questa fretta per arrivare a porto Eamone? Mi
avete detto di darvi fiducia, di non chiedere e io ho accettato senza
indugio, perché vi conosco e ho stima di voi.
Però ho degli uomini con me e ho promesso alle loro famiglie
che avrei fatto il possibile per riportarli a casa. -
- Pensi che potrei esporre te e i suoi soldati a dei pericoli? -
- Non lo so, questo dovreste dirmelo voi. Non mi piace brancolare nel
buio, soprattutto se ho delle vite da proteggere. Ditemi cosa sta
accadendo e per quale ragione desiderate così tanto
nascondere la vostra identità e arrivare il più
in fretta possibile a porto Eamone. Io vi ho dato fiducia, ora tocca a
voi. -
Airis si tormentò le dita, con una voglia pressante di
rivelargli tutto, pur di sgravarsi del peso delle
responsabilità che sentiva sulle spalle. Ma non poteva.
Sostenne il suo sguardo, vagliando le informazioni che gli avrebbe
riferito e quelle che gli avrebbe taciuto. Mai come in quel momento si
rese conto di quanto fossero assurde le avventure che aveva vissuto.
La conversazione venne interrotta da Hallende. Aveva in mano due piatti
con della carne arrostita e due fette di pane. Vicino a lei gravitavano
dei secchi pieni d'acqua, che a un suo cenno si posizionarono di fianco
al catino vicino ai bracieri. Solo in quel momento Airis si accorse che
la maggior parte della mobilia che c'era nella tenda doveva appartenere
al comandante. Si girò per ringraziarlo, ma Arghail
minimizzò con un gesto della mano.
- Riprenderemo più tardi, se per voi non è un
problema. - le disse alzandosi e incontrando nuovamente il suo sguardo,
prima di fare un inchino per accomiatarsi, - Se vi serve qualcosa, non
esitate a chiedere. -
- Grazie. - rispose Airis, e anche lei si alzò per
inchinarsi.
Rimasta solo con Hallende, la guerriera esalò un sospiro di
sollievo. Avrebbe avuto tempo per pensare a cosa dirgli e, soprattutto,
a come dirglielo.
- Dovreste parlargli. - la donna prese le posate e impilò i
piatti sul tavolo, - Sarà anche giovane, ma ha la mente
molto più acuta di quello che potrebbe sembrare. -
- Non ho messo in dubbio la sua intelligenza, ma è difficile
da spiegae. -
Hallende tacque. Si tolse lo shadar, il velo che le avvolgeva il capo,
e i pendagli tra le trecce candide ricaddero sulle spalle, lasciandole
scoperta la nuca rasata dove era stato inciso a fuoco un intrico di
crisantemi. Sopra le orecchie, invece, c'erano una farfalla posata su
un loto con moltissimi petali, mentre sulla parte sinistra ne era stata
tatuata un'altra adagiata su una stella.
- Avete paura che non possa capire? -
La guerriera non rispose. Come avrebbe potuto aprirsi? Persino lei era
rimasta incredula quando Copernico le aveva raccontato cos'era successo
a Ledah e chi sedesse a fianco del re di Esperya.
- Arghail vi stima molto e, qualsiasi cosa abbiate fatto o nascondiate,
non vi giudicherà. Inoltre, vi somigliate. Vi stupireste di
quante cose avete in comune. -
- Ad esempio? - domandò scettica Airis.
Hallende sorrise e i suoi occhi azzurri guizzarono divertiti. Congiunse
le mani davanti al viso, mormorando una bassa litania a fior di labbra,
e quando terminò dall'esterno della tenda non proveniva
più alcun suono.
- Niente paura, è solo una misura precauzionale per evitare
che qualcuno ci senta. - si affrettò a spiegare Hallende.
- Sono segreti così importanti da necessitare del riparo
della magia? - domandò confusa Airis.
- Preferisco essere sicura che le nostre parole rimangano qui dentro,
soprattutto visto che ora ci accingiamo a parlare di voi e non della
povera Arlena. - si lisciò le pieghe dell'abito e
cominciò a raccontare, - Siete stati entrambi adottati, voi
dal Generale Lullabyon, lui da una famiglia di mercanti. Quando era
piccolo, i suoi genitori lo hanno abbandonato in un tempio di Calime.
Non mi ha detto molto, non è un argomento di cui ami molto
parlare, ma è una cosa che vi accomuna, assieme alla scelta
di entrare nel corpo dei Cavalieri. -
Airis si massaggiò il mento con aria assorta. Quel primo
dettaglio poteva costituire un indizio importante che collegava Arghail
all'uomo nella Casa della Cenere.
- Non si sa niente della sua famiglia d'origine? -
- No, non se ne è mai interessato, e forse è
meglio così. A volte dal passato possiamo attingere il
fuoco, ma esso può solo ridarci indietro sterili ceneri.
Arghail è un brav'uomo, ne ho conosciuti pochi come lui.
Quando sono arrivata a Esperya con mia sorella, ha fatto di tutto per
difenderci. Qui da voi è raro vedere delle donne
nell'esercito e, quelle poche che ci sono, vengono considerate
inferiori agli uomini. Persino tra noi guaritori è difficile
incontrarne. Eppure a lui non è mai importato, non ci ha mai
fatte sentire inferiori. Certo, continua a trattarmi con i guanti di
velluto, ma mi considera un'alleata preziosa, indipendentemente dal
fatto che io sia una chaylita e una donna. -
- Vi conoscete molto bene. -
- Beh, sì. È rimasto con noi quando avevamo
più bisogno, ma, soprattutto, ha aiutato mia sorella quando
si è trovata a dover affrontare i pregiudizi e la diffidenza
dei soldati. - increspò le labbra in una smorfia amara, lo
sguardo perso nei ricordi, - Non ha esitato a intervenire quando hanno
tentato di farle del male, anche se inimicarsi quell'uomo significava
avere contro quasi tutti i nostri compagni, rischiando così
di essere espulso dall'esercito. Ha mantenuto sempre le sue promesse. -
spostò la sua attenzione su di lei e Airis
percepì nel suo tono di voce una profonda tristezza, -
Generale, vi portate un peso enorme sulle spalle, lo vedo dalle ombre
che albergano nel vostro sguardo e dalla tensione che cala su di voi
quando vedete o me o Arghail parlare con qualcuno. Non so cosa vi sia
accaduto, che cosa vi renda così diffidente nei nostri
confronti, ma ricordatevi che nelle battaglie siamo tutti responsabili
gli uni degli altri, nessuno di noi è solo. Non disdegnate
la mano che vi viene tesa, stringetela. Con me lo avete fatto. -
- Io non... non m sono fidata di te. Ho finto di farlo. -
ribatté Airis presa in contropiede.
- Vi siete fatta curare, vi siete affidata a me anche se ero un
estranea. Poter contare su qualcuno non è un male. Ogni
giorno per vivere compiamo innumerevoli atti di fiducia: per esempio,
lasciamo che il nostro scudiero si occupi delle nostre armi, che il
cuoco cucini il nostro cibo, che il nostro compagno attenda il nostro
ritorno a casa dalla guerra, che un estraneo mantenga il segreto gli
è appena stato rivelato, tutto questo senza alcuna garanzia.
Decidiamo di affidarci agli altri per le cose serie e per quelle
frivole, per le questioni vitali e per quelle meno importanti e lo
facciamo non perché lo vogliamo, ma per obbligo,
perché è indispensabile per vivere. -
- La fiducia rende ciechi. -
- La fiducia è l'unica che può permetterci di
camminare nel buio. Senza di essa, qualsiasi battaglia è
persa e qualsiasi essere umano è solo. -
Airis si passò una mano tra i capelli e scosse la testa: -
Mi ricordi molto una persona che, un po' di tempo fa, mi ha suggerito
di lasciarmi cadere nel vuoto. -
- Allora questa persona era davvero molto saggia, anche se la metafora
che ha usato è comunque un po' angosciante. -
ridacchiò, - Ora torno nella mia tenda. Domani riprenderemo
la marcia e devo ancora lavarmi. Buonanotte, Generale. -
- Buonanotte, Hallende. -
Lei fece un inchino e tolse il disturbo. Non appena ebbe oltrepassato
la soglia, i rumori del campo invasero nuovamente la tenda,
attaccandole le orecchie abituate alla quiete. Fece una smorfia
infastidita e sbuffò.
Quindi si spogliò e con calma cominciò a lavarsi,
godendosi la pace. L'acqua si era raffreddata, ma per lei non era un
problema. Si prese tutto il tempo per sciacquare via la polvere e la
sporcizia accumulate durante il viaggio, strofinando per bene la pelle
con la spugna e gli oli profumati che Hallende le aveva portato. Colse
l'occasione per osservarsi e ancora una volta si stupì di
quanto fosse cambiato il suo corpo, ma almeno, adesso, cominciava a
sentirlo un po' più suo. Controllò la cicatrice
vicino al cuore, percorrendone la linea zigrinata con i polpastrelli.
Le sembrava che fosse più in rilievo rispetto a quando si
era svegliata e, se possibile, anche più frastagliata, ma
attribuì quell'impressione alla stanchezza. Si
asciugò e si vestì con abiti puliti, un paio di
lunghe braghe e una casacca di lino e lana che le scendeva un po' sulle
spalle. Tentò di domare i capelli scompigliati, ma alla fine
capitolò e optò per una semplice quanto pratica
coda.
Quando si distese sulla branda, gli unici rumori che erano rimasti a
farle compagnia erano il chiacchiericcio delle guardie fuori dalla
tenda e il cigolio metallico delle armature dei soldati che facevano la
ronda, suoni familiari che ben si sposavano alla silenziosa orchestra
della natura. Per un po' rimase concentrata su quella melodia, che fin
da quando era bambina aveva la capacità di calmarla, le
permise di avvolgerla e al suo respiro di allinearsi con
l'impercettibile palpito della terra in letargo. La consapevolezza di
quello che doveva fare emerse dalla sua coscienza e finalmente, quando
il sonno venne a prenderla, per la prima volta da quando era tornata in
vita la sua mente si sgombrò da ogni pensiero.
Marciarono a tappe forzate per altri cinque giorni, seguendo la stessa
procedura. I soldati pian piano smisero di parlare, vinti dalla fatica,
dal vento sferzante e dal freddo. I più religiosi rivolsero
spesso preghiere al dio Faelivrin affinché mitigasse il
tempo, ma il cielo non era mai sembrato tanto taciturno e lontano.
Il sole sorgeva pallido e quasi malato al di sopra della linea
dell'orizzonte e si mostrava a tratti, solo quando le nubi si
squarciavano, per poi ricompattarsi in un muro grigio e impenetrabile.
Anche allora la sua luce era appena sufficiente a scaldare la terra
che, prontamente, veniva raffreddata dai khaalesh che spiravano dal
mare verso l'entroterra.
Durante quei giorni Airis origliò le conversazioni dei
soldati. Apprese che la guerra, nei mesi precedenti, era proseguita
senza nessun evento straordinario, a parte la caduta di Llanowar di cui
ancora pochi si capacitavano. Il re aveva spostato la maggior parte
delle sue truppe al sud, contro Sheelwood, e ne aveva stanziate altre
nei pressi delle foreste vicine, attuando una strategia di guerriglia
per fiaccare il morale degli elfi e convincerli alla resa.
Airis si ritrovò a riflettere abbastanza di frequente sulla
decisione che aveva preso, dato che non aveva nessuno con cui
chiacchierare a parte Hallende, che, per quanto gentile, amava
impicciarsi un po' troppo. E poi il freddo pungente aveva portato con
sé anche tutte le malattie invernali, così
Hallende dovette assistere i soldati e non era raro che sparisse per
intere ore. Di conseguenza, la guerriera rimaneva nel carro o nella
tenda in compagnia dei suoi pensieri, che si rincorrevano come cavalli
imbizzarriti per poi convergere su un'unica persona: Ledah.
Erano passate poche settimane da che si erano separati a Luthien e
Airis lo pensava quasi sempre. Pensava a com'erano stati bene durante
quella settimana a casa di Copernico o la festa in maschera; ricordava
con piacere quei momenti e non poteva esimersi dal sorridere e provare
ad abbracciarsi come aveva fatto l'elfo mentre ballavano, illudendosi
di riuscire ad avvertire ancora il suo calore. A volte le pareva
davvero di avere le mani dell'elfo su di sé, che la
stringevano trasmettendole un senso di sicurezza e
tranquillità che serbava solo nelle memorie legate al padre
e al Generale Lullabyon. Poi le tornava in mente che Ledah era un elfo
e gli elfi erano il nemico, e si costringeva a scacciare quelle
sciocche fantasie.
Al settimo giorno, non appena Arghail diede l'ordine di accamparsi,
Airis restò a guardarlo da dietro la tela del carro in
attesa di potergli parlare, occasione che si presentò solo
dopo cena. Quando l'uomo entrò nella tenda, vestiva con gli
stessi abiti dell'ultima volta che si erano visti.
- Mi avete mandato a chiamare? - esordì Arghail con un
sorriso affabile.
- Sì, accomodati, sarà una cosa un po' lunga. Ah,
aspetta, vorrei che ci fosse anche Hallende. -
- Vado subito a cercarla. -
Il comandante uscì e pochi istanti dopo fece ancora il suo
ingresso, seguito dalla donna. Si sedettero davanti ad Airis con
espressioni serie e aspettarono di essere messi al corrente del motivo
del colloquio. Dopo qualche attimo di esitazione, la ragazza si accinse
a raccontare. Disse loro della disfatta del Rashaar, del viaggio
attraverso Llanowar e dell'alleanza con Ledah. Poi narrò
della fuga da Alfheim, dei sopravvissuti di Amount-vinya, di Myria,
Alan e Baldur, e infine del drago, dell'assedio di Luthien, di
Copernico e del suo sacrificio. Le parole fluirono senza ostacoli, in
un fiume ininterrotto e costante, e via via percepì il peso
che le gravava sull'animo alleggerirsi.
Arghail l'ascoltò paziente, interrompendola solo qualche
volta per chiedere dei chiarimenti su certi dettagli o persone, il viso
una maschera indecifrabile che non lasciava trapelare nessuna emozione.
Hallende la osservò senza battere ciglio, interessata e
partecipe, ma, al contrario del compagno, non si intromise mai.
Quando Airis terminò, il silenzio cadde sul trio. Arghail si
prese un tempo che alla guerriera parve infinito, per riflettere,
valutare e soppesare quello che lei gli aveva riferito. Anche se non
voleva darlo a vedere, era turbato e scettico.
- Quindi, ricapitolando, avete stretto un'alleanza con questo elfo,
Ledah, che vi ha ridato la vista mentre stavate viaggiando verso
Alfheim. Lì siete stati attaccati dal Generale Ignus, che
era diventato un non-morto, e vi siete divisi per poi ritrovarvi a
Luthien, dove avete incontrato un ricercato per alto tradimento che ha
fatto esplodere il gigantesco drago assieme all'esercito di elfi
non-morti. E i pochi superstiti sono stati massacrati dal Cavaliere del
Drago che era giunto in vostro aiuto. Ho dimenticato qualcosa? -
- No, in sostanza è tutto. -
Arghail sospirò e si passò una mano tra i
capelli. La luce dei bracieri illuminò il tatuaggio di una
farfalla posata su una stella, inciso a fuoco sulla pelle del collo,
proprio come quello di Hallende.
- Mi riesce difficile crederci. - mormorò, occhieggiando in
direzione della guaritrice.
Hallende incrociò lo sguardo dell'uomo. Ci fu un breve
dialogo silenzioso tra i due, durante il quale Airis si
sentì a disagio, come se fosse un'intrusa. Un minuto
più tardi, Arghail tornò a guardarla sorridendo e
Airis sentì il sudore freddo evaporare insieme al
nervosismo.
- In primo luogo, vorrei ringraziarvi per esservi confidata con me,
immagino non sia stato facile. -
Airis spostò l'attenzione su Hallende, che si
limitò ad alzare le spalle e a chinare lievemente la testa.
- Se il vostro racconto corrisponde a verità, le certezze
che ci hanno tenuti in piedi fino ad ora non hanno più alcun
valore. - continuò Arghail, - Ammetto che da un lato non
è arduo accettare l'idea che gli elfi abbiano fatto uso
della necromanzia, ma dall'altro non riesco a raccapezzarmi
dell'esistenza di un uomo uguale a Felther che ha preso il suo posto
per macellare degli innocenti. Ciò implica che quel...
quell'essere che ha ammazzato i sopravvissuti di Luthien e Amoun-vinya
è il vero Cavaliere del Drago e non una copia creata dalla
magia degli elfi per seminare zizzania tra di noi. Accidenti, questa
storia è talmente assurda che potrebbe davvero rimettere a
posto tanti tasselli. - un'ombra scurì le iridi viola e
Airis si irrigidì, - Ci sono alcuni buchi nella versione che
mi avete riferito, ma... va bene così. Non vi fidate ancora
del tutto di me, ne sono consapevole, e dopo quello che avete passato
lo capisco. Rispetterò il vostro silenzio e vi
aiuterò. - si alzò e le tese la mano, - Se dite
che Ledah è essenziale per capire cosa sia realmente
successo a Llanowar, cercherò di farvi giungere a porto
Eamone il più presto possibile. Ne va del destino di
Esperya, giusto? - stirò le labbra in un sorriso sghembo, ma
gentile.
La guerriera fissò per un lungo momento la mano che Arghail
le tendeva, poi si alzò e gliela strinse con fermezza.
- Vi ringrazio. - disse, guardando sia lui sia la guaritrice, - Grazie
per avermi creduto e per aver scelto di aiutarmi. -
- Lo avremmo fatto comunque. Conoscendo Arghail, non vi avrebbe mai
abbandonata. - Hallende gli tirò un pugno sulla spalla,
guadagnandosi un'occhiata truce, - Oh, dai, hai passato tutte queste
sere e tormentarti su cosa le era accaduto! Ti sono venute pure le
occhiaie per la preoccupazione. -
- Direi che “tormentarsi” mal si adatta a definire
il mio stato d'animo degli ultimi giorni, non ero poi così
disperato. - borbottò risentito Arghail.
- Certo, certo. -
- Non mi sono tormentato! - insisté piccato.
Improvvisamente l'atmosfera nella tenda divenne leggera, allegra e, nel
silenzio che li circondava, la guerriera si sentì di nuovo a
casa, rasserenata dalla vivacità delle battute che i suoi
due nuovi alleati si scambiavano. Hallende aveva una risata argentina
che metteva di buon umore, mentre Arghail riusciva a recitare bene la
parte del finto offeso, ma al momento giusto lanciava una battuta che
zittiva donna. C'era una complicità speciale tra loro.
Quando si congedarono per lasciarla riposare, Airis ricadde a peso
morto sulla branda. Si sentiva svuotata, ma il nodo che le serrava la
gola e le viscere si era sciolto come neve al sole. Chiuse gli occhi e
inspirò profondamente il profumo che proveniva dai bracieri
per via delle spezie che vi erano state gettate all'interno per
mitigare l'odore forte dell'olio rosso. Si fece cullare da quella dolce
fragranza e presto cedette al sonno senza opporre resistenza.
Intorno a lei c'era solo una distesa infinita di bianco, priva di
qualsivoglia punto di riferimento. Airis sapeva dove si trovava e non
si sorprese quando vide Cyril andarle incontro. Le sottili e candide
ali che aveva al posto delle orecchie la sostenevano in volo, sbattendo
forti e aggraziate a ritmo sincronizzato.
- Ottimo lavoro, sono fiera di te. - le disse con voce flautata, che le
accarezzò le orecchie, calma e melodiosa, come il mormorio
dell'acqua di un ruscello.
- Ti riferisci al fatto che mi sono fidata, oppure che ho trovato il
prossimo erede al trono? -
Cyril si limitò a sorridere e Airis non se ne ebbe a male,
poiché in fondo sapeva che non le avrebbe risposto.
- Perché mi hai chiamata? Non penso ti interessino le mie
condizioni di salute. -
- È mio dovere preservare, per quanto possibile, la salute
fisica del Guardiano. Quindi sì, ti ho riportata qui
perché volevo parlarti. Quando sei entrata nella Casa della
Cenere, gli spiriti hanno legato subito l'anima al corpo e io non ho
fatto in tempo a dirti delle cose. -
- E adesso è arrivato il momento delle spiegazioni? Ero
convinta che avrei dovuto cercare tutte le risposte da sola. -
- Ascoltami, ti prego. Il processo che ti ha riportata in vita
è stato più rapido di quanto credessi, forse i
Guardiani avranno ritenuto opportuna la tua presenza nel mondo
materiale. Ormai tu non sei più né un essere
umano né una Risvegliata, Airis. La magia ti ha resa
più potente e ha temprato il tuo corpo rendendoti molto
più forte di qualsiasi creatura esistente. I maghi ti
chiamerebbero Homunculus, cioè un essere che racchiude in
sé l'energia primigenia dell'universo, che lo alimenta e gli
permette di vincere i limiti umani. -
- Quindi il corpo che ho trovato nella radura... -
- Era il tuo vecchio corpo, un guscio vuoto che è stato
donato alla terra. - completò Cyril.
Airis deglutì e si passò le mani sul viso e tra i
capelli. Aveva già vagliato quella possibilità,
ma averne la conferma era un'altra questione.
- Abbine cura, Airis, poiché l'energia che alimenta il tuo
corpo non è eterna. Col passare dei mesi, si
esaurirà. A differenza di quello degli altri Guardiani, il
tuo corpo non ha subito una mutazione, è stato proprio
ricreato dal nulla. Plasmando l'energia che vivificò il
Mondo Nato dal Nulla, la tua anima è stata ricucita a un
nuovo contenitore, nato dall'unione degli elementi che compongono tutto
ciò che esiste. La cicatrice sul cuore è il tuo
orologio e le lancette sono il tatuaggio che si disegnerò
attorno ad essa. Alla fine, quando si sarà preso ogni
centimetro della tua pelle, il tuo tempo scadrà. -
- Immagino di non poterlo fermare... -
- No, per questo è importante che tu ristabilisca
l'equilibrio in fretta. - sospirò e il suo sguardo si perse
nel vuoto per un istante, prima di spostarsi di nuovo su di lei, - Devi
andare a Sershet, salvare Ledah e trovare Amarnwyn. Non temere, io
rimarrò sempre al tuo fianco, anche se non potrò
parlare con te. -
- Lo farò, lo prometto. - la rassicurò Airis con
un sorriso.
Avrebbe voluto aggiungere che lo faceva perché sentiva il
bisogno di rivedere Ledah, di dirgli che la promessa che si erano
scambiati a Luthien per lei era ancora valida, invece restò
in silenzio. I sentimenti, di qualsiasi natura fossero, dovevano
rimanere fuori da quella storia.
Cyril incatenò gli occhi a quelli di Airis, che si
sentì nuda, esposta di fronte a quelle iridi che sapeva
essere capaci di leggerle dentro. Poi chinò il capo in segno
di saluto e le diede le spalle, lasciando che fossero i piedi e la
memoria del suo corpo a condurla fuori da quel luogo, che era ovunque e
da nessuna parte.
Mentre camminava, la voce di Cyril le giunse alle orecchie come un'eco
lontana.
- Airis, la tempesta è vicina. -
La guerriera si voltò di tre quarti, incontrando ancora
l'espressione seria di Cyril, le sue ali candide che si confondevano in
quel bianco infinito.
- Che giunga, io la sto aspettando. -