12
Chelsea.
Lesley
è preoccupata, lo
vedo da come mi osserva, ma nonostante il tumulto che mi sta scuotendo,
mi
sento abbastanza bene persino soddisfatta di me stessa.
Aaron
non mi ha persa di
vista per tutto il pomeriggio, come se fossi sul punto di crollare, ma
la
verità è che non mi sento sul punto di collassare.
Sono
scossa, è vero,
perché il comportamento di Adrian mi hanno fatto pensare a
quanto mi sia
sentita impotente contro mio padre, ma il pensiero razionale sta
vincendo sulla
paura.
Lui
non mi farebbe mai del
male e questo mi basta.
Alla
fine sono rimasta al
pub, anche perché nella mia stanza non avrei avuto niente da
fare e non avevo
assolutamente voglia di voltarmi continuamente a guardare la porta di
comunicazione, sperando in una comparsa di Meredith che non sarebbe mai
avvenuta.
Così
sono rimasta qui, ha
chiacchierato con Lesley, cercato di tranquillizzare Aaron, che era
evidente
non fosse abituato a gestire le emozioni di una ragazza e ho aiutato
Jillian a
preparare le cose per la serata.
Voleva
che riposassi, dato
che era uno dei miei giorni liberi, ma le ho detto che lo avrei fatto
dopo
averla aiutata in quell’ingrato compito.
Cucinare
è il meno.
Preparare gli ingredienti, marinare la carne e preparare
l’impasto dei tacos
del giorno dopo è la cosa più impegnativa.
Mi
sono occupata prima di
tutto dell’impasto, perché lavorarlo mi aiuta a
non pensare e mi fa scaricare
le energie. Dopo aver finito mi ritrovo sempre con le braccia e le
spalle
irrigidite e doloranti, ma psicologicamente sono piuttosto soddisfatta.
“Allora,
vuoi dirmi perché
sei qui, a lavorare, invece che a trascorrere la domenica con la tua
famiglia?”
La
domanda mi ha preso un
po’ alla sprovvista, ma me lo sarei dovuta aspettare,
perché Jillian ha sempre
dimostrato di essere incuriosita dai motivi che mi hanno portata a
lavorare al
Blue Moon.
Ho
pensato di evitare la
domanda, ma lei mi ha raccontato un po’ della sua vita,
quindi mi è sembrato
giusto ricambiare.
“Non
c’è nessuno con cui
vorrei trascorrere questa giornata. Rimanere al dormitorio, sperando
che la mia
amica decidesse di farsi viva e condividere con me i suoi problemi non
mi è
sembrata una buona idea. Per cui sono venuta qui. Almeno qui non mi
sento sola
ed inutile!”
Mi
sono lasciata andare
eccessivamente, ma alla fine io sono così. Non sono brava a
mantenere i
segreti, a non esprimere le mie emozioni.
L’espressione
di Jillian
si è adombrata e mi ha guardata, cercando di capire cosa
intendessi.
“E
i tuoi genitori? Non
siete legati?”
Come
al solito, pensare a
mio padre ha riaperto quella ferita non ancora richiusa, ma adesso
è più facile
non farsi sopraffare dalla tristezza. La ferita sta guarendo, ha smesso
di
sanguinare. Ci vorrà del tempo e forse non
guarirà mai del tutto, perché il
tradimento è stato troppo grande, ma ho fatto pace con me
stessa e so che non è
colpa mia. Non lo è mai stata e io non sono responsabile dei
suoi
comportamenti, delle sua paure e paranoie, delle sue aspettative. Non
sono
stata io a mettergli la bottiglia in mano e dirgli di bere. Non sono
stata io a
dirgli di picchiarmi, quindi mi rifiuto di sentirmi in colpa.
“Ero
molto legata a mio
padre, ma non ero la figlia che avrebbe voluto, quindi ci siamo
allontanati.”
Come
riassunto può andare.
Sebbene mi trovi molto in sintonia con Jillian, raccontarle ogni cosa
mi sembra
un po’ azzardato. Dopotutto non ho mai raccontato tutta la
verità nemmeno a
Meredith.
Jillian
è rimasta molto
colpita dalla mia risposta, ma ha lasciato cadere l’argomento
con una frase
semplicissima.
“Tu
vai bene così come
sei. Sei una bravissima ragazza e spero che Allyson superi in fretta
questa
fase e diventi come te.”
Le
sue parole in qualche
modo mi hanno colpita, perché a parte Meredith, nessuno me
le ha mai dette.
Ho
continuato a lavorare
in silenzio, immersa nei miei pensieri.
Una
volta finito sono
tornata da Lesley, ormai impegnata con i clienti della sera in attesa
della
partita dei Broncos.
Insieme
a lei c’è un
ragazzo snello e con i capelli alla punk-rock scuri poco più
grande di me. Si
chiama Denis e lavora con Lesley da quasi un anno. Indossa una
maglietta a
maniche corte blu e un paio di jeans che quasi sembrano cuciti addosso.
Betty
Jo e Gilda, le due
cameriere di servizio stasera, ogni volta che si avvicinano al bancone
per
lasciargli un ordine o ritirarne uno sbattono le ciglia con fare
civettuolo, ma
lui non le calcola minimamente.
Le
due ragazze sono
entrambe snelle e con capelli e occhi scuri, ma Betty Jo è
una decina di
centimetri più alta di Gilda e con la carnagione abbronzata,
in netto contrasto
con quella lattea dell’altra.
Ogni
volta che le vedo,
indossano pantaloncini in jeans striminziti oppure gonne cortissime ed
estremamente aderenti.
Eppure,
nonostante i loro
sforzi e le magliette fin troppo
scollate, Denis non le ha mai degnate di una seconda occhiata.
Sarò
anche ingenua, ma
riesco a capire quando una ragazza è interessata ad un
ragazzo.
Anche
se non mi è mai
capitato, sono andata al liceo e so che le ragazze assumono
atteggiamenti
provocanti solo quando sono interessate a fare colpo su qualcuno.
Mi
siedo su uno sgabello
libero, mentre al televisore in fondo alla sala va in onda il
pre-partita.
Lesley
mi fa cenno di
aspettare, ma Denis arriva prima di lei e mi passa una cola fredda.
“Grazie
mille!”
Lui
mi sorride e torna ad
occuparsi dei suoi complessi cocktail.
Denis
è un ragazzo a posto
e decisamente simpatico. Non si prende troppe confidenze e non mi
osserva
troppo attentamente.
Quando
sono al bar, cosa
che ad una certo ora evito di fare, finisce sempre che qualcuno mi
guardi con
troppa insistenza, mettendomi a disagio.
Nonostante
negli ultimi
mesi, un po’ a causa dell’inappetenza e un
po’ a causa del lavoro, sono
dimagrita moltissimo e non sono più esageratamente formosa
come prima, ma
nonostante i chili persi, il seno è rimasto abbondante e
attira ancora troppo
l’attenzione.
Nonostante
usi magliette
con il collo tondo è più che evidente e mi sento
molto a disagio con me stessa
per questo.
Lo
sguardo lascivo che
alcuni mi rivolgono mi fa rivoltare lo stomaco, ma so che è
normale, che la
malizia fa parte de questo mondo, ma nonostante ciò, non
riesco a non essere
disgustata dalla sensazione di sporco che quegli occhi curiosi mi
lasciano
addosso.
Poggio
i gomiti sul
bancone di legno in
modo da nascondermi
un po’ e osservo come rapita i movimenti di Denis.
Don
una mano prende una
bottiglia e con l’altra versa un po’ di liquido
rosa, che a me sembra sciroppo
alla fragola, dentro un contenitore di metallo.
Lo
osservo fare il
giocoliere con due bottiglie, versare un po’ del loro
contenuto nel recipiente
e poi rimetterle al posto con un movimento rapido del polso.
Lo
osservo ripetere tutti
quei movimenti, per me impossibili anche se ci provassi per anni.
Sono
troppo imbranata,
troppo scoordinata per far compiere ad una bottiglia un giro di
trecentosessanta gradi senza versarne nemmeno una goccia.
“Chelsea?”
Volto
la testa e mi trovo
davanti la persona che meno mi aspettavo di vedere.
Meredith
ha i capelli
rossi raccolti in una coda di cavallo, gli occhi verdi circondati da
brutte
occhiaie violacee e il viso più scavato di quanto
già non fosse l’ultima volta
che l’ho vista.
Indossa
una maglietta
rossa eccessivamente larga e un paio di pantaloni felpati neri che
mettono in
evidenza la magrezza eccessiva delle sue gambe.
È
evidente che non sono
l’unica ad aver passato un brutto momento, ma questo, per
qualche motivo, non
mi fa intenerire.
Sono
una pessima persona,
ma non riesco a non essere offesa per il comportamento che ha avuto con
me.
Aveva
promesso che mi
sarebbe stata vicina, che anche se non abbiamo legami di sangue sarebbe
stata
la mia famiglia, ma mi ha lasciata sola
e non mi ha permesso di essere a mia volta un pezzo della
sua famiglia e
aiutarla a stare meglio.
Mi
ha evitata per più di
un mese e adesso è qui, davanti a me, che mi guarda come se
non ci vedessimo da
due giorni invece che da cinque settimane.
Eppure
queste settimane
per me sono state dure e qualcosa dentro di me è cambiato.
Non voglio
accontentarmi delle briciole, di passare del tempo con lei solo
perché non ha
niente di meglio da fare.
Prima
di Meredith non ho
mai avuto un amica, ma sono sicura che l’amicizia non sia
vedersi solo quando
serve.
Sì,
quando ho avuto
bisogno di lei, quando le ho chiesto aiuto, lei
c’è stata, ma non mi basta. Al
momento, sento di non poter fare affidamento su di lei.
Un
mese senza notizie,
dove mi ha escluso completamente dalla sua vita, hanno minato il nostro
rapporto e non posso farci nulla.
È
doloroso ed egoistico e
trovarmela di fronte ora. Non può decidere da sola quando
essermi amica e
quando no.
Ho
il cuore stretto in una
morsa dolorosa, pesante come se lo avessero rivestito con una maglietta
di
piombo.
“Cosa
vuoi, Meredith?”
Il
tono della mia voce è
più duro e triste di quanto non avrei voluto, ma sono
pessima nel nascondere
ciò che provo.
Vedo
la luce dei suoi
occhi affievolirsi
un po’ e le spalle
incurvarsi, come gravate da un grosso peso.
“Possiamo
parlare? Per
favore?”
Vorrei
dirle di no, che
non abbiamo più niente da dirci, ma non ce la faccio.
Nonostante tutto,
nonostante ora siamo così lontane, nonostante la vicinanza,
il mio affetto per
lei è ancora intatto.
Sono
patetica.
Faccio
un cenno a Lesley e
poi uno a Meredith, indicandole di seguirmi e la conduco fino allo
spogliatoio,
decisamente più silenzioso della sala.
Qui
il rumore del mio
cuore forsennato che batte è ancora più forte.
Mi
fermo al centro della
stanza, incrociando le braccia sotto al petto per cercare di
proteggermi da
tutte le emozioni che mi stanno bombardando.
Meredith
è vicina alla
porta, ora nuovamente chiusa e si dondola da un piede
all’altro, incapace di
guardarmi.
“Allora?”
Odio
la mia voce, odio
sentirmi così vulnerabile e arrabbiata. Il rancore non
è un sentimento che
conosco, ma sono due giorni che mi scava dentro senza che io riesca a
fermare
la sua avanzata.
Odio
me stessa per non
riuscire a perdonarla anche se è ovvio che è
stata male quanto me.
.Eppure
mi deve una
spiegazione. Dopo tutto quello che è successo, merito di
ricevere delle scuse.
Come
se il mio pensiero
fosse giunto alle sue orecchie, le scuse arrivano, ma non mi fanno
sentire
meglio, per nulla. Mi seno ancora peggio, meschina addirittura,
perché non
leniscono minimamente il dolore sordo che mi toglie il respiro.
“Mi
dispiace, Chels!”
La
osservo, mentre le sue
parole mi si piazzano sullo stomaco e rischiano di farmi risalire la
cola.
“Per
cosa, Meredith? Per
avermi esclusa dalla tua vita, per avermi fatta preoccupare o
più semplicemente
per non esserci stata e non avermi permesso di esserci? Per cose ti
stai
scusando esattamente.”
Mi
sento male, non riesco
a respirare, ma le parole mi escono di bocca prima che riesca a
fermarle e, da
un lato, mi fanno sentire meglio, ma dall’altro decisamente
peggio.
Perché
non riesco ad
essere la buona fedele che sono sempre stata? Un anno fa, probabilmente
l’avrei
perdonata senza pensarci due volta, ma ora mi viene difficile anche
solo
pensare di farlo.
Ciò
che so dovrei essere è
entrato in contrasto con quella che sto diventando, la vera me stessa,
ma non
sono sicura mi piaccia quello che sto scoprendo.
Osservo
Meredith scuotere
la testa, l’espressione mortificata.
“Per
tutto. Per ogni
singola cosa, ma soprattutto per non essere riuscita a mantenere la
promessa
che ti ho fatto. Avevo promesso che sarei stata la tua famiglia, ma non
l’ho
mantenuta. Mi sono rinchiusa nel mio dolore e ti ho allontanata
perché volevo
semplicemente stare da sola. La cosa peggiore è che per
tutto il tempo non ho
minimamente pensato a quanto male ti stessi facendo.”
Si
passa una mano sul
viso, appoggiandola sulla fronte come per coprirsi gli occhi, ma
all’ultimo cambia
idea e punta gli occhi, lucidi di lacrime su di me.
In
essi posso leggerci una
muta supplica.
Perdonami.
Sento
a mia volta gli
occhi riempirsi di lacrime, mentre la nostalgia inizia, pian piano, ad
allontanare il rancore.
“Ho
detto a me stessa che
ti stavo aiutando per il tuo bene, ma alla fine era solo un mio
desiderio
egoistico. Tu ti sei fidata di me, hai lasciato che ti mostrassi tutto
quello
che ti eri persa e a causa di ciò hai perso la tua famiglia.
Dopo di che, non
appena ho avuto un problema, per quanto grave, ti ho lasciata sola,
abbandonata
a te stessa. Non me lo perdonerò mai Chelsea,
perché non importa quanto sia
stato difficile per me, avrei dovuto
pensare a cosa ti stavo facendo. È tutta colpa
mia. Tu ci hai provato,
hai bussato così tante volte alla mia porta che è
un miracolo che non si sia
rotta, ma ero così trincerata dietro al mio dolore che non
ho pensato, nemmeno
per un istante, che anche tu stessi soffrendo e fossi preoccupata per
me.”
Fa
una pausa, mentre le
lacrime appena trattenute iniziano a scivolarmi lungo il viso.
“Ti
prego, perdonami per
essere stata così egoista.”
Mi
porto le mani sulla
bocca per trattenere i singhiozzi, ma le lacrime ugualmente parlano per
me.
Mi
è mancata così tanto la
mia amica. La persona che per la prima volta è riuscita a
farmi sentire una
ragazza normale. Una persona che, lo so, mi avrebbe voluto bene anche
se non
avessi cambiato aspetto.
Meredith
non si sarebbe
mai vergognata di me.
Non
è vero che mi ha
aiutata solo per egoismo. Mi ha aiutata a scoprire me stessa
perché ne avevo
bisogno.
Punto
lo sguardo,
offuscato dalle lacrime, su di lei e
annuisco, incapace di pronunciare una sola parole e un istante dopo
siamo
strette in un abbraccio, mentre mi lascio andare ad un pianto
liberatorio.
Mi
sento svuotata, ma la
cosa più incredibile è che anche Meredith sta
piangendo, mostrandomi un lato di
se che finora non avevo visto e, quasi, immaginavo esistesse.
Mostrarmi
le sue lacrime,
la sua fragilità, probabilmente è
l’atto di fiducia più grande che lei possa
fare.
“Scusami
anche tu. So che
sei stata male e mi sento davvero meschina per essermi arrabbiata con
te.”
Lei
si allontana
leggermente per potermi guardare negli occhi e scuotere la testa.
“Ne
hai tutto il diritto.
Sono stata imperdonabile. Non sei affatto meschina. Avrei capito se non
mi
avessi perdonata subito. Sei troppo buona e io me ne sto approfittando,
ma farò
di tutto perché ciò non accada più, te
lo prometto.”
Mi
asciugo le lacrime e
prendo fiato, cercando di ritrovare la voce.
“Non
so cosa ti sia
successo, ma per qualsiasi cosa, io sono qui. Sentiti libera di
parlarmi di
tutto quello che vuoi!”
Un
sorriso dolce, ma
estremamente triste incurva le sue labbra.
“Oh,
Chels, non sai quante
cose ho da raccontarti. È stato davvero un periodo
orribile..”
Si
interrompe, mentre un
sorriso sfavillante prende il posto di quello triste di pochi secondi
fa.
“…ma
non sono mai stata
così felice in vita mia. Finalmente le cose stanno andando
per il verso giusto,
Chels. Sta andando tutto al suo posto e se c’è una
persona con cui voglio
condividere la mia gioia, la mia felicità, quella sei tu.
Prima di conoscerti
non avrei mai creduto nell’impossibile, ma se ho tenuto duro,
è solo grazie a
te e a quello che con la tua fede mi hai insegnato.”
Mi
abbraccia di nuovo e
questa volta non c’è più ombra di
tristezza mentre ci stringiamo.
In
qualche modo, questa
riconciliazione, mi ha liberata da quella pesante cappa che mi stava
avvolgendo
e mi impediva di respirare.
Non
voglio mai più essere
così triste, così arrabbiata. Non mi piace
sentirmi così.
Un
leggero bussare ci fa
sobbalzare e allontanare. Mezzo istante più tardi, la porta
si apre e fa capolino
la testa di Lesley.
Ha
un espressione
preoccupata.
“Chelsea,
potresti venire
un momento di la? C’è un ragazzo che chiede di te
e credo abbia bevuto. Aaron
ha provato a convincerlo ad andarsene, ma ha detto che non si
muoverà di qui fino
a quando non ti avrà parlato.”
Rimango
perplessa per
alcuni secondi, mentre mi chiedo chi mai possa volermi parlare. Non
conosco
quasi nessun ragazzo e nessuno di questi po’ avere un valido
motivo per
insistere così tanto.
“Sì,
certo. Abbiamo
finito. Arrivo subito.”
Lei
annuisce e con un
ultima frase si eclissa.
“Fai
in fretta. La situazione
si sta scaldando.”
Mi
volto a guardare
Meredith e lei è perplessa quanto me.
“Scusami,
ma non ho
davvero idea di chi sia e non vorrei che per colpa mia succedesse
qualcosa di
brutto.”
Lei
scuote nuovamente la
testa, comprensiva.
“Ma
figurati. Andiamo a
vedere chi è lo scocciatore, così poi
potrò raccontarti tutto quello che non ti
ho detto prima!”
La
prima cosa che noto,
appena varcata la porta basculante che collega la zona dipendenti dalla
sala
principale, è il capannello di persone vicino
all’ingresso del locale.
Aaron
è vicino alla porta
e mi da le spalle. Parla con qualcuno in modo concitato e sembra sul
punto di
perdere la pazienza.
Mi
faccio largo a spallate
per raggiungerlo il prima possibile, cercando di ignorare il cuore che
nuovamente batte come impazzito nel mio petto.
“Aaron,
eccomi. Che sta
succedendo?”
Lui
si volta a guardarmi,
l’espressione truce e impotente al tempo stesso.
“Non
ne ho idea. È lui che
sta dando di matto.”
Si
sposta leggermente,
permettendomi così di vedere chi c’è
dall’altra parte, chi è che sta cercando a
tutti i costi di entrare nel locale.
Il
cuore mi salta in gola
alla vista dei suoi occhi gonfi e iniettati di sangue, tipici di chi ha
alzato
troppo il gomito.
La
voce mi esce come un
sussurro, mentre vengo nuovamente bombardata da una serie di emozioni
quasi
incomprensibili.
L’unica
cosa certa, al
momento è che sono molto, molto, sorpresa, soprattutto visto
come è finita l’ultima
volta che ci siamo trovati faccia a faccia.
“Adrian,
che ci fai qui?”
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