221A e 221B

di sissir7
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“Senti qua.” Sherlock si schiarì la voce.
“ ‘La morte è il trionfo della vita.
Per la morte viviamo, poichè siamo oggi soltanto, perché moriamo per ieri.
La morte attendiamo, poichè possiamo solo credere nel domani per la certezza nella morte di oggi.
Per la morte moriamo quando viviamo, poiché vivere è negare l’eternità!
La morte ci guida, la morte ci cerca, la morte ci accompagna.
Tutto ciò che abbiamo è morte, tutto ciò che vogliamo è morte, è morte tutto ciò cui desideriamo anelare.’ ”
I suoi occhi si fermarono su quella pagina che accarezzava con le dita che seppur voleva controllare, tremavano appena.
“Buongiorno anche te.” Replicò John stanco, che si portò un braccio davanti agli occhi ancora chiusi.
La testa del suo ragazzo era poggiata sulla sua pancia e i ricci un po' lo solleticavano ad ogni respiro.

Sherlock chiuse il libro e se lo poggiò sul petto. Pensava a quella dannata cosa che aveva appena letto e non aveva mai capito cosa era la paura della morte fino a quel momento ma la cosa assai più strana è che non aveva paura. Quella paura che aveva capito non era la sua, la sentiva lontana. Non aveva mai avuto paura di morire perché non aveva mai avuto un motivo plausibile per voler vivere e anche se con John ad accarezzargli i capelli in quel momento poteva fermamente dire che una ragione ce l’aveva, non pensava che la sua perdita sarebbe stata una cosa da temere. Aveva tutto ciò che voleva e la morte sarebbe stata la fine giusta.
La fine, ma una fine plausibile come l’inizio della vita. Non erano forse la stessa cosa? Gli iniziò a far male la testa per quanto pensava.
“Dannazione.”
Disse calmo e fece un respiro profondo. John sembrava essersi riaddormentato ma poi disse:
“L’hai letto tutto il libro, vero?” con il tono di chi già sapeva la risposta.
Sherlock si mosse e poggiò il libro sul comodino per poi mettersi a pancia in giù, baciando piano la pancia di John che rise, sorrise per la sensazione di quelle labbra. Il libro era “Il secondo libro dell’inquietudine” di Pessoa, il secondo libro preferito di John perché il primo era, sorpresa sorpresa, “Il libro dell’inquietudine”, fondamentalmente il prequel del secondo.
“Pessoa è un genio.” Commentò Sherlock, sincero.
Strofinava appena le labbra su quella pelle. John alzò il braccio per guardarlo non poco piacevolmente sorpreso.
“Davvero ti piace?”
“A volte troppo melodrammatico ma nell’insieme è un capolavoro. Originale. Coinciso, il che è fondamentale.”
Continuava con i piccoli baci.
“Sei così morbido John, lo farei tutto il giorno.” John rise piano. Era adorabile.
“Pessoa è il mio eroe. Vorrei tanto fosse vivo per farci una di quelle chiacchierate lunghe un pomeriggio, hai presente? Gli chiederei minimo mille cose.”
Quei due libri erano, per John, la sua anima fatta ad inchiostro. Il che era un pensiero tristissimo se hai letto quei libri. John li portava sempre con se, letteralmente ovunque. Ogni giorno. Erano un pezzo di lui. Come un altro arto che gli serviva per sopravvivere. Sherlock si alzò e si stiracchiò per bene. Si massaggiò un po' la spalla dolorante. Sentiva ancora il segno dei denti di John sui polpastrelli. Aveva il pigiama e John ne fu un po' dispiaciuto. Quel corpo già gli mancava. Alzò le coperte e indossava i boxer.
“E questi?”
“Te li ho messi io.”
Disse Sherlock. Scostò le tende e aprì la finestra. Entrò l’aria fresca di prima mattina, quel tipo di aria che sembra che la notte l’abbia ripulita per bene. John prese il cellulare e vide l’ora. 7.30.
“Cristo, abbiamo dormito solo quattro ore e mezza.” Si lamentò.
“Abbiamo fatto tardino ieri in effetti. Colpa mia.” Gli disse Sherlock facendogli l’occhiolino.
John si rigirò piano nel letto non togliendo lo sguardo di dosso a Sherlock.
“Dio, che mal di schiena.”
“Sempre colpa mia.” John rise.
“Già.”

Sherlock fissava la città che era sveglia in quel martedì mattina ordinario per gli altri e straordinario per lui e per qualche secondo chiuse gli occhi come esausto.
“Non hai dormito.” Disse John, arricciando le sopracciglia.
“Come potevo?”
“Stai bene?” John si tirò su e si sedette.
“Ne vuoi parlare?” Sherlock si girò e fece spallucce.
“Sto più che bene. Ma non smettevo di guardarti quando ti sei addormentato e allora il sonno non era importante e…”
John aprì la bocca per dire qualcosa ma sospirò soltanto.
“Puoi venire qui?” Sherlock si sedette al suo fianco e gli prese la mano nella sua.
“No, ho detto vieni qui. Su di me.”
Sherlock alzò gli occhi al cielo e si sedette sul ventre di John che adorava il modo in cui gli stringeva la vita con le gambe.
“Sono stanco, non ce la faccio a”
“Col mal di schiena che ho è il mio ultimo pensiero.” Sherlock abbassò la testa.
“Ok, magari penultimo.” Aggiunse John e lo fece sorridere.
“Quella frase che hai letto sulla…morte. Ci credi? Credi che sia tutto quello che abbiamo?” Sherlock deglutì.
“N-no. Ma ora mi sembra più reale che mai. E non ho paura, John.”
“Neanche io.”
Sherlock annuì e poi chiese con tutto il coraggio che poteva racimolare:
“Dovremmo averne?”
John gli accarezzava le braccia.
“No, non dobbiamo.”
Quella frase detta con così sicurezza e quella che sembrava anche fierezza fece sentire Sherlock forte come mai.
“Sul serio non hai proprio dormito?”
Stava per rispondere ma gli occhi di Sherlock si spostarono sopra alla testa di John e notando qualcosa, inclinando la testa e indicandola, disse: “Ops.” John si voltò.
All’altezza della testiera in legno del letto c’erano segni marrone scuro proprio di quel legno, anch’esso rovinato al bordo.
Aveva sbattuto forte e ripetutamente troppe volte quella notte.
“Cazzo.” Commentò John in una risata che trattene con la mano alla bocca.
“Questa è colpa tua John.”
“Mia?”
“Assolutamente. Eri tu sopra di me al terzo round e non ti reggevi neanche, ti sei aggrappato tu lì come una furia.”
“Anche tu, dopo.”
“Sbagliato. Mi sbattevi tu contro e, a proposito, mi fa malissimo la spalla.”
“Tu mi hai chiesto di farlo!”
“Ok! Va bene, sì. Ma sei tu l’artista qui e ridipingi tu.” John fece un lungo respiro.
“Tu faresti un disastro effettivamente.”
“Esatto.”
John continuò a guardare il muro rovinato.
“Non ci voleva.”
“Te ne penti?” chiese Sherlock sussurrandoglielo all’orecchio. John l’abbracciò.
“Ovvio che no.”
Rimasero per un po' abbracciati, stretti.


“Grazie.”
“Stai scherzando vero, Sherlock?”
“No, sul serio. Grazie.”
John gli scostò dei ricci ribelli dalla fronte.
“L’abbiamo fatto insieme, non c’è nulla per cui ringraziarmi.”
“Lo so ma sei stato…così attento. Sentivo che ti importava quello che desideravo. Sentivo che avresti messo in secondo piano quello che tu volevi per farmi avere ciò che io volevo.”
“Tutto quello che volevo era vederti felice. A tuo agio. E tu hai fatto lo stesso con me.”
Sherlock annuì.
“Ci ho provato.” John gli baciò il collo.
“Ci sei riuscito.”
“Ti amo, John.”
Lo disse quasi contemporaneamente.
Seguì i brividi di John che gli apparvero sulla schiena dopo quella sua frase. Non voleva altro. Si distese sulla sua parte di letto e così, all’improvviso, si addormentò.

John si alzò. Era tutto così silenzioso. Forse sentiva perfino il respiro di Sherlock. Ogni tanto il brusio della città si faceva più forte e qualche risata raggiungeva la stanza. Lì giù, la gente stava comminando, parlando al cellulare, aspettando, correndo, mangiando. Vivendo. Sorrise.
Andò in cucina e preparò la colazione.
Pancakes, i suoi preferiti, con panna e frutta. Si erano fatte le dieci e Sherlock ancora dormiva. Gli preparò quel ragù che aveva promesso per pranzo. Sorseggiava il tè, al centro del divano, gambe incrociate, mentre guardava Sense8. Serie tv che aveva rivisto quattro volte ma non avrebbe mai rinunciato a rivedere. Dopo aver pianto per centesima volta alla fine del suo episodio preferito andò in camera. Sherlock se ne stava rannicchiato nel letto, gambe quasi al petto e tutto quello che passava per la testa di John era
“Non voglio perderlo.”
Erano quasi le undici e decise di svegliarlo altrimenti quella sera non avrebbe dormito, di nuovo.
“Ehi.”
Accarezzò il viso rilassato che piano sorrise.
“Quando mi dici ‘Ehi’ così, è bellissimo.”
La sua voce era ancora più bassa del solito se era possibile.
“Anche ieri, quando piangevo, mi hai detto ‘Ehi’ dolcemente. Mi sono sentito a casa. Quella bella sensazione che si ha dopo che sei tornato, che ne so, tipo da lavoro dopo dodici ore fuori casa e hai mangiato un pranzo orribile e sciapo e il caffè non ti ha tenuto abbastanza sveglio. Ti si è bloccato il computer per qualche assurda ragione e la metro ha fatto ritardo. Tutto sembra veloce, la giornata è volata ed è stata insostenibile. Però poi apri la porta di casa, quella che ha le tue foto, i tuoi odori, i tuoi calzini preferiti nel cassetto e senti quello che solo il silenzio dopo ore di rumore di fa sentire.”
Aveva gli occhi chiusi mentre parlava.
Muoveva solo quelle bellissime e perfetta labbra.
“Senti quei muri accoglierti, la porta chiudersi per lasciare oltre la giornata. Entri nel tuo paradiso. Ti senti a casa. È finito tutto, va tutto bene. Sei a casa.”
John era in ginocchio di fronte a lui.
“John?”
Non sentiva risposta e aprì gli occhi ancora un po' rossi.
“Tu sei fuori di testa.” Assonnato si alzò poggiandosi su un gomito.
“E te ne sei accorto solo ora?” John rise e lo spinse di nuovo giù sul letto.
“Alzati dai. Ci sono un paio di cose che vorrei fare e una di queste è una doccia. Che coinvolge anche te.”
Si avviò in bagno dopo aver dato un bacio sulla fronte di Sherlock che dopo un po' fece come gli era stato detto.
Si alzò ancora assonnato e andò in bagno dove John già era sotto l’acqua che scorreva forte.

Entrò e si poggiò a John per non scivolare. Era una doccia grande, di quelle in vetro, eleganti, che tutti sognano. L’acqua tiepida e piacevole lo era ancora di più con John lì ad insaponarlo.
“No, non è il caso di farmi lo shampoo, saranno indomabili dopo.”
“Come lo sei stato tu stanotte, Sherlock?”
“Wow, ti ho servito questa scontata battuta su un piatto d’argento, vero?”
Intanto John massaggiava i ricci di Sherlock che divennero come una grande nuvola bianca.
“Gli occhi John. Ho lo shampoo negli occhi.”
“Sei irritante.”
“Lo shampoo negli occhi è irritante.”
John alzò gli occhi al cielo.
“Verranno benissimo.”

Una volta chiusa l’acqua, si guardarono per un istante.
John gli prese le mani e intrecciò le dita nelle sue, per poi alzarle e baciarle.
Sherlock si avvicinò e, piano, era su John che fu costretto a indietreggiare fino ad incontrare con la schiena le fredde mattonelle.
Sherlock lo baciò.
“Ti vorrei di nuovo.” Disse, baciandolo ancora sul mento, sul collo.
Gli afferrò la gamba, la alzò, stringendo la coscia al suo corpo.
Sentiva perfettamente che anche lui lo voleva.
“Lo so. Ma abbiamo tempo.” John si sforzò di non chiudere gli occhi altrimenti non avrebbe fatto ritorno.
“Lo spero.”

Gli occhi di Sherlock si posarono sul braccio destro di John.
“Adoro i tuoi tatuaggi.”
Dalla spalla fino al gomito, delle grandi rose ornavano la sua pelle. Tra quelle rose spuntavano piccole margherite qui e lì. Sherlock ci passava le dita tentando di sentire quei petali sotto i polpastrelli per quanto sembravano reali. John tese il braccio in avanti.
“Sono i fiori preferiti di mia sorella ma non lo sapevo. Solo dopo che fu finito mia sorella me lo disse.”
Più in basso, poco sotto l’incavo del braccio, c’era un cuore avvolto in una specie di fascia e al centro scritto empathy. “Empatia.” Lesse Sherlock.
“Ne abbiamo davvero bisogno in questo mondo.” Aggiunse.
“Esattamente. Me lo sono tatuato per non dimenticarlo mai e cercare di essere una persona migliore ogni giorno.”
I loro sguardi si incrociavano e non c’era neanche bisogno che Sherlock gli dicesse che lo era.
Aveva, una sotto l’altra per tutta la lunghezza del braccio, fino al polso, delle rune.
“Ti ricordi il loro significato?” gli chiese guardandole curioso.
“Sherlock Holmes che non conosce qualcosa di così semplice.”
“Non ho spazio per queste cose qui dentro.” Puntò la sua testa e John scosse la sua.
“Allora” iniziò.
“Questa rappresenta la conoscenza, la saggezza e anche la creatività e l’spirazione.”
“Azzeccatissima dire.”
“Già. Questa che è praticamente una r maiuscola, è viaggio, cambiamento mentre questa l’energia positiva, la forza e anche il sole. Infatti è una specie di s.”
Sherlock ascoltava interessato.
Era bellissimo vederlo così attento alle sue parole.
“E questa invece rappresenta l’uguaglianza, l’amore ma anche cambiamento.”
“Mi piace.”
“Sì, è importante. Anche a quest’ultima ci tengo. Rappresenta il dolore, l’introspezione e la concentrazione.”
“Sono molto belle, John. Sei tu.”

Per entrambi tatuarsi era qualcosa che acquistò un’importanza assurda e per John era sempre stato necessario per non impazzire, per non tenere dentro tutto.
“Grazie.” Disse, poi Sherlock gli girò il braccio ed era tatuato fino alle nocche della mano da un mandala abbastanza complicato ma bellissimo. Disse: “Il buddismo mi ha sempre affascinato. Non la vedo come una religione ma più come un ragionamento. Di sicuro ha più aspetti interessanti del cristianesimo.”
“E poi come non puoi trovare straordinari questi disegni. Quando li disegnano, con polveri colorate, e ci mettono ore anche per farne uno, poi lo spazzano via per ricordare la caducità delle cose. Quanto tutto è temporaneo. Anche lo stesso universo che i mandala praticamente rappresentano.” Sherlock sospirò con un sorriso amaro.
“Quanto è vero.” Sussurrò.

Perdere tutto perché tutto può essere perso senza neanche volerlo era una cosa immensa che se ci pensava gli veniva di nuovo mal di testa. Sherlock reagiva così ai pensieri forti, la sua mente non reggeva e allora prese John e lo baciò, per ricordarsi che c’è ancora qualcosa di bello in tutto quello.
“Ti sei intristito, vero?”
Sherlock poggiò la fronte sulla sua.
“Sì. Ma tu mi riporti subito la felicità, tranquillo.”

Uscirono dal bagno, si vestirono e John asciugò i capelli a Sherlock.
“Un disastro.”
“Ti avevo avvertito.”
Sherlock aveva dei capelli morbidissimi, profumati ma informi.
“Sei adorabile.”
“Non penso che la gente lo pensi. Riderebbero.”
“Li riempirei di botte se lo facessero.” John suonò abbastanza serio e Sherlock sorrise incrociando il suo sguardo.
Poi si alzò e prese del gel dal suo cassetto e si aggiustò la sua folta chioma. Fece un cenno col capo per la soddisfazione. Erano in cucina e prima di uscire John chiese:
“Se ti va di rimanere a casa a guardare la tv, possiamo farlo. E’ la tua vacanza in fondo.”
“No, implicherebbe lo stare sul divano. Vicini. E a me verrebbe voglia di fare tante cose tranne che guardare la tv, se capisci cosa intendo.”
Gli disse, tranquillo. John alzò le sopracciglia.
“Ti giuro che se ti ho trasformato in un sessuomane non c’è bisogno di aspettare venerdì, mi ammazzo subito.” E rise.
Rideva e Sherlock fissò il vuoto.
Silenzio.
Pesante.
Sherlock lo guardava trafiggendolo con lo sguardo e John sentiva di stare per morire sul serio.
“Sh-Sherlock non vole”
“Wow. Davvero wow, John.”
E detto questo con una rabbia assurda afferrò la sua giacca dalla sedia e uscì, facendo sbattere la porta. John lo rincorse fuori ma si rese conto che era lì, appoggiato al muro di fianco alla porta di casa.
Testa bassa.
John incrociò le braccia e si strinse a se, sentendosi piccolo piccolo.
Sherlock aveva sempre odiato questo tipo di battute ed era la persona meno ironica del mondo.
Tutto, ma proprio tutto, lo prendeva sempre sul serio. Figuriamo una cosa del genere che lo feriva a prescindere. Giocarci su non fu una bella mossa. “Mi dispiace. Potevo risparmiarmela.”
Sherlock si pentì di essersi arrabbiato per quella sciocchezza, un niente, una battuta. Si pentì di aver portato John lì. Si pentì di aver coinvolto John. Si pentì di essere così. Respirava a fatica ora e sentiva i muscoli contrarsi.
“No, non ora. Ti prego.”
Disse con un filo di voce tanto bassa che John non capì.
“Sherlock?”
Sherlock strisciò contro il muro e si sedette. Sentiva lo stomaco uscirgli dal corpo, il sangue alle tempie e strinse gli occhi.
“Oh no. Stai avendo un attacco di panico.” Realizzò John, e si accovacciò di fronte al suo ragazzo che cercava di tranquillizzarsi.
Gli posò le mani sul viso.
“Va tutto bene. Respira.  Per davvero, respira.”
Sherlock gli prese le braccia nelle sue mani grandi e le strinse. Guardava il volto rilassato di John, sempre così rassicurante, sempre così pronto ad aiutare, sempre così. La sua presa si affievolì dopo qualche secondo.
“Così. Concentrati su di me. Guarda me.”
E Sherlock lo guardava.
E ritornò a casa.
John lo aiutò ad alzarsi. Si schiarì la voce che parve non voler uscire e disse:
“Sono ancora arrabbiato. Per la prossima mezz’ora sarò ancora arrabbiato con te John.”
“Va bene.”
Gli rispose sorridendo e Sherlock lo abbracciò forte.
“Andiamo. Ho bisogno di un po' d’aria.”

Successe tutto relativamente in fretta perché Sherlock era familiare con quella situazione ma mai era riuscito così in fretta a riprendersi. Le altre volte erano state peggiori ma cercò di distogliere i pensieri da quelle sensazioni ormai passate. La tensione che provava da quando sapeva che lui e John erano in pericolo non l’aveva ma lasciato e unita a quella battutaccia la sua mente non aveva retto. Il panico era qualcosa che non ti lascia tanta scelta. Devi solo accoglierlo e gestirlo al meglio. Stavano per entrare in ascensore quando all’ improvviso si trovarono vicino una ragazza alta, mora che teneva i lunghi capelli legati in una bella treccia che gli arrivava allo stomaco. Due occhi verde brillante. “Buongiorno.” Disse lei con un sorriso e porse loro la mano. Indossava un paio di jeans nuovi, dedusse Sherlock, e una canotta, piedi nudi. Tuttavia Sherlock non riusciva bene ad inquadrarla, nessuna deduzione che gli venne in mente per capire la sua personalità; un po' per quello che era appena successo un po' perché non gli importava sul serio. Si irrigidì infastidito dalla cosa e non riuscì a stringerle la mano che puntava verso di lui. John, capendo, la strinse lui e parlò.
“Ciao.”
“Sono Lisa. È un piacere conoscervi.”
Sherlock inclinò la testa.
“Sto cercando di capire se sarà lo stesso per noi.”Disse freddo.
“Io sono John e lui è Sherlock. È sicuramente un piacere anche per noi. Sherlock?”
John lo guardò facendogli capire che non era il momento di fare il difficile e che tutto sarebbe finito prima se faceva la persona…normale. “Assolutamente.”
Replicò accontentando John, con un piccolo sorriso.
“Mi chiedevo se stasera avevate voglia di venire da me.  Abito di fonte a voi. Mio fratello Liam festeggia il compleanno.”
A John piaceva l’idea ma attendeva qualche parola da Sherlock. Per il resto della giornata voleva solo farlo stare tranquillo.
“Oh, il portiere è tuo fratello.”
“Intuitivo Sherlock, eh?” disse lei sorpresa guardando John che annuiva tra l’imbarazzo e un sorriso.
“Beh, credo che sarà interessante. Ci saremo.”
Sherlock si congedò neanche guardandola e John seguendolo disse solo:
“A stasera allora.”
Lisa gli sorrise e rientrò in casa.
Prese il cellulare e inviò un messaggio.
“Per stasera saprai dove sono.”
Andò alla finestra e vide i due stringersi la mano mentre si incamminavano su per la strada.
Quella serata sarebbe stata davvero interessante. 




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