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XXIII. Madri e figlie
Anna balzò in piedi e corse con lo sguardo alla finestra.
Buio pesto.
«Sei sicura?»
Lily annuì con tutto il vigore della paura.
Anna si mosse in fretta: prese il candelabro a due bracci dalla mensola
del caminetto, accese le candele e recuperò il pugnale.
«Rimani qui.»
E Lily non parve in vena di disobbedire: riparò dietro una
poltrona, seguendo i movimenti di Anna con uno sguardo spaurito.
Anna fece scivolare il chiavistello e spinse la mano armata contro il
vetro. Uscì. Era l’ora più fredda della notte e il
gelo le piombò addosso come un rapace: vide il proprio respiro ―
corto, e lento al contrario del battito del cuore ― mutare in uno
spettrale soffio di nebbia, mentre scrutava alla propria destra: il
livore delle statue emergeva tremulo dall’oscurità
compatta.
Lontano, tra i campi, un cane ululò.
Poi, silenzio.
E nel silenzio, uno strusciare di passi.
Anna roteò il pugnale, volgendone la lama verso il basso, alzò il braccio e si voltò.
Ma il suo assalitore fu lesto. O, forse, solo fortunato: bloccò
il polso di Anna prima che la lama potesse piantarsi nel suo collo.
Anna calciò contro il ginocchio.
L’altro indietreggiò e barcollò, piegandosi sulla gamba azzoppata.
Il clangore del candelabro contro le lastre del pavimento scosse il
silenzio con la violenza di un’esplosione ― ma non nascose un
gemito: Anna aveva colpito l’uomo al volto con un pugno. E non
gli concesse il tempo di riprendersi: gli fu subito addosso, buttandolo
a terra, steso sulla schiena. Con il ginocchio gli tenne un braccio
schiacciato contro il pavimento e con la mano libera costrinse
l’altro braccio contro il petto. Sollevò il pugnale.
«Anna!»
Lily, accorsa sulla veranda, fissava con orrore la scena.
Il braccio di Anna rimase alzato ― ma immobile.
«Miss Hawkins...»
«Sì, signor Hall? In che cosa posso esservi utile?» ringhiò Anna.
«Non sono... qui per arrecare male a nessuno» boccheggiò William, sotto di lei.
«Siete qui per spiare, allora. Vi manda la mia cara zia? Ha
ordinato al suo cagnolino di assicurarsi che io abbia i minuti
contati?»
«Non sono qui per arrecare male a qualcuno!» ripeté lo scrittore.
La sua voce grondava un misto di supplica e rabbia febbrile, ma le
candele si erano spente e il chiarore interno della biblioteca non era
sufficiente a mostrare ad Anna l’espressione sul volto di lui.
Anna inspirò: le dolevano i muscoli del braccio, tanto era forte
e serrata la presa sul pugnale; poi, espirò e, lesta e busca, si
levò in piedi.
«Alzatevi! Alzatevi e andate dentro ― e se provate qualcosa, giuro sulla tomba di mio padre, che vi taglio la gola.»
Vistosamente a fatica, William si trascinò in piedi, facendo
perno sul ginocchio sano, mentre in segno di resa mostrava i palmi
nelle mani, nascoste dai guanti neri. Fece quanto intimato senza
distogliere l'attenzione dalla lama che continuava a vedersi rivolta
contro. Entrò in biblioteca, seguito a ruota da Anna; seguita, a
sua volta, da Lily.
«Andate vicino al pianoforte» disse Anna. «Lily, portami la corda, per favore.»
Lily, pur con l'aria di chi non sa più nemmeno dove si trovi, eseguì.
Anna scrutò William: cadendo, l'uomo aveva perduto il cappello;
ora un ricciolo nero pendeva sull’ampia fronte pallida; ma il
colorito delle magre guance era acceso, sotto le meste sopracciglia lo
sguardo appariva rabbioso, e un rivolo di sangue scuro colava
dall’angolo della bocca dischiusa. Lo scrittore abbassò
appena le braccia e le spalle, sotto il lungo pastrano nero, crollarono
lentamente.
«Miss Hawkins, lasciatemi spiegare―»
«Sedetevi.»
«Dove di grazia?»
«A terra: sono sicura che nostro pavimento sia degno delle vostre terga.»
William prima serrò le labbra. Poi, allargò le narici in
un respiro rumoroso. Infine, a denti stretti, obbedì: le lunghe
gambe piegate davanti a sé e la schiena appoggiata al massiccio
piede che sorreggeva la coda del pianoforte.
Intanto, Lily se ne stava alle spalle di Anna, con la corda tra le
mani. Anna gliela sfilò via, affidandole il pugnale. In quanto a
William Hall, pur senza lame alle gola, non azzardò a ribellarsi
mentre Anna si adoperava per legargli entrambe le mani dietro la
schiena, alla gamba del pianoforte con un nodo a prova di ladro di
cavalli. Tuttavia, non si trattenne dal protestare a voce.
«Tutto questo è incivile e in alcun modo necessario.»
«Disse l’uomo che si intrufolò di soppiatto, in case altrui, nel cuore della notte.»
«Sono le cinque e mezzo del mattino.»
«Oh, be', questo cambia tutto!»
William sospirò.
«Quantomeno, miss Hawkins, vi riconosco il merito d’aver
elevato a raffinata arte la proverbiale capacità di confondere
del vostro sesso.»
«Di che blaterate?»
«Prima mi accusate di essere un assassino. Poi, mi baciate. Infine, mi prendete a pugni.»
L'accenno all’incidente
del pomeriggio ebbe su di Anna lo stesso effetto di una frustrata
contro una bestia già inferocita: mise a tacere William
facendogli sbattere la nuca contro il legno. In piedi, arretrò
di due passi, gettò le spalle all’indietro e stese una
mano affinché Lily le restituisse il pugnale.
«Perché siete qui?» soffiò.
«Per voi. Dovevo vedervi. Parlarvi.»
«Siete stato accontentato, allora. Mi avete davanti. Parlate.»
Ma William guardò Lily.
«Preferirei che la conversazione fosse privata.»
Anna esibì un sorriso serrato: il controllo di sé
andavano annegando sotto la rabbia. «Non siete voi a dettare le
condizioni, signor Hall. Lily resta e voi vuotate il sacco. Vi ha
mandato mia zia: sì o no?»
William crucciò le sopracciglia. «E perché mai
avrebbe dovuto? No, la signora Woodhams non sa che mi trovo qui.
Nessuno sa che sono qui. Vi ho raggiunto a quest’ora improbabile
per una ragione precisa. Vi sapevo sola. Speravo in un incontro
privato. E segreto.»
«E che diavolo stavate facendo sulla veranda? Cos'è? D'un
tratto vi siete dimenticato che abbiamo una porta e un
campanello?»
«Non... non era mia intenzione entrare dalla veranda»
tentò di chiarire l'uomo. «Ma per assicurarmi che nessuno
fosse sveglio, ho pensato di percorrere il perimetro della casa, prima
di suonare. Così facendo, ho visto la luce provenire dalla
biblioteca. Pensando che fosse insolito, mi sono avvicinato...»
Anna e Lily si guardarono l’un l’altra: scettica la prima, perplessa la seconda.
Lily racimolando il coraggio di parlare, si rivolse direttamente al
signor Hall. «Ma come siete passato dal giardino alla veranda?
C’è un solo chiavistello. E si trova all’interno. Ed
era tirato.»
Alla domanda non seguì alcuna risposta: William umettò le labbra sporche di sangue e fissò il pavimento.
«Dunque?» incalzò Anna.
«La cameriera si sbaglia. Il chiavistello non era stato tirato.»
«Non è vero!» insistette Lily; e si voltò
verso Anna. «Ricordo di averlo controllato, nel pomeriggio, prima
che della partenza della signora. Era chiuso.»
Anna prestava ascolto a Lily, guardandola con la coda
dell’occhio, ma continuava a fissare lo William.Scosse il capo.
«Al diavolo il come! Io voglio sapere che cosa volete. E voglio
sperare che siate qui per confessare.»
L'uomo levò lo sguardo su di lei. Uno sbuffò roco,
sfiatato, a metà tra un riso e un gemito grattò la sua
gola. «Siete tanto testarda quanto cieca. Foste un uomo,
meritereste un posto in Parlamento. Ve lo ripeto: io non ho nulla a che
vedere con il suicidio del signor Woodhams.»
«Bugiardo» sibilò Anna.
«Smettetela con queste accuse. Vi fanno sembrare una pazza. Una pazza pericolosa.»
«Non sono pazza. Ma posso essere pericolosa... per coloro che fanno del male alla mia famiglia.»
Lily si accostò ad Anna. «Non confesserà» le
sussurrò. «È pur sempre un ricco. Quelli come lui
sono incapaci di ritenersi colpevoli di nulla.»
«Noto che avete trovato nella cameriera una valida alleata» sospirò William.
«Io non sono ‘la cameriera’» squittì
Lily, in un'improvviso sussulto di ardore. «Ho un nome, come lo
avete voi!»
«Se lui non parla, lo faremo noi» esplose Anna, e piantò le nocche sui fianchi. «Sappiamo
cosa è successo nella nursery. Abbiamo visto il sigillo. Abbiamo
letto i messaggi. Voi e mia zia avete invocato uno spirito: uno
spirito nero dagli occhi rossi. Un'Ombra. Tre anni fa, avete comandato allo spirito di costringere una donna, Alice Mallory, a uccidere i suoi stessi figli. Sei mesi fa, avete fatto in modo che spingesse al suicidio una domestica: Mary Tilley. Nello stesso modo, avete portato mio zio a rivolgersi la rivoltella contro.»
Le parole di Anna caddero nel silenzio. A parer suo, William Hall stava
dando una notevole prova d'attore, fissandola con quei grandi occhi
cerulei d’un tratto pieni di stupore e sgomento.
«Ma chi ha avuto l'idea?» riprese. «Chi è
la mente? La vecchia s’è fatta abbindolare dal
giovane? O è stata lei a sedurre voi?»
William seppe solo muovere il capo in uno stordito cenno di diniego.
«Voi stupidi ― stupidi! ― arroganti bianchi. Siete come bambini che giocano col fuoco. C’è un motivo se il mondo dei vivi e quello dei morti sono separati. O pensate davvero di poter rompere le regole a vostro piacimento?»
William taceva.
«Avete perso la lingua, signor Hall?»
Lo scrittore deglutì. «Quel che dite corrisponde a verità ― ma
solo in minima parte. Ho aiutato vostra zia a mettersi in contatto con
uno spirito: questo è vero. Lo spirito di sua figlia.
Violet.»
Anna assottigliò le palpebre: una fugace sorpresa, sporcata dal dubbio, ebbe la meglio sulla rabbia.
«E Violet ha riposto?» indagò.
«Sì.»
«I messaggi nella scatola dunque provenivano dalla bambina?»
William annuì. «Furono scritti attraverso di me. Ho
lasciato che lo spirito della piccola mi usasse come tramite, mentre
sua madre poneva le domande.»
«Che domande?»
«Riuscì a formulare una soltanto: chiese se
fosse arrabbiata con i suoi genitori. Con suo padre. Per averne, seppur
indirettamente, causato la morte. E con lei ― per non essere rimasta in
casa, a curarla e vegliarla come avrebbe dovuto fare una madre. La
bambina guidò la mia mano, tracciando la parola
‘perdono.’ Ma prima che vostra zia potesse asciugarsi le
lacrime e continuare con le domande, lo spirito mi costrinse a
scrivere, freneticamente, una dopo l’altra―»
«Madre. Morte» anticipò Anna. «E la serie di numeri e lettere.»
«La signora Woodhams si spaventò.»
«Quel grido...» realizzò Lily, in un sussurro.
«Lo spirito di Violet ci lasciò e noi non osammo
più tentare. Questo è il punto, miss Hawkins: quel giorno
― quel pomeriggio di ottobre, quando vostro zio era a Londra e voi al
villaggio ― quella fu la sola e unica volta
che tentammo una seduta spiritica. Qualunque cosa sia accaduta tre anni
fa, o sei mesi fa, o in seguito... né io né vostra zia ne
siamo gli artefici.»
Ma Anna non gli credeva. «Allora, spiegatemi come mai il
messaggio di Violet, quei numeri e quelle lettere, è lo stesso
messaggio che Mary Tilley incise sul pavimento della propria stanza
poco prima di suicidarsi? O forse mia zia non vi ha informato della
coincidenza?»
William serrò la mascella. «So della scritta sul
pavimento: la signora Woodhams me ne mise al corrente subito dopo la
morte della domestica.»
«Lo tenne nascosto a mio zio, ma ne parlò con voi?»
«Vostra zia ha fiducia in me.»
Anna sbuffò. «Su questo non avevo dubbi! E vi informo che
quella non è una sequenza alla rinfusa. Quello è―»
«Un versetto del Deuteronomio» l'azzittì William. «Mia sarà la vendetta e il castigo» recitò, «quando vacillerà il loro piede. Vicino è il giorno della loro rovina e il loro destino si affretta a venire.
― È una promessa di vendetta. Possibile che non l'abbiate ancora
capito, miss Hawkins? Qualcuno sta cercando di vendicarsi dei Woodhams. E sta usando queste morti per farglielo sapere. La vostra sventurata zia è una vittima. Non una carnefice.»
Un respiro incerto gonfiò il petto di Anna, ma nulla turbò la durezza della sua espressione.
«Io non credo a una sola parola―»
«Se non credete a me, credete almeno alla logica.» La
compostezza di William parve giungere al punto di non ritorno e
parlò con l'aspra durezza di chi è esasperato dall'altrui
ottusità. «Se vostra zia avesse voluto liberarsi del
consorte, perché scegliere un suicidio? E addirittura far
sì che il marito la indicasse come causa diretta? Non vedete che
adesso, come conseguenza, a eccezione della mia famiglia, la signora
Woodhams è stata allontanata dalla società? Pensate
davvero che vostra zia ― una donna che si è adoperata tutta la
vita per raggiungere benessere e ottenere rispetto ― aspiri a ridursi
come una reietta? Per quale motivo
rischiare tanto? ― E ammettiamo, per un attimo, che abbia avuto un
valido motivo, ammettiamo... ammettiamo che l'abbia fatto per
l'eredità: la domanda resta la medesima. Perché un
suicidio, con tutta l'onta che ne consegue, quando avrebbe potuto
inscenare un incidente?»
Anna affondò i denti nella guancia.
«E parliamo della morte della Tilley. Foste stata qui la scorsa
estate, non avreste fatto altro che sentire ovunque, in città,
un infinito sussurrarsi dei peggiori pettegolezzi. C'era chi andava
dicendo che la cameriera si fosse suicidata perché portava in
grembo il figlio di Walter Woodhams. ― Miss Hawkins, sembrate ignorare totalmente
che persone del rango dei vostri zii non possono permettersi di mettere
in scena suicidi all'interno delle proprie dimore e sperare di uscirne
indenni. Una reputazione rovinata può essere letale tanto quanto
una coltellata o un colpo di rivoltella.»
Anna arretrò di mezzo passo, senza sapere su chi o cosa posare
lo sguardo. Parte di lei non voleva ― o non poteva ― accettare il
ragionamento di William, e lo rifiutava come un puledro
selvaggio che rifiuta le redini, eppure... quelle stesse parole stavano
rodendo le sue certezze. Cercò Lily. Ma Lily stava
lì, zitta, a mordicchiarsi di nuovo il pollice, con
un'espressione di contrito timore sul viso bianco come un lenzuolo.
«E se vi servono prove tangibili» riprese William,
«prendete in considerazione questo: la signora Woodhams non sa
nulla di spiriti ed esoterismo. È una profana in quel campo.
Ecco perché ha domandato a me di aiutarla a mettersi in contatto con Violet.»
«Quindi voi ammettete di esserne esperto?» disse Anna.
«Sì, lo ammetto. Sono venuto qui per questo. Per fare
chiarezza: su quanto accaduto nella nursery e sul mio legame con vostra
zia. Sentii il bisogno di parlarvene già quella sera, a
Ellsworth House, ma la piega presa dagli eventi mi convise a
rinunciare. Dopo
una tale tragedia, il più piccolo accenno a simili argomenti
sarebbe stato da insensibili. Ma poi voi avete iniziato ad accusarmi. E
io non potevo sopportarlo.»
«Oh, è qui per orgoglio allora...» biascicò Lily .
«Chiamatelo come preferite! Ma nessun essere umano, che non sia
totalmente privo di dignità e amor proprio, accetterebbe di
venir ritenuto colpevole della morte di una persona cara senza tentare
di provare la propria innocenza.» William guardò Anna.
«Quante volte dovrò ripetervi che amavo vostro zio come
fosse stato un mio parente?»
Anna, sempre più nervosa, camminò fino al tavolino. Mise
giù il pugnale. Poi, una mano aggrappata al fianco e l'altra a
strofinare la fronte, serrò le palpebre: le sembrava di avere il
cranio in fiamme. Ed era stanca. Così dannatamente stanca. «Avete parlato di prove tangibili, ma mi avete dato solo chiacchiere.»
«Le prove sono qui» rispose William.
«Nella tasca interna del pastrano, ho le lettere che vostra
zia scrisse durante le mie ultime settimane a Londra. Cercavamo un
accordo per la seduta. Il luogo e il momento più adatto. Leggete
con i vostri occhi. Ci sono tutti i dettagli.»
Anna si avvicinò di nuovo al pianoforte e fletté le
ginocchia, ritrovandosi faccia a faccia con lo scrittore. Ne
studiò lo sguardo, risoluta a cogliere il minimo indizio di
menzogna.
Non trovò nulla.
Così, tanto riluttante quanto guardinga, quasi temesse di finire
con le dita in una tagliola, avvicinò le mani al petto di
William. Il pastrano era già sbottonato. Lei spostò il
colletto, per rivelare la fodera interna: delle carte spuntavano dalla
tasca. Anna le sfilò via. Tornò in piedi e
arretrò, esaminando alla svelta: le lettere erano datate tra il
principio dell’estate e la prima metà di settembre,
nell’indirizzo compariva la parola Londra e la calligrafia era
indubbiamente quella della zia Woodhams.
«Sembrano vere» mormorò Anna.
«Ma» disse Lily che, accanto a lei, stava a sua volta
spiando le lettera, «abbiamo cercato nello scrittoio della
signora. Non c’erano lettere del signor Hall.»
«Le ha bruciate» disse William. «Non era il genere di
corrispondenza che desiderava lasciare ai posteri.»
In quel momento, da dietro la porta chiusa, giunse un rintocco: nell’atrio, la pendola batteva l’ora.
Due rintocchi.
Tre rintocchi.
Quattro rintocchi.
Cinque rintocchi.
Un sesto rintocco e di nuovo silenzio.
Anna sollevò lo sguardo dalle carte; e lo fece con una lentezza
che non le apparteneva. Fissava dinanzi a sé, verso
l’accesso alla veranda.
I fogli ondeggiarono nel vuoto e caddero sul tappeto.
C’era qualcuno, là fuori.
Due persone.
Nonostante il buio, Anna riusciva a distinguerli perfettamente. Una
figura ― la più alta ― se stava un poco più
indietro: aveva spalle larghe, rese ancor più massicce dalla
pelliccia cucita sul lungo cappotto. Teneva il capo chino così
che il cappello gettassero sul suo viso un'ombra che ne oscurava
completamente i lineamenti. La seconda figura, più vicina e più minuta, non si
nascondeva: mento alto e occhi incatenati a quelli di
Anna. Era una donna, ma indossava abiti simili a quelli del suo
compagno. I capelli neri erano spartiti in due trecce, che le
ricadevano sul petto, e un collare di ossa e pietre stringeva il collo
scuro e sottile. Sotto al petto, all'altezza del costato, una macchia scarlatta impregnava la stoffa.
La donna sollevò una mano. Stese il braccio, volgendo il palmo verso l’alto.
Anna sapeva che non chiedeva di entrare.
Chiedeva a lei di raggiungerla.
«Madre...»
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➽
Note autrice.
Approfitto
di questo solito angolino per ringraziare chi, nonostante la lunga
pausa, ha letto il capitolo precedente. Non ho avuto tempo di
rispondere singolarmente alle recensioni e ai messaggi ma prometto di
farlo al più presto (anche se, per il momento,
cercherò di sfruttare ogni attimo libero
per correggere
il resto dei capitoli.)
Alla prossima!
(-ω-ゞ
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